sabato 25 ottobre 2014

Il vaccino contro Ebola scoperto 10 anni fa, ma produrlo non conveniva alle case farmaceutiche.



Quasi dieci anni fa, un gruppo di scienziati canadesi e americani avrebbe scoperto un vaccino che era al 100% efficace contro il virus ebola, ma da allora non se n'è saputo più nulla e nel frattempo quasi 5.000 persone sono morte in Africa occidentale nell'epidemia in corso. E' quanto scrive il New York Times.
I risultati della scoperta furono pubblicati per la prima volta dalla prestigiosa rivista Nature, e le autorità sanitarie li definirono "entusiasmanti". I ricercatori sostenevano che i dopo gli opportuni test, il vaccino sarebbe potuto arrivare sul mercato entro il 2010 e il 2011. Perché dunque è finito tutto nel dimenticatoio?
Secondo quanto scrive il New York Times, lo sviluppo del vaccino (avvenuto nei laboratori di un'istituto di Winnipeg, in Canada) è stato bloccato per due motivi: in parte per il fatto che 10 anni fa Ebola non era ancora un'epidemia tale da conquistare le pagine di tutti i giornali, con al massimo qualche centinaia di infettati fino a quel momento. Ma il problema principale è stato economico: le grandi compagnie farmaceutiche si sono sempre rifiutate, infatti, di investire somme ingenti su medicine destinate solo a qualche Paese povero e a poche centinaia di pazienti.
"Non c'è mai stato un grande mercato per il vaccino dell'Ebola", ha raccontato al Nyt Thomas Geisbert, dell'University of Texas. Secondo gli esperti, la sola ricerca costa diversi milioni di dollari, che salgono a centinaia quando si tratta di arrivare ai primi test sugli esseri umani, e ad almeno un miliardo di dollari al momento di arrivare sugli scaffali. E nessuna grande azienda è disposta a spendere tali cifre facilmente. "La gente investe per riavere poi i soldi indietro", spiega James Crowe, direttore del centro ricerca vaccini della Vanderbilt University.

http://www.articolotre.com/2014/10/il-vaccino-contro-ebola-scoperto-10-anni-fa-ma-produrlo-non-conveniva-alle-case-farmaceutiche/

Ecco perché dovremmo fare causa alla sinistra. - Fulvio Abbate



Dovremmo fare causa… 

Esatto, questa è un’invettiva dedicata ai molti che nel tempo ci hanno tolto il piacere d’essere di sinistra, dichiararci tali, con tutte le emozioni e l’incanto del caso, con tutte le parole che quel sentimento di appartenenza, nonostante la mediocrità dei gruppi dirigenti, ancora e comunque custodiva, l’invettiva muove dalla certezza consapevole che ormai stiamo andando in tanti, se non tutti, per la nostra strada solitaria e comunque irrinunciabile in nome dell’amor proprio e del rifiuto di ogni possibile delega, in nome di noi stessi, di più, di una sorta di doveroso auto-narcisismo politico ed esistenziale che ci spetta di diritto dopo avere visto ciò che sappiamo.
    
Già, dovremmo fare causa a chi, come dice la poesia di Brecht, vecchio scarpone teatrale che ritorna ormai soltanto come fantasma da tre soldi, non ha puntato il dito su ogni cosa chiedendo: e questo cosa mi significa? 

Dovremmo fare causa a chi ha permesso che i propri figli fossero assunti al telegiornale del servizio pubblico appaltato alla sinistra in quanto figli, in quanto protervi, in quanto garantiti, appunto, di sinistra, dovremmo fare causa ai loro “compagni” che li hanno difesi in quanto figli, dicendo “non è vero che sono stati assunti in quanto figli, ma perché sono bravi come i padri”; 

dovremmo fare causa a chi non ha ricordato che i padri sono riusciti a lasciare soltanto macerie dopo essersi inimicate le masse giovanili dopo il 1977; 

dovremmo fare causa a chi, ancora negli anni Novanta, continuava a difendere l’ottusità di Luciano Lama che non aveva proprio nulla da dire ai ragazzi, al primo nucleo sociale dei futuri precari; 

dovremmo fare causa a chi non ha speso una parola rispetto a un presidente della Repubblica che, già da ministro degli Interni, giunto al Viminale, rassicurò quegli altri dicendo “non siamo venuti a tirare fuori gli scheletri dagli armadi” (sic), quanto al resto, piena continuità, lì al Quirinale, con il conformismo lobbistico ufficiale; 

dovremmo fare causa a chi ha continuato a friggere le braciole o sfornare i tortelli alle feste di partito identificando quegli stand con il partito che non c’era più e non con le idee venute a depotenziare l’esistenza stessa di un bisogno d’opposizione; 

dovremmo fare causa a chi ha continuato a difendere ciecamente, ottusamente l’idea stessa del Partito senza intuire che il bisogno di un altro eros politico era arrivato fin dentro le sezioni; 

dovremmo fare causa a chi ha creduto e crede che tra conformismo e conformismo dal volto umano ci sia un’enorme differenza; 

dovremmo fare causa a chi dopo aver distrutto la sinistra in nome della “vocazione maggioritaria” si è messo a scrivere romanzi brutti e banali e a fare film terribili da invalidità permanente mentale, per giunta segnati da un’assenza totale di estro; 

dovremmo fare causa a tutti coloro che hanno fiancheggiato queste persone per ragioni di lobby, senza mai essersi dissociati dai discorsi da “terrazza” romana parlando di Juve e nutella; 

dovremmo fare causa a chi ha continuato a pensare che si dovesse andare comunque a votare perché c’erano ancora una volta i fascisti e poi i leghisti in agguato come licantropi; 

dovremmo fare causa a chi ha cercato di attribuire ogni colpa ai fascisti per salvare se stessi dall’evidenza delle proprie responsabilità e del proprio tentativo di mantenere lo status quo; 

dovremmo fare causa a chi ha lasciato soli i poveri vecchi partigiani lì in piazza, ormai quasi tutti morti, gli stessi che ogni 25 di aprile, se le gambe glielo permettevano, tornavano a Porta San Paolo a Roma per ricordare ciò che era stato, ciò che non poté davvero essere, ossia non la rivoluzione, bensì case scuole ospedali, diritti civili e giustizia; 

dovremmo fare causa a chi ha trovato inaccettabile, sempre per un senso di ottusa appartenenza, che qualcuno potesse pretendere le dimissioni immediate del sindaco di Genova e del presidente della Regione Liguria dopo l’alluvione in quanto “compagni”; 

dovremmo fare causa a quell’altro presidente di regione, non meno compagno negli intendimenti di alcuni, dopo averlo sentito ridere di un povero giornalista precario che faceva semplicemente il suo lavoro chiedendo lumi sui morti di tumore all’Ilva di Taranto, così al telefono con un giannizzero degli industriali padroni della città; 

dovremmo fare causa a chi prova a bloccare la nostra distanza ormai incolmabile dalla sinistra dicendo “e allora vuoi che vinca Berlusconi?”; 

dovremmo fare causa a chi in tutti questi anni ha cercato di attribuire a Berlusconi ogni male affinché non fosse evidente la contiguità altrui con il Mostro, con il Puttaniere; 

dovremmo fare causa a chi ha permesso che una nuova classe dirigente di fighetti analfabeti di storia e senza fantasia alcuna si mettesse lì a dare lezioni di senso di responsabilità; 

dovremmo fare causa a chi continua a ridere delle battute di Maurizio Crozza; dovremmo fare causa a chi non si è mai posto la domanda sul perché in Italia, a sinistra, c’è una satira organica come quella di ElleKappa su “la Repubblica”; 

dovremmo fare causa a chi ha visto l’elezione di Laura Boldrini alla presidenza della Camera non come un naturale miracolo del “manuale Cencelli”, ossia spartitorio, bensì come una vittoria per le donne; 

dovremmo fare causa a chi non dice che da Eataly la pizza è di gomma e il guanciale pessimo; 

dovremmo fare causa a chi ha trovato in Matteo Renzi il nuovo alibi per giustificare le responsabilità dei suoi predecessori a sinistra; 

dovremmo fare causa a chi ha continuato a dare credito ai gruppi dirigenti per soggezione, come dire che questi hanno comunque una visione d’insieme e dunque, in una sorta di remixato centralismo democratico, pensano che non si debba mettere ogni cosa in discussione; 

dovremmo fare causa a chi ha cercato di convincerci che per realpolitik bisognasse sognare di meno ed essere più concreti; 

dovremmo fare causa a chi ha visto perfino con orgoglio che D’Alema facesse le regate con la sua barca; 

dovremmo fare causa a chi non voleva che D’Alema avesse una barca; 

dovemmo fare causa a chi ci ha tolto il fortino dove al posto degli indiani e i cowboy e il 7° Cavalleria avevamo messo i tutti i nostri irreali eroi – dalle guardie rosse all’assalto del Palazzo d’Inverno a Che Guevara; 

dovremmo fare causa a chi a breve ci farà due palle così con l’anniversario della morte di Pasolini dimenticando di dire che questi voleva “abolire” la televisione mentre il suo allievo e biografo Enzo Siciliano, mandato lì dall’amico Walter Veltroni, andò a fare il presidente della Rai, convinto di avere vinto la lotteria dell’orgoglio; 

dovremmo fare causa a chi si pone ancora la domanda sull’esistenza politica stessa di Marianna Madia, facendo finta di ignorare cos’è mai la continuità delle classi dirigenti solo perché il ministro siede a sinistra; 

dovremmo fare causa a chi pubblica i libri di Concita De Gregorio; 

dovremmo fare causa a chi legge i libri di Concita De Gregorio; 

dovemmo fare causa a chi recensisce i libri di Concita De Gregorio; 

dovremmo fare causa a chi compra “la Repubblica” per leggere le pagine sul cappero o il capitone o il lardo di Colonnata; 

dovremmo fare causa a chi continua a sperare che “l’Unità” mantenga un legame con i suoi carnefici, ossia il partito, anche se questo non è più, se non al momento del controllo delle opinioni; 

dovremmo fare causa a chi continua a nominare il partito; 

dovremmo fare causa ad Adriano Sofri perché non ha detto mai una parola sulla supponenza del proprio figliolo Luca; 

dovremmo fare causa ai titolari di certi locali radical-bidè dalle parti di piazza Mazzini a Roma, frequentati dalle facce più detestabili di questo mondo ufficiale, gli stessi che lì organizzano i palinsesti della Rai, facce la cui semplice vista ti porta a diventare nazista; 

dovremmo fare causa a chi ha sostituito ogni pensiero con il “daje!”; 

dovremmo fare causa a chi ha sostituito, non dico i “Grundrisse” di Marx, ma perfino le parole di un Riccardo Lombardi, di un Saragat, di un Tanassi perfino con un “state a rosicare”; 

dovremmo far causa perfino a certi ottusi da centro sociale che non hanno capito che l'età della pietra politica è finita; 

dovremmo far causa a chi fa satira in televisione, su Raitre, dando di gomito a “Gigi”, a “Massimo”, a “Waltere”, a “Matteo”, ossia coloro che gli hanno garantito lo spazio mediatico; 

dovremmo fare causa a noi stessi che ci poniamo ancora il problema dell’esistenza della sinistra invece di prendere e scappare lontano.

Resta da aggiungere però che tra i figli di papà presidenti della Repubblica, già di sinistra, e i figli di nessuno che sperano di guadagnare 400 euri al mese, noi staremo sempre dalla parte di questi ultimi, per naturale umana simpatia, per commozione. Perché, come diceva qualcuno, “ma l’amor mio non muore”, anche in forma anonima, perfino con le proprie bandiere comunque rosse senza più insegne.  

Impignorabilità della prima casa: approvato dall’Aula il ddl.

Il disegno di legge voto targato Movimento 5 Stelle è stato accorpato con altri due, di cui uno di matrice governativa. I deputati 5 stelle: “Atto necessario, imprese e famiglie sono alla canna del gas. Dalla Sicilia arriva un segnale fortissimo per Roma, che non può che accodarsi. Ferreri: “Per la case pignorate ci sono stati suicidi”. Cancelleri a Gucciardi: “Faccia pressione su Renzi”.
casa_lucchettoFinalmente il ddl sull’impignorabilità della prima casa ha avuto l’ok dell’aula. Dopo attese e numerosi rinvii, sala d’Ercole ha approvato il testo targato Movimento 5 stelle che mira ad allentare la stretta degli enti riscossori, mettendo al sicuro uno dei beni più preziosi per il cittadino, la prima abitazione. Non solo, il testo licenziato a Palazzo dei Normanni mira a mettere al sicuro pure i beni mobili ed immobili strumentali all’esercizio di impresa.
Il disegno di legge, prima firmataria Vanessa Ferreri, è stato accorpato ad altri due sullo stesso tema, di cui uno di matrice governativa. “La materia trattata – affermano i deputati Cinquestelle – è di competenza nazionale, spetta cioè alla Camera e al Senato legiferare a tal proposito, ma grazie alla legge-voto, abbiamo oggi la grande occasione di spingere il Parlamento nazionale su questo terreno, specie se dietro ci verranno, come speriamo, altri consigli regionali, con approvazione di ddl analoghi. Su questo punto non pensiamo possano esserci steccati partitici, la prima casa non si pignora”.
Soddisfatta Vanessa Ferreri, che ha dato le dimensioni del problema pignoramenti con la forza delle cifre: “Attualmente in Sicilia sono all’asta quasi 9000 immobili e la gente si suicida. Questo ddl deve proseguire la sua strada a Roma subito“.
Anche l’ex capogruppo Cancelleri ha ribadito l’importanza dell’interessamento del governo nazionale al problema e in aula ha sollecitato il capogruppo del Pd Gucciardi a pressare Renzi a far andare avanti il disegno di legge licenziato oggi dall’aula.
Intanto il Movimento 5 Stelle ha annunciato che presenterà domani mattina la sua mozione di sfiducia a Crocetta, che è stata firmata da pezzi del centro destra. All’atto, che mira a disarcionare il governatore, hanno apposto la firma Vinciullo, Falcone, Assenza, Giovanni Greco, Cordaro, Musumeci e Formica.
“A questo punto – dicono i deputati – il 26 ottobre diventa sempre più importante essere in piazza del Parlamento per lo sfiduciaday“.
La presentazione della mozione mira a disinnescare la manovra del governo, che punta a salvare gli assessori Scilabra e Vancheri, su cui pendevano due mozioni di censura.
“Per arginare le sporche e vergognose a manovre del governo e della maggioranza – dicono i deputati – sfiduciamo Crocetta e di conseguenza tutti gli assessori. Siamo stanchi di questa continua farsa sul rimpasto“.

Tasse, previdenza e burocrazia: per le imprese un conto da 248,8 miliardi di euro l’anno.



La Cgia: oltre 30 miliardi tra timbri, certificati, moduli e pratiche varie. Le aziende italiane contribuiscono al gettito fiscale nazionale per oltre 110 miliardi di euro.

Tra tasse, contributi previdenziali e burocrazia le imprese italiane sopportano un costo annuo di 248,8 miliardi di euro. Un peso eccessivo che, in linea di massima, non ha eguali nel resto d’Europa. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha stimato il contributo fiscale e i costi burocratici che le nostre imprese si fanno carico ogni anno. «In nessun altro Paese d’Europa - segnala Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA - viene richiesto un simile sforzo fiscale. Nonostante la giustizia civile sia lentissima, il credito sia concesso con il contagocce, la burocrazia abbia raggiunto livelli ormai insopportabili, la Pubblica amministrazione rimanga la peggiore pagatrice d’Europa e il sistema logistico-infrastrutturale registri dei ritardi spaventosi, la fedeltà fiscale delle nostre imprese è massima». 

Le aziende italiane contribuiscono al gettito fiscale nazionale per oltre 110 miliardi di euro. Seppur calcolata per difetto, ci troviamo di fronte ad una cifra «spaventosa». La stima è stata determinata secondo le metodologie utilizzate da Eurostat; in questo importo, però, mancano alcune tasse «minori», come il prelievo comunale sugli immobili strumentali e altri «piccoli» tributi locali. Complessivamente questa voce ammonta ad almeno 12,5 miliardi di euro. 
Inoltre, vanno aggiunti anche i contributi a carico delle imprese versati per la copertura previdenziale dei propri dipendenti, una cifra che stimiamo in circa 95 miliardi di euro. Integrando queste ultime informazioni con le statistiche Eurostat, si può affermare che complessivamente le imprese italiane subiscono un peso tributario e contributivo pari a 217,8 miliardi di euro (anno 2012).  

Se allo sforzo fiscale aggiungiamo altri 31 miliardi di euro che, secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono i costi amministrativi che le Pmi italiane patiscono ogni anno per districarsi tra timbri, certificati, formulari, bolli, moduli e pratiche varie, l’ammontare complessivo del carico fiscale e burocratico sale a 248,8 miliardi di euro: una cifra che solo a pensarci fa tremare i polsi. Secondo i calcoli della Cgia, se disaggreghiamo la voce tasse, scopriamo che l’imposta che produce il maggior gettito per le casse dello Stato è l’Ires: l’imposta sui redditi delle società garantisce all’Erario quasi 33 miliardi di euro all’anno. L’Irpef versata dai lavoratori autonomi, invece, pesa ben 26,9 miliardi, mentre l’Irap in capo alle imprese private «garantisce» un gettito di 24,4 miliardi di euro. Infine, gli autonomi versano per i contributi previdenziali altri 23,6 miliardi di euro.  

Stretta in arrivo per le auto aziendali, multa da 705 euro per chi non registra il nome dell'utente.

Patente e libretto, multe da 705 euro dal 3 novembre

ROMA - A partire da lunedì 3 novembre scatta l’obbligo di registrare presso la Motorizzazione e annotare sulla carta di circolazione il nome di chi non è intestatario di un veicolo ma ne ha la disponibilità per più di 30 giorni. E, per chi è intestatario, obbligo di registrare e annotare le variazioni quando «si cambia nome» (generalità per le persone fisiche e denominazione per quelle giuridiche). Sono novità che riguardano essenzialmente le flotte aziendali, previste sin dall'ultima riforma del Codice della strada e regolate da un decreto ministeriale entrato in vigore il 7 dicembre 2012.

E’ peraltro prevista una sanzione molto dura per chi viola la legge: multa di 705 euro e ritiro della carta di circolazione. Il ritardo nell'applicazione degli obblighi deriva anche dallo scarso favore che la norma – nata per limitare truffe e abusi e per identificare meglio i responsabili di incidenti e infrazioni – ha riscosso presso varie parti in causa. Così il tempo è trascorso anche per limitarne l'ambito. Un compromesso è arrivato con una maxi-circolare del 10 luglio scorso dalla Motorizzazione per disciplinare in dettaglio le procedure.

La limitazione più importante è temporale: gli obblighi scatteranno infatti solo per gli atti posti in essere dal 3 novembre. Quindi, chi usa già un veicolo non proprio o ha un'intestazione non aggiornata non dovrà far nulla; se lo vorrà, comunque, potrà effettuare lo stesso la registrazione. La data del 3 novembre non vale per chi svolge attività di autotrasporto soggetta a titolo autorizzativo. È il caso per esempio dell'iscrizione all'Albo autotrasportatori, della licenza conto proprio e dell'autorizzazione per autobus, taxi o noleggio con conducente.

Altra limitazione riguarda i soggetti su cui grava l'obbligo: nel caso di comodato di veicoli aziendali (sia a dipendenti assegnatari a titolo gratuito sia quando i mezzi sono intestati a una casa costruttrice e dati a istituzioni, eccetera), il nome dell'utilizzatore non va annotato sulla carta di circolazione, ma solo registrato alla Motorizzazione e la ricevuta dell'adempimento non va tenuta a bordo (e lo stesso vale per tutti i veicoli in noleggio senza conducente, con assenso del locatore).

Va detto che a causa di un testo non molto chiaro della legge, taluni sono stati tratti in inganno al punto da pensare a un raggio di copertura della norma assai più ampio di quanto in realtà previsto. E’ bene perciò chiarire che il comodato non va registrato se a beneficiarne è un familiare convivente dell'intestatario. In altre parole, di fatto la legge non si applica nel caso di veicoli privati.

http://motori.ilmessaggero.it/motori/patente_libretto_intestatario_multa_motorizzazione/notizie/973765.shtml

Corruzione, delibera di Cantone su ordini professionali: “No incarichi a politici”. - Elena Ciccarello

Corruzione, delibera di Cantone su ordini professionali: “No incarichi a politici”

Il presidente dell'Anticorruzione: "Sono enti pubblici, devono adeguarsi alla legge Severino anche su incompatibilità". Ma le resistenze sono forti e quasi un parlamentare su due appartiene a un albo. Dossier 5 Stelle: "68 persone si spartiscono 450 ruoli".

Anche gli ordini e i collegi professionali devono adeguarsi alle norme anticorruzione previste dalla legge Severino. Lo ha stabilito con un’apposita delibera il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, mettendo fine al braccio di ferro in corso da mesi tra gli ordini professionali e il ministero della Salute. Tra i nuovi obblighi degli enti anche il divieto di assegnare ruoli dirigenziali negli ordini a chi già ricopre o ha ricoperto altre cariche amministrative o politiche. Gli ordini avranno un mese di tempo per organizzarsi e non incorrere in sanzioni, ma l’adeguamento si annuncia accompagnato da un fiume di polemiche.
Polemiche anzitutto politiche, visto che secondo un dossier del Movimento 5 stelle (leggi) il 45% dei parlamentari italiani appartiene ad un ordine professionale e diversi di loro ne sono anche i rappresentanti. Secondo il dossier, i 68 professionisti che dirigono i 17 ordini professionali aderenti al Cup (Comitato Unitario delle Professioni) ricoprono complessivamente circa 450 ruoli, con una media di 6 incarichi a professionista e la possibilità per il 30% di loro di rientrare in un possibile conflitto di interesse in base alla normative anticorruzione. Secondo lo studio in alcuni ordini professionali (medici, farmacisti, odontoiatri e infermieri) delle province di MilanoNapoli e Roma sarebbero almeno 13 le situazioni di anomalia, con doppi ruoli da dirigenti dell’ordine e carica politica (presente o passata). Tutte situazioni sanzionabili a partire dalla normativa anticorruzione che vieta a politici ed ex politici di riciclarsi in incarichi dirigenziali degli ordini ed agisce dove possano crearsi interferenze e conflitti di interesse.
La prima a opporsi è stata la Federazione Farmacisti, presieduta dal senatore Fi Andrea Mandelli
La prima ad opporsi all’applicazione delle norme anticorruzione è stata la Federazione Ordini Farmacisti Italiani, presieduta dal senatore Fi Andrea Mandelli e dal suo vice Luigi D’Ambrosio Lettieri, anch’egli senatore Fi. Seguita a ruota dall’Ordine degli Infermieri professionali, presieduto dalla senatrice Pd Annalisa Silvestro.
All’inizio del 2014 gli ordini e i collegi professionali, guidati dal Cup, hanno chiesto e ottenuto dal giudice Piero Capotosti, già presidente della Corte Costituzionale (deceduto nell’agosto scorso), un parere pro-veritate che li sollevasse definitivamente da questa incombenza. Su questo il Ministero della Salute aveva risposto con una lettera istituzionale ma piccata: “Questa Amministrazione non si sottrae ad un confronto e approfondimento circa la portata sulla trasparenza e anticorruzione rispetto agli Ordini e Collegi professionali”, scriveva il 21 marzo il Ministero della Salute, “tuttavia non si può sottacere che appellarsi a pareri pro-veritate, per quanto autorevolissimi, al fine di sottrarsi a specifiche indicazioni del Ministero Vigilante.. appare procedura irrituale”.


Adesso la delibera dell’Anticorruzione, firmata da Cantone, scrive la parola fine sul contenzioso. Secondo il presidente Anac gli ordini sono enti pubblici “non economici” e perciò devono sottostare alle norme per la trasparenza e anticorruzione. Non è dunque condivisibile il parere di Capotosti che considera gli ordini come “enti associativi”. La delibera Anac stabilisce che gli enti professionali, che secondo il dossier del Movimento 5 stelle sommano circa 2milioni di iscritti, per 600 milioni di euro di incassi annuali e 50 miliardi di patrimonio, avranno un mese di tempo per  “predisporre il piano triennale di prevenzione della corruzione, il piano triennale della trasparenza e il codice di comportamento del dipendente pubblico, nominare il responsabile della prevenzione della corruzione, adempiere agli obblighi in materia di trasparenza.. e infine attenersi ai divieti in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi..”. Altrimenti saranno sanzionati.