sabato 31 gennaio 2015

Ecco il nuovo Presidente. - Rita Pani


Sergio Mattarella è il nuovo Presidente della Repubblica, eletto con la prassi imposta dalla Costituzione Italiana, quella che un giorno è da proteggere, un giorno da vituperare. 
Si insedierà al Quirinale, secondo un iter sempre uguale dal 1948. Sceglierà se risiedervi o se restare a casa sua. 
Avrà la scorta e le auto blu. 
Lo stipendio che per legge gli spetta. 
Maturerà vitalizi oltre quelli già maturati. 
Probabilmente godrà di altri privilegi spettanti alla più alta carica dello Stato, a meno che non decida sua sponte di rinunciarvi.
Ho voluto scriverlo a mo’ di “meme” con la speranza che si possa metter freno alla valanga di qualunquismo che ci rotolerà addosso da qui ai prossimi sette anni. Perché non se ne può più di far finta che le cose si possano cambiare.
È da stamani che sorrido colpita dalla politologia un tanto al chilo che circola, e dalla velocità con la quale un Giudice Costituzionale è passato dall’essere il signor nessuno a bordo di una Panda grigia al più feroce dei silenti serial killer che la storia italiana abbia mai annoverato. 
Da democristiano a fedele solo alla sua “famigghia tradizionalmente mafiosa”. 
Così come suo fratello, trasformato in meno di dieci minuti da “santo laico” a un Salvo Lima qualunque. 
Persino la stampa estera ci ha dato un assaggio di ciò che sarà: tanti i giornali che titolavano “un giudice eletto …” ma uno tedesco usciva dal coro con un più stimolante “eletto il presidente che viene dalla Sicilia”.
Sì possiamo anche sorridere, ma alla fine ci si accascia per sfinimento, perché la storia si mischia con le bufale, la fantasia si fa più grossa della realtà e come sempre tutto finisce per essere il contrario di tutto, imponendo l’abbandono per manifesta sopraffazione, di chi scrive e di chi sa leggere.
Ora, di grazia? 
Perché mai, un parlamento dubbio, di gente dubbia, che l’unica certezza che riesce a dare ad una nazione è la resa in schiavitù all’Europa (intesa come entità) avrebbe mai dovuto eleggere l’uomo nuovo e soprattutto diverso da sé stesso? 
Per quale recondito motivo, un paese che dopo averci imposto la morte civile con la privazione dei basilari diritti democratici, incapace non tanto di accogliere, quanto semplicemente di stare ad ascoltare le istanze del suo popolo, dovrebbe mai ricorrere all'elezione di una persona che fosse davvero garante degli interessi nostri e non dei loro?
Immagino che ci sia stato anche chi era convinto che bastasse partecipare alle “quirinarie” o a qualche sondaggio on line, per avere un briciolo di potere decisionale per il proprio futuro. E immagino anche che in mezzo a questi ci fosse qualche strenue difensore della Costituzione. 
Come sono certa che la maggioranza di chi legge, sia ancora profondamente convinto di avere dalla sua, il potere delle urne, e che lo eserciti con convinzione e responsabilità. Forse ora saranno aiutati a comprendere che non è proprio così che funziona, e forse non cadranno nel tranello dell’impallinamento a colpi di click.
Hanno eletto “un presidente”, e non trovo aggettivazioni da appioppare, semplicemente perché per me questo o quello pari son. 
In tutti questi giorni di “political show” nemmeno per un attimo ho avuto un interesse che andasse oltre la mera curiosità. 
E soprattutto non credo che sia né migliore né peggiore degli altri nomi che più di una volta s’erano uditi dalle pagine dei giornali. Non credo minimamente che vi sia stata lotta o strategia. Non credo per nulla che aiuterà a riportare un poco di civiltà in questo paese. 

L’unica cosa che credo è che finalmente sarà impossibile, per il debosciato di Arcore anche solo sperare, un giorno, di poter trasformare il salone delle feste del Quirinale, nel suo più lussuoso ed elegante bordello. 
Tanto mi basta per dire: benvenuto, qualunque cosa tu farai o ti diranno di fare. 
Tanto peggio di come stiamo, è difficile immaginare …

Rita Pani (APOLIDE)

‘Ndrangheta, le cosche dopo vittoria M5S a Parma: “I comici si sono presi la città”. - Silvia Bia

‘Ndrangheta, le cosche dopo vittoria M5S a Parma: “I comici si sono presi la città”

Dalle intercettazioni dell'inchiesta della Dda di Bologna che ha portato all'arresto di 117 persone emerge la delusione dopo la vittoria di Federico Pizzarotti nel 2012. Indagato l'ex assessore di Forza Italia Bernini. 

Denaro e appalti pubblici in cambio di voti. Era questo l’accordo che gli affiliati della ‘ndrangheta avevano stretto con Giovanni Paolo Bernini, ex assessore di Forza Italia nella giunta di Pietro Vignali a Parma. E a quanto pare non solo con lui, visto che in altre elezioni l’appoggio delle cosche avrebbe garantito molte vittorie, come nei ricchi comuni del parmense Sala Baganza e Salsomaggiore. E proprio dalle intercettazioni emerge la delusione dopo la vittoria dei 5 Stelle con Federico Pizzarotti nel 2012. È  quanto si legge nelle carte dell’inchiesta della Dda di Bologna, che ha portato all’arresto di 117 persone legate alla cosca dei Grande Aracri tra Emilia e Lombardia.
L’appoggio a Bernini
Nell’inchiesta Aemilia Bernini risulta tra gli indagati con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Per lui il gip ha respinto la richiesta di arresto, evidenziando tuttavia gravi indizi di colpevolezza. Bernini è accusato di avere stretto un patto con gli emissari sul territorio parmense dei Grande Aracri e in particolare con Romolo Villirillo, finito in manette nell’operazione Aemilia, che coordinava la raccolta di voti da destinare ai politici vicini alla cosca o con i quali veniva stretto un patto. È questo il caso delle elezioni amministrative di Parma nel 2007, dove Bernini era candidato insieme al futuro sindaco Vignali nella lista “Per Parma con Ubaldi” e la cosca aveva deciso di investire proprio su di lui, tanto che l’azzurro risulterà, con 1721 preferenze, uno dei candidati più votati. Come si legge nelle pagine dell’ordinanza, dalle indagini eseguite dai carabinieri di Fiorenzuola d’Arda, risulta una “fitta rete di contatti tra il politico e alcuni qualificati esponenti della cosca”.
È la fine del 2006 quando Ubaldi sta per terminare il suo secondo mandato e il centrodestra è alla ricerca di un nome per guidare la città. Bernini, uomo dell’ex ministro Pietro Lunardi e presidente del consiglio comunale di Parma sotto Ubaldi, viene presentato a Villirillo da alcuni intermediari, Pietro Antonio Salerno e Giovanni Gangi, che lo descrivono come “persona potentissima”. Salerno dice a Villirillo: “…Questo qua, si deve candidare a sindaco a Parma! Ora noi abbiamo fatto un colloquio ed è una persona disponibilissima nel senso che, – ragà…- mi ha detto a me, -cosa è che volete? Io sono sindaco, che cosa è che volete da Parma? Di che cosa avete bisogno? Di lavoro? Venite da me!! Di un favore? Dovete mandare qualche…-” E ancora: “…Allora, ci ha chiesto questo un favore!! Se abbi…se abbiamo la possibilità, che è con Forza Italia, sotto a Berlusconi…”. Dalle conversazioni emerge come Bernini abbia chiesto il sostegno elettorale alle amministrative del maggio 2007 attraverso Villirillo. Quando a fine gennaio 2007 il centrodestra non ha ancora trovato l’accordo sul nome da candidare, i due vengono presentati di persona e viene garantito l’appoggio politico al candidato di Forza Italia attraverso “amici”, tra cui Francesco Lepera, residente a San Secondo Parmense, e Giuliano Frijio, detto “zio Gino”, imprenditore edile di Sala Baganza parmense (che non risulta indagato), legato all’ex consigliere regionale Pdl Luigi Giuseppe Villani e a Paolo Buzzi, ex vice sindaco di Parma e oggi consigliere comunale di Forza Italia.
Villirillo contatta Frijio per avere il suo benestare sull’appoggio a Bernini e questi acconsente, comunicando però anche la necessità di aiutare i politici cui è legato, Buzzi e Villani: “…dobbiamo dare una mano anche a loro…” La cosca però punta soprattutto su Bernini: “si deve fare il conto che ha già vinto!! Io ho parlato pure con le persone!! Deve farsi i conti che ha già vinto!!…”.
Lo scambio di favori tra il politico e la cosca comincia da subito: Bernini aiuta Villirillo a ottenere il certificato di cittadinanza italiana e in cambio gli uomini della ‘ndrangheta continuano a raccogliere voti per lui. “…Io sono stato con tutte le persone che sono a Parma, ho fatto la riunione apposta per te! E noi vi facciamo vedere i fatti, i risultati, non le chiacchiere!! Come gli abbiamo fatto vedere i risultati a Tedeschi!” (riferendosi all’elezione del sindaco di Salsomaggiore Terme, Massimo Tedeschi). Cominciano così le riunioni e i patti di voto tra i cutresi, come Giuseppe Pallone, Giuseppe Cortese, Francesco Lepera, e gli incontri anche alla presenza del candidato Bernini, che intanto versa sul conto di un prestanome 20mila euro a favore di Villirillo (che dice di aspettarne altri 30mila) e che si dice disponibile anche a coprire le spese di albergo e viaggio per portare alcuni parenti e amici dei cutresi a una riunione con lui. Su Bernini confluiscono anche i voti di Lepera, come riferisce Villirillo: “…Franco Lepera, che poi te lo dice, solo lui, personalmente gli ha raccolto 60 voti!…poi altri 35 glieli da Pallone…35…40…Altri…insomma fatti il conto ohi Piè, tra tutti noi e quelli che sono…un 180…200 voti al massimo!…”.
Il pacchetto di voti va a buon fine, tanto che il 12 giugno 2007, dopo il ballottaggio che aveva portato Vignali alla vittoria contro l’ex assessore regionale Alfredo Peri, Lepera contatta Villirillo per dirglielo: “Abbiamo vinto a Parma!”. Più tardi sempre Villirillo contatta zio Gino Frijio e si compiace del risultato: “…che è una vita, che dove vi mettete voi, avete sempre la vittoria!!”. Zio Gino riferisce inoltre i buoni risultati di Bernini e anche di Buzzi: “Paolo Buzzi quell’amico mio, dovrebbe fare il vice sindaco! Ma Bernini sicuramente farà sempre il capo di Forza Italia!”.
Nell’ordinanza della maxi inchiesta Aemilia il giudice sottolinea come non sia stata possibile udire la voce di Bernini e che dunque i fatti riferibili a lui siano sempre mediati dalla ricostruzione dei suoi interlocutori, che potrebbero avere enfatizzato i termini dell’accordo con il politico. “Detto altrimenti – si legge – non è possibile stabilire senza equivoci l’oggetto della condotta cui il Bernini si sarebbe impegnato ad adempiere” ed è anche per questo che per lui è stata respinta la richiesta di carcerazione e per il giudice non è ravvisabile il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Bernini, che nella giunta Vignali venne poi nominato assessore ai Servizi per l’infanzia, e che nel 2011 finì in manette per corruzione e tentata concussione, si è detto estraneo alle nuove accuse. In passato il suo nome era già finito in un’indagine della Dda di Napoli per avere incontrato nel 2003 insieme all’ex ministro Lunardi il boss dei casalesi Pasquale Zagaria, anche se per la vicenda non è mai stato indagato.
La tentata influenza sul voto del 2012 bloccata dai Cinque stelle
Con la caduta della giunta Vignali e l’azzeramento del centrodestra al potere, anche la ‘ndrangheta si ritrova spiazzata e cerca nuove alleanze. Dalle intercettazioni ambientali emerge come Alfonso Martino, detto “cagnolino” e referente dei Grande Aracri a Salsomaggiore (arrestato nell’inchiesta), e il cognato di Villirillo Domenico Olivo cerchino di indirizzare i voti della cosca verso il candidato del Pd e oggi consigliere comunale Pierpaolo Scarpino (che non risulta indagato) e che sostiene la coalizione con Vincenzo Bernazzoli sindaco. Ma zio Gino Frijio, che da sempre sostiene il centrodestra, blocca il tentativo perché Scarpino è “dell’altra sponda” politica, e cerca di portare il pacchetto di voti a Gianluca Armellini, nella lista Pdl che sostiene la candidatura di Paolo Buzzi, come si evince da una telefonata che lo stesso fa a un conoscente: “A Parma… ora stiamo dando una mano a Paolo a sindaco… ed a consigliere c’è Armellini… che Gianluca… è a Reggio in una banca no?… lo conosci a Gianluca no?…” dice, parlandogli di Buzzi, di Armellini e di Massimo Moine (che non sono indagati nella vicenda). “E poi abbiamo pure a Moine… no?… Massimo Moine… che è vice coordinatore… insomma… qua… ne abbiamo… però… insomma… noi come se… a consigliere… dobbiamo portare Armellini… perché se vincono… lui… hanno fatto i patti… ad assessore… Armellini… il Paolo…”
Ma le cose vanno diversamente e il Pdl non arriva nemmeno al ballottaggio. “Un terremoto”, lo definisce Frijio, che così decide di dare il suo appoggio al compaesano Scarpino, anche se poi a vincere saranno i Cinque stelle con Federico Pizzarotti. Il fratello di Scarpino, si legge negli atti, organizza una festa per ringraziare i sostenitori della campagna elettorale e tra gli invitati c’è anche zio Gino, che però in una telefonata commenta amaramente il risultato elettorale su Parma: “I comici… i comici!… si sono presi la città!…” si lamenta zio Gino con Luigi Villirillo, che infatti sottolinea di essere deluso dal risultato perché “avere un assessore in casa è un’altra cosa!”.
L’interessamento per le amministrative a Salsomaggiore e a Sala Baganza
Gli emissari parmensi dei Grande Aracri si erano interessati anche alle elezioni amministrative di Salsomaggiore nel 2006, che avevano portato alla vittoria del sindaco dei Ds Massimo Tedeschi (che non risulta indagato). Lo si evince dalle conversazioni su Bernini, quando si fa riferimento al risultato portato a Tedeschi nella cittadina termale, dove i rappresentanti delle cosche scelgono di volta in volta il candidato da sostenere a seconda degli interessi sugli affari e soprattutto per accaparrarsi appalti pubblici. Nel 2007 Romolo Virrillo riferisce al telefono ad Alfonso Martino che c’è un appalto per la ristrutturazione di scuole e gli suggerisce di incontrare il sindaco: “…Allora…eh…vedi che io ho parlato…io personalmente…con il Sindaco di Salsomaggiore!…Io ho parlato telefonicamente però!…Io personalmente!!…E mi ha detto che le sue segretarie… non gli hanno mai lasciato detto della tua presenza!! Ha detto di andare dalle sue segretarie e dirgli che sei -Alfonso Martino-…-L’amico di Romolo da Cutro!-…e vedi che subito ti fanno parlare con lui!! Già si sono segnati il nome tuo!!…Devi andare dalle segretarie -siccome eh…- gli dici -ho un appuntamento con…con il sindaco, sono Alfonso Martino, l’amico di Romolo, da Cutro, giù dalla Calabria!”.
Nel 2011 il copione si ripete anche per Sala Baganza, altro comune parmense, dove gli inquirenti riscontrano un interessamento della cosca alle elezioni che portarono alla riconferma di Cristina Merusi (che è estranea alla vicenda). Villirillo dopo il risultato invita Alfonso a ricordare a Frijio il loro contributo: “…ohi Gì… abbiamo fatto bella figura?…ti ho portato un bel risultato!.. mah… ma questo… dico io… un lavoretto… una cosa…. io ho la ditta… un po’ di lavoro non me lo deve dare? ho la ditta…”.

“Salta” il regalo ai comparielli, non passa l’assunzione al Consiglio Regionale della Campania. - Pasquale Napolitano

Non passa l’assunzione dell’esercito dei comandati, amici e comparielli dei politici, in Consiglio regionale della Campania. L’ufficio di presidenza fa retromarcia (dopo l’articolo di RETENEWS24 che aveva svelato il blitz a pochi mesi dalle elezioni) e nella seduta di ieri ha cancellato il comma 6 dell’articolo 19 del nuovo ordinamento dell’assemblea regionale che prevedeva la stabilizzazione senza concorso di circa 60 (50% della pianta organica) comandati nella pianta organica.
RETENEWS24 è in grado di ricostruire tutti i passaggi dell’infuocato ufficio di presidenza. I consiglieri di centrodestra e centrosinistra spingevano per l’approvazione della disposizione legislativa per ovvie ragioni elettorali. Francesco Capalbo, direttore generale del Consiglio (dimessosi un mese fa ma ancora in servizio) è stato irremovibile: non ha voluto dare l’ok alla procedura sollevando dubbi sulla regolarità e opponendo eventuali rilievi della Corte dei Conti.
Dopo il tira e molla, l’ufficio di presidenza ha accolto la tesi di Capalbo,fratello tra l’altro di Ferruccio, il magistrato della Corte dei Conti, titolare dell’inchiesta sui rimborsi in Consiglio regionale. Il braccio di ferro tra  consiglieri regionali e burocrati (contrari all’assunzione) lascia sul tappeto anche l’altro direttore generale: Carlo d’Orta che  ha rassegnato le dimissioni dall’incarico. Tempi duri per l’assemblea regionale alle prese anche con la grana giudiziaria che investe il presidente Pietro Foglia, coinvolto nello scandalo dei falsi rimborsi per fatture di benzina non rendicontate correttamente.

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Il mitico, sbrindellato ministro Varoufakis arriva in moto e sfratta la Troika. - Gad Lerner



A volte il confronto estetico esprime già una differenza di contenuti sostanziale. Inappuntabile nella sua grisaglia d’ordinanza, oggi a Atene il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem è disceso da una berlina blu, scortata da un’altra berlina blu, per incontrare il nuovo ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis. Che nel frattempo arrivava all’appuntamento a bordo della sua motocicletta, con zainetto in spalla, e la solita camicia fuori dai pantaloni.
Lo sbrindellato ministro Varoufakis “fa figo” e inaugura una nuova tendenza perchè è autentico: si capisce che la sua non è una posa costruita. Gli viene naturale, e così trasmette un messaggio che appare dirompente proprio perchè è dirompente nella sostanza: d’ora in poi la Grecia non tratterà più con la Troika, cioè con l’organismo formato da Commissione europea, Banca Centrale europea e Fondo monetario internazionale, che di fatto l’ha commissariata negli ultimi quattro anni. Brruuum, brruum! Quando Varoufakis lo ha ripetuto davanti alle telecamere, il compassato Dijsselbloem pareva decisamente irritato. Due concezioni opposte dell’economia entrano in rotta di collisione. Con cortesia, ma senza neanche infilare la camicia nei pantaloni. Mitico Varoufakis!


venerdì 30 gennaio 2015

Raccoglievano cibo per i poveri e lo rivendevano ai ristoranti.

Mons-Gristina-con-il-carrello - Copia

Denunciati per truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita, presidente e vicepresidente di una Onlus di Ponzano.

PONZANO (Treviso) – Presidente e vicepresidente di una Onlus di Ponzano che si occupa della raccolta di generi alimentari per le famiglie bisognose, sono stati denunciati dai carabinieri per truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita.
Gli investigatori, dopo mesi di indagini, hanno scoperto che una parte delle derrate -in particolare quelle di marca- raccolte dai volontari e custodite in un magazzino a Ponzano, venivano vendute a ristoranti con fatture intestate a una società che sarebbe stata appositamente costituita dai fratelli.

Le dimissioni di Napolitano. - Ida Magli




Nella Costituzione italiana è previsto il reato di tradimento, ma nella lunga storia della Repubblica non è mai stato invocato contro nessuno. Cosa dovrà mai dunque fare un politico per essere accusato di tradimento? 
Giorgio Napolitano ha sicuramente tradito la Costituzione e le leggi che reggono la democrazia in Italia costringendoci a vivere nell’illegittimità del colpo di stato compiuto chiamando Mario Monti a governare senza la crisi e le dimissioni del governo in carica, continuando fino ad oggi a non indire mai le elezioni, mantenendo in vita un parlamento dichiarato illegittimo dalla Consulta in quanto dichiarata illegittima la legge elettorale con la quale è stato eletto. Tutte le istituzioni attuali sono pertanto illegittime, tutte le cosiddette “riforme” decise da Renzi con il consenso di un Parlamento illegittimo e firmate dall’altrettanto illegittimo Presidente della Repubblica non sono valide e la democrazia non esiste più, come dimostrato anche dal fatto che i partiti di opposizione pur di sopravvivere nelle loro cariche consentono quasi a tutto, oppure si oppongono quando sanno che comunque la loro opposizione non metterà in crisi il governo.

Giorgio Napolitano ha inoltre tradito la Costituzione nel momento in cui, cedendo alla richiesta-ricatto di Mario Monti di essere in ogni caso garantito nella politica italiana venendo a governarla, lo ha contestualmente nominato senatore a vita, lasciando esterrefatti gli italiani che non lo conoscevano affatto. Eppure la Costituzione precisa che tale carica deve essere motivata da una ricca produzione letteraria, artistica, scientifica che abbia dato lustro all’Italia. Visto che Mario Monti non ha mai prodotto nulla e che perfino nel mondo bruxellese dove i Massoni e Bilderberghiani come lui nuotano benissimo, non ha combinato niente di buono tanto da essere costretto a dimettersi con due anni di anticipo dalla Commissione europea “per l’accertata responsabilità collegiale nei casi di frode, cattiva gestione e nepotismo”, è evidente che Napolitano ha esercitato il suo potere contro la Costituzione e che la nomina di Mario Monti non è valida.

Ho citato Massoni e Bilderberghiani: Napolitano ne fa parte e il suo nome si trova in tutti i libri che si occupano di questo argomento, così come ci si trova quello di Ciampi, di Monti, di Letta, di Draghi, di Amato, di Prodi, di Bini-Smaghi, di Padoan e così via (di Renzi i cataloghi della massoneria affermano  che non è ancora un iniziato perché attende l’opportunità di diventarlo in una Loggia importante). Bisogna aggiungere poi il legame fraterno con i numerosi e importantissimi Massoni presenti in Vaticano, i quali naturalmente hanno enormi possibilità per influire sulle nomine fondamentali ovunque. Questo è dunque il vero problema di una finta democrazia: gli esponenti di un’associazione, comunque essa si chiami, sono collegati fra loro sostenendosi nell’occupare le cariche politiche ed economiche più importanti, e mentre se un politico procede in questo modo con i suoi parenti ed amici, questo comportamento viene considerato un abuso e un illecito, il legame fra Massoni sfugge ad ogni critica. Il fatto che la massoneria non sia più segreta, non ha cambiato in nulla la strategia di potere che essi perseguono e che hanno brillantemente messo in atto con la costruzione dell’Unione europea e della Banca centrale. Bruxelles è un loro fortino così come sono esclusivamente loro gli azionisti della Banca centrale; l’unione europea è stata fatta appositamente: per impadronirsi della sovranità sugli Stati, dell’economia e dei redditi europei.

Il giorno per l’elezione del nuovo Presidente è stato fissato immediatamente, e con elettori illegittimi. Nessuno si oppone? Il Presidente del Senato è un magistrato: non sente il bisogno di essere lui, nella sua attuale qualità di Presidente della Repubblica, a porre fine per prima cosa all’illegalità, indicendo immediatamente le elezioni (secondo il sempre valido Mattarellum) e restituendo agli italiani la dignità di un paese civile?
Ida Magli
14 gennaio 2015     

(per chi volesse saperne di più: Brunelli, Francesco: principi e Metodi di Massoneria operativa, Bastogi, Foggia, 2004; Epiphanius: Massoneria e sette segrete, Contro Corrente ed. Napoli, 2002; Magli Ida: La Dittatura europea, Bur, Milano 2010; Galeazzi, Giacomo- Pinotti, Ferruccio: Vaticano massone, Piemme, Milano, 2013; Magaldi, Joele – Maragnani, Laura: Massoni, La scoperta delle Url-Lodges, Chiare Lettere, 2014


http://www.italianiliberi.it/edito15/le-dimissioni-di-napolitano.html

L'inutilità di Forza Italia. - Ida Magli

 

Che se ne fanno gli italiani di Forza Italia? 
Che ce ne facciamo noi - i tanti che amano l’Italia - di Forza Italia? 
Vogliamo continuare a fingere di essere vivi pur comportandoci da morti?  
No, basta, basta: di questa Forza Italia non ne possiamo più; dentro il partito sono in molti a pensarlo ed è un dovere avvertire il capo quando sbaglia. 
Un leader che non ha la minima fiducia nel proprio partito e che ritiene che gli avvenimenti non contino, che il tempo se ne stia fermo fino a quando lui non si muoverà, è veramente fuori dalla realtà, ripiegato sul proprio narcisismo fino a limiti abnormi. 
Cominciamo dal famoso “patto del Nazareno”, un patto che per gli italiani non esiste in quanto un accordo privato fra due leader politici di cui il parlamento non è stato messo al corrente, è un patto invalido. Per giunta Berlusconi continua a ripetere che è nell’interesse dell’Italia far fare a Renzi le riforme utili alla “governabilità”, evidentemente intendendo per governabilità il minimo di potere ai cittadini e il massimo al capo del governo, ciò che è appunto lo scopo di Renzi in base allo spirito dittatoriale che lo anima: “discutete pure  quanto vi pare, ma io farò quello che ho deciso.”

Con questi presupposti Forza Italia è un partito ridotto al lumicino, per i suoi numeri concreti, ma soprattutto perché non risponde ai desideri e tanto meno ai bisogni politici e sociali di nessuno degli italiani. 

Contarsi sommando tutti i partitini di destra e affini, come suole fare Berlusconi, è un’operazione che avrebbe senso soltanto se la somma fosse data dalla presenza di un forte partito aggregatore, attributo che Forza Italia non ha. 
L’opposizione la si fa opponendosi, non dicendo al nemico: sono d’accordo con tutto quello che fai; ti assicuro che manterrò a tutti i costi la parola. 
La “parola” di un patto privato è tradimento del ruolo di opposizione. 
Non si può essere d’accordo con un governo in cui la maggior parte dei ministri è privo di qualsiasi competenza e sbaglia in continuazione nell’ideare ed elaborare le leggi; non si può essere d’accordo con un governo in cui il ministro degli esteri non è capace neanche di opporsi con la dignità di uno Stato sovrano al processo contro i Marò, visto che non esiste nessuno Stato al mondo che ammetta errori commessi dai propri militari. 
Non si può essere d’accordo con un ministro dell’interno che ha fallito ogni resistenza all’invasione degli immigrati; che comunica con assoluta indifferenza l’orrida realtà della “scomparsa” di oltre 3.600  bambini dai centri di accoglienza, scomparsa che come tutti sappiamo significa che sono finiti nel mercato innominabile della pedofilia e di quello tragico del mercato degli organi (Il libro nero della scomparsa dei bambini, Newton Compton). Cosa deve dunque fare un ministro dell’interno prima che l’opposizione ne pretenda le dimissioni?

Forza Italia non si scandalizza neanche di fronte ai nomi che il Pd, più o meno ufficialmente, fa circolare per la nomina del nuovo Presidente della Repubblica. 

Si tratta di personaggi di cui tutti i politici si dovrebbero vergognare davanti ai cittadini italiani. Incredibili facce logore, vestiti vuoti, cappotti stinti,  pescati nel più vecchio magazzino dei partiti con la certezza che non daranno fastidio a nessuno perché appunto non sono altro, non hanno fatto altro nella loro vita che tenersi più o meno a galla in un partito. 
Ma dove sta scritto che il presidente della Repubblica deve provenire da un partito? 
Fra i sessanta milioni di cittadini italiani che sostengono e mandano avanti la società, fra le migliaia di professori universitari che contribuiscono con l’intelligenza, con lo studio, con gli scritti, con le ricerche, alla scienza, alla storia, ad ogni aspetto del sapere; fra le migliaia di maestri nei conservatori e nelle scuole d’arte; fra gli innumerevoli responsabili delle officine e di tutte le istituzioni produttive, non c’è dunque una persona che possa gareggiare con un Castagnetti, con un Casini, con un Prodi, con un Amato? Si vergognino i partiti, si vergogni il Parlamento di mostrare così apertamente il proprio disprezzo al popolo italiano. Forse – e siamo molti ad augurarcelo – questa volta gli italiani non lo sopporteranno.

http://www.italianiliberi.it/edito15/l-inutilita-di-forza-italia.html

deputati Regione Sicilia si tagliano lo stipendio. E così finanziano 23 aziende. -



In due anni i deputati hanno accantonato un milione e centomila euro e un terzo è andato nelle casse di alcune piccole e medie imprese. Tra loro anche la Birra Messina, azienda storica che aveva chiuso e che è stata riaperta dagli ex dipendenti riuniti in cooperativa

Mezzo milione di euro finito nelle casse di 23 piccole e medie imprese: soldi provenienti dagli stipendi dei quattordici parlamentari siciliani del Movimento Cinque Stelle. E’ questo il risultato della scelta dei deputatieletti dal Movimento di Beppe Grillo all’Assemblea regionale siciliana, che hanno rinunciato ad una parte dello stipendio per finanziare le piccole aziende. In due anni i deputati hanno accantonato un milione e centomila euro: e stamattina hanno presentato alla stampa i dati sulle prime ventitré aziende finanziate.

“Noi abbiamo fatto un sacrificio disobrietà e intelligenza, portando ai siciliani cose reali e non solo annunci: abbiamo voluto che questo fondo fosse gestito da terzi, proprio per evitare qualunque legame con noi”, ha spiegato la capogruppo Valentina Zafarana. Fino ad oggi le aziende finanziate sono ventitré, dieci delle quali start up: tra queste anche la Birra Messina, azienda storica che aveva chiuso i battenti un anno fa, ma che è stata riaperta dagli ex dipendenti riuniti in cooperativa.

Dal fondo per il microcredito sono stati erogati, dopo due anni diaccantonamenti, 550mila euro. “Avremmo potuto fare molto di più se solo gli altri deputati avessero aderito alla nostra proposta e se questo divenisse un modello per tutta la Regione”, ha spiegato il deputato Giorgio Ciaccio. Dopo aver deciso di tagliarsi lo stipendio da 11mila euro fino a 2500 (più i rimborsi), i deputati pentastellati hanno iniziato a versare ogni mese all’Assessorato per le attività produttive il denaro al quale rinunciavano. Dopo alcuni mesi, e la sostanziale impasse del governo regionale, è arrivato l’accordo con Banca Etica, Impact Hub Sicilia e con la Fondazione Comunità di Messina Onlus.

Loro si occupano della selezione delle domande della gestione del fondo per il microcredito, che è garanzia dei fondi Jeremie e degli ulteriori capitali messi a disposizione da Banca Etica: in totale ammonta a tre milioni e 300mila euro. In dodici mesi sono arrivate 4.750 richieste d’informazione 1.340 richieste difinanziamento.

“In realtà non sono tantissime – prosegue Ciaccio – ma questo purtroppo non è altro che una conferma di una grave carenza di cultura imprenditoriale nella nostra isola. Molte pratiche sono carenti o incomplete, soprattutto per quanto riguarda il business plan”.


Fabio Costantini - Movimento 5 Stelle Monreale

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Arriva la carica dei 'grandi elettori': indagati ma pronti a eleggere il nuovo Capo dello Stato.

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Tra pochi giorni l'Italia avrà un nuovo Presidente della Repubblica. A eleggerlo saranno anche 58 delegati scelti dai consigli regionali: un delegato dalle file dell'opposizione e gli altri due tra le cariche principali degli organi regionali.
Tra i 58 che oggi varcheranno Palazzo Montecitorio per il primo scrutinio, ce ne sono 22, come rivela un articolo dell'Espresso, che possono appuntare sul petto la ben poca meritevole medaglia di 'indagato', di cui 8 sono Presidenti di Regione,
I governatori che 'vantano' guai con la magistratura sono: il governatore leghista della Lombardia Roberto Maroni (indagato per aver esercitato pressioni), il governatore pugliese Nichi Vendola (rinviato a giudizio per vicende legate all'Ilva), il presidente democratico della Toscana Enrico Rossi (indagato per falso ideologico), il governatore abruzzese Luciano D'Alfonso (imputato per corruzione), il governatore della valle d'Aosta Augusto Rollandin (indagato per abuso d'ufficio), il governatore democratico della Basilicata Marcello Pittella (rinviato a giudizio per peculato), quello delle Marche Gian Mario Spacca (indagato per le spese dei gruppi politici in Regione) e quello della Liguria Claudio Burlando, indagato per disastro ambientale colposo.
Molti altri delegati sono coinvolti in indagini legate soprattutto alle spese pazze (e relativi rimborsi) dei gruppi consiliari in Regione. E' lì infatti che per anni si è consumato, sotto un'inspiegabile cappa di impunità, il malcostume di farsi rimborsare con soldi pubblici spese che nulla hanno a che fare con l'attività istituzionale.
Le cronache ci raccontano di rimborsi richiesti per scontrini legati alle spese più improbabili: le ormai celebri mutande verdi in Piemonte, zampone e panettoni in Emilia Romagna, balli cubani e argenteria in Calabria. Insomma, una carica di 'Fiorito' (dal nome del celebre 'Er Batman', l'ex capogruppo Pdl alla Regione Lazio condannato in primo grado per presunta appropriazione di 1 milione e 300 mila euro di fondi pubblici, e diventato il simbolo delle spese folli dei politici in Regione), pronti a scegliere l'uomo che per sette anni dovrà essere garante della Costituzione.
Le imbarazzanti vicende giudiziarie che coinvolgono gran parte di questi rappresentanti delle istituzioni locali appannano la legittimità del loro ruolo di delegati e la sacralità del voto che andranno a esprimere da domani. Ma la preoccupazione e lo sdegno restano anche per il futuro: ricordiamo, infatti, che la riforma costituzionale voluta da Renzi prevede che i futuri membri del Senato (quello che il premier dice di voler abolire) siano scelti dai partiti proprio tra i sindaci e tra quei consiglieri regionali che negli ultimi anni sono stati travolti da scandali e inchieste. I futuri senatori, paradossalmente,avranno anche l'immunità parlamentare, dunque uno scudo che all'occorrenza li proteggerà da eventuali processi.

Auto blu, la legge le dà agli agenti. Votata da tutti, dopo 9 mesi inapplicata. - Thomas Mackinson

Auto blu, la legge le dà agli agenti. Votata da tutti, dopo 9 mesi inapplicata

Nel decreto "stadi" di agosto il M5S era riuscito a inserire un emendamento che obbliga le amministrazioni a trasferire le vetture ancora utili a forze di sicurezza e vigili del fuoco. Tutti lo votano, diventa legge, ma non sarà mai rispettato. Di Maio accusa Alfano. E il carico di berline resta sul groppo dei contribuenti.

Quando l’emendamento è passato, con la sigla AC2616-8.8, tutti si spellavano le mani: che gioiello, saliamo a bordo anche noi! Un minuto dopo, come nulla fosse, è stato parcheggiato a bordo strada e lì è rimasto per quattro mesi, senza che nessuno battesse ciglio. L’indirizzo? Piazza Montecitorio. Si parla ancora di auto blu. Il fattoquotidiano.it ha raccontato come la riduzione promessa la scorsa primavera dal governo vada avanti col freno a mano, tanto che le amministrazioni contano ancora 55.286 mila auto pubbliche, 1.153 auto blu solo nei ministeri. Ora si scopre che da tempo la Camera aveva disposto strumenti di legge per svuotare rapidamente i parchi auto degli enti statali. In particolare una proposta emendativa al cosiddetto “decreto stadi” (AC 2616) convertito in agosto come legge 119/2014.
In quattro righe prevedeva di assegnare alle forze dell’ordine le auto pubbliche di proprietà delle amministrazioni statali dismesse o da dismettere, previa valutazione di convenienza. Piuttosto che distruggerle, svenderle o tenersele a caro prezzo – questo il senso dell’emendamento – prendiamo il buono e diamolo alle forze di pubblica sicurezza che sempre lamentano la scarsità di mezzi e risorse. Mica tutte, certo. II comma 1-ter all’articolo 8 precisava: “Sono assegnate, previa valutazione di convenienza, alle forze del comparto della pubblica sicurezza le automobili di proprietà delle amministrazioni pubbliche statali dismesse o da dismettere”.
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Il testo emendativo della legge AC 2616 poi convertita ad agosto in legge 119/2014. Dopo nove mesi la disposizione non ha avuto seguito









A presentare l’emendamento è stato il vicepresidente della Camera Luigi di Maio. Non stupisce tanto l’iniziativa, che rientra a pieno titolo nelle battaglie pentastellate contro i privilegi, quanto il fatto che al momento di votare l’emendamento e approvarlo ci sia stata la convergenza di tutti componenti delle commissioni riunite della Camera. Pd, Fi, Ncd votano all’unanimità. Tutti d’accordo con l’iniziativa, l’emendamento passa e diventa poi legge. Ma allo stato attuale, non è altro che carta. “Dall’entrata in vigore della legge – spiega Di Maio a ilfattoquotidiano.it – sono trascorsi novanta giorni e quale sia il risultato della ricognizione o il risultato dell’attuazione della norma non è dato sapere”.
La cosa dà fastidio al Movimento, vista l’imputazione costante al M5S di non riuscire a concretizzare in Parlamento le battaglie anticasta che sono state il suo biglietto d’ingresso. “Questa è la nascita e spero non la morte di un emendamento che potrebbe essere molto utile, e che magari potrebbe aprire gli occhi a quelli che dicono che il Movimento 5 Stelle è una forza politica ingessata e improduttiva all’interno del Parlamento”.
Da qui l’attacco diretto al ministro Alfano che – secondo il dettato della legge – avrebbe dovuto effettuare la ricognizione del parco auto entro fine novembre. Il secondo comma specifica infatti: “Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il ministro dell’Interno, d’intesa con i ministri competenti, effettua la ricognizione delle automobili di cui al presente comma e illustra alle Camere le risultanze di tale ricognizione”.
Di giorni ne sono passati tre volte di più. “Alfano ha fatto finta di niente” accusa di Maio, che il 9 gennaio ha presentato un’interrogazione per avere chiarimenti. “Per ora non ho avuto nessuna risposta. Ho contattato il ministero dell’Interno e sono in attesa di avere un appuntamento dallo staff del ministro”.

Riina, il racconto del ‘pizzo’ di Berlusconi: “Ci dava 250 milioni ogni 6 mesi”. - Giuseppe Lo Bianco

Riina, il racconto del ‘pizzo’ di Berlusconi: “Ci dava 250 milioni ogni 6 mesi”

Lo scorso 22 agosto, nell’ora d’aria nel carcere di Opera, il boss spiegava al co-detenuto Alberto Lorusso la sua verità sul rapporto tra l’ex presidente del Consiglio e Cosa Nostra fin dagli anni 80: il pagamento di milioni di lire a fronte di un patto per ottenere reciproci e futuri vantaggi. Conversazioni depositate agli atti del processo per la trattativa Stato-mafia.
Berlusconi? “…si è ritrovato con queste cose là sotto, è venuto, ha mandato là sotto a uno, si è messo d’accordo, ha mandato i soldi a colpo, a colpo, ci siamo accordati con i soldi e a colpo li ho incassati’’. Quanti soldi? “A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi”. Parola di Totò Riina, che il 22 agosto dello scorso anno nell’ora d’aria nel carcere di Opera smette di parlare di Berlusconi in termini politici, generici o rancorosi (“È un buffone’’) e racconta al co-detenuto Alberto Lorusso la sua verità sul rapporto tra l’ex presidente del Consiglio e Cosa Nostra fin dagli anni 80, ormai consacrato in una sentenza della Cassazione: il pagamento di un “pizzo” milionario a fronte di un patto per ottenere reciproci e futuri vantaggi. La conversazione depositata agli atti del processo per la trattativa Stato-mafia, parte dalla sorte giudiziaria di Berlusconi, in bilico in quei giorni di agosto dell’anno scorso, e il discorso cade subito sulle somme versate dall’imprenditore milanese ai boss palermitani e sulle analoghe richieste provenienti dai catanesi.
Era la fine degli anni 80, e partendo dalle rivelazioni di un testimone oculare, Salvatore Cancemi, i giudici hanno accertato che dal 1989 era Pietro Di Napoli, uomo d’onore della famiglia di Malaspina, a ricevere da Dell’Utri le somme di denaro per poi “girarle” a Raffaele Ganci, reggente del mandamento della Noce(cui fa capo la famiglia di Malaspina), e infine al destinatario ultimo delle somme, Totò Riina. Che il 22 agosto dell’anno scorso rivela a Lorusso: “I catanesi dicono, ma vedi di… – dice il capo dei capi –. Non ha le Stande, gli ho detto, da noi qui ha pagato. Così, così li ho messi sotto, gli hanno dato fuoco alla Standa. Minchia, aveva tutte le Stande della Sicilia, tutte le Stande erano di lui. Gli ho detto: bruciagli la Standa. A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi, 250 milioni ogni sei mesi’’.
Dal capo di Cosa Nostra arriva dunque la conferma delle parole del pentito Salvatore Cancemi, che per primo parlò della consegna del denaro proveniente da Milano: “Sicuramente più volte… due, tre volte io ero presente – ha detto Cancemi –. Lui (Di Napoli, ndr) veniva in via Lancia di Brolo, proprio con un pacchettino in un sacchetto di plastica e ci diceva: ‘Raffaele, questi i soldi delle antenne’, e loro poi… Raffaele Ganci questi soldi li metteva da parte, da parte nel senso che non li portava subito a Riina, diciamo per questa minima cosa andare a disturbare Riina… Appena il primo appuntamento, che c’era il primo incontro con Riina, ce li portava e capitava… è capitato più volte che c’ero anch’io… e ci diceva: ‘Zu’ Totuccio, questi sono… Pierino ha portato i soldi delle antenne’”.
Il racconto si fa dettagliato anche nella conversazione di Riina con Lorusso del 22 agosto: “È venuto il palermitano – continua Riina – mandò a lui, è sceso il palermitano, ha parlato con uno… si è messo d’accordo… dice, vi mando i soldi con un altro palermitano, c’era quello a Milano. Là c’era questo e gli dava i soldi ogni sei mesi a questo palermitano. Era amico di quello… il senatore”. E a questo punto Riina chiede: “Il senatore si è dimesso?”. “Sì, sì”, risponde Lorusso. La replica è un attestato di stima per Marcello Dell’Utri: “È una persona seria’’, dice il boss che di Berlusconi sembra non nutrire la stessa considerazione. “È un buffone”, aveva detto sempre a Lorusso nella conversazione del 6 agosto 2013, dopo che il detenuto pugliese lo aveva informato che a Roma“stanno vedendo come fare per salvarlo”.

mercoledì 28 gennaio 2015

quando l'amore diventa poesia - Demis Roussos



Omaggio a chi ha accompagnato tanti momenti della mia vita con la sua musica

INU, lo scooter elettrico che si ripiega su se stesso. - Duccio Fumero



Presentato al CES di Las Vegas il motorino ecologico che occupa pochissimo spazio.

Continua a grande velocità la corsa a offrire nuove opzioni ecologiche per la mobilità urbana. L'ultimo arrivato è INU, uno scooter elettrico presentato al CES di Las Vegas nei giorni scorsi, che offre autonomia e, soprattutto, la possibilità di tenerlo in casa occupando pochissimo spazio.
Un motorino che pesa solo 18 chilogrammi, ha un'autonomia di 40 km e una velocità massima di 25 km/h (che può essere ridotta a 6 o 20 km/h, ndr.), con una ricarica completa che si effettua in 3 ore. Lungo 1,5 metri, alto 1,2 metri e largo 30 centimetri, la peculiarità di INU è la possibilità di richiuderlo su se stesso, come già avviene per alcuni tipi di bicicletta o (il parallelo è più calzante perché l'effetto è lo stesso) come i passeggini per bambini.
Con un semplice gesto, infatti, lo scooter si ripiega su se stesso, con una dimensione di 120 cm x 40 cm x 30 cm, comodo dunque da tenere anche in casa, ma anche da trasportare sui mezzi pubblici o mettere nel bagagliaio dell'auto per utilizzarlo anche in vacanza. Inoltre, ripiegato le due ruote possono venir utilizzate come un trolley, per spostare lo scooter senza difficoltà. Inoltre, lo scooter garantisce sia una connessione wifi sia quella – tramite app – al vostro smartphone, per tenere facilmente sotto controllo l'autonomia.
A produrre INU è Green Ride, azienda israeliana con sede ad Haifa, anche se il nome è giapponese e significa “cane”, perché INU è fedele e ti segue ovunque. Il prezzo di INU dovrebbe partire da circa 3.500 euro (per la versione ridotta, con autonomia di 20 km) fino a circa 5.500 euro per quella full optional.

Rent to buy, comprare casa pagando l’affitto. Ma sulle tasse restano dubbi. - Luigi Franco

Rent to buy, comprare casa pagando l’affitto. Ma sulle tasse restano dubbi

Il decreto Sblocca Italia ha introdotto la nuova modalità di acquisto, che permette di chiedere un mutuo più basso alla banca e dovrebbe rilanciare il mercato immobiliare. Il futuro acquirente è tutelato dal rischio che sull'immobile vengano iscritte ipoteche o che sia ceduto ad altri. Manca però la circolare con i chiarimenti sul trattamento tributario in caso di rinuncia.

E’ una formula per comprare casa in tempo di crisi. Si chiama rent to buy: inizi ad abitare nell’alloggio che hai scelto pagando un canone più alto di un normale affitto, poi dopo un po’ di tempo acquisti l’immobile togliendo dal prezzo complessivo parte di quello che hai già versato. In banca potrai così chiedere un mutuo inferiore. L’acquirente ha una soluzione contro la stretta del credito, mentre i costruttori hanno maggiori opportunità di smaltire l’invenduto. “Ma i vantaggi ci sono anche per il privato che vuole vendere, senza avere un’esigenza immediata di fare il rogito – spiega Enrico Maria Sironi, consigliere nazionale del Notariato –. Con il rent to buy può rivolgersi anche ad acquirenti che al momento non sono in condizione di acquistare, ma lo saranno fra qualche anno”. Un sistema che per Enrico Seta, responsabile della segreteria tecnica del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, è utile a rilanciare il mercato immobiliare: “In Italia il 33% delle compravendite è di tipo sostitutivo, realizzate cioè da persone che decidono di cambiare casa, e il rent to buy favorisce queste soluzioni”. Fin qui le note positive. Solo che, da quando la nuova modalità è stata introdotta quattro mesi fa dal decreto Sblocca Italia, sono rimaste irrisolte alcune questioni di carattere giuridico e fiscale su come metterla in pratica. E il nuovo strumento non è ancora decollato. Così, per rilanciare l’attenzione sul tema, il Consiglio nazionale del notariato ha presentato uno schema contrattuale tipo e un decalogo informativo.
Come funziona il rent to buy? - In un contratto di rent to buy si fondono un contratto di locazione e un preliminare di vendita di un immobile. Il proprietario consegna subito l’alloggio in cambio di un canone, costituito da due componenti: una quota è un canone di affitto versato dal futuro acquirente per il godimento del bene, un’altra quota verrà invece detratta dal prezzo al momento del rogito. Facciamo un esempio: proprietario e futuro acquirente si mettono d’accordo per un prezzo di 100mila euro e un canone mensile di mille euro, 500 dei quali vengono imputati al prezzo e sono quindi una sorta di acconto. Se il rogito si farà dopo cinque anni, all’acquirente resteranno da pagare 70mila euro, perché 30mila sono già stati versati con parte dei canoni.
E se il futuro acquirente cambia idea? - Dopo un periodo di “affitto”, chi ha firmato il contratto come futuro acquirente può cambiare idea e decidere di non comprare più l’immobile. Nel contratto di rent to buy si stabilisce entro quale termine questa scelta debba essere fatta, in ogni caso non oltre i dieci anni. L’acquirente mancato perde tutte le quote versate come acconto o può recuperarne una parte, a seconda delle condizioni del contratto. Per il venditore le quote trattenute sono un indennizzo per la mancata conclusione di altri affari. E se il mancato acquirente, divenuto inadempiente, non se ne va più via? A questo punto il proprietario non deve attivare una procedura di sfratto, ma di rilascio del bene, di solito più veloce e meno costosa.
Che tutele ha chi vuole comprare? - Il contratto di rent to buy va trascritto nei registri immobiliari: il futuro acquirente ha così la garanzia che durante la durata del contratto l’immobile rimarrà libero da ipoteche e non potrà essere venduto a qualcun altro. Se il proprietario è un imprenditore che fallisce, il futuro acquirente è tutelato rispetto ai creditori del venditore, che non potranno pignorare l’immobile.
E le tasse? - Fino al momento del rogito le imposte legate al possesso dell’immobile e le spese di manutenzione straordinaria sono a carico del proprietario dell’immobile, come nel caso di un normale contratto di locazione, mentre le spese condominiali e di manutenzione ordinaria sono a carico di chi abita nell’alloggio. Per quanto riguarda i canoni versati, la parte relativa al godimento del bene viene trattata come un normale affitto, che contribuisce al reddito da fabbricati: il proprietario privato, per esempio, può scegliere tra il regime con Irpef ordinaria e imposta di registro al 2% (da dividere tra proprietario e inquilino) o il regime di cedolare secca. La parte finalizzata all’acquisto viene invece tassata come un acconto sul prezzo di vendita: per esempio al futuro acquirente spetta un’imposta di registro al 3%, mentre le quote versate contribuiranno alla eventuale plusvalenza, su cui il proprietario dovrà versare le imposte nel caso di vendita entro i cinque anni dall’acquisto di un’abitazione non principale.
In attesa della circolare – Dal momento che il decreto Sblocca Italia non ha disciplinato il rent to buy dal punto di vista tributario, ulteriori chiarimenti, riguardanti soprattutto il caso in cui l’acquirente rinunci all’acquisto, arriveranno con una circolare che il vice direttore generale dell’Agenzia delle entrate Eduardo Ursilli ha annunciato per febbraio. Ursilli ha però dato alcune anticipazioni: “Potrebbe accadere che le parti gonfino la parte destinata ad anticipo per sottrarla alla tassazione del reddito da fabbricati. E che il proprietario si cauteli trattenendone una buona fetta a titolo di risarcimento danni. Come agenzia stiamo pertanto valutando la possibilità di considerare la parte trattenuta come parte del reddito da fabbricati”. Per quanto riguarda invece la possibilità che un proprietario scelga il rent to buy per posticipare il rogito dopo cinque anni dall’acquisto di un’abitazione non principale, in modo da non pagare imposte sulla plusvalenza, il vice direttore ha fatto sapere che l’orientamento è di non considerare tale operazione elusiva, ma una lecita opportunità prevista dalla nuova norma.