i glicini di cetta

Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.

venerdì 10 agosto 2018

L’ufficio del renziano Marcucci e gli affari della famiglia toscana. - Riccardo Ferrazza (4 aprile 2018)

Andrea Marcucci - Imagoeconomica

Il vertice di giovedì scorso in un luogo non istituzionale tra renziani ha riportato alla memoria quanto raccontò l’ex premier nel suo Oltre la rottamazione ricostruendo le vicende che nel 2013 lo portarono a Palazzo Chigi. «Quel giorno - svelò Renzi presentando il libro - chiamo Letta e insieme mangiamo un panino nell’ufficio di un senatore amico in via Veneto, senza che nessuno ne sapesse niente. Abbiamo parlato un’oretta e ci siamo detti che chi avesse ricevuto l’incarico avrebbe avuto il sostegno dell’altro». Il “senatore amico” è Andrea Marcucci, diventato nel frattempo capogruppo del Pd a Palazzo Madama, mentre l’ufficio in cui Renzi ha incontrato Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Francesco Bonifazi, Graziano Delrio e lo stesso Marcucci non è nella strada felliniana ma in realtà nelle vicinanze. È la sede di una delle società della famiglia Marcucci, imprenditori toscani attivi nel settore farmaceutico, in quello turistico e in quello televisivo.
Classe 1965, di Barga (Lucca), un primo mandato da deputato nel 1992 con il Pli di Renato Altissimo, una parentesi imprenditoriale torna alla politica con la Margherita (la famiglia ha spinto anche da una campagna elettorale da mezzo miliardo di lire (subentrò al ministro liberale della Sanità Francesco De Lorenzo eletto anche in Campania), in passato presidente della Lega hockey e appassionato di rally, dopo sempre avuto buoni rapporti con la Dc toscana) dove comincia il sodalizio con il giovane presidente della provincia fiorentina: Matteo Renzi. Nel 2006 non entra in Parlamento ma diventa sottosegretario al ministero dei Beni culturali nel governo Prodi con Francesco Rutelli. Nel 2008 è al Senato con il Pd. Marcucci è un sostenitore della prima ora del “rottamatore”: nel 2012 i primi circoli toscani a sostegno della candidatura di Renzi alle primarie del centrosinistra nascono proprio in provincia di Lucca. Rieletto nel 2013 (stavolta per la “propaganda elettorale” dichiara appena 19.841,55 euro), nella scorsa legislatura Marcucci è stato presidente della commissione Cultura del Senato e sicuro punto di riferimento a Palazzo Madama per Renzi fino alla scalata a Palazzo Chigi. «Mi sento a tutto tondo un parlamentare di Lucca» ha dichiarato in passato: il 4 marzo nel collegio uninominale della città è stato però sconfitto dal candidato di centrodestra Massimiliano Mallegni. Marcucci è arrivato terzo con 26% dei consensi. È stato ripescato nel collegio plurinominale, come previsto dalla legge elettorale voluta dal Pd.
Oltre a sedere in Parlamento con un importante incarico, il capo dei senatori democratici ha “poltrone” (sette solo in Italia) in società riconducibili alla galassia familiare. È consigliere delegato di Sestant investimenti srl e di Sestant internazionale spa, le due holding finanziarie a presidio degli asset di famiglia in Italia e all’estero. Tra questi c’è il controllo del colosso Kedrion spa, di cui Marcucci è consigliere ai conti e prima ancora dirigente. «Ho avuto una bellissima esperienza aziendale - ha raccontato - che mi ha visto ricoprire il ruolo di amministratore delegato della nostra azienda farmaceutica di famiglia fino al 2006, per circa dieci anni» . Si tratta di un azienda fondata nel 2001 e specializzata in produzione e distribuizione di prodotti medicinali derivati da plasma umano è stato consigliere. L’amministratore delegato è oggi Paolo Marcucci (1963), fratello maggiore di Andrea: la società ha 2.317 dipendenti (poco meno della metà in Italia), un fatturato da 659 milioni e utili per 11,75 milioni (bilancio 2016).
I Marcucci sono infatti attivi da anni nel settore degli emo-derivati e dei vaccini. Il padre Guelfo acquisì Sclavo (Siena) da Enimont nel 1990 per cento miliardi di lire e ancor prima rilevò Aima Plasmaderivati (Rieti) e Farma Biagini (Pisa). Dalla ristrutturazione del settore farmaceutico del gruppo Marcucci nasce Kedrion. Il patriarca rimase coinvolto nelle vicende giudiziarie legate allo scandalo del sangue infetto, quando a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 migliaia di persone furono infettate con il virus di Hiv ed epatite C tramite la trasfusione di sangue ed emoderivati non controllati. Due i filoni di inchiesta per epidemia colposa: come ha ricostruito L’Espresso uno a Napoli è stato archiviato nel 2008 perché finito in prescrizione, l’altro a Trento si è concluso con il proscioglimento per Guelfo Marcucci e il secondogenito Paolo (1963). In un altro procedimento nel capoluogo campano, dove si procedeva per omicidio colposo plurimo, la posizione di Guelfo Marcucci era stata stralciata a ottobre 2015 per la riconosciuta incapacità cognitiva dell’imprenditore, malato da tempo. Guelfo Marcucci morì due mesi dopo. Aveva 87 anni.
Il principale mercato di Kedrion (45,1% del fatturato) sono gli Stati Uniti, paese al quale i Marcucci sono storicamente molto legati. Il capostipite Luigi, ancora adolescente, emigrò a Chicago dove raggiunse la sorella Marianna, sposata con Alessandro Gonnella, fondatore nel 1896 della Gonnella Bakery per la produzione di pane che fece fortuna con l’introduzione del congelamento dei prodotti. All’impresa contribuirono con successo i fratelli Lawrence, Nicholas e Luigi (nonno di Andrea). Il successo economico di Luigi permise ai figli, Leo Piero e Guelfo (padre del futuro senatore del Pd) di aprire una farmacia. Sarà il primo tassello del loro futuro impero. Il legame con gli Usa si ritrova anche nello stretto rapporto con la famiglia Kennedy: la primogenita di Guelfo e sorella maggiore di Andrea, Maria Lina Marcucci (1954), è presidente del Robert F. Kennedy Foundation of Europe, fondazione no profit che si occupa di diritti umani, nel cui cda siede Kerry Kennedy, figlia del senatore americano ucciso nel 1968. Anche Maria Lina Marcucci ha avuto un’esperienza politica: tra il 1995 e il 1998 è stata vicepresidente della Regione Toscana sotto la giunta di Vannino Chiti (Ds).
Tra le funzioni extra-parlamentari di Andrea Marcucci compare anche quello di consigliere di Ciocco spa. È la società che controlla il centro turistico fondato all’inizio degli anni ’70 dal padre Guelfo a Castelvecchio Pascoli di Barga (Lucca) e considerato il primo “resort” italiano, alla cui promozione contribuirono i ritiri estivi pre-campionato delle squadre di calcio. «La mia famiglia - ha raccontato il senatore dem - rimane proprietaria al 100% dell’immobile nonostante abbia stretto accordi con partner americani per la gestione». Per la ricettività alberghiera, infatti, Il Ciocco è del Gruppo Marriott ed è stato rinominato “Renaissance Tuscany Resort”. È gestito da Shaner Ciocco (già Gestioni alberghi), altra società di cui Marcucci risulta consigliere. Nell’ultimo bilancio approvato Ciocco Spa ha registrato ricavi per 2,6 milioni di euro e una perdita di 5,4 miloni. Marcucci abita nel complesso di Villa Bottiglia, proprio nel bosco del Ciocco, con la moglie Marianna Mordini (pronipote di Antonio Mordini, esponente lucchese del Risorgimento a cui il senatore dem ha dedicato una monografia nel 2011).
Nella storia imprenditoriale dei Marcucci c’è anche un importante capitolo comunicazione e media che ha fatto di Guelfo Marcucci un antesignano delle tv private, settore in cui prevalse presto un altro imprenditore: Silvio Berlusconi. Nel 1975 la famiglia fondò Elefante, diffusa attraverso ripetitori in zone appenniniche. Nel 1984 arrivò Videomusic, la prima emittente televisiva europea a carattere musicale creata dalla figlia Maria Lina e in seguito (1988) l’acquisizione attraverso Beta Television di Super Channel, stazione televisiva paneuropea via satellite e cavo di cui i Marcucci acquistarono la quota di maggioranza da Richard Branson. Videomusic fu ceduta nel 1995 a Vittorio Cecchi Gori che ne fece un pezzo del suo terzo polo televisivo insieme a Telemontecarlo (ex gruppo Ferruzzi), Super Channel passò nel 1993 al gruppo statunitense Nbc per 60 milioni di dollari. Alla famiglia Marcucci rimane oggi il controllo di NoiTv srl, nata nel 1989 e proprietaria dei marchi NoiTv e Rete Versilia News. Nel 2001 Maria Lina Marcucci, «da sempre cittadina del mondo» come si legge in un suo curriculum, in passato considerata vicina a Walter Veltroni, primo segretario del Pd e già direttore dell’Unità, divenne presidente di Nuova iniziativa editoriale (Nie), il gruppo di imprenditori che rilevò la storica testata e la riportò in edicola con la direzione affidata a Furio Colombo dopo che il “quotidiano fondato da Antonio Gramsci” aveva cessato le pubblicazioni nell’estate dell’anno prima. Nel 2008 Nie cedette L’Unità all’imprenditore di Sanluri Renato Soru, presidente della Regione Sardegna fino a dicembre dei quell’anno. Trattative c’erano state anche con la famiglia Angelucci.
Ai sei incarichi societari di Andrea Marcucci in Italia (oltre alle due Sestant, Kedrion, Il Ciocco spa e Shaner Ciocco srl, anche la real estate Maggiore) vanno sommati i cinque all’estero sempre in ambito farmaceutico. Vale a dire: amministratore delegato di Haemopharm (New Jersey), consigliere di Kedplasma Usa (Delaware), presidente del consiglio di sorveglianza di Kedplasma Germania (sede di Monaco), consigliere di Kedrion Melville (Delaware) e di Somerset laboratories (New Jersey). I relativi emolumenti si riflettono sulla dichiarazione dei redditi del renzianissimo neo presidente dei senatori democratici.Marcucci nel 2017 vantava un imponibile di 323mila euro, mentre è del 2014 il “picco” di 606.939 euro. Nella scorsa legislatura l’imponibile complessivo cumulato è stato di poco superiore ai due milioni di euro.
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-04-06/l-ufficio-marcucci-e-affari-famiglia-toscana-155432.shtml?uuid=AEp0W2TE&refresh_ce=1
i glicini di cetta at 18:32 Nessun commento:
Condividi

Mafia, sequestrati 400 milioni di euro all’ex deputato regionale Giuseppe Acanto: “Legato alla cosca di Villabate”.

Risultati immagini per giuseppe acanto

Il commercialista, candidato nel 2001 nella lista cuffariana Biancofiore, è stato ritenuto dai giudici palermitani 'socialmente pericoloso' e per questo sottoposto a sorveglianza speciale per quattro anni. Tre anni fa gli erano stati sequestrati quasi 800 milioni di euro per gli stessi motivi.

È ritenuto legato ai vertici di Cosa Nostra a Villabate, in provincia di Palermo. Un uomo della “zona grigia” che avrebbe gestito il patrimonio della cosca, secondo la Dia di Palermo, che dopo la pronuncia della sezione misure di prevenzione del Tribunale, ha sequestrato 400 milioni di euro tra conti correnti, quote societarie, capitale sociale e compendi aziendali all’ex deputato regionale cuffariano Giuseppe Acanto, 58 anni, già tre anni fa finito nel mirino della Direzione investigativa antimafia.
Acanto, inoltre, è stato ritenuto dai giudici palermitani ‘socialmente pericoloso’ e per questo sottoposto a sorveglianza speciale per quattro anni, a partire dal 2018. Secondo la Dia, Acanto negli Anni Novanta era socio in affari illeciti con Giovanni Sucato, il cosiddetto ‘mago dei soldi’ che, dopo aver truffato migliaia di persone tra cui anche alcuni appartenenti a Cosa nostra, sparì poi con un ingente capitale e il cui cadavere, nel 1996, fu trovato carbonizzato all’interno della propria auto. Anche Acanto dopo aver subito l’incendio nello studio professionale si rese irreperibile.

Nel 1994, dopo essere stato perdonato grazie alla mediazione di elementi di spicco della famiglia di Villabate, riprese l’attività di commercialista, dedicandosi alla costituzione di società in nome e per conto degli uomini d’onore. Secondo gli investigatori, riuscì a trovare interlocutori privilegiati all’interno dell’amministrazione del comune di Villabate (in seguito sciolto per infiltrazioni mafiose) facendosi nominare direttore del locale mercato ortofrutticolo e avvicinatosi all’attività politica, si occupò di sviluppare ogni operazione economica d’interesse della locale famiglia mafiosa, come la costruzione del centro commerciale.
Candidato alle elezioni amministrative del 2001 con la lista Biancofiore, con il sostegno dei Mandalà, risultò il primo dei non eletti, riuscendo poi comunque ad accedere ad un seggio all’Assemblea regionale siciliana.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/10/mafia-sequestrati-400-milioni-di-euro-allex-deputato-regionale-giuseppe-acanto-legato-alla-cosca-di-villabate/4550459/


i glicini di cetta at 17:49 Nessun commento:
Condividi

“Grazie, Sire” - Marco Travaglio - 9 agosto 2017

   Risultati immagini per il re   
Prima di leggere questo articolo, andate a pagina 13 e leggetevi quelli di Gomez e Robecchi sulla bombastica analisi della Corte dei Conti sul mega-bidone degli F-35, i cacciabombardieri americani che nel 2009 il governo di centrodestra e la finta opposizione Pd deliberarono di acquistare in 131 esemplari (poi ridotti a 90) dalla Lockheed Martin per la modica cifra di 15 miliardi: più o meno il costo di un anno di reddito minimo per chi non ha nulla. Ora i giudici contabili hanno scoperto quello che noi poveri tapini e financo un bel pezzo del Parlamento già sapevano: il programma F-35 è in ritardo di almeno 5 anni per “molteplici problematiche tecniche”; i costi sono “praticamente raddoppiati”; i 6500 nuovi posti di lavoro annunciati sono appena 1600; ritirarsi ora vorrebbe dire perdere gli “ingenti investimenti” di 4 miliardi già stanziati, ma anche risparmiare i restanti 10. Robecchi si domanda: “Chi è stato?” (ma la S andrebbe maiuscola). Per i più curiosi, torniamo indietro all’estate del 2013. In Egitto l’esercito arresta il presidente democraticamente eletto Morsi e migliaia di Fratelli musulmani e insedia il generale-dittatore Al-Sisi: scalpore in tutto il mondo. Intanto in Italia i generali con l’appoggio del rieletto presidente Giorgio Napolitano mettono in mora il Parlamento: silenzio di tomba. Il 29 giugno Camera e Senato approvano una mozione Sel-5Stelle che impegna il governo Letta (Pd+Pdl+Centro) a sospendere per sei mesi, in attesa dei risultati di un’“indagine conoscitiva”, i nuovi acquisti di F-35. Per motivi sia economici sia tecnici. Quel progetto di cooperazione tecnologico-militare coinvolge 9 Paesi, di cui già 5 si sono sfilati in varie forme: Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Australia e Turchia. Secondo non i pacifisti, ma gli esperti del Pentagono, gli F-35 presentano vari difetti di fabbricazione: tipo che, se colpiti da un fulmine, rischiano di esplodere in volo.
Anche il Pd – pur fra mille maldipancia – vota con M5S e Sel per vincolare il governo “a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi della legge 244/2012”. Ma la sola idea che il Parlamento torni a esistere e a dire qualcosa senza il permesso dei superiori fa saltare la mosca al naso di re Giorgio. I giornali lo descrivono “molto irritato” per la lesa maestà delle Camere nei confronti suoi e dei padroni americani. Così il 3 luglio Napolitano riunisce il Consiglio supremo di difesa, di cui s’erano perse le tracce dalla notte dei tempi. Poi dirama un supermonito categorico e impegnativo per tutti.
Eccolo: “La facoltà del Parlamento (riconosciuta dalla legge 244/2012, nda) non può tradursi in un diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici che, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”. Cioè: nel 2012 il Parlamento approva una legge, la 244, promulgata da Napolitano, per raccomandare tagli alle spese militari e stabilire che quelle “straordinarie” passino sempre dalle Camere, e pure quelle ordinarie che completino “programmi pluriennali finanziati nei precedenti esercizi con leggi speciali”; e per dare alle Camere l’ultima parola sulle spese militari alla luce del quadro internazionale e delle disponibilità finanziarie dello Stato, per evitare “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Proprio il caso degli F-35. Ma Napolitano fa dire a quella legge il contrario di quel che dice, usandola per esautorare le Camere. Ce ne sarebbe abbastanza per un conflitto di attribuzioni fra Parlamento e Quirinale contro questo golpetto senza carri armati, ma con i generali. Ma i presidenti Boldrini e Grasso, solitamente così loquaci e suscettibili, dormono e non fanno un plissé.
Il ministro Franceschini ringrazia fantozzianamente il sovrano per il “giusto richiamo alla separazione dei poteri”. Solennissima sciocchezza: il Consiglio supremo di difesa non è un potere dello Stato, ma – come osserva Stefano Rodotà – “un organo di informazione e consulenza del presidente della Repubblica e indirettamente del governo”, dunque “non solo queste prerogative non si estendono al Parlamento, ma di certo non può essere il Consiglio a imporre veti alle Camere. Proprio non gli compete. Il Parlamento è stato ancora una volta esautorato”. 
Intervistato dal Fatto, anche Gustavo Zagrebelsky stigmatizza l’entrata a gamba tesa del Colle: “Chissà chi sono i consulenti giuridici che hanno avallato le affermazioni del Consiglio supremo di difesa, che svuotano i compiti del Parlamento in materia di sicurezza e politica estera. Un regresso di due secoli, a quando tali questioni erano prerogativa régia… La natura del Consiglio supremo di difesa è stata definita nel 1988 da una relazione della Commissione presieduta da un grande giurista, Livio Paladin, istituita dal presidente Cossiga per fare chiarezza su un organo ambiguo (ministri, generali, presidente della Repubblica). Fu chiarito allora che si tratta di un organo di consulenza e informazione del presidente, senza poteri di direttiva. 
D’altra parte, chi stabilisce se certi provvedimenti e decisioni sono solo tecnici e operativi, e non hanno carattere politico? I sistemi d’arma, l’uso di certi mezzi o di altri non sono questioni politiche? Chi decide? Il Parlamento, in un regime parlamentare. Forse che si sia entrati in un altro regime?”. Parole che cadono nel vuoto. Il Parlamento rincula, il governo preleva un’altra manciata di miliardi dalle nostre tasche per comprare dalla Lockheed altri bidoni volanti, e ora si scopre che era tutta una patacca. Casomai volesse recuperare qualche spicciolo, la Corte dei Conti può spedire il conto a casa Napolitano, Roma, via dei Serpenti.
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=493443081120850&id=100013654877344
Leggi anche:
https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/07/f35-corte-dei-conti-costi-raddoppiati-e-occupazione-inferiore-ad-aspettative-ma-uscire-dal-progetto-costerebbe-troppo/3781024/
i glicini di cetta at 12:25 Nessun commento:
Condividi
‹
›
Home page
Visualizza versione web

Informazioni personali

i glicini di cetta
Visualizza il mio profilo completo
Powered by Blogger.