sabato 8 novembre 2014

Il legame tra bistecca e ischemia

Il legame tra bistecca e ischemia.

Alcuni scienziati hanno indagato nel meccanismo alla base dell'infiammazione cronica delle arterie e nella connessione di questo con il consumo di carne rossa.

Da diversi anni, ormai, ci sentiamo ripetere che “la carne rossa fa male” o che, comunque, un consumo eccessivo di bistecche e filetti potrebbe causare danni alla nostra salute, in particolare esponendola al rischio di malattie cardiovascolari. Tuttavia il legame effettivo tra una bella fetta di manzo, magari anche sanguinante come vuole la migliore tradizione italiana, e i problemi che ne derivano per le arterie dell’organismo, è piuttosto complesso e conosciuto soltanto in parte. Alcuni studiosi americani hanno recentemente portato a termine uno studio il cui obiettivo era chiarire la connessione tra la nostra alimentazione e i pericoli per la salute: i risultati del loro lavoro sono stati resi noti attraverso un articolo pubblicato dalla rivista Cell Metabolism.

Sostanze prodotte dalla L-Carnitina

Il professor Stanley Hazen, del dipartimento di medicina cellulare e molecolare della Cleveland Clinic, indaga da anni in questo meccanismo: studi precedenti avevano già aiutato a evidenziare come l’aterosclerosi venga favorita da un composto chimico, trimetilamina-N-ossido (TMAO) sintetizzato da un precursore chiamato trimetilamina; maggiori concentrazioni di questo vanno imputate proprio al consumo di carne, poiché viene prodotto dai batteri dell’intestino partendo dalla L-carnitina, composto organico che assumiamo proprio attraverso la nostra dieta quotidiana e, in particolare, con la carne rossa. Le ulteriori indagini di Hazen e colleghi hanno scoperto, questa volta, che un’altra componente sarebbe fondamentale in questo processo: osservazioni sulle cavie da laboratorio hanno infatti rivelato che un metabolita, chiamato gamma-butirrobetaina, svolge un ruolo ancora più importante del processo di aterosclerosi. Anch’esso, infatti, sarebbe prodotto dai nostri batteri dell’intestino a partire dalla L-Carnitina della carne rossa ma con un tasso superiore di ben mille volte rispetto alla trimetilamina: insomma, si tratterebbe evidentemente di una sostanza ancor più pericolosa per il nostro sistema cardiovascolare.

L’Aterosclerosi

Per aterosclerosi si intende l’infiammazione cronica di alcune arterie: tale infiammazione porta ad un ispessimento e conseguente indurimento della parete arteriosa dovuto alla presenza di placche. I fattori di rischio cardiovascolare sono responsabili della formazione dell’ateroma (che è sostanzialmente una placca formata da proteine, grassi e materiale fibroso): il fumo, quindi, ma anche il colesterolo molto alto, il diabete mellito, una grave ipertensione e l’obesità. Nello sviluppo del quadro dell’aterosclerosi entrano in gioco, chiaramente, anche fattori non modificabili come l’età avanzata o la storia familiare, tuttavia una importante forma di prevenzione può essere portata avanti proprio cercando di ostacolare i fattori di rischio modificabili: non fumando, quindi, e soprattutto tenendo sotto controllo la nostra dieta e limitando il consumo di carne rossa. Questo non ci vieterà, comunque, di concederci il piacere ineguagliabile di una bella fiorentina di tanto in tanto.

Ecco i 30 Cucchi d’Italia. - Carmine Gazzanni



Tutti i fermati e detenuti morti misteriosamente. Persino un paraplegico impiccato in carcere.

Morti per “infarto” con la testa spaccata. O per “suicidio” con ematomi e contusioni in varie parti del corpo. A volte basta una perizia o una cartella clinica per capire che quello che si racconta non corrisponde alla verità. Come nel caso di Stefano Cucchi, certo. Ma anche di Federico Aldovrandi e di Giuseppe Uva. Di questi abbiamo visto le foto dei volti e dei corpi tumefatti, a riprova di un omicidio insabbiato. Ma ci sono anche tanti altri casi di cui l’opinione pubblica sa poco o nulla: vite spezzate che ancora attendono giustizia.

I NUMERI
Basta partire da un numero per capire che qualcosa non torna. Secondo il report dell’associazione Ristretti Orizzonti, dal 2000 a oggi sono stati 2.356 i morti accertati nelle carceri (839 suicidi). Il calcolo è immediato: un decesso ogni due giorni. Morte naturale, arresto cardio-circolatorio, suicidio. Queste le cause più comuni. Almeno sulla carta. Perché accanto ci sono casi di pestaggio, malasanità, cure non ricevute, istigazioni al suicidio. O, semplicemente, silenzi ed omertà.

SENZA GIUSTIZIA
Federico Aldrovandi è morto nel 2005 a Ferrara durante “un controllo di polizia”. Aveva solo 18 anni: picchiato fino a morire, pestato a sangue da chi lo aveva fermato. Un caso, uno dei pochi insieme a quello di Riccardo Rasman, che è giunto a sentenza con la condanna dei 4 poliziotti che lo avevano fermato. Non per tutti, però, la giustizia ha avuto il suo normale corso. È il 2008 quando viene fermato Giuseppe Uva a Varese. Qui viene massacrato: alla famiglia lo Stato riconsegnerà un corpo senza vita, pieno di ecchimosi sul volto sul corpo. Come detto, però, i casi sono diversi. Tanto che Ristretti Orizzonti ha stilato un dossier in cui si raccolgono ben 30 storie che “richiederebbero un approfondimento nelle sedi opportune”. Un numero, peraltro, che in crescita dato che, ad esempio, l’ultimo caso “sospetto” (per cui ci sono 11 indagati) di Riccardo Magherini non è conteggiato.

VITE SPEZZATE
Mauro Fedele aveva 33 anni. La versione ufficiale parla di “arresto cardiocircolatorio”. Peccato però che al padre Giuseppe, come lui stesso denuncerà, sia stato restituito un corpo pieno di lividi: “ha la testa fasciata e ha segni blu su collo, sul petto, specialmente a destra, come uno zoccolo di cavallo”. Esattamente come capita a Marcello Lonzi: arresto cardiaco, ma corpo ricoperto di lividi. O ad Aldo Bianzino a Perugia: fermato per possesso di stupefacenti, il giorno dopo muore. Ufficialmente per “infarto”. Peccato che tale ipotesi sia stata esclusa dal medico legale che invece avrebbe riscontrato 4 emorragie cerebrali, 2 costole rotte e lesioni a fegato. Esattamente quanto capitato a Manuel Eliantonio. Nell’autopsia si parla di “arresto cardiaco”. Ma, racconta la madre, in obitorio “l’ho trovato gonfio, di tutte le sfumature di colori, le orecchie blu, il petto gonfio, la testa come una palla da bowling, naso rotto, occhio livido”. Chiudiamo con Gianluca Frani, paraplegico. Si è suicidato, dicono gli atti. Impiccandosi. Come abbia fatto ad appendersi allo scarico del water però resta un mistero.

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