Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 8 ottobre 2014
Ikea, trattativa ancora aperta Si punta sull'area accanto al Forum. - Roberto Immesi
Continua il dialogo con l'amministrazione comunale, anche se le condizioni del colosso del mobile restano invariate: legalità e vicinanza al polo commerciale di Roccella.
PALERMO - Cambia il terreno, ma non il luogo. E soprattutto continua il dialogo con l'amministrazione comunale. Il progetto di Ikea di sbarcare a Palermo diventa sempre più concreto: dopo l'annuncio dello scorso marzo del colosso svedese di voler aprire i battenti anche nel capoluogo siciliano, visto il successo del punto vendita di Catania, vanno avanti i contatti con le istituzioni locali per trovare le condizioni ideali.
Un'impresa non facile, visto che il marchio dei mobili facili da montare ha posto condizioni precise: acquistare terreni secondo procedure trasparenti per evitare spiacevoli sorprese, firmare un protocollo di legalità con la Prefettura e posizionarsi accanto al polo commerciale di Roccella dove sorgono già il Forum, Leroy Merlin e Ucicinemas. Poche ma semplici richieste a cui Palazzo delle Aquile sta cercando di rispondere, pur di non perdere la grande occasione. Tramontate le ipotesi della Bandita e della zona industriale di Brancaccio, dove Ikea avrebbe dovuto abbattere e poi costruire di sana pianta con una lievitazione dei costi non indifferente, gli emissari scandinavi starebbero puntando a un altro terreno. Non più quello individuato in un primo momento, ovvero dall'altro lato dell'autostrada rispetto al Forum, quindi a nord, ma alle spalle del centro commerciale. La vicinanza con il Forum, infatti, è stata una delle condizioni fondamentali poste dal colosso del mobile che ha comportato l'esclusione di altre zone della città o della provincia. Non è un mistero, infatti, che il polo commerciale di Roccella sia, tra quelli esistenti per adesso, il più redditizio: capace cioè di attirare la porzione sud di Palermo, che ne era sprovvista, ma anche una serie di comuni limitrofi della costa orientale. Inoltre è vicino al capolinea della linea 1 del tram, al parcheggio di scambio per i pullman che è ancora in costruzione, al passante ferroviario e all'autostrada, sebbene rimanga aperta la questione delle bretelle da completare. Del resto, anche a Catania il punto è vicino alle "Porte", a Decathlon e all'aeroporto.
L'intenzione di Ikea sarebbe quella di puntare su un terreno agricolo per abbattere i costi, il che renderebbe però necessaria una variante; inoltre gli svedesi puntano molto sulla legalità e per questo hanno chiesto alla Prefettura un protocollo ad hoc e per giunta in tempi brevi, così da avere certezze sui terreni interessati. Palazzo delle Aquile, dal canto suo, non ha intenzione di farsi sfuggire l'occasione di poter aprire in città un nuovo punto vendita che darebbe lavoro a centinaia di persone, pur dovendo fare i conti con la scontata ostilità dei commercianti della zona che temono la concorrenza di un marchio noto come quello scandinavo. Nella trattativa, però, non ci sarebbe spazio per altre "compensazioni" a favore della città: già l'apertura del punto vendita, per gli svedesi, sarebbe sufficiente.
Del resto la politica del colosso è nota: molto verde, strutture ecologiche e positive ricadute sul territorio con almeno il 20% degli articoli prodotti in loco. Il progetto, ancora alle battute iniziali, prevedrebbe un investimento da 50 milioni, tra i 300 e i 400 posti di lavoro diretti e indiretti, per un'area grande circa 100mila metri quadrati di cui solo 36mila occupati dalle strutture. Il 25% dei clienti del punto vendita catanese vengono proprio da Palermo, così gli scandinavi hanno ben pensato di aprirne uno direttamente nel capoluogo. Sperando che non finisca come nel 2009, quando il tutto si arenò a favore della parte orientale dell'Isola.
http://livesicilia.it/2014/10/06/ikea-cambia-il-terreno-ma-resta-la-trattativa-gli-svedesi-puntano-a-stare-accanto-al-forum_546532/
Coscienza dopo la morte: il primo studio che indaga su cosa accade “nell’aldilà”. - Nadia Vitali
in foto: L'isola dei morti di Arnold Bocklin
Grazie ai racconti di persone sopravvissute all'arresto cardiaco, alcuni ricercatori hanno scelto di addentrarsi nel territorio più oscuro e complesso.
Esperienze extracorporee (out of body experiences, OBEs) o ai confini della morte (near-death experiences, NDEs): la storia dell’umanità ha registrato molti racconti relativi a questo impalpabile mondo, del quale nulla conosciamo e molto vorremmo sapere. Luci in fondo al tunnel, anime che si innalzano al di sopra del proprio corpo, fino ai più tradizionali cieli con le nuvole: fenomeni spesso considerati frutto di allucinazioni o di illusioni e che, in virtù di ciò, raramente sono stati oggetto di studio. Certo, in anni recenti c’è stato anche il caso di un neurochirurgo americano che, dalla sua esperienza pre-morte, avrebbe evinto che l’aldilà esiste e si presenta anche molto simile a come lo immaginiamo, per tanti aspetti. Ma questo non sembrava sufficiente a spostare l’attenzione della scienza sul tema: ragionevolmente, d’altronde, dato che è logico pensare come la suggestione giochi un ruolo fondamentale in questi casi.
Uno studio difficile
Tuttavia, la britannica University of Southampton ha deciso di fare un tentativo in questa direzione, dando il via nel 2008 ad uno studio su ampia scala che ha coinvolto 2060 pazienti di 15 ospedali distribuiti tra USA, Regno Unito ed Austria: 140 di questi sono sopravvissuti all'arresto cardiaco. Obiettivo dei ricercatori era l’esame di tutto l’ampia gamma di esperienze mentali in relazione alla morte, cercando di discernere, dai racconti degli interessati, cosa appariva chiaramente come una mera allucinazione e cosa poteva sembrare più simile ad un’esperienza pre-morte. Lo studio, pubblicato dal giornale Resuscitation , avrebbe evidenziato, in primo luogo, come tali fenomeni appaiano ancora molto lontani dalla comprensione, da come li immaginiamo e anche da come sono stati descritti in molte NDEs.
Ricordi confusi di coscienza post-mortem
I ricercatori avrebbero inoltre concluso che, in alcuni casi di arresto cardiaco, i ricordi visivi di chi aveva esperito l’OBE coincidevano con eventi reali. In buona sostanza, l’indagine avrebbe portato alla luce le esperienze di un numero relativamente alto di persone: tra queste, tuttavia, molte non erano in grado di richiamarle alla memoria con accuratezza, forse a causa dell’effetto di sedativi e farmaci o di qualche trauma sui circuiti neuronali. L’auspicio, quindi, sarebbe quello di uno studio più preciso e dettagliato: il quale, tuttavia, dovrebbe essere portato avanti in maniera del tutto scevra da pregiudizi. E non è affatto facile. Del resto, altrettanto complesso risulta distinguere tra suggestione e realtà, nel parlare di un tema tanto delicato quanto scientificamente non ancora esplorabile.
Il 39% dei pazienti sopravvissuti ad un arresto cardiaco, i quali erano in grado di rispondere ad un’intervista strutturata, ha descritto di aver vissuto una sorta di percezione di coscienza post-mortem: tuttavia più difficile era per loro avere una memoria di questi eventi. Secondo il Dottor Sam Parnia, della State University of New York e ricercatore onorario presso l’università di Southampton quando lo studio è iniziato, questo sembrerebbe suggerire che in diverse persone l’attività mentale inizialmente sarebbe ancora presente; ma ricordarne qualcosa dopo la guarigione appariva impossibile, probabilmente per cause legate proprio al trattamento medico subito. In ogni caso, tra coloro i quali serbavano memorie labili della propria morte prima della rianimazione andata a buon fine, un 46% ha comunque riferito di esperienze molto diverse da quelle normalmente indicate come NDE, con una serie di ricordi classificati dagli scienziati in precise categorie cognitive: paura, animali o piante, luce intensa, violenza o persecuzione, deja vu, famiglia. Soltanto il 9% ricordava esperienze compatibili con quelle ai confini della morte comunemente intese, mentre il 2% riferiva di aver vissuto vere e proprie esperienze extra corporee con ricordi espliciti e chiari di cose viste e sentite.
Oltre i confini della conoscenza?
In buona sostanza, le esperienze osservate e raccolte nei racconti dai ricercatori avrebbero fatto emergere un mondo estremamente variegato di sensazioni ed immagini, spesso impalpabili, non riassumibile in quel 2% di esperienze. Queste conclusioni andrebbero a supportare studi precedentemente condotti che avrebbero già indicato come la coscienza possa essere presente nonostante sia clinicamente non rintracciabile. Ma si tratta soltanto di una scintilla in un mondo oscuro: ben altro sarà necessario per squarciare quel buio profondo, ammesso che un giorno l'essere umano sarà in grado di farlo.
http://scienze.fanpage.it/coscienza-dopo-la-morte-il-primo-studio-che-indaga-su-cosa-accade-nell-aldila/#ixzz3FXn092jE Questo è un campo nel quale non mi avventurerei.
I casi a cui fanno riferimento sono completamente diversi da quelli della morte effettiva: nei casi citati il cervello funzionava ancora, nel caso della morte effettiva il cervello non ha più alcun alimento, non ha più impulsi elettrici, è totalmente inerte.
Potrebbe essere presa in considerazione solo la teoria di una continuità della produzione di impulsi elettrici residui, ma la durata sarebbe minima, quindi impercettibile e di poca valenza.
Appalti fasulli da 200 milioni Così Clini si intascava il 10%. - Fiorenza Sarzanini
I finanzieri: l’ex ministro riceveva tangenti da uffici «fantasma» a Pechino.
ROMA Appalti da 200 milioni di euro per opere da realizzare in Cina che in realtà sono state sbagliate o mai costruite. Soldi che il ministero dell’Ambiente ha erogato tra il 2001 e il 2009 per volontà dell’allora direttore generale Corrado Clini, poi diventato ministro, attraverso due uffici «fantasma» aperti a Pechino. A svelare la destinazione del denaro distribuito a imprese scelte a trattativa privata, sono gli atti dell’inchiesta che nel maggio scorso aveva fatto finire agli arresti domiciliari lo stesso Clini e il suo socio occulto Augusto Calore Pretner, accusati di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Tra gli indagati ci sono la moglie del politico, Martina Hauser, e alcuni imprenditori. Nelle informative trasmesse dalla Guardia di Finanza ai magistrati della Procura di Roma è delineato anche il ruolo che avrebbe avuto l’ex ambasciatore Umberto Vattani, presidente dell’Ice, l’Istituto per il commercio con l’estero fino al 2011. E sono elencate le consulenze che lo steso Clini avrebbe fatto ottenere a suo figlio Carlo dalla Idra, azienda che in cambio avrebbe ottenuto incarichi ben remunerati.
Tangenti del 10 per cento.
Quello degli affari conclusi da Clini fuori dall’Italia è uno dei capitoli chiave dell’indagine. Perché dimostra come i finanziamenti che potevano essere utilizzati in maniera strategica sul territorio italiano siano stati in realtà dirottati altrove per interessi personali. Quale fosse il meccanismo illecito lo spiega bene la relazione dei finanzieri del Reparto Spesa Pubblica, guidato dal generale Bruno Bartoloni, che indica anche la percentuale del 10 per cento come tangente su ogni lavoro da versare su conti aperti presso banche straniere.
Scrivono gli investigatori: «La scelta dei soggetti italiani a cui affidare appalti e commesse sarebbe stata gestita direttamente dal ministero dell’Ambiente italiano oppure “suggerita” alla parte cinese almeno per la successiva fase di individuazione dei soggetti a cui affidare i sub-appalti. In assenza dei meccanismi di gara sembrerebbe inoltre che le indicazioni per le scelte, fino a un certo importo e per talune tipologie, sarebbero in realtà state affidate a Ice Pechino e condizionate dalla disponibilità del soggetto ad accettare di versare un contributo del 10 per cento del valore dell’appalto su un conto presumibilmente intestato a una non meglio identificata società di consulenza con sede a Hong Kong».
Scrivono gli investigatori: «La scelta dei soggetti italiani a cui affidare appalti e commesse sarebbe stata gestita direttamente dal ministero dell’Ambiente italiano oppure “suggerita” alla parte cinese almeno per la successiva fase di individuazione dei soggetti a cui affidare i sub-appalti. In assenza dei meccanismi di gara sembrerebbe inoltre che le indicazioni per le scelte, fino a un certo importo e per talune tipologie, sarebbero in realtà state affidate a Ice Pechino e condizionate dalla disponibilità del soggetto ad accettare di versare un contributo del 10 per cento del valore dell’appalto su un conto presumibilmente intestato a una non meglio identificata società di consulenza con sede a Hong Kong».
Le finte opere.
Sono sette le società che hanno ottenuto lavori e due le «strutture operative per la realizzazione del programma» di utilizzo dei fondi. L’informativa della Finanza evidenzia come «i due funzionari impiegati nella prima unità, collocata all’interno degli uffici Ice di Pechino, non sono stati in grado di conoscere ufficialmente quale sia l’attività effettivamente svolta dall’ufficio, anche se da informazioni assunte da persona che in passato ha lavorato presso lo stesso, pare che il predetto responsabile operi in realtà come mero contabile». E ancora: «Per quanto riguarda la seconda struttura, denominata Program Management Office, non è stato possibile conoscere il numero esatto degli addetti ma sono stati individuati alcuni dipendenti per i quali non si conoscono esattamente le funzioni svolte e chi sostenga i costi per il loro impiego».
Ancor più grave il capitolo relativo alle opere. Perché il restauro della «Meng Joss House», costato oltre 4 milioni di euro «non sembra essere stato eseguito “a regola d’arte” e con tecniche efficaci atteso che l’intero stabile, attualmente in stato di abbandono, risulta interessato da copiose infiltrazioni d’acqua che ne hanno compromesso l’agibilità».
Disastroso si è rivelato anche il progetto di costruzione di un edificio all’interno dell’università di Pechino. Sono stati spesi 20 milioni di euro ma i responsabili dell’Ateneo hanno protestato con l’ambasciatore italiano perché «lo stabile, lungi dall’essere un esempio di elevata tecnologia come invece era stato sostenuto, viene considerato uno dei più energivori di tutto il campus».
Ancor più grave il capitolo relativo alle opere. Perché il restauro della «Meng Joss House», costato oltre 4 milioni di euro «non sembra essere stato eseguito “a regola d’arte” e con tecniche efficaci atteso che l’intero stabile, attualmente in stato di abbandono, risulta interessato da copiose infiltrazioni d’acqua che ne hanno compromesso l’agibilità».
Disastroso si è rivelato anche il progetto di costruzione di un edificio all’interno dell’università di Pechino. Sono stati spesi 20 milioni di euro ma i responsabili dell’Ateneo hanno protestato con l’ambasciatore italiano perché «lo stabile, lungi dall’essere un esempio di elevata tecnologia come invece era stato sostenuto, viene considerato uno dei più energivori di tutto il campus».
Probabilmente, se non fosse stato così "scorretto" non sarebbe diventato ministro della repubblica italiana.
Non mi meraviglierebbe affatto sapere che nella vicenda c'è lo zampino della mafia.
Il modus operandi è quello, inconfondibile: tangenti in cambio di appalti, lavori fatti male per lucrare al massimo, conti esteri aperti per fare transitare ingenti somme di denaro con la scusa della realizzazione di grandi opere.
E poi mi vogliono far credere che la trattativa stato-mafia non c'è mai stata... e che gli asini volano!