sabato 26 marzo 2016

Alla sbarra vigilessa "annulla multe". - Martino Villosio



"Dimenticati" nel cassetto i ricorsi del figlio e degli amici Decorsi 60 giorni la sanzione veniva automaticamente annullata.

Avrebbe fatto annullare decine di multe, «dimenticando» nel cassetto i ricorsi degli automobilisti senza trasmetterli alla prefettura come previsto dalla legge e facendo in questo modo decadere le sanzioni. 
Una distrazione sospetta, quella imputata a una vigilessa romana, visto che tra i «graziati», secondo la procura, ci sarebbe anche il figlio della donna oltre ad una pattuglia di suoi conoscenti. L’ultimo agguato al fegato dell’automobilista capitolino medio senza santi in paradiso, da tempo avvezzo a trasalire ed a sgranare il rosario ad ogni visita del postino dopo aver inondato più volte al mese di calde lacrime il parabrezza "battezzato" da vigili e ausiliari del traffico, si è consumato ieri in un’aula di piazzale Clodio. A processo davanti tribunale collegiale, accusata di abuso d’ufficio continuato, c’era una donna di 52 anni, istruttore di Polizia Municipale presso il XIII Gruppo Aurelio. 
Secondo quanto ricostruito nel capo di imputazione, nello svolgimento delle mansioni di responsabile dell’attività istruttoria delle pratiche d’ufficio svolte dal Reparto Elaborazione Sanzionatorio, avrebbe omesso di trasmettere al prefetto di Roma gli atti relativi a 29 ricorsi contro multe comminate tra il 2011 e il 2012. In questo modo avrebbe procurato intenzionalmente agli autori delle violazioni un «ingiusto vantaggio patrimoniale, consistente nel mancato pagamento della sanzione amministrativa in assenza di qualsivoglia valutazione sulla fondatezza dell’accertamento». Il tutto «in violazione degli obblighi di lealtà, correttezza e trasparenza incombenti sul pubblico ufficiale».
Il Codice della Strada infatti, all’articolo 203, prevede che il responsabile del comando cui appartiene l’organo «accertatore» trasmetta al prefetto gli atti del ricorso ricevuto contro un verbale di multa entro 60 giorni dal deposito. Se questo termine perentorio non viene rispettato il ricorso, secondo la legge, è da considerarsi automaticamente accolto. Nel caso specifico, come detto, i ricorsi degli automobilisti non sarebbero neppure stati inviati in prefettura: una versione aggiornata dell’antica prassi del «verbale stracciato», italianissima cortesia riservata all’amico o al parente ormai divenuta impraticabile e facile da smascherare negli uffici pubblici.
Ieri in aula, davanti al pm Francesco Scavo, hanno sfilato come testimoni alcuni colleghi della vigilessa a processo. È stato proprio il pm a sottolineare come, nella lista dei ricorsi che sarebbero stati nascosti, ce ne sia anche uno relativo ad una multa presa dal figlio dell’imputata ed altri riferiti a sanzioni elevate a carico di alcuni conoscenti della donna. In base a quanto ricostruito ieri in aula, la vigilessa sarebbe stata smascherata per puro caso dagli stessi colleghi del suo reparto ad ottobre 2013. Un giorno in cui lei era assente dal lavoro, la procura di Roma chiamò nel suo ufficio per chiedere urgentemente la pratica di un accertamento demaniale. Un collega avrebbe allora contattato la donna al telefono, per sapere dove potesse trovarsi il fascicolo che stava seguendo proprio lei. La signora avrebbe risposto di guardare dappertutto, anche nella vaschetta con le cartelle di sua competenza sistemata - insieme a quelle degli altri vigili dell’ufficio - sopra una mensola. Proprio lì il suo collega avrebbe rinvenuto una busta con la scritta «ricorsi 2012»: all’interno c’erano le multe ormai da tempo scadute e mai trasmesse al prefetto. «Sono cose mie», avrebbe replicato la donna alla richiesta di chiarimenti sul contenuto del plico come ha raccontato ieri in aula il pubblico ufficiale autore della scoperta. Da quella risposta evasiva sarebbe quindi partita l’inchiesta coordinata proprio dall’ex comandante del XIII Gruppo Aurelio Davide Orlandi, anche lui ascoltato ieri dal pm Scavo in qualità di testimone di polizia giudiziaria.

Appalti pubblici, 80 rinviati a giudizio. - Andrea Ossino

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A processo per false attestazioni di requisiti il numero uno dell’Axsoa, Calcagni. Dovrà rispondere ai giudici anche l’ex presidente dell’Autorità di Vigilanza Brienza.

Politici, dirigenti, attrici e imprenditori. 
Sono circa 80 le persone rinviate a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sulle false attestazioni rilasciate dalla società Axsoa, l’azienda investita dall’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Giancarlo Cirielli e dal procuratore aggiunto Nello Rossi. 

I magistrati contestano, a seconda delle posizioni, i reati di associazione per delinquere, corruzione, falso e abuso d’ufficio. Secondo gli inquirenti, la Axsoa, società specializzata nella certificazione dei requisiti per la partecipazione agli appalti pubblici, era in grado di accontentare anche le imprese non in regola. 
Naturalmente occorreva elargire del denaro. 
Non si trattava certo di pochi spiccioli. Le tariffe per una falsa attestazione infatti, stando a quanto ricostruito dai magistrati romani, potevano arrivare ad attestarsi su cifre che si aggiravano intorno a 700 mila euro. Nonostante si trattasse di una cifra importante, questa sarebbe apparsa ragionevole. 
In ballo c’erano infatti alcuni tra i più corposi appalti pubblici banditi da aziende del calibro di Ama, Atac e Cotral, delle Poste, dei ministeri, del provveditorato per i Lavori pubblici o dei grandi ospedali. 
In questa storia dove i controllori si piegano agli interessi dei controllati, secondo quanto emerge dagli atti a disposizione della procura di Roma, la posta in ballo era rappresentata dalle Soa. Compito delle Società organismo di Attestazioni era quello di rilasciare documenti che fino a due anni fa, erano essenziali per le imprese che intendevano partecipare a gare d’appalto pubbliche. Nell’ordinanza il gip Simonetta D’Alessandro parla di un sistema criminoso basato su «un collaudato ed organizzato sistema, mascherato dietro l’attività di carattere pubblicistico esercitato dall’Axsoa spa, volto a vendere ai clienti della società di attestazione non già un servizio corretto ed imparziale di verifica dei requisiti e di successiva attestazione, bensì un pacchetto completo costituito dalla vendita dei requisiti di attestazione solo cartolare». Il prossimo 14 settembre, tra i numerosi imputati chiamati a difendersi dalle accuse mosse dalla procura di piazzale Clodio, c’è anche l’ex presidente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, Giuseppe Brienza. L’attività di indagine delle Unità speciali Nucleo Tutela Mercati della Guardia di Finanza aveva condotto i magistrati capitolini a ritenere che Brienza, grazie alle pratiche «addomesticate» sarebbe riuscito ad ottenere consistenti benefit. 
Negli atti dell’inchiesta, spunta infatti un box auto pagato da un imprenditore e un attico a viale Nizza. Un immobile che Mario Calcagni aveva messo a disposizione, a titolo completamente gratuito, per la figlia di Brienza. 
Poi c’è la vicenda relativa ad un posto di lavoro per la sua compagna, e quella che riguarda una consulenza da 5000 euro al mese di cui lo stesso Brienza avrebbe beneficiato nella stessa Soa, ente che avrebbe dovuto controllare. Mario Calcagni, 64 anni, doveva essere un comune impiegato dell’Axsoa, ma in realtà, sarebbe stato una sorta di padre padrone dell’azienda. Era lui, secondo i pubblici ministeri, a ridistribuire le mazzette. Anche la moglie, Raffaella Bigonzi, in arte Raffaella Bergè, era finita nella bufera giudiziaria. La protagonista della soap opera «Centovetrine», secondo il gip avrebbe compiuto «operazioni atte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa» di un assegno circolare di 200mila euro. Anche Alfredo Gherardi, sempre della società Axsoa spa avrebbe gestito il presunto business illecito. Tra i nomi iscritti sul registro degli indagati spunta quello di Massimo Colletti, del direttore generale della Vigilanza, Maurizio Ivagnes, del funzionario dell'Ufficio Qualificazione Maria Grassini e del deputato di Scelta Civica, Angelo D'Agostino. Per il primo, ieri, il giudice per l’udienza preliminare ha dichiarato il non luogo a procedere. Nel caso di altri 3 indagati: Ivangnes, Francesco Di Svevo e Tiziana Carpinello, come nei confronti di Brienza il giudice ha dichiarato il non luogo a procedere limitatamente al reato di rivelazione del segreto d’ufficio. La posizione dell’ex presidente della Corte dei conti, Luigi Gianpaolino, era già stata archiviata. In abbreviato invece Gino Sorvillo è stato condannato a tre anni di reclusione. Mentre Bernardino Ciccarella è stato assolto. Per le circa 80 persone rinviate a giudizio, il prossimo appuntamento è fissato al 14 settembre, giorno in cui avranno la possibilità di difendersi raccontando la loro verità.