Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 26 novembre 2014
Gli appunti dello 007 Maletti: ecco chi c’era nel Sid parallelo. - Giuseppe Pipitone
Gianadelio Maletti
L’ex capo del controspionaggio ha ammesso ai pm della Trattativa, andati ad interrogarlo in Sudafrica, di essere l’autore di un manoscritto sequestrato a casa sua negli anni ’80: una ventina di pagine in cui si racconta l’esistenza di un servizio segreto occulto che interveniva per depistare le indagini sui tentativi golpisti.
Un manoscritto in cui si racconta l’esistenza di un servizio segreto parallelo attivo negli anni ’70 dentro al Sid, il servizio informazioni della difesa, l’antenato del Sismi. Un appunto di una ventina di pagine, risalente agli anni di piombo, in cui si rivela l’attività di un Sid parallelo che interveniva per depistare le indagini sui vari tentativi golpisti messi in atto in Italia tra il 1970 e il 1974: primo tra tutti il golpe del principe Junio Valerio Borghese.
Quelle pagine scritte a penna furono sequestrate negli anni ’80 dall’allora pm di Roma Domenico Sica in casa di Gianadelio Maletti, il generale che guidò l’ufficio D del Sid fino al 1976, interrogato la settimana scorsa in Sudafrica dai pm Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, che indagano sulla Trattativa Stato-mafia. L’appunto, già contenuto in copia nella rogatoria inviata a Johannesburg dal ministero degli Esteri italiano, è stato per la prima volta riconosciuto da Maletti, che ai pm ha ammesso di essere lui stesso l’autore di quell’approfondita analisi sulla situazione interna ai servizi negli anni ’70.
Il manoscritto top secret, non ancora depositato agli atti dell’inchiesta sulla Trattativa e di cui non si conosce ancora l’esatto contenuto, è una specie di promemoria su un’indagine svolta all’interno del Sid, che aveva individuato gli 007 appartenenti al servizio parallelo: tra questi il generale Mario Mori, imputato davanti la corte d’assise di Palermo per la Trattativa Stato mafia, il colonnello Federico Marzollo, l’uomo che arruolò nell’intelligence il futuro fondatore del Ros, e Gianfranco Ghiron, fonte dei servizi vicino all’estrema destra, fratello di Giorgio, avvocato che anni dopo sarà il legale di Vito Ciancimino. Ma non è l’unico documento che i pm hanno portato con loro in Sudafrica.
A Maletti, infatti, sono stati mostrati una serie di carteggi top secret, provenienti dagli archivi dei servizi, che delineano tutti l’esistenza di un Sid parallelo, organico e attivo all’interno di quello ufficiale, creato con lo scopo di bloccare le indagini sull’estrema destra e sui tentativi di colpo di Stato. Un servizio segreto più ampio rispetto al cosiddetto “gruppo dei sei” a cui fa cenno un altro appunto mostrato a Maletti, redatto dalla fonte Gian, in cui si racconta di come all’interno del Sid, una struttura composta da sei uomini (tra questi sempre Mori, Marzollo e Ghiron), nata per ostacolare le indagini sulla destra eversiva del reparto D, ovvero il controspionaggio guidato negli anni ’70 dal generale latitante in Sudafrica dal 1981.
In passato Maletti aveva già fatto cenno all’esistenza di un Servizio segreto parallelo davanti la commissioni Stragi, volata in Sudafrica per interrogarlo in un’audizione poi secretata. Adesso però è diverso: perché riconoscendo la paternità di quell’appunto, Maletti ha in pratica ammesso di avere compiuto lui stesso un’indagine interna al Sid, scoprendo di fatto la presenza di una struttura d’intelligence parallela. Ed è per questo che nel 1975 chiede e ottiene dal direttore del Sid Mario Casardi l’allontanamento di Mori dal Sid e il divieto di prestare servizio a Roma. “Le inclinazioni politiche di Mori, però, mi erano chiare” ha detto Maletti, riferendosi alla vicinanza del generale con l’estrema destra. Appena trenta giorni dopo l’allontanamento di Mori dal Sid, anche Marzollo viene restituito all’Arma dei Carabinieri, finendo poi coinvolto nel processo sul golpe Borghese.
Interrogato in un’aula del palazzo di giustizia di Johannesburg, Maletti è comparso davanti ai pm accompagnato dal suo avvocato Michele Gentiloni Silveri: sulla testa dell’ex 007 pesa infatti una richiesta di estradizione dell’Italia. Latitante in Sudafrica dal 1981, Paese che gli concede la cittadinanza nello stesso anno, condannato definitivamente per la prima volta nel 1996, per 17 anni Maletti rimane tranquillamente in esilio a Johannesburg: l’ordine di esecuzione pena viene infatti firmato dalla procura di Roma soltanto il 18 marzo del 2013. I poliziotti lo eseguiranno però solo dopo l‘8 maggio del 2013, e cioè poche ore dopo la morte di Giulio Andreotti. Il sette volte presidente del consiglio, il divo custode dei segreti di mezzo secolo, processato a prescritto per concorso esterno a Cosa Nostra, che quando Gentiloni andrà a chiedergli un parere per la richiesta di grazia presentata da Maletti al presidente Giorgio Napolitano, risponderà beffardo: “Avvocato, per me il generale sta bene in Sudafrica”.
Cara di Mineo: un affare da 100 mln nelle tasche dei soliti noti. - Giuseppe Pipitone e Miriam Di Peri
A giugno è stato varato il nuovo bando per gestire il centro richiedenti asilo in provincia di Catania. A vincerlo le stesse cooperative che lo gestivano in precedenza, tra queste Sisifo, vicina al centro sinistra, Cascina, vicina a Cl. Sull’appalto però pesa il ricorso di un’azienda esclusa: “la procedura favorisce il gestore uscente, violando così i principi comunitari in materia”.
La cifra è di quelle che fanno venire le vertigini: quasi cento milioni di euro per tre anni. Per l’esattezza, 97 milioni e 893 mila euro, per servire pasti e gestire la permanenza dei circa quattromila ospiti del Cara di Mineo, il più grande centro per richiedenti asilo d’Europa. Un affare, quello della gestione del centro, che dal primo giorno è rimasto sempre nelle stesse mani: anche quando nel giugno scorso è stato varato il nuovo appalto.
Il residence degli Aranci: un villaggio da 50 milioni l’anno
Un bando di gara che sembra cucito addosso al consorzio di cooperative sociali che gestisce il Cara dal marzo 2011, da quando cioè venne dichiarato lo stato d’emergenza dal governo Berlusconi, proprio mentre il nord Africa era incendiato dalle rivoluzioni della cosiddetta primavera Araba. A Mineo, in provincia di Catania, c’erano già 403 appartamenti immersi tra settantamila ettari di alberi di arance e limoni: strutture costruite nel 1997 dalla Pizzarotti e Co. di Parma per essere affittati alle famiglie dei militari statunitensi, di stanza nella vicina Sigonella. Solo che nel 2010 i militari americani decidono di lasciare le villette di Mineo. Poco male, perché poco dopo arriva il Ministero a salvare la Pizzarotti e Co. con un indennizzo da sei milioni di euro all’anno: è questo il costo dell’affitto del complesso, che da quel momento diventa il centro per richiedenti asilo più grande d’Europa. Una struttura enorme, quella del residence degli Aranci, in provincia di Catania, con una macchina organizzativa che conta circa 400 dipendenti, e che percepisce 34,60 euro al giorno per ogni migrante ospitato: moltiplicati per quattromila sono più di 50 milioni all’anno.
Un bando di gara che sembra cucito addosso al consorzio di cooperative sociali che gestisce il Cara dal marzo 2011, da quando cioè venne dichiarato lo stato d’emergenza dal governo Berlusconi, proprio mentre il nord Africa era incendiato dalle rivoluzioni della cosiddetta primavera Araba. A Mineo, in provincia di Catania, c’erano già 403 appartamenti immersi tra settantamila ettari di alberi di arance e limoni: strutture costruite nel 1997 dalla Pizzarotti e Co. di Parma per essere affittati alle famiglie dei militari statunitensi, di stanza nella vicina Sigonella. Solo che nel 2010 i militari americani decidono di lasciare le villette di Mineo. Poco male, perché poco dopo arriva il Ministero a salvare la Pizzarotti e Co. con un indennizzo da sei milioni di euro all’anno: è questo il costo dell’affitto del complesso, che da quel momento diventa il centro per richiedenti asilo più grande d’Europa. Una struttura enorme, quella del residence degli Aranci, in provincia di Catania, con una macchina organizzativa che conta circa 400 dipendenti, e che percepisce 34,60 euro al giorno per ogni migrante ospitato: moltiplicati per quattromila sono più di 50 milioni all’anno.
Accoglienza a larghe intese.Dopo tre anni di attività , il 20 giugno scorso viene varata la nuova gara d’appalto per gestire il Cara di Mineo. A vincerla, appena cinque giorni dopo, lo stesso consorzio di cooperative sociali che ha gestito il Cara negli anni precedenti: un raggruppamento di aziende che definire a larghe intese è un eufemismo. In prima fila tra le coop che gestiscono Mineo, infatti, c’è la Sisifo, la cooperativa aderente a Legacoop, vicina al centro-sinistra, finita agli onori della cronaca quando gestiva il Cie di Lampedusa, il centro in cui i migranti venivano trattati con la doccia anti scabbia. Sisifo è un asso pigliatutto dell’accoglienza, dato che ha vinto anche l’appalto per Cara di Foggia e amministra il Cspa (Centro di soccorso e prima accoglienza) di Cagliari. Insieme a Sisifo, rivince l’appalto per gestire la Cascina Global Service, che fornisce i pasti ai migranti ed è vicinissima a Comunione e Liberazione. Nel consorzio di cooperative ci sono poi la Senis Hospes, la Croce Rossa e Casa della Solidarietà, più Pizzarotti, che è proprietaria del residence degli Aranci. Trova rappresentanza nella gestione del centro anche il Nuovo Centro Destra. Ad indire la gara d’appalto infatti è il consorzio di comuni “Calatino terra d’accoglienza”, l’ente attuatore del Cara: fino a pochi mesi fa la poltrona di presidente del consorzio era appannaggio del Nuovo Centro Destra. Per tre anni il responsabile del centro era infatti Giuseppe Castiglione, ex presidente della provincia di Catania, uomo forte di Angelino Alfano, il titolare del Viminale, ovvero il ministero competente sugli affari legati all’immigrazione. Poi, nel 2013, Castiglione diventa sottosegretario, le province vengono commissariate da Rosario Crocetta, e a guidare il consorzio dei comuni arriva un altro esponente del partito di Alfano: Anna Aloisi, eletta sindaco di Mineo nel 2013 e segnalata più volte nei pressi del Centro d’accoglienza, con cui collaborava da avvocato) in campagna elettorale.
Appalto blindato per i soliti notiSulla nuova gara d’appalto, vinta nuovamente dal consorzio che gestiva il Cara da tre anni, pesa però un ricorso sollevato davanti l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. A presentarlo è la cooperativa Cot Ristorazione di Palermo, che aveva partecipato alla gara per gestire Mineo ma era stata esclusa per “mancanza di requisiti d’ammissibilità”. Nel ricorso preparato dalla Cot si evidenziano molteplici dubbi sui “paletti” fissati dal bando di gara. A cominciare dai numeri, che si riferiscono dapprima all’esperienza del concorrente di “aver gestito senza demerito più di una struttura di accoglienza rivolta a stranieri nei tre anni precedenti, accogliendo un numero di immigrati superiore a 1500 giornalieri”. Successivamente, si parla di un servizio di ristorazione collettiva “non inferiore a 2000 pasti al giorno”. Nel bando di gara, però, quando si fa riferimento a impianti idrici e di depurazione si parla invece di un numero minimo di 3000 unità”. Insomma, i conti non tornano. Quanti sono gli ospiti che il vincitore della gara avrebbe dovuto servire quotidianamente? Tremila, duemila o millecinquecento?
Senza contare che “da una semplice lettura – scrivono i legali della Cot nella memoria inviata all’Autorità di vigilanza – è evidente che la procedura favorisce il gestore uscente, violando così i principi comunitari in materia”.
Secondo la ricostruzione della Cot, l’Amministrazione avrebbe dovuto suddividere l’appalto in lotti, in modo da dare più possibilità d’accesso alle piccole e medie imprese, mentre l’azienda esclusa, nonostante un fatturato da 20 milioni annui e la gestione di diverse mense in giro per l’Isola (tra cui l’Ersu di Palermo e diversi ospedali), non ha potuto vantare alcun servizio unico con i numeri richiesti dalla gara. I “paletti” fissati dalla gara, sono talmente alti da indurre i legali a sottolineare ulteriormente come sia ridotta “in maniera inopinata la platea dei concorrenti potenziali”. Insomma, secondo la nota rivolta all’Autorità di vigilanza sugli appalti, tutto avrebbe concorso a favorire l’aggiudicazione da parte dei vincitori del precedente bando. Dopo tre anni di gestione, conditi dalle polemiche sollevate dalle inchieste giornalistiche e dalle interrogazioni parlamentari successive alle visite del deputato di Sel Erasmo Palazzotto, a Mineo sono rimasti gli stessi gestori di sempre. Che potendo contare su ottime entrature politiche rimarranno a gestire il centro richiedenti asilo più grande d’Europa. E probabilmente anche il più remunerativo.
Secondo la ricostruzione della Cot, l’Amministrazione avrebbe dovuto suddividere l’appalto in lotti, in modo da dare più possibilità d’accesso alle piccole e medie imprese, mentre l’azienda esclusa, nonostante un fatturato da 20 milioni annui e la gestione di diverse mense in giro per l’Isola (tra cui l’Ersu di Palermo e diversi ospedali), non ha potuto vantare alcun servizio unico con i numeri richiesti dalla gara. I “paletti” fissati dalla gara, sono talmente alti da indurre i legali a sottolineare ulteriormente come sia ridotta “in maniera inopinata la platea dei concorrenti potenziali”. Insomma, secondo la nota rivolta all’Autorità di vigilanza sugli appalti, tutto avrebbe concorso a favorire l’aggiudicazione da parte dei vincitori del precedente bando. Dopo tre anni di gestione, conditi dalle polemiche sollevate dalle inchieste giornalistiche e dalle interrogazioni parlamentari successive alle visite del deputato di Sel Erasmo Palazzotto, a Mineo sono rimasti gli stessi gestori di sempre. Che potendo contare su ottime entrature politiche rimarranno a gestire il centro richiedenti asilo più grande d’Europa. E probabilmente anche il più remunerativo.
Precari della scuola, la Corte di giustizia Ue condanna l'Italia.
La sede della Corte di giustizia europea, in Lussemburgo. (© ImagoEconomica).
Norme italiane sulle supplenze bocciate dall'Europa: «Contrarie al diritto del lavoro». Assunzione in vista per 250 mila.
La normativa italiana «sui contratti di lavoro a tempo determinato» nel settore della scuola «è contraria al diritto dell'Unione». Lo ha scritto la Corte di giustizia europea nella sentenza del 26 novembre, spiegando che «il rinnovo illimitato di tali contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato».
COINVOLTI IN 250 MILA. Il bacino degli insegnanti coinvolti nel nostro Paese, per i quali si profila un obbligo di assunzione, è compreso tra i 250 e i 300 mila.
La sentenza della Corte Ue risponde al quesito posto (con rinvio pregiudiziale) dalla Corte costituzionale e dal tribunale di Napoli «se la normativa italiana sia conforme all'accordo quadro dell'Ue sul lavoro a tempo determinato e, in particolare, se quest'ultimo consenta il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, senza la previsione di tempi certi per l'espletamento dei concorsi ed escludendo qualsiasi risarcimento del danno subito a causa di un siffatto rinnovo».
CAUSE DEI LAVORATORI. La questione trova la sua origine nelle cause presentate da un gruppo di lavoratori precari assunti in istituti pubblici come docenti e collaboratori amministrativi in base a contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione. Questi hanno lavorato durante periodi differenti, fermo restando che non sono mai state impiegati per meno di 45 mesi su un periodo di cinque anni. Sostenendo l'illegittimità di tali contratti, detti lavoratori hanno chiesto giudizialmente la riqualificazione dei loro contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la loro immissione in ruolo, il pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra i contratti nonché il risarcimento del danno subito.
NESSUNA MISURA PER PREVENIRE. Secondo i giudici di Lussemburgo la normativa italiana non prevede alcuna misura diretta a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. La Corte Ue ha evidenziato come «l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non ammette una normativa che, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali dirette all'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, autorizzi il rinnovo di contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti e di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l'espletamento delle procedure concorsuali ed escludendo il risarcimento del danno subito per tale rinnovo».
MANCANO CRITERI OBIETTIVI E TRASPARENTI. Inoltre, la legge italiana «non prevede criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo risponda a un'esigenza reale, sia idoneo a conseguire l'obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine». E «non contempla neanche altre misure dirette a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a tali contratti». Trattandosi di un rinvio pregiudiziale, e cioè di quel meccanismo che consente ai giudici degli Stati membri di interpellare la Corte in merito all'interpretazione del diritto dell'Unione, la Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta infatti al giudice del Paese Ue risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte europea.