domenica 8 febbraio 2015

E il premier "rifiuta" 120 miliardi di euro.- Renato Farina (Betulla)



Truffa dello spread, il governo rinuncia a costituirsi parte civile contro le agenzie di rating.

«Non ti pago», dice una commedia di Eduardo. In questo caso bisognerebbe cambiare il titolo, e trasformarlo in tragedia: «Non pagarmi!». Chi non vuole il conquibus di spettanza non è un danaroso cittadino, ma uno Stato pieno di debiti: l'Italia.
Ma il nostro governo nelle persone di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan non ne vuole sapere. Non è questione di misericordia verso i miseri. A dover mettere mano al suo gigantesco portafoglio non sarebbero quattro poveri pirla in bancarotta, ma alcune tra le multinazionali più danarose al mondo che hanno manipolato il mercato rischiando di mandarci tutti in malora e comunque consentendo agli speculatori di infilare le zampe ungulate nelle tasche dei risparmiatori. Qual è la cifra? Minimo 5 miliardi. L'Italia invece non vuole essere risarcita. Il perché è insondabile. Due possibilità: distrazione e dunque incompetenza o complicità. Intanto i fatti sono i seguenti.
Le agenzie di rating Standard & Poor's e Ficht nel secondo semestre del 2011 (occhio alla data) declassarono i nostri buoni del Tesoro valutandoli quasi come spazzatura. Conseguenze due.
La prima finanziaria: balzo in su del famoso spread, ingenti interessi (circa 5 miliardi) pagati in più dallo Stato. Svalutazione dei risparmi degli italiani. Sfregio all'immagine del sistema Italia. Necessità di manovre finanziarie sanguinose.
La seconda politica. La valutazione ufficialmente imparziale di S&P e Fitch diventò l'arma di Merkel e Sarkozy, nonché del Partito democratico, per sostituire Berlusconi con Monti. Siamo alla triplice messa tra parentesi della democrazia.
C'è un però. La Procura di Trani ha avuto la faccia tosta di investigare non i ladri di mele e pere, ma si è procurata la foto della rapina del secolo ai danni dell'Italia. E l'ha descritta a un giudice terzo, che ha constatato che il mercato in quel 2011 fu manipolato. La Repubblica e la sua democrazia gambizzate dalle agenzie di rating per favorire la speculazione e un corso politico più gradito ai grandi poteri esteri e interni. Insomma la valutazione sulla solvibilità dell'Italia è stata un crimine. Merce intossicata, analisi farlocche.
Insomma il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto le prove fornite da un pm coraggioso, Michele Ruggiero, per andare a processo. Il reato: «Manipolazione del mercato». E del resto il Giornale ha pubblicato un volumetto che ripropone la requisitoria di Ruggiero («Un golpe chiamato rating»). Si poteva anche intitolare: Davide di Trani contro Golia di Wall Street.
La prima udienza del processo c'è stata il 4 febbraio. La vittima del reato, la parte offesa, è lo Stato italiano. Pur informata di tutto, la presidenza del Consiglio ha rifiutato di costituirsi parte civile e così pure il ministero dell'Economia. Il processo potrebbe finire in due soli modi. 1) Ipotesi maggiore. Gli imputati, cioè i dirigenti italiani delle due agenzie, sono assolti, perché non hanno agito con dolo. Benissimo, contenti per loro. 2) Ipotesi subordinata. Hanno sbagliato in buona fede, e dunque il risarcimento va trattato in sede civile. In entrambi i casi, un tesoro da portare a casa Italia.
C'è un precedente istruttivo. In America, pochi giorni fa, S&P ha patteggiato una multa da un miliardo di dollari con il Dipartimento della giustizia per essersi sbagliata nella valutazione di obbligazioni di Lehman Brothers acquistate da finanziarie coperte da assicurazioni federali. S&P si è dimostrata collaborativa. In Italia a non collaborare è invece il governo. Perché? Boh. Interessi oscuri? Paura di veder emergere complicità indicibili in quel secondo semestre del 2011? Accordo tacito di non belligeranza con le agenzie, per timore di vendette?
Intanto buttiamo via un sacco di soldi. Il procuratore generale del Lazio della Corte dei Conti ha stimato che «il danno che lo Stato italiano ha subito, pagato da tutti, con manovre finanziarie», a cui vanno aggiunte le ferite morali, va oltre i 120 miliardi di euro (cen-to-ven-ti). Esagerato? Forse. Ammettiamolo. Vogliamo dividere per cinque? Sono 24 miliardi. In sede di patteggiamento sono minimo 10.
Questa omissione, se non vuole trasformarsi in complicità morale intollerabile, si può forse sanare. La seconda udienza è il 5 marzo prossimo. E con bravi avvocati dello Stato è possibile farsi riammettere come parti civili. Ma non lo faranno, né Renzi né Padoan. Forse da Londra non vogliono la nostra costituzione di parte civile. A proposito di Costituzione, sulla quale Renzi e Padoan hanno giurato, ci sarebbe però anche l'art. 47 che dichiara: «La Repubblica... tutela il risparmio in tutte le sue forme». Non c'è scritto che tutela le agenzie di rating .

Figli d'arte e parenti di politici, ecco i padroni delle 200 nuove farmacie. - Giusi Spica

  

La Regione ha pubblicato la graduatoria per l'apertura dei punti vendita in tutta la Sicilia. Le domande erano state oltre 1800 Nell'elenco professori universitari, figli e nipoti di deputati dell'Ars e molti rampolli delle dinastie storiche dei professionisti del settore.

Professori universitari sulla via della pensione, rampolli di storiche dinasty di farmacisti, figli e sorelle di deputati regionali e persino l'ex dirigente dell'assessorato che ha partecipato alle fasi iniziali di stesura del bando. La lista dei 222 vincitori di nuove farmacie che apriranno i battenti in Sicilia premia i candidati in avanti con gli anni e un solido bagaglio di titoli accademici alle spalle, ma anche i delfini di affermati farmacisti che hanno fatto pesare il nome e i loro legami per costruire a tavolino società "acchiappa-punti". Perché, come previsto dal decreto Monti che nel marzo 2011 stabilì i criteri, il concorso era per soli titoli e favoriva chi decideva di mettersi in società accumulando i riconoscimenti.

La commissione nominata dall'assessorato ha applicato la griglia nazionale e ha stabilito il range di punti da attribuire a titoli accademici, master universitari, pubblicazioni. Criteri da incrociare anche a quello anagrafico (più punti ai più giovani). Ma a guardare l'età media dei candidati (erano 1854 società), sembra la rivincita degli cinquantenni. I nomi di peso non mancano. A partire da quello di Rosalia Traina, che fino a maggio del 2012 era dirigente del servizio Farmaceutica dell'assessorato, lo stesso che ha predisposto gli atti del concorso bandito a gennaio di quell'anno. Sei mesi dopo è andata in pensione, ma è rientrata in gioco come consulente a titolo gratuito in carica fino a tre mesi fa. La sua partecipazione aveva sollevato mal di pancia e un'interpellanza dei grillini che hanno puntato il dito sull'incompatibilità. Lei si è difesa sostenendo di non avere mai firmato un solo atto relativo al concorso. Oggi è al quarantesimo posto della classifica insieme con Salvatore Di Marco, figlio di un farmacista di Baucina. Età media: 57 anni.

ECCO LA LISTA DEI VINCITORI

Tra i nuovi farmacisti c'è anche il figlio del deputato messinese del Pd Giuseppe Laccoto, ex presidente e oggi membro della commissione Sanità all'Ars. Il figlio di Laccoto è al 25esimo posto con altri tre soci, capofila Tindara Fioravanti. Alla posizione numero 35 c'è Patrizia Cascio, sorella dell'ex presidente dell'Ars e oggi deputato regionale di Ncd  Francesco Cascio. La mamma aveva una farmacia in viale Regione siciliana, poi messa in vendita.

E poi ci sono i figli d'arte. Al quinto posto si piazza Lara Giambalvo: il padre Giacinto è titolare a Bagheria ma in casa il nome che pesa di più è quello del marito, Riccardo Listro, titolare di una sede in città, e del cognato Orazio, il più "ricco" farmacista di Palermo. Rampolli di storiche dinasty sono anche Alice Pantò, figlia del farmacista di via Pacinotti, Giovanna Pensabene (il papà aveva una sede notturna in centro) e Maria Mantione, figlia dell'ex sindaco democristiano Salvatore che aveva farmacia in via Ausonia. Nomi noti sono anche Emanuele Termini (sua madre Rosa Alba Randazzo ha una sede vicino a Villa Serena), Luisa Venuti (suo padre Giuseppe è titolare a Cinisi) e Rino Calì (fratello di Gabriella che ha farmacia vicino al teatro Massimo).

Il concorso ha fatto gola soprattutto ai baroni universitari. Il primato va a Catania, che piazza una sfilza di prof della facoltà di Farmacia. Al primo in classifica c'è uno di loro, Francesco Paolo Bonina, docente ordinario in coppia con la collega associata Valeria Pittalà. Il suo nome è noto alle cronache: è stato imputato e poi assolto al processo sui veleni alla facoltà di Farmacia. Al nono posto figura un altro degli imputati di quel processo (furono tutti assolti in primo grado), ovvero Giovanni Puglisi, recordman di incarichi: insegnare Tecnologia farmaceutica, è presidente dell'ordine dei farmacisti di Catania e membro nazionale dell'ente previdenziale Enpaf. A lui spetta il primato della società più anziana: 63 anni. L'ateneo fa il pieno con Maria Angela Siracusa, Anna Maria Panico, Orazio Prezzavento, Giovanna Maria Scoto e il figlio dell'ex preside di farmacia Giuseppe Roncisvalle, al 78esimo posto con Antonino Privitera.


http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/07/news/ecco_i_padroni_delle_200_nuove_farmacie-106764968/