Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 29 gennaio 2016
Commercio: con gli accordi TTIP i piccoli imprenditori dell'agroalimentare saranno schiacciati. - Marta Rizzo.
Lo confermano 2 rapporti diffusi dal Dipartimento dell’agricoltura Usa. Non soltanto creerà difficoltà serie, ma tornerà a favore degli stessi Stati Uniti in maniera prepotente rispetto ai benefici dell’Europa unita.
ROMA – Sono 2 studi quasi manicali americani, diffusi dalla Campagna StopTtip, ad affermare chiaramente i benefici che gli Usa potranno trarre dagli accordi sul Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (in inglese,Transatlantic Trade and Investment Partnership, appunto: Ttip). Benefici che - secondo gli analisti statunitensi - saranno enormemente inferiori per l’Ue, che comunque non accenna a ritrattare il Trattato, in corso dal 2013 e che quando diverrà operativo si creerà la più grande area di libero scambio, dal momento che l'Unione Europea e gli Stati Uniti rappresentano la metà del Pil di tutto il mondo e un terzo del commercio globale.
I rapporti Usa che offendono l’Ue. Il 5 gennaio 2016, il Dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti, sulle implicazioni del partenariato transatlantico (Ttip) per il settore agricolo, diffonde un approfondito documento dal quale emerge, nero su bianco, fino a che punto l’Unione Europea risentirà dalla firma dell’ accordo.
Tre sono i punti fondamentali.
1) - Innanzi tutto, si prevede l'eliminazione delle sole barriere tariffarie e dei contingenti tariffari di importazione (Trq), la qual cosa farà sì che le esportazioni agricole degli Stati Uniti verso l'Ue aumenteranno di 5,1 miliardi di euro rispetto ai livelli del 2011, mentre quelle dell'UE verso gli Usa crescerebbero di appena 0,7 miliardi di euro (le esportazioni agricole UE diminuirebbero dello 0,25%).
2) - Il secondo scenario anticipa anche l'eliminazione delle barriere non tariffarie (Ntm): nel settore agricolo, le Nmt riguardano la sicurezza alimentare e se fossero eliminate, le esportazioni Usa crescerebbero di ulteriori 3,8 miliardi di euro, mentre quelle UE aumenterebbero di 1,1 miliardi.
3) - Il terzo scenario analizza come tutto ciò influenzerebbe la domanda dei consumatori, i quali si orienterebbero sempre più ad acquistare prodotti locali piuttosto che importati, cancellando così qualsiasi guadagno derivante dalla rimozione delle barriere tariffarie (anche se questo è il principale obiettivo dichiarato del Ttip). Un secondo rapporto dello stesso Dipartimento americano, ribadisce i concetti.
Un massacro per l’Ue e per l’Italia. La Campagna StopTtip è tra le pochissime realtà d’Europa a battersi contro un trattato a cui i media sembrano non pensare. Ed è l’osservatorio della Campagna stessa ad aver diffuso i due rapporti americani. "Il ministero dell'Agricoltura Usa - spiega Monica Di Sisto, portavoce della CampagnaStop Ttip - è onesto nell'ammettere che, se con il Ttip vuole accelerare il commercio tra Usa e Ue per prodotti agricoli e cibo, bisogna eliminare non tanto dazi e problemi di dogana, ma le regole che ancora oggi ci proteggono, in Europa, da ormoni della crescita, residui di pesticidi, cibi biotech e tossicità simili. Pur facendolo, saranno gli Usa a guadagnarci in esportazioni, fino a 1000 volte più dei nostri Paesi, e in settori già massacrati per l'economia italiana come latte, carni rosse, frutta, verdura, olio.
Il fattore "C", cioè la coscienza dei consumatori. Gli imponenti flussi di prodotti e servizi in arrivo dagli Stati Uniti satureranno il mercato europeo, che per oltre l'80% dei produttori italiani, piccoli e medi, è l'unico mercato possibile, diminuendo ulteriormente le loro possibilità di sopravvivenza. Gli Usa, però, hanno anche valutato un terzo scenario: se tutti noi cittadini consumatori e le imprese che lavorano in qualità e quelle amministrazioni locali che legano la promozione dei loro territori e culture a prodotti sani e non massificati, non si fideranno delle nuove regole, non ci sarà da guadagnare per nessuno, perché tutti i prodotti a rischio verranno lasciati nei mercati e negli scaffali, e chi li produrrà verrà punito dalle scelte sbagliate dei Governi. Come Campagna StopTtip, lo chiamiamo "fattore C": quello della coscienza di cittadini e consumatori, che si opporrà fino all'ultimo a politiche sbagliate come quelle del Ttip".
Ttip: atto di masochismo per il nostro benessere generale. “Cornuti e mazziati - commenta Leonardo Becchetti, professore di Economia politica dell'Università Tor Vergata - lo studio dello US department for agriculture analizza cosa succederebbe se il Ttip eliminasse le “barriere non tariffarie” nell’interscambio agricolo tra Ue e Stati Uniti. Dall’analisi del rapporto emerge chiaramente che l’approvazione del Ttip non è solo un atto di masochismo economico per noi. Il problema è più sostanziale. Un accordo del genere non può essere valutato solo in termini di impatto economico, ma di benessere generale. Qualcuno si è preoccupato di valutare gli effetti sulla salute dei cittadini e sulle condizioni di lavoro di chi opera nel settore? Rischiamo ancora una volta di essere vittime del riduzionismo economicista che identifica la nostra felicità con la riduzione dei prezzi dei prodotti. Ma il benessere è un’altra cosa: dobbiamo imparare sempre di più che dietro un prezzo basso possono nascondersi insidie alla nostra salute alle condizioni di lavoro. Quanti euro di risparmio nel carrello della spesa valgono più rischi sulla salute e condizioni di lavoro più precarie?”.
http://www.repubblica.it/solidarieta/equo-e-solidale/2016/01/27/news/commercio_con_gli_accordi_ttip_i_piccoli_imprenditori_dell_agroalimentare_saranno_schiacciati-132173927/
LA XYLELLA E GLI ULIVI PUGLIESI: COME NASCE UN DELIRIO COLLETTIVO. - Daniela Ovadia
La vicenda della Xylella, degli ulivi pugliesi e della magistratura che sospende le eradicazioni è ormai di pubblico dominio, e ha fatto fare all’Italia l’ennesima pessima figura nel consesso scientifico internazionale. Tuttavia, all’estero è stata compresa solo parzialmente, perché non si è considerato nella sua importanza l’elemento narrativo e complottista di tutta la storia.
Chiunque abbia dimestichezza con i romanzi di Dan Brown non farà fatica ad ammettere che la ricostruzione offerta dalla Procura di Lecce di quanto sta accadendo agli ulivi pugliesi infettati dalla Xylella contiene tutti gli elementi di un bestseller di successo: ci sono i buoni e puri (i contadini pugliesi che difendono le loro piante dall’eradicazione e i giudici che cercano di proteggerli), i cattivi “di secondo livello” (un gruppo di scienziati locali corrotti che avrebbe inoculato volontariamente il batterio nelle piante) e i cattivi “di primo livello” che appartengono al Grande Potere Occulto (nelle vesti della multinazionale Monsanto che, in termini di immagine pubblica, ha poco da invidiare al Priorato di Sion di browniana memoria).
Non mancano altri strumenti adatti a un thriller pronto a finire sul grande schermo e a sbancare i botteghini: provette con agenti infettivi che viaggiano da un Paese all’altro nelle mani di scienziati senza scrupoli e squadre vestite con tute bianche protettive che svolgono manovre sospette in campi segnalati dall’inquietante scritta “sperimentale” (un episodio chiaramente ispirato ai copioni scientifici di Michael Crichton).
L’avessimo letta in un libro comprato all’Autogrill, sulla strada per il mare, avremmo trovato questa storia fin troppo banale: il prototipo di tutte le trame complottiste, senza nemmeno un guizzo di creatività. Fermo restando che è in corso un’indagine e che la magistratura ci sta lavorando, alla luce degli elementi disponibili, la storia suona scontata perché tutte le ricostruzioni complottistiche di eventi reali riconducibili a spiegazioni ben più semplici seguono schemi analoghi, non a caso ripresi dagli autori di fiction.
La Xylella è purtroppo una fitoinfezione ben nota, contro la quale, al momento, nessuno ha trovato un rimedio migliore dell’eliminazione fisica delle piante infette per limitare il contagio. Gli scienziati e le persone che conoscono il problema, in Italia e nel mondo, si stupiscono di fronte allo sviluppo di questa vicenda, di cui hanno cominciato a occuparsi anche i giornali stranieri, dal momento che il mancato rispetto dei protocolli di eradicazione dell’infezione mette a rischio l’intero continente: l’impressione, però, leggendo gli articoli usciti all’estero, è che sfugga la dimensione complottistica che permette di interpretare il tutto in una chiave diversa.
Lo studio scientifico delle teorie del complotto è relativamente recente e utilizza strumenti come la sociologia e la psicologia sociale. È nato negli anni ’70, negli Stati Uniti, a seguito del dilagare di curiose teorie sull’omicidio del presidente Kennedy e del tentativo di spiegare la persistenza nel tempo di alcune interpretazioni di eventi che, seppure fantasiose, possono avere una influenza nefasta sul decorso della storia. Basti pensare che una delle teorie del complotto più note, diffuse e perniciose - quella secondo la quale esisterebbe un potere occulto di matrice ebraico-massonica che governa il mondo e possiede il controllo dell’economia - è espressa già nel famigerato Protocollo dei Savi di Sion, un falso libello prodotto probabilmente dalla polizia segreta dello Zar in Russia, utilizzato poi dalla propaganda nazista e tutt’oggi tradotto e diffuso in tutti i Paesi del mondo.
Se questo viene considerato “il padre di tutti i complotti”, non è certamente il primo: secondo gli esperti del settore il complottismo è da far risalire alla fine del XVIII secolo, quando - come scrive Christopher Hodapp, giornalista esperto di massoneria e templari e autore di “Conspiracy theories and secret societies for dummies” (un libro della fortunata serie di manuali per “idioti”) - “dalla Rivoluzione Francese nasce il primo connubio tra la paranoia e la stampa”. I primi media diventano il megafono che amplifica e diffonde i deliri dei singoli, persino quando non sostengono affatto le tesi dei complottisti: come dire che basta parlarne per far danno.
Michael Barkun, professore di scienze politiche all’Università di Syracuse, negli Stati Uniti, e autore di “A culture of conspiracy”, uno dei saggi più completi sul fenomeno, identifica alcuni elementi tipici del complottismo che possono aiutare a capire anche come si costruiscono e consolidano casi come quello a cui assistiamo in questi giorni in Puglia: “Una delle caratteristiche delle teorie del complotto è che tendono a inglobare al loro interno le prove che potrebbero smentirle, interpretandole alla luce del complotto stesso e rendendo così difficilmente smentibile il quadro generale, a meno di uscire dall’universo cognitivo all’interno del quale il complottista si trova. Le teorie del complotto somigliano quindi più ad atti di fede che a interpretazioni fattuali del reale”.
Nel caso Xylella, per esempio, la presenza di un campione del batterio a Bari durante un congresso internazionale dedicato proprio a come eradicare l’infezione viene utilizzata come prova eziologica della diffusione del contagio in Puglia, anche se tra il luogo del congresso e la regione colpita vi sono 200 km di distanza. Quella che potrebbe essere una prova che smentisce il complotto stesso viene inglobata nella trama in modo da confondere ulteriormente le acque e confermare il frame cognitivo del complottista.
Nel caso Xylella si ravvede anche un altro aspetto comune a queste vicende, ovverola necessità di dare una spiegazione diversa dalla casualità a un evento percepito come devastante per l’individuo o per un certo gruppo sociale. “Sappiamo dagli studi di epidemiologia che il cancro può comparire per una serie di mutazioni casuali anche in individui dagli stili di vita inappuntabili” dice ancora Barkun. “Ma gli esseri umani sono restii ad attribuire al caso un evento negativo e tendono a identificare uno specifico agente causale su cui riversare la rabbia per quanto sta loro accadendo”. È così che la rete wi-fi della scuola o la presenza di un’industria nel vicinato possono essere identificate come colpevoli della malattia, e i tentativi di discolparle o di dimostrarne l’estraneità essere inseriti all’interno di una teoria del complotto. Il pregiudizio di conferma (la tendenza a interpretare un fatto alla luce del proprio pregiudizio) e l’esclusione dal quadro cognitivo di qualsiasi elemento dissonante intervengono a cristallizzare l’interpretazione dei fatti.
Sempre Barkun aggiunge altri due elementi chiave per la costruzione del complotto, a parte il più importante, ovvero che per un complottista nulla avviene per caso: nulla è come appare e tutto è collegato. Quindi, applicando la teoria al caso in specie, gli scienziati non sono ciò che sembrano – agronomi e biologi dedicati allo studio - e non è un caso che un congresso sulla Xylella venga seguito, seppure a distanza di tempo, dalla ricomparsa dell’infezione, persino se casi di tale infezione erano già stati segnalati sul territorio prima che il congresso avesse avuto luogo.
Ogni schema complottistico che si rispetti deve identificare un potere forte che governa gli accadimenti e li guida da dietro le quinte. La rivista Frontiers in Psychology ha pubblicato, nel 2013, un numero monografico dedicato alla psicologia delle teorie del complotto. In uno studio pilota su un campione di 300 soggetti, Adrian Furnham, psicologo dello University College di Londra, si è concentrato sui cosiddetti complotti commerciali, ovvero quelli che hanno come responsabili entità quali banche, compagnie del tabacco o case farmaceutiche, dimostrando che esiste nella popolazione una sorta di gradiente che va dalla diffidenza verso le pubblicità e le compagnie commerciali in generale fino alla tendenza a credere a cospirazioni a sfondo commerciale, la più nota delle quali dice che le case farmaceutiche hanno la cura per molte malattie che affliggono l’umanità ma non le rendono disponibili perché conviene loro fare soldi con i malati cronici. Anche nel caso Xylella, il ruolo di Monsanto e dei suoi fitofarmaci ricalca uno schema analogo.
Le compagnie farmaceutiche e le biotech sembrano essere particolarmente prese di mira dalle teorie del complotto, mentre altre imprese commerciali, come quelle del tabacco (che pure in passato hanno complottato davvero per tener nascosti i danni del fumo) sono percepite come “cattive ma trasparenti”. Le persone più di sinistra, meno religiose, più povere e più pessimiste sono anche più portate a credere ai complotti commerciali, almeno secondo l’analisi personologica condotta da Furnham sul suo campione utilizzando il modello personologico Big Five, uno dei più consolidati.
L’associazione con una certa area politica viene spiegata semplicemente con la naturale diffidenza della sinistra verso il profitto, mentre è noto che teorie del complotto che coinvolgono il controllo economico e sociale da parte di gruppi di interesse occulti sono più diffuse in ambienti di destra; le cospirazioni millenariste o che coinvolgono entità aliene o sovrannaturali, infine, sono più frequenti negli ambienti religiosi, in particolare nell’ambito del protestantesimo americano. Esistono anche interpretazioni sociologiche più complesse che considerano il complottismo una sorta di “effetto collaterale” della democrazia e della disponibilità di informazioni oppure, come il sociologo francese Bruno Latour, una punta estrema della tendenza a cercare la verità, una sorta di estremizzazione del diritto di critica.
Il ruolo dei media, e dei social media, nella diffusione di un complotto è messo in luce anche dallo studio di Marius H. Raab e colleghi dell’Università di Bamberg, in Germania, sullo stesso numero di Frontiers in Psychology. “La maggior parte degli studi sulle teorie complottistiche cadono nell’errore di ridurle ai loro elementi costitutivi e fattuali, tralasciando il piano della narrativa” spiega Raab. “I complotti non sono solo costituiti da eventi collegati tra loro in modo errato, ma sono sostenuti da un racconto, un linguaggio che trasmette anche elementi valoriali. Spesso sono i media i primi a creare il racconto, amplificando gli aspetti morali della vicenda”. La protezione dei cultivar pugliesi, nonché il mito di un’agricoltura pura e tradizionale che deve lottare contro le multinazionali e contro la globalizzazione, costituiscono i potenti elementi narrativi della storia della Xylella fastidiosa in Puglia.
E i magistrati pugliesi? La legge è spesso protagonista di disegni cospirativi, specie nella casistica statunitense, in quanto costituisce uno dei “poteri forti” e un elemento di controllo sociale. Meno frequente è vedere la legge dalla parte di chi è la presunta vittima del complotto o addirittura, come in questo caso, nel ruolo del “narratore”. Rimane il fatto che anche i giudici sono soggetti agli stessi meccanismi e bias cognitivi dei comuni mortali, a cui si aggiunge, in Italia, una storia pregressa ricca di cospirazioni ben reali, il che costituisce, secondo gli studi, un ulteriore fattore di rischio per la nascita di nuove teorie del complotto.
http://stradeonline.it/scienza-e-razionalita/1692-la-xylella-e-gli-ulivi-pugliesi-come-nasce-un-delirio-collettivo
Uno dei tanti aspetti di asservimento al potere con la smentita, senza prove, di fatti realmente accaduti.
E per smentire i fatti ci si affida a frasi del tipo: - "Le persone più di sinistra, meno religiose, più povere e più pessimiste sono anche più portate a credere ai complotti commerciali," - perchè è bene che si sappia che le persone di sinistra, quelle che reggono le sorti del mondo, sono credulone, stupide e quando pensano complottano....anche se poi, alla fin dei conti, sono anche le più tartassate.
Uno dei tanti aspetti di asservimento al potere con la smentita, senza prove, di fatti realmente accaduti.
E per smentire i fatti ci si affida a frasi del tipo: - "Le persone più di sinistra, meno religiose, più povere e più pessimiste sono anche più portate a credere ai complotti commerciali," - perchè è bene che si sappia che le persone di sinistra, quelle che reggono le sorti del mondo, sono credulone, stupide e quando pensano complottano....anche se poi, alla fin dei conti, sono anche le più tartassate.
L'inutile gennaio di Palazzo dei Normanni Cinque milioni spesi per tre ore di lavoro. - Accursio Sabella
Nel primo mese dell'anno i deputati regionali si sono riuniti solo cinque volte. E quasi sempre le sedute sono durate meno di mezz'ora. In compenso, sono stati ovviamente erogati stipendi, indennità e compensi. Per produrre? Nulla.
PALERMO - Tre ore di lavoro in un mese. In cambio, ecco 11.100 euro lordi per ogni deputato. Oltre, ovviamente, ai compensi per lo stuolo di consulenti, collaboratori, autisti. E senza contare le spese per un palazzo che negli ultimi trenta giorni è stato sostanzialmente inutile: utenze, spese varie, stipendi dei lavoratori.
Le tre ore di lavoro di gennaio a Palazzo dei Normanni sono costate ai siciliani la bellezza di cinque milioni. Tanto costa, al mese, l'Assemblea regionale. Se escludiamo dal conteggio spese come quelle riguardanti le pensioni, che poco hanno a che vedere con la produttività dell'Assemblea. Ma che porterebbero i costi a oltre dodici milioni al mese.
Ci siamo limitati, quindi, solo ai costi strettamente legati all'attività parlamentare. A cominciare, ovviamente, dalle indennità dei deputati. Questo inutile gennaio, infatti, l'Ars erogherà comunque circa un milione e mezzo agli onorevoli che di certo non si sono ammazzati di fatica. La spesa annua per gli stipendi dei deputati infatti è superiore ai 16 milioni di euro. Ma a questa, ovviamente, va aggiunta la spesa legata a tutto ciò che ruota attorno al parlamentare: personale di segreteria, consulenze, auto di servizio. In un anno all'Ars costano – i dati sono quelli dell'ultimo bilancio di previsione – 3,7 milioni di euro: in un mese, quindi, circa 300 mila euro. Ma insieme ai consulenti ecco i cosiddetti “portaborse” o, per meglio dire, i dipendenti dei gruppi parlamentari, la cui busta paga è garantita dalla voce “Contributi ai gruppi”: altri 6,2 milioni di euro, che in un mese fanno oltre mezzo milione.
Ma ovviamente, il silenzio di Sala d'Ercole non si traduce nella chiusura di un palazzo dove lavorano decine di dipendenti. Assolutamente “incolpevoli”, ovviamente, della inerzia dei politici. Gli stipendi dei dipendenti dell'Ars, però, la cui somma complessiva è notevolmente calata negli ultimi anni, costano ancora 26,7 milioni di euro l'anno. Più di due milioni al mese. Anche questo mese. Quello di gennaio in cui le sedute sono poche e – come vedremo – dalla brevità imbarazzante. Alle spese poi necessarie anche in questo mese di vacanza camuffata, ecco quelle riferibili al cerimoniale e all'attività istituzionale (2,5 milioni l'anno, quindi duecentomila euro al mese) e quella relativa alla manutenzione e alla fruizione di beni e servizi: altri 5,8 milioni annui, quindi quasi mezzo milione al mese.
Per un totale di circa cinque milioni di euro al mese. Tutte spese che l'Ars ha dovuto affrontare nonostante il risultato sia poco lusinghiero: a gennaio le sedute complessive dell'Aula saranno solo cinque. Nell'ultima, infatti, svolta martedì dopo quasi due settimane di “pausa di riflessione”, i parlamentari si sono dati appuntamento al due febbraio. E il numero delle sedute non rende nemmeno l'idea dell'immobilismo di Sala d'Ercole.
Così, è necessario entrare nel dettaglio. La seduta del sette gennaio, infatti, è durata, al netto delle pause, meno di un'ora. Una seduta-flash penserà qualcuno? No. Questa è la più lunga del mese. Le altre, infatti, raramente supereranno la mezz'ora. Il dodici gennaio, infatti, i deputati staranno tra gli scranni appena 25 minuti effettivi. È il caso di tralasciare, tra l'altro, il numero reale dei parlamentari in Aula. Un'Aula spesso vuota come una strada di periferia alle quattro del mattino. Il giorno dopo, si è fatto persino di meglio. I minuti stavolta sono ventiquattro. Del tutto inutili, tra l'altro, perché l'Aula, che avrebbe dovuto affrontare il tema di un disegno di legge rivolto ai lavoratori della Formazione, ha preso semplicemente atto dell'assenza del governo e ha rimandato tutto al giorno dopo. Quando invece la seduta toccherà la vertiginosa quota dei quarantaquattro minuti. Una maratona, insomma. Utile per vedere affossato dai franchi tiratori proprio quel disegno di legge.
Dopo quella faticata, il meritato riposo. L'Ars si è fermata per dodici giorni. “Un tempo utile per dare alle commissioni di merito il tempo di esaminare la legge Finanziaria”. Per carità. Peccato che dopo quei dodici giorni di studio matto e disperato, l'Assemblea si è accorta di aver concluso poco o nulla. Tanto è vero che la conferenza dei capigruppo convocata per martedì scorso, ha deciso l'arrivo della manovra a Sala d'Ercole solo per il 16 febbraio. Un mese e mezzo dopo l'approvazione dell'esercizio provvisorio. E a meno di due settimane dalla scadenza dello stesso. Una decisione, quella dei capigruppo, che è stata a quel punto ufficializzata in Aula. Poi, tutti a casa. Dopo 23 minuti. Appuntamento a febbraio. Per gennaio, in effeti, si è già fatto abbastanza.
Le tre ore di lavoro di gennaio a Palazzo dei Normanni sono costate ai siciliani la bellezza di cinque milioni. Tanto costa, al mese, l'Assemblea regionale. Se escludiamo dal conteggio spese come quelle riguardanti le pensioni, che poco hanno a che vedere con la produttività dell'Assemblea. Ma che porterebbero i costi a oltre dodici milioni al mese.
Ci siamo limitati, quindi, solo ai costi strettamente legati all'attività parlamentare. A cominciare, ovviamente, dalle indennità dei deputati. Questo inutile gennaio, infatti, l'Ars erogherà comunque circa un milione e mezzo agli onorevoli che di certo non si sono ammazzati di fatica. La spesa annua per gli stipendi dei deputati infatti è superiore ai 16 milioni di euro. Ma a questa, ovviamente, va aggiunta la spesa legata a tutto ciò che ruota attorno al parlamentare: personale di segreteria, consulenze, auto di servizio. In un anno all'Ars costano – i dati sono quelli dell'ultimo bilancio di previsione – 3,7 milioni di euro: in un mese, quindi, circa 300 mila euro. Ma insieme ai consulenti ecco i cosiddetti “portaborse” o, per meglio dire, i dipendenti dei gruppi parlamentari, la cui busta paga è garantita dalla voce “Contributi ai gruppi”: altri 6,2 milioni di euro, che in un mese fanno oltre mezzo milione.
Ma ovviamente, il silenzio di Sala d'Ercole non si traduce nella chiusura di un palazzo dove lavorano decine di dipendenti. Assolutamente “incolpevoli”, ovviamente, della inerzia dei politici. Gli stipendi dei dipendenti dell'Ars, però, la cui somma complessiva è notevolmente calata negli ultimi anni, costano ancora 26,7 milioni di euro l'anno. Più di due milioni al mese. Anche questo mese. Quello di gennaio in cui le sedute sono poche e – come vedremo – dalla brevità imbarazzante. Alle spese poi necessarie anche in questo mese di vacanza camuffata, ecco quelle riferibili al cerimoniale e all'attività istituzionale (2,5 milioni l'anno, quindi duecentomila euro al mese) e quella relativa alla manutenzione e alla fruizione di beni e servizi: altri 5,8 milioni annui, quindi quasi mezzo milione al mese.
Per un totale di circa cinque milioni di euro al mese. Tutte spese che l'Ars ha dovuto affrontare nonostante il risultato sia poco lusinghiero: a gennaio le sedute complessive dell'Aula saranno solo cinque. Nell'ultima, infatti, svolta martedì dopo quasi due settimane di “pausa di riflessione”, i parlamentari si sono dati appuntamento al due febbraio. E il numero delle sedute non rende nemmeno l'idea dell'immobilismo di Sala d'Ercole.
Così, è necessario entrare nel dettaglio. La seduta del sette gennaio, infatti, è durata, al netto delle pause, meno di un'ora. Una seduta-flash penserà qualcuno? No. Questa è la più lunga del mese. Le altre, infatti, raramente supereranno la mezz'ora. Il dodici gennaio, infatti, i deputati staranno tra gli scranni appena 25 minuti effettivi. È il caso di tralasciare, tra l'altro, il numero reale dei parlamentari in Aula. Un'Aula spesso vuota come una strada di periferia alle quattro del mattino. Il giorno dopo, si è fatto persino di meglio. I minuti stavolta sono ventiquattro. Del tutto inutili, tra l'altro, perché l'Aula, che avrebbe dovuto affrontare il tema di un disegno di legge rivolto ai lavoratori della Formazione, ha preso semplicemente atto dell'assenza del governo e ha rimandato tutto al giorno dopo. Quando invece la seduta toccherà la vertiginosa quota dei quarantaquattro minuti. Una maratona, insomma. Utile per vedere affossato dai franchi tiratori proprio quel disegno di legge.
Dopo quella faticata, il meritato riposo. L'Ars si è fermata per dodici giorni. “Un tempo utile per dare alle commissioni di merito il tempo di esaminare la legge Finanziaria”. Per carità. Peccato che dopo quei dodici giorni di studio matto e disperato, l'Assemblea si è accorta di aver concluso poco o nulla. Tanto è vero che la conferenza dei capigruppo convocata per martedì scorso, ha deciso l'arrivo della manovra a Sala d'Ercole solo per il 16 febbraio. Un mese e mezzo dopo l'approvazione dell'esercizio provvisorio. E a meno di due settimane dalla scadenza dello stesso. Una decisione, quella dei capigruppo, che è stata a quel punto ufficializzata in Aula. Poi, tutti a casa. Dopo 23 minuti. Appuntamento a febbraio. Per gennaio, in effeti, si è già fatto abbastanza.
Boschi, melina dell’anagrafe per fornire lo stato di famiglia della ministra. Per lei trattamento speciale nel governo. - Antonio Massari e Valeria Pacelli
Quelli degli altri componenti dell'esecutivo, dal presidente del Consiglio Matteo Renzi al ministro Padoan, sono accessibili in tempo reale, basta compilare un modulo e pagare un bollo. Per Maria Elena e i suoi parenti invece servono imprecise autorizzazioni che la legge non prevede e l'ok del prefetto. Solo dopo la denuncia del Fatto Quotidiano gli atti sono diventati accessibili. Ecco il risultato delle nostre verifiche.
L’ufficiale di anagrafe rilascia a chiunque ne faccia richiesta, i certificati concernenti la residenza e lo stato di famiglia”. Trattasi di una norma ancora in vigore, che non prevede “autorizzazioni” e può essere limitata solo con “leggi speciali”, eppure, quando pronunciamo il nome di Pier Luigi Boschi all’ufficio anagrafe del Comune di Laterina (Arezzo), la vicenda si complica. L’imbarazzo delle impiegate prende la scena. Un imbarazzo comprensibile, poiché quel che avviene normalmente, per qualsiasi cittadino italiano, qui trova un’interessante eccezione: per ottenere lo stato di famiglia del signor Boschi, padre della ministra Maria Elena, ci dicono che bisogna scomodare la Prefettura e attendere imprecisate autorizzazioni.
Siamo qui, a Laterina, per provare a capire qualcosa in più sull’uomo che sta mettendo in imbarazzo il governo. Parliamo del signor Boschi già vicepresidente di Banca Etruria, già indagato e archiviato per una compravendita di terre e casali in provincia di Arezzo, frequentatore di personaggi oscuri come FlavioCarboni. Vorremmo conoscere qualche elemento in più sulla sua storia, sui suoi parenti, considerate anche le indiscrezioni divulgate ieri da Aldo Giannuli, storico dei Servizi e delle più segrete vicende italiane, sospetta la frequentazione “organica” di tale Francesco Boschi, – che secondo Giannuli potrebbe essere parente di Pier Luigi e Maria Elena Boschi – con la P2 e Licio Gelli. E quando chiediamo all’impiegata di darci copia dello stato di famiglia, ecco la risposta: “Non sono certa di poterglielo rilasciare”. “Scusi”, ribattiamo, “ma se le chiedo lo stato di famiglia di qualcun altro, lei me lo dà?”. “Sì, anche in giornata”. “Quindi – continuiamo – questa regola vale solo per Boschi?”. “Sì”, replica l’impiegata sempre più paonazza.
“Abbiamo ricevuto una direttiva interna, con comunicazioni del prefetto di Arezzo, che non ci consente di rilasciare il documento immediatamente. Inoltriamo la sua richiesta, se avremo l’autorizzazione, la contatteremo per consegnarglielo; se le negheranno il documento, saranno tenuti a spiegarle il perché. Ora protocolliamo, poi le faremo sapere, non dipende da noi, se la risposta sarà negativa le comunicheremo il motivo. Per lo stato di famiglia del ministro sono state impartite queste direttive”. Ribattiamo per l’ultima volta: “Chiediamo lo stato di famiglia del padre della ministra, Pier Luigi, non del ministro”. “Fa lo stesso”, stringe le spalle l’impiegata.
Sorge il dubbio che la Prefettura abbia adottato una prassi a noi sconosciuta, che forse riguarda ogni ministro della Repubblica, così proviamo a verificare se esistano norme speciali che riguardano i ministri e i loro parenti.
Telefoniamo all’ufficio anagrafe di Agrigento, per chiedere se possiamo avere copia dello stato di famiglia di Angelino Alfano, ministro dell’Interno. “Ci invii una lettera con la richiesta e alleghi un suo documento d’identità, glielo spediamo appena possibile, oppure venga di persona con una marca da bollo da 16 euro e glielo consegniamo”, è la risposta dell’impiegato. Restrizioni? Direttive? Autorizzazioni? “Assolutamente no”, è la risposta. Proviamo con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che risiede a Roma.
All’ufficio anagrafe di via Petroselli la faccenda si risolve in pochi minuti: compilato il modulo, pagati 16 euro in marca da bollo, lo stato di famiglia di Padoan ci viene consegnato all’istante. Telefoniamo all’ufficio anagrafe di Firenze e chiediamo se è possibile avere l’atto che certifica lo stato di famiglia del premier Matteo Renzi. L’unica condizione – ci spiegano – è che il presidente del Consiglio sia ancora residente a Firenze: possiamo richiedere l’atto “anche online”, se abbiamo la pazienza di aspettare un mese, altrimenti ce lo consegnano di persona, “allo sportello anagrafe”, come avviene per tutti i cittadini italiani. A eccezione, a quanto pare, di Maria Elena Boschi e famiglia.
L’impiegata di Laterina ci ha parlato di un “atto interno, dal prefetto a noi”, così contattiamo la Prefettura. “Non c’è alcuna direttiva del prefetto”, ci dicono, “la legge non ci consente di porre altri limiti, oltre quelli già previsti, quindi non esiste nessuna limitazione che riguardi Pier Luigi Boschi. Dopo la sua telefonata, piuttosto, siamo stati noi a contattare i vertici dell’amministrazione comunale, rimuovendo questo presunto e inesistente limite”. Insomma, la prefettura nega di aver emanato direttive che dispongano, per lo stato di famiglia Boschi, alcuna autorizzazione. Proviamo a ricontattare l’impiegata, per capire se la sua è stata un’iniziativa personale. “No”, ci assicura, “esiste una direttiva interna che ci impone, se qualcuno chiede un documento che riguarda la famiglia Boschi, di chiedere l’autorizzazione per rilasciarlo”.
Dobbiamo dedurne che si tratta di una direttiva comunale e non più prefettizia. L’impiegata ci richiama: “Il sindaco ci ha autorizzato, passi domani mattina”. Vedremo. Resta il fatto che, dopo un’intera giornata, il documento non l’abbiamo ancora ottenuto; che in tutta Italia – a meno di non chiamarsi Boschi – la legge non prevede alcun tipo di autorizzazione. E che inspiegabilmente, come ammette l’impiegata, “in un’altra occasione, il certificato della ministra, è stato negato”.
AGGIORNAMENTO
Ieri alle 11 del mattino il certificato viene consegnato. Non è più segretato. Lo stato di famiglia di Pier Luigi Boschi, padre del ministro Maria Elena, torna a essere un documento come gli altri, può essere rilasciato al pari di qualsiasi cittadino italiano, come impone la legge. Due giorni fa, al comune di Laterina, in provincia di Arezzo, gli impiegati avevano avanzato strane ragioni: “Dobbiamo attendere – diceva l’ufficiale dell’anagrafe – c’è un atto interno che mi blocca, un provvedimento nostro (del Comune, ndr) sul rilascio della certificazione del ministro, le faremo sapere se possiamo rilasciarlo, se mi dicono che non posso darglielo, le sarà spiegato ufficialmente il perché”. Ieri mattina tutto torna nella norma. Strano. Dal sindaco non arriva alcuna smentita sul nostro articolo e sulla segretazione che vi abbiamo raccontato. Il segretario comunale invece nega l’esistenza di alcun “provvedimento”. E così tutto ricade sull’ufficiale dell’anagrafe.
(articolo del 28 gennaio 2016, aggiornato il 29 gennaio)
LE PIANTE OFFICINALI CHE POSSONO SOSTITUIRE PARACETAMOLO E IBUPROFENE. - Marta Albè
Nel mondo siamo ormai giunti ad un consumo eccessivo di farmaci che alleviano i sintomi in breve tempo e non ci permettono di andare alle radici della malattia. In alcune situazioni i farmaci sono indispensabili mentre in altri casi potrebbe essere utile riscoprire la medicina dolce e i rimedi naturali.
I farmaci più noti e utilizzati sono il paracetamolo e l’ibuprofene. Il paracetamolo viene utilizzato soprattutto per abbassare la febbre mentre l’ibuprofene è noto in particolare come antidolorifico e antinfiammatorio.
Proprio sintomi come febbre e dolore indicano che il nostro corpo sta attraversando un processo di guarigione. Ad esempio, è noto che la febbre è una risposta immunitaria naturale del nostro organismo contro i microbi che causano le malattie. Anche l’infiammazione e il dolore rappresentano reazioni naturali del nostro organismo rispetto ad un trauma.
Una sana alimentazione, l’idratazione corretta e l’utilizzo di rimedi naturali aiutano il nostro corpo a mantenersi in salute e a favorire il processo di guarigione. Alcune piante officinali hanno un effetto simile a quello dei medicinali più noti. Ve ne indichiamo alcune.
1) Zenzero
La scienza sta approfondendo sempre più i benefici dello zenzero. I ricercatori dell’Università di Odessa indicano che lo zenzero ha effetti anti-infiammatori superiori all’ibuprofene e ai farmaci non steroidei più utilizzati. Inoltre lo zenzero calma il vomito e il senso di nausea, ha una funzione antidolorifica contro l’emicrania, stimola il sistema immunitario e protegge il colon.
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2) Curcuma
La curcuma viene utilizzata da più di 4000 anni ed è nota ormai in tutto il mondo per le sue numerose proprietà benefiche. In particolare, la curcuma ha un potenziale contro varie malattie come diabete, allergie, artrite, morbo di Alzheimer e malattie cardiache.
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3) Corteccia di salice
La corteccia di salice viene utilizzata come analgesico, antinfiammatorio, antipiretico, anticoagulante, astringente e rimedio lenitivo e disintossicante. Viene impiegata in caso di dolori mestruali, mal di testa, sciatica, fibromialgia e dolori reumatici. E’ anche un sedativo naturale e tradizionalmente viene utilizzata per trattare verruche e calli. Il suo principio attivo è la salicina e gli effetti in caso di febbre o influenza sono simili a quelli dell’aspirina. Aspirina e corteccia di salice infatti condividono lo stesso ingrediente chiave, rappresentato dalla salicina. Chi è allergico all’aspirina dovrebbe evitare di assumere anche i rimedi a base di corteccia di salice.
4) Uncaria tomentosa
L’Uncaria tomentosa è una pianta conosciuta con il nome di unghia di gatto. Si tratta di una pianta rampicante impiegata nella medicina popolare. E’ originaria della selva peruviana. E’ ampiamente utilizzata in America Latina tra le comunità indigene e contadine. Viene considerata utile come antinfiammatorio e per le sue proprietà decongestionanti, antibatteriche e antivirali. Stimola il sistema immunitario e viene considerata utile in caso di emorroide, gastriti, ulcere, diverticolite e colite.
5) Boswellia
La boswellia è una pianta dalle proprietà antinfiammatorie che si è dimostrata efficace al pari dei farmaci antinfiammatori non steroidei, come l’ibuprofene. E’ considerata utile in caso di asma, artrite, allergie, colite ulcerosa, gonfiore e rigidità delle articolazioni e morbo di Chron. Dalla resina delle piante di boswellia si ricava l’incenso.
6) Peperoncino
Il principio attivo del peperoncino è la capsaicina, una sostanza dotata di un potente effetto analgesico, dato che inibisce il rilascio dei principali neurotrasmettitori degli stimoli dolorosi. Inoltre il peperoncino aumenta il rilascio di endorfine e favorisce il benessere e la resistenza al dolore. Può essere utile per migliorare le funzioni di stomaco e intestino. Aumenta il metabolismo e contribuisce alla perdita di peso.
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IGNAME, UN TUBERO RICCO DI PROPRIETÀ BENEFICHE. - Marta Albè
La dioscorea, nota anche come igname o yam, rappresenta un genere di piante coltivate in tutte le regioni tropicali del mondo a scopo alimentare. Produce una varietà di tuberi ricchi di amido che ricordano le patate dolci.
I termini igname, yam e dioscorea vengono utilizzati sia per indicare la piante che per parlare del tubero come alimento. In Brasile questo tubero viene chiamato inhame e viene considerato un alimento ricco di proprietà benefiche per il nostro organismo.
Nel libro “Happy Mouth & Yam” Sonia Hirsch spiega che questo tubero aiuta il nostro organismo ad eliminare le impurità del sangue attraverso la pelle, i reni e l’intestino. In passato l’igname veniva utilizzato come rimedio naturale per la cura della sifilide.
L’igname rafforza il sistema immunitario e, secondo la medicina orientale, rafforza i linfonodi. Inoltre ha effetti positivi nella prevenzione e nel trattamento della malaria, della febbre gialla e del dengue. Secondo l’autrice, quando le piantagioni di igname sono state sostituite da altre coltivazioni, interi villaggi sono stati colpiti dalla malaria.
Questo tubero può essere mangiato crudo, bollito, fritto, arrosto, in zuppe o purè, ma viene anche impiegato nella preparazione dei dolci e per fare il pane. Gli impasti a base di igname sono leggeri e facili da digerire anche per i bambini e per gli anziani. I suoi valori nutrizionali sono superiori a quelli delle patate.
Nei Paesi in cui l’igname viene coltivato può sostituire senza problemi le patate nell’alimentazione, apportando tra l’altro maggiori benefici per la salute. Gli utilizzi dell’igname non sono soltanto alimentari.
Infatti tradizionalmente questo tubero viene utilizzato anche come rimedio naturale per le verruche, le unghie incarnite, le spine conficcate nella pelle e le cisti sebacee. Ha proprietà antinfiammatorie e viene consigliato in caso di artrite, reumatismi, emorroidi, appendicite, sinusite, nevralgie ed eczema.
Viene utilizzato anche immediatamente in caso di ustioni e di fratture come rimedio naturale per alleviare il gonfiore e il dolore. E’ considerato utile anche per abbassare la febbre. Conoscevate questo alimento? Lo avete mai assaggiato, magari durante uno dei vostri viaggi?