martedì 1 settembre 2015

Prem Shankar Jha: IL CAOS PROSSIMO VENTURO. - Girolamo De Michele

Il caos prossimo venturo    Prem Shankar Jha
Prem Shankar Jha, Il caos prossimo venturo. Il capitalismo contemporaneo e la crisi delle nazioni, introduzione di E. Hobsbawm, trad. di Andrea Grechi e Andrea Spilla, Neri Pozza, Vicenza, 2007, pp. 677, € 25,00.
La pubblicazione del grande saggio dell’economista indiano Prem Shankar Jha Il caos prossimo venturo merita attenzione per più di un motivo. In primo luogo, perché consente di focalizzare l’attenzione degli analisti occidentali, inguaribilmente onfalocentrici, sull’alto livello della produzione culturare orientale. È interessante vedere come alcuni fondamenti dell’economia e della storiografia (Arrighi, Polanyi, Braudel , Schumpeter, esplicitamente richiamati dall’autore sin dalle prime pagine) siano tutt’ora attuali, forse perché capaci di visioni globali che sfuggivano alla centralità dell’ombellico occidentale.
In secondo luogo, la ricostruzione di Prem Shankar Jha è utile a ripensare alcune periodizzazioni del Novecento, per scoprirne il fiato cortissimo: quelle elaborazioni che, ponendo il 1989 come termine conclusivo di una fase storica, sono rimaste poi spiazzate dal rapido volgere degli eventi successivi. Le periodizzazioni di Furet (Il passato di un’illusione), Fukuyama (La fine della storia), e ad un più basso livello, la tesi della guerra civile europea di Nolte (improvvidamente sdoganata da Canfora) non riescono infatti a cogliere come il Novecento, al di là delle ricostruzioni affascinate più dalla schiuma degli eventi che dall’onda lunga delle strutture storico-economiche, prolunghi la propria lunga ombra sul terzo millennio. Che è, per contro, la tesi, fatta proprio dall’economista indiano, di Arrighi e del suo Il lungo XX secolo, contemporaneo al più noto Il Secolo breve di Hobsbawm: un testo nel quale, forse per la prima volta con piena consapevolezza critica, compare il termine “globalizzazione”. In quel testo Arrighi, proseguendo l’opera di Braudel, individuava nella storia del capitalismo quattro grandi cicli di accumulazione sistemica: il secolo genovese, il ciclo olandese, il lungo ciclo britannico, e infine il ciclo statunitense. Arrighi ipotizzava (e in questo si è sbagliato) che il ciclo americano fosse sul punto di entrare in crisi a causa del sorgere di un nuovo ciclo, quello delle cosiddette “tigri asiatiche”. Nondimeno, l’ascesa del gigante cino-indiano riporta in primo piano l’opera di Arrighi, che nel frattempo è stato oggetto di critica da parte di Negri e Hardt per il suo impianto strutturale: i clicli di accumulazione, sostengono gli autori di Impero, sembrano configurarsi come strutture quasi ideali, comunque indipendenti dalle lotte e dalle crisi che hanno lacerato il capitalismo e segnatamente, oggi, dal sorgere della moltitudine come causa della crisi del sistema degli stati-nazione. tnegri.jpegIn sintesi: se i cicli e il loro alternarsi sono strutture che agiscono al di sotto dei processi storici, determinandoli quasi secondo necessità, va smarrita la centralità della frattura tardo-novecentesca: il crollo dell’equilibrio disegnato dalla Pace di Westfalia al termine della guerra dei Trent’anni e l’avvento della globalizzazione come epoca in cui gli stati nazionali perdono la propria centralità in favore di istituzioni ed agenzie sovranazionali. Ora, il terzo motivo per leggere con attenzione il lavoro di Jha è il suo tentativo di tenere insieme il piano storico-economico disegnato dalle opere di Braudel e Arrighi con quello storico-politico caratterizzato dalla fine dell’ordine westfaliano. È un rapporto ambivalente (lo ha notato il marxista americano Louis Proyect sul proprio sito) quello che impronta il rapporto Jha-Negri: se alcuni assunti di Impero sono condivisi da Jha, è altrettanto vero che l’economista indiano cerca nelle strutture economiche, e non nel soggettivismo che impronta la comparsa della moltitudine sulle ceneri della classe operaia novecentesca, la causa della crisi che pervade il capitalismo globale, caratterizzato dalla «simultanea comparsa di una disoccupazione di natura cronica (ossia non ciclica)» e dall’allargamento «delle disuguaglianze reddituali dopo un secolo di livellamento». Jha esamina, per escluderle, quattro spiegazioni “canoniche”: lo shock petrolifero degli anni Settanta, il raggiungimento di una maturità industriale, l’esaurimento della spinta tecnologica e il mutamento di paradigma dell’economia politica. Queste cause possono spiegare il rallentamento dell’economia negli anni Settanta, ma non il carattere strutturale della disoccupazione e delle disuguaglianze, né il «mistero della crescita lenta che ha agitato i sogni degli economisti». La spiegazione va cercata nei processi di deindustrializzazione, ossia di spostamento della produzione nelle aree a basso costo, causati sia dal mutato assetto delle periferie del globo, sia dalla ricaduta sulle aziende più deboli degli esiti delle contrattazioni collettive: quindi una combinazione di processi strutturali e di lotte novecentesche che disegnano il quadro attuale, segnato da un profondo pessimismo che l’autore eredita da Hobsbawm: la sua ricostruzione, infatti, in qualche modo riabilita l’idea di un “breve Novecento”, affermando il passaggio da un “breve secolo americano” all’età del capitalismo globale, e costituisce un tentativo di fornire ragioni alla lettura dell’ultimo trentennio del Novecento come un periodo di decadenza da parte dello storico inglese. Jha sottolinea come ogni passaggio da un ciclo di accumulazione all’altro sia segnato da processi distruttivi: il «caos sistemico» verso cui siamo a suo parere rapidamente avviati, anche per effetto del sostanziale fallimento delle politiche imperiali americane, sembra ridefinire negativamente quell’elemento di “distruzione creatrice” che Schumpeter leggeva nel cuore del capitalismo. Lo stato delle cose richiederebbe l’istituzione di «uncommonwealth che possa funzionare immediatamente o in tempi brevissimi»: ma «il modo in cui gli Stati Uniti hanno fatto della coercizione il metodo preferito per trattare con le altre nazioni» lascia pochi dubbi su quanto rapidamente il mondo stia precipitando verso l’oscurità.

Secondo Stephen Hawking si può uscire da un buco nero. - Nadia Vitali

La singolarità al centro di un buco nero costituirebbe l'origine di un nuovo universo, diverso dal progenitore per i valori di alcuni parametri fondamentali.

Il celebre fisico sostiene di essere vicino a risolvere il cosiddetto paradosso dell'informazione del buco nero.

I buchi neri sono un grosso problema per gli scienziati, quanto meno quando sembrano violare teoricamente alcune tra le leggi fondamentali del nostro Universo: ecco perché l'argomento è sempre molto discusso ed è stato centrale nei dibattiti tenutisi per un’intera settimana, giorni fa, a Stoccolma. I più eminenti fisici di tutto il mondo si sono dati appuntamento ad un ciclo di conferenze per cercare insieme alcune nuove ipotesi che rispondano ad una domanda che da diversi decenni non riesce a trovare soluzione. Tra essi c’era anche Stephen Hawking che ha rivelato di aver elaborato una teoria secondo la quale un'informazione sarebbe in grado di salvarsi una volta entrata in un buco nero.

«I buchi neri non sono poi così neri»
I buchi neri non hanno bisogno di presentazioni: regioni dello spazio-tempo delimitate da un orizzonte degli eventi, caratterizzate da un campo gravitazionale talmente forte che qualunque cosa ci finisca dentro non può più uscirne, neanche la luce. Almeno secondo quanto teorizzato a partire da Einstein. L’altro giorno a Stoccolma, però, Hawking ha deciso quasi di “sfidare” lo scienziato annunciando che forse i buchi neri non sono «così neri come ce li hanno dipinti»: anzi, arriva a suggerire di non darsi per vinti qualora si incappasse in buco nero perché, probabilmente, potrebbe addirittura esserci una via d’uscita.

Stephen Hawking
in foto: Stephen Hawking

Tra relatività generale e meccanica quantistica.
Il problema, in particolare, riguarda il destino dell’informazione fisica che cade lì dentro: secondo quanto ipotizzato alla metà degli anni ’70 dallo stesso Hawking, assieme a Jakob Bekenstein, un buco nero fagocita effettivamente qualunque cosa capiti nei propri paraggi per poi emettere esclusivamente una radiazione che risulta del tutto indipendente dalla composizione di quanto è stato precedentemente inghiottito.

Fin qui tutto bene ma il problema nasce dal confronto tra relatività generale e meccanica quantistica: per la prima la teoria è perfetta, naturalmente, ma quando si scende “nel piccolo”, ossia nelle particelle subatomiche di cui si occupa l’altra branca della fisica moderna, le cose si complicano e ci si trova dinanzi ad un paradosso. Questo perché, secondo la meccanica quantistica (ma anche secondo i capisaldi della fisica in generale), è semplicemente impossibile che le informazioni vadano perdute: come uscirne, quindi?

Al di qua dell'orizzonte degli eventi
Hawking  ci pensa da anni e già in passato ha provato a venirne fuori, ma adesso ha spiegato quale potrebbe essere una possibile soluzione: secondo quanto spiegato a Stoccolma l'informazione resterebbe aggrappata lungo i margini del buco nero, al di qua dell'orizzonte degli eventi. Lì sarebbe "tradotta" e preservata, pronta eventualmente ad essere recuperata.

In realtà non si tratta di un'idea del tutto nuova per i cosmologi e ci sono ancora aspetti non del tutto chiari, anche perché l'ipotesi è stata presentata in conferenza ma non è stata ancora descritta in un articolo scientifico; e poi resterà comunque sempre difficile da dimostrare sperimentalmente. Nel dubbio, quindi, sta a voi se fidarvi delle parole di Stephen Hawking, qualora vi trovaste a navigare dalle parti di un buco nero.

http://scienze.fanpage.it/secondo-stephen-hawking-si-puo-uscire-da-un-buco-nero/

Cara di Mineo, Odeveine: “Così ci spartivamo i soldi. Castiglione? Aveva vantaggi elettorali”.

Cara di Mineo, Odeveine: “Così ci spartivamo i soldi. Castiglione? Aveva vantaggi elettorali”

Le dichiarazioni ai pm dell'ex vicecapo di gabinetto di Veltroni, l’uomo di Mafia capitale nel business immigrazione. “La cooperativa La Cascina finanziò nascita Ncd. Il bando era scritto in modo da rendere certa la vittoria dell'Associazione temporanea d'imprese. A livello nazionale credo che il Ncd ha preso il 3 o 4 per cento, in quella zona ha preso il 40 per cento: i comuni del consorzio più o meno di centrosinistra, diventano, tranne uno, di centrodestra".

Cento milioni di euro all’anno, tremila ospiti che diventavano spesso anche il doppioappalti e fornitori, posti di lavoro e voti. In cima c’è la figura del sottosegretario Giuseppe Castiglione, indagato dalla procura di Catania per turbativa d’asta, luogotenente di Angelino Alfano in Sicilia, genero del potentissimo senatore Pino Ferrarello; poi ci sono tutti gli altri: faccendieri, politici e manager spregiudicati. Intorno un’intera provincia che cambia preferenza elettorali: dal centrosinistra al nuovissimo partito di Alfano e Castiglione. Eccolo qui il sistema del Cara di Mineo, il centro richiedenti asilo più grande d’Europa, finito nel ciclone dell’inchiesta su Mafia Capitale.
“La mia parte? Era di 10mila euro al mese anche se la richiesta complessiva era di 20 mila euro. Ma non erano solo per me: mi servivano per le cooperative sociali che presiedevo”, spiega davanti ai pm romani Luca Odevaine, l’uomo di Mafia capitale nel mondo dell’immigrazione, già vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni in Campidoglio, poi “spedito” al Cara di Mineo. “Se ho favorito la vittoria delle gare per la gestione del centro? Sì, l’ho fatto” ammette nei verbali pubblicati dal Messaggero e dal Corriere della Sera Arrestato per corruzione nel primo troncone dell’inchiesta su Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, Odevaine ha deciso di parlare. E davanti ai pm Paolo Ielo e Giuseppe Cascini, ricostruisce ogni singolo passaggio della gestione occulta del Cara di Mineo, un sistema perfetto che produceva consenso elettorale e denaro contante.
E più cresce Mineo, più aumenta l’influenza di Castiglione, che lascia il Pdl per aderire al Nuovo Centrodestra, subito promosso dalla provincia di Catania a Montecitorio e poi al governo, come sottosegretario all’Agricoltura.  Un cursus honorum che – come documentato a più riprese dal fattoquotidiano.it – s’incrocia con la nascita di Mineo, e con la proliferazione di appalti e posti di lavoro al centro d’accoglienza .  “Il vantaggio che ha avuto Castiglione- dice Odevaine – è di natura elettorale. Sostanzialmente possiamo parlare di scambio di voti“. Dopo l’apertura di Mineo, infatti, la zona del Calatino, intorno al centro richiedenti asilo, cambia radicalmente convinzioni politiche. “Castiglione aveva preso il posto di suo suocero, il senatore Firrarello. I comuni del consorzio più o meno di centrosinistra, diventano, tranne uno, di centrodestra“.
Il racconto di Odevaine parte dal 2011, quando dopo lo scoppio della Primavera araba comincia l’ondata di sbarchi dal nord Africa . Il governo Berlusconi decreta lo stato d’emergenza e decide di utilizzare le 400 villette del residence degli Aranci, tra le campagne in provincia di Catania, per creare il più grande centro per profughi di tutta Europa. Una scelta che arriva proprio quando la Pizzarotti di Parma, che è proprietaria di quel residence, riceve dalla marina militare degli Stati Uniti (che affitta quelle villette per i soldati di stanza a Sigonella) una disdetta in blocco. “Mi hanno riferito – racconta Odevaine nei verbali pubblicati dal Messaggero e dal Corriere della Sera – che quella struttura fu scelta anche per fare un piacere a Pizzarotti che in quel momento aveva dei problemi. Non sono in grado di dire se i rapporti di Pizzarotti fossero più con Gianni Letta o con Berlusconi, io ritenevo con Letta in quanto la gestione della struttura  venne poi affidata con affidamento diretto alla Croce Rossa di Milano e la presidente della Croce Rossa della Lombardia era la sorella di Letta”. Poi però gestione di Mineo passa subito alla protezione civile e quindi al consorzio dei comuni della zona.
Ed è quel punto che Odevaine si materializza in Sicilia, dove incontrerà con l’allora presidente della provincia di Catania Castiglione e Salvo Calì presidente della cooperativa Sisifo, iscritta a Legacoop, capofila dei gestori di Mineo fin dalla creazione del centro. È il famoso pranzo con una sedia vuota .”Castiglione – dice Odevaine – non mi disse esplicitamente che Sisifo doveva vincere la gara, ma io capii perfettamente anche perché accompagnandomi all’aeroporto mi disse che Sisifo era per lui il gruppo più adatto a gestire Mineo; mi disse che erano cooperative di centrosinistra e quindi lui non aveva un interesse politico, ma li promuoveva perché li considerava capaci. Mi disse anche che vi era una esigenza politica primaria di favorire cooperative operanti sul territorio”.
E’ in questo modo che nasce la prima gara d’appalto milionaria per gestire Mineo, una gara che Odevaine racconta senza mezzi termini di avere praticamente truccato. “Il bando era scritto in modo da rendere certa la vittoria dell’Associazione temporanea d’imprese: la decisione fu presa congiuntamente da Paolo Ragusa, da me, da Castiglione, da Giovanni Ferrera“.  Ragusa, anche lui indagato con Castiglione, è un grande elettore del Nuovo Centrodestra, il partito creato da Alfano che nella zona del Calatino prende percentuali massicce di voti. A sentire Odevaine, non solo aveva ruolo nella gestione del centro, ma “imponeva la scelta dei fornitori dai quali acquistare e gestiva le convenzioni con i privati. privati presso i quali gli ospiti del centro potevano spendere 2,5 euro al giorno con una tessera”. Ferrera, invece, è il direttore generale del Cara, l’uomo che bolla come irrilevante il parere dell’Anticorruzione di Raffaele Cantone e riaffida la gestione di Mineo a Sisifo quando già lo scandalo su Mafia capitale ha coinvolto il centro richiedenti asilo: poche settimane dopo la prefettura di Catania commissarierà tutto.
Ma non è finita qui: perché dopo che Castiglione e Odevaine si accordano sul nome di Sisifo per gestire il centro, la rete comincia ad allargarsi. “Quando incontrai di nuovo Castiglione gli dissi che era necessario individuare una struttura in grado di gestire pasti, per cui gli consigliai di rivolgersi alla Cascina. In più di un’occasione Menolascina (dirigente della cooperativa) mi ha detto che La Cascina ha stretto rapporti con LupiAlfano e Castiglione e che finanziava la nascita di Ncd“. La cooperativa vicino a Comunione e Liberazione, dunque, secondo Odevaine è tra i main sponsor del nuovo partito di Alfano, diventato nel frattempo il principale partito politico dei comuni del Calatino.
Ma come avviene la metamorfosi elettorale nella zona? “Il tema fondamentale di tutta questa vicenda sono le assunzioni di personaleQuella struttura è diventata l’industria più grande della zona, l’Ikea sta a 20 kilometri e ha 150 dipendenti, attualmente il centro di Mineo ne sta occupando 400 tra una cosa e l’altra: in un’area dove 50 voti eleggono un sindaco. A livello nazionale credo che il Ncd ha preso il 3 o 4 per cento, in quella zona ha preso il 40 per cento”. In pratica l’asse Castiglione  – Mineo riesce a trasformare i posti di lavoro del Cara in un massiccio sostegno elettorale. E non è un caso che ad ogni nuova assunzione al centro:“tutti i sindaci appartenenti al consorzio si sono riuniti con Paolo Ragusa per spartire il numero delle assunzioni da fare”.

C.A.R.A. (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) di Mineo. - Alessandro Di Battista


Il CARA (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) di Mineo è il più grande d'Europa ed è finito nell'inchiesta Mafia Capitale.
Odevaine l'uomo forte di Veltroni (a proposito ma non doveva andare in Africa?) divenuto uno dei boss della gestione dell'immigrazione in Italia ha appena parlato ai magistrati spiegando per filo e per segno il sistema Mineo. Un sistema che permetteva a vari soggetti di spartirsi soldi nostri e a Castiglione, sottosegretario NCD del Governo Renzi, di avere un ritorno in termini di voti.
I soldi nostri vanno a Mineo con la scusa dell'emergenza immigrazione ma poi spariscono, rubati da un branco di malfattori. Una cooperativa vicina a Comunione e Liberazione, "La Cascina" che pare abbia ottenuto appalti truccati, è secondo Odevaine il grande sponsor di NCD, il partito più indagato della storia repubblicana. In tutto ciò sembra che sia stato un ospite del centro a commettere i due brutali omicidi a Catania.
Ma Alfano è ancora ministro dell'Interno, Castiglione sottosegretario all'agricoltura (il PD ha bocciato una nostra mozione di sfiducia su di lui). Il tutto perché i voti di NCD, un partito prossimo all'estinzione, servono a Renzi per approvare le sue porcate in Senato. Il governo del PD si tiene in piedi grazie ad un partito formato da innumerevoli furfanti e che ha più indagati che elettori. Viva la rottamazione...di legalità!