sabato 1 ottobre 2016

Il terremoto ad Amatrice è un affare per Pd e coop. - Giuseppe Marino



L'appalto di un miliardo per la costruzione delle case di legno vinto da un consorzio di Legacoop.

Manco il tempo di iniziare a parlare di ricostruzione e già s'insinua il sospetto che il «modello Emilia» in salsa amatriciana si traduca in una pioggia di appalti per le coop rosse.
Dell'area culturale e geografica vicina al commissario per la ricostruzione Vasco Errani del resto fanno parte alcuni giganti delle costruzioni. La voce che ha messo in allarme il mondo produttivo reatino è che sia già pronto un «pacchetto imprese» per le opere di messa in sicurezza dell'area del cratere, pacchetto privo di imprese locali.
Forse è solo una diceria. Ma qualche certezza intanto c'è. Una è che il primo appalto, quello per la costruzione dei Map, i moduli abitativi provvisori, ovvero le famose casette di legno che ospiteranno i terremotati fino a ricostruzione completata, sia andato a un gruppo di aziende in cui spicca il ruolo del Cns, un consorzio bolognese targato Legacoop di cui fanno parte 192 cooperative, tra cui una di quelle che facevano riferimento all'onnipresente Salvatore Buzzi. Il Cns, denunciano i Cinque Stelle, «ha già appaltato parte delle costruzioni a un altro gruppo, Cosp Tecnoservice che ha finanziato nel 2015 la campagna di Catiuscia Marini (la governatrice Pd dell'Umbria) sia pure con una somma modesta». L'altra certezza è che i sindacati del Lazio sentono già odore di bruciato e sono corsi a bussare alla porta della Regione per fissare i paletti. I segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil nei giorni scorsi hanno incontrato tre assessori regionali presso la Camera di commercio di Rieti, mettendo sul piatto tre richieste: far lavorare manodopera del posto, far lavorare aziende locali e trovare la copertura normativa necessaria a realizzare questi due obiettivi, mettendo in grado le imprese locali, che sono medio-piccole, di entrare nel giro degli appalti.
Anche sul versante degli imprenditori c'è più di qualche perplessità. «Già nei primi lavori i materiali sono arrivati da fuori - dice Gianfranco Castelli, presidente uscente di Unindustria Rieti e proprietario di un'azienda proprio ad Accumoli, epicentro del terremoto - se vogliono aiutare questo territorio devono almeno dare una chance di competere alle aziende locali». Il sindaco di Accumoli Stefano Petrucci avvisa i suoi conterranei: «Non possono pensare di partecipare a grandi appalti se non si consorziano e non acquisiscono le qualifiche necessarie».
Il terremoto è stato una tragedia terrificante. Il dopo terremoto, è inutile nasconderlo, può portare risorse a un territorio che conta tra le potenziali vittime anche la fragile economia locale. E i numeri sono giganteschi: la stima della Protezione civile è di 3-4 miliardi di danni. L'appalto delle casette è un primo piatto ricco. Bandito dalla Consip nel 2014, in via preventiva, vale 1,188 miliardi, pari a 1.075 euro al metro quadro. Una tariffa che, nota un'inchiesta dell'Espresso, è più cara di quanto pagato all'Aquila. E soprattutto è più di quanto costi qualunque casa ad Amatrice e dintorni, dove i prezzi arrivano a 840 euro al metro quadro. Per una villa.

Deutsche Bank, il primo istituto tedesco spolpato dagli illeciti e il rischio di un effetto domino sul sistema finanziario. - Muro Del Corno

Deutsche Bank, il primo istituto tedesco spolpato dagli illeciti e il rischio di un effetto domino sul sistema finanziario

La banca oggi vale in borsa 15 miliardi di euro contro i 30 di un anno fa e sono schizzati all'insù i Credit default swap con cui gli investitori si assicurano contro il suo fallimento. Le sue strette interconnessioni con il sistema bancario e assicurativo teutonico e con i big della finanza globale fanno pensare che se la situazione degenera interverrà il governo tedesco. Cosa che farebbe però scattare il bail in.

Si è conclusa l’ennesima e non ultima settimana di passione per Deutsche Bank. La prima banca tedesca ha visto le sue azioni muoversi sulle montagne russe, sprofondare sui minimi degli ultimi 24 anni e poi in parte risollevarsi. Un anno fa la banca valeva in borsa 30 miliardi di euro, oggi circa 15. Il prezzo dei suoi bond convertibili (i primi ad essere colpiti in caso di ristrutturazione) è precipitato mentre sono schizzati sopra i 500 punti, dai 90 di gennaio, i Credit default swap, titoli con cui gli investitori si assicurano contro il fallimento di una società o uno stato. Il segnale più preoccupante è stata però la decisione di dieci hedge fund di ritirare liquidità e ridurre la loro esposizione verso la banca tedesca.
Durante la settimana si sono rincorse dichiarazioni e ipotesi su un possibile aiuto pubblico alla banca. Su diversi organi di stampa tedeschi sono comparse ipotesi di questo tipo, il governo tedesco ha però smentito, così come i vertici della banca. Il numero uno della Bce Mario Draghi, in visita a Berlino, sollecitato più volte su una valutazione della situazione della banca non ha rilasciato dichiarazioni. L’annuncio di mercoledì della cessione della compagnia assicurativa britannica Abbey life per 1 miliardo di euro ha fornito un po’ di ossigeno alla banca. Ma si è trattato di una tregua effimera. All’origine della nuova bufera c’è l’annuncio del dipartimento di Giustizia statunitense di una possibile multa fino a 14 miliardi di dollari per comportamenti scorretti nella vendita di obbligazioni legate ai mutui subprime prima e durante la crisi del 2008. Come sempre accade in questi casi la sanzione sarà drasticamente ridimensionata: secondo indiscrezioni l’accordo dovrebbe collocarsi intorno ai 5,4 miliardi di dollari. Per vicende molto simili Goldman Sachs ha versato 5 miliardi, JP Morgan poco più di 3 miliardi. Tuttavia, anche in caso di accordo, la multa del dipartimento di giustizia a stelle e strisce prosciuga quasi completamente i 5,5 miliardi di euro accantonati da Deutsche Bank per far fronte a sanzioni e contenziosi nel 2016.
Non solo. La disputa con il tesoro Usa è solo l’ultima di una serie di vicende legate a comportamenti scorretti della banca, che sono sinora costate al colosso tedesco circa 20 miliardi di euro. E all’orizzonte si profilano già altre nubi nere . La banca sarebbe stata infatti parte attive in una serie di operazioni finanziarie che hanno consentito a società e miliardari russi di trasferire soldi all’estero aggirando le sanzioni contro Mosca per il conflitto in Ucraina. Una causa che secondo fonti della banca sarebbe molto difficile da quantificare nelle sue ripercussioni economiche.
Le conseguenze di ripetuti comportamenti illegali stanno di fatto spolpando le risorse di una banca che pur registrando ricavi in crescita oltre i 33 miliardi di euro si trova come molti istituti europei a fronteggiare un calo della redditività. Deutsche Bank deve anche gestire un’ingente quantità di titoli tossici ancora iscritti a bilancio. In particolare i derivati di livello 3, ossia quelli a cui si può affibbiare un prezzo solo ipotetico non essendo trattabili sui mercati e non essendoci strumenti simili a cui rapportarne il valore, ammontano a 30 miliardi di euro. Un valore però del tutto teorico e calcolato dalla stessa banca con modelli interni. Alla prova dei fatti i titoli potrebbero valere parecchio di meno. La banca dispone di un capitale di 62 miliardi di euro e il valore di borsa si è ormai ridotto ad appena lo 0,2% di questa cifra. Questo significa tra le altre cose che il mercato crede che questa dotazione finanziaria verrà probabilmente erosa in futuro da ulteriori perdite. Deutsche Bank ha inoltre un’elevata leva finanziaria, pari a quasi 1 a 30. Ossia ha molti investimenti in rapporto al capitale di cui dispone, che verrebbe quindi azzerato completamente anche in caso di perdite relativamente modeste. Circa due mesi fa l’istituto di ricerca tedesco Zew ha calcolato che per reggere in una situazione di generalizzata crisi finanziaria Deutsche Bank avrebbe bisogno di rafforzare il suo capitale per 19 miliardi euro rispetto ai valori attuali. Il gap più alto d’Europa insieme alle francesi Société Générale (13 miliardi) e Bnp paribas (10 miliardi).
Questi numeri dicono anche che il gruppo tedesco prende molti soldi a prestito con varie modalità. Una condizione che solleva un altro problema: le fortissime ed estese interconnessioni che la banca tedesca ha in essere con tutte le altre principali banche e istituzioni finanziarie del mondo che ne fanno uno dei soggetti che presenta il più elevato rischio sistemico al mondo. In altri termini è la banca la cui ipotetica bancarotta avrebbe le conseguenze più devastanti per il sistema finanziario mondiale,come ha sottolineato anche il Fondo monetario internazionalelo scorso giugno. Posta al centro del sistema finanziario tedesco, Deutsche Bank ha strette connessioni con i colossi assicurativi AllianzMunich ReHannover Re e con tutto il sistema bancario teutonico. Ma il problema va ben oltre i confini nazionali. Tutti i big della finanza sono più o meno strettamente connessi con la banca tedesca, a cominciare da HSBCBarclaysUbs, Credit Agricole, Bnp Paribas e Unicredit. Difficile quindi che qualcuno non si muova qualora la situazione degeneri. A Berlino i soldi per fronteggiare l’emergenza non mancano, ma un intervento pubblico farebbe scattare la nuova regolamentazione sui salvataggi bancari (bail in) coinvolgendo quindi anche azionisti,obbligazionisti e correntisti con più di 100mila euro sul conto. La buona notizia è solo che, a differenza ad esempio di Mps, i bond subordinati (i primi ad essere aggrediti in caso di salvataggio) sono collocati in prevalentemente presso investitori istituzionali.
L’emergenza Deutsche Bank ha posto un po’ in secondo piano quello che sta accadendo all’altra grande banca tedesca,Commerzbank, a sua volte alle prese con una complessa ristrutturazione che le permetta di ritrovare redditività ed utili. Ieri Commerzbank ha annunciato il taglio di quasi 10mila posti di lavoro e lo stop all’erogazione di dividendi. Il terzo trimestre dovrebbe infatti chiudersi con una perdita. La banca, che presenta un rischio sistemico decisamente più contenuto rispetto a Deustche Bank, non si è mai pienamente ripresa dalla crisi del 2008, superata solo grazie a un importante sostegno pubblico. Tra i fattori di preoccupazione c’è anche l’esposizione nei confronti del mondo del trasporto delle merci marittime, in grave difficoltà come ha dimostrato la recente bancarotta della sudcoreana Hanjin. Commerzbank ha chiuso questo business nel 2012, ma avrebbe ancora a bilancio prestiti verso il settore per circa 8 miliardi di euro.