sabato 20 ottobre 2018

Termini Imerese, i nodi vengono al pettine: la procura apre un’inchiesta su 21 milioni pubblici svaniti nel nulla. - F. Capozzi e G. Scacciavillani

Termini Imerese, i nodi vengono al pettine: la procura apre un’inchiesta su 21 milioni pubblici svaniti nel nulla

I fondi pubblici erano stati erogati nel 2016 attraverso Invitalia per rilanciare l'impianto che l’attuale Fca ha fermato nel dicembre 2011. Tutte le lungaggini delle verifiche sul loro utilizzo.

La Procura di Termini Imerese ha aperto un’inchiesta sulla Blutec, la società che ha rilevato l’ex stabilimento siciliano della Fiat. In fabbrica è arrivato il nucleo di polizia economico-finanziaria per sequestrare documenti e file utili alle indagini sull’azienda che fa capo a Roberto Ginatta, buon amico e socio in affari di Andrea Agnelli. Obiettivo del procuratore Ambrogio Cartosio è far luce sull’utilizzazione del finanziamento pubblico da circa 21 milioni di fondi regionali vincolati a precisi investimenti industriali mai realizzati come aveva raccontato a gennaio ilfattoquotidiano.it.
I fondi pubblici erano stati erogati nel 2016 attraverso Invitalia per rilanciare l’impianto che l’attuale Fca ha fermato nel dicembre 2011. Blutec se li era aggiudicati dopo che gli altri pretendenti alla successione di Fca erano caduti uno via l’altro in scia alle inchieste giudiziarie. E con l’impegno di riaprire l’impianto riassorbendo una parte del personale della fabbrica anche grazie alle commesse per produrre settemila motocicli elettrici di Poste Italiane e per elettrificare 7200 Doblò Fca in quattro anni. L’azienda aveva infatti presentato un piano di rilancio che prevedeva di reintegrare l’intera forza lavoro (694 persone) dell’impianto entro la fine di quest’anno, riportando in fabbrica 400 lavoratori già nel 2017.
In realtà poi le cose sono andate diversamente. Dopo aver incassato i soldi pubblici, Blutec ha fatto i conti con la realtà e si è progressivamente rimangiata buona parte delle promesse fatte mandando avanti a singhiozzo il piano per assumere il personale e rilanciare il sito industriale. Della questione era ben cosciente il ministero dello Sviluppo economico che, ai tempi dell’ex ministro Carlo Calenda che pure aveva ereditato lo spinoso caso dalle passate gestioni, aveva scelto di fare buon viso a cattivo gioco rimandando il caso Termini Imerese a dopo il voto e passando così la patata bollente al governo gialloverde. A metà luglio 2018, in un incontro al ministero dello Sviluppo economico, ormai sotto la guida del vicepremier, Luigi Di Maio, Blutec riferiva che i lavoratori occupati erano solo 135, alle quali si sarebbero aggiunte “con la commessa dei 6800 Doblò di FCA, altre 120 persone nei prossimi tre anni”, come si legge nel verbale della riunione ministeriale. “La piena occupazione verrà quindi assicurata solo nel momento in cui gli accordi commerciali citati avranno concreta realizzazione”, prosegue il documento. Intese che non sono ancora state formalizzate né da parte di Fca, né tanto meno di Poste che, già in passato, ha manifestato l’intenzione di procedere ad una gara per l’assegnazione della commessa sui motocicli elettrici.
Nonostante le proteste del sindaco di Termini Imerese, Francesco Giunta, e dei sindacati, preoccupati dall’imminente scadenza a dicembre degli ammortizzatori sociali il cui rinnovo è scomparso dal decreto fiscale, Invitalia si è mossa con estrema lentezza. I segnali c’erano tutti da mesi, eppure è stato soltanto nell’aprile scorso l’advisor del ministero ha inviato a Blutec una contestazione sulla rendicontazione chiedendo di far luce sull’uso del denaro pubblico. Non avendo ricevuto alcuna informativa, a quasi due anni dall’assegnazione dei fondi regionali, la società guidata da Domenico Arcuri aveva successivamente provveduto a chiedere la restituzione dei fondi. Ironia vuole che proprio nel giorno della notizia dell’inchiesta il manager pubblico, dal palco del Convegno dei Giovani di Confindustria lanci un appello a “portare tutti insieme il Paese fuori dalla tempesta, stando un po’ meno connessi, frequentando più i libri e creando lavoro vero“, sottolineando che “quando lo Stato si è impegnato ed ha fatto il suo dovere, ha raggiunto i risultati”.

Dal canto suo Blutec, interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it fin da gennaio si era trincerata dietro il silenzio. Ma poi, nel verbale dell’incontro al ministero datato 18 luglio 2018, si legge che “i rappresentanti dell’azienda hanno comunicato che l’accordo tecnico-legale di restituzione del finanziamento ricevuto da Invitalia, verrà firmato entro luglio 2018”. L’accordo però non è arrivato. E, incredibilmente, nell’ultimo incontro al Mise, datato 4 ottobre, Invitalia ha spiegato “che è stata raggiunta una intesa con l’azienda per restituire la somma di 21 milioni di euro circa”, ma “si attende di completare l’iter autorizzativo del Ministero”. E ha poi aggiunto che “senza questa autorizzazione non è possibile completare l’iter già avviato per il nuovo contratto di sviluppo ed il finanziamento del nuovo Piano industriale”, come si legge nel verbale del ministero.
Nella stessa occasione, il sindacato aveva “lamentato che ad oggi non c’è coincidenza tra il piano di rioccupazione e la realtà”. Inoltre ha chiesto al governo di “verificare che siano stati rispettati gli impegni presi in precedenza con FCA” e di “identificare nuovi investitori industriali che possano realizzare il piano di rioccupazione di tutti i lavoratori Blutec. Del resto, come ha evidenziato, Giampietro Castano, responsabile dell’Unità di gestione vertenze del Mise, “il governo, avendo deciso dieci anni fa di assumere la responsabilità della reindustrializzazione del sito di Termini Imerese e della tutela dei lavoratori interessati, ha dirette responsabilità che non possono essere dimenticate”.Responsabilità politiche presenti e passate nel fallimento di un progetto adeguato per la riconversione di Termini Imerese di cui si discuterà al ministero in un nuovo incontro che si terrà entro fine novembre. Alla Procura toccherà intanto appurare che fine hanno fatto i soldi pubblici intascati da Blutec e di cui Invitalia ha tardivamente richiesto la restituzione.
Fonte: ilfattoquotidiano del 19/10/2018

Quando un matematico parla di economia … e se l’aumento dello spread fosse un bene? - Massimo Bordin



Quando un filosofo parla di economia, l’antagonista “tipico” oppone il fatto che egli non ha studiato alla facoltà di economia e che quindi deve tacere. Spesso – anzi … SEMPRE – il suddetto antagonista si ispira alle teorie politiche di Adam Smith, un dotto che aveva studiato invece proprio filosofia e non certo l’apparato riproduttivo dei molluschi lamellibranchi bivalvi. Non solo: egli dimentica che financo la parola «economia» l’ha coniata Aristotele. Ma tant’è, con i talebani occorre avere pazienza e bombardarli, come ci ha insegnato lo Zio Sam.
Allora, per una volta, sentiamo cosa dice un matematico, visto che la matematica è una scienza esatta e bla bla bla. Tra l’altro, il matematico che vogliamo portare alla vostra attenzione è Beppe Scienza, il cui cognome, persino, non dovrebbe lasciar spazio a dubbi.
«Finalmente lo spread è risalito – scrive il porfessore torinese dalle pagine del Fatto Quotidiano – raddrizzando alcune storture. Non ci allineeremo infatti allo stucchevole patriottismo dei vari sedicenti esperti, che alzano alti lai tutte le volte che esso sale ed emettono squittii di gioia quando scende.
Ha infatti anche aspetti positivi il recente aumento, poi ridimensionatosi, di quello che in Italia è ormai lo spread per antonomasia, cioè il divario fra il rendimento dei titoli di Stato italiani e tedeschi, in particolare per quelli decennali».
Eeeeh? Cosa ha detto costui? Avete capito bene, lo spread alto ha anche effetti positivi, soprattutto per i risparmiatori. Pochi hanno infatti capito che le obbligazioni pubbliche, un tempo, non avevano solo lo scopo di finanziare lo Stato e regolare il tasso di interesse interbancario, ma anche di favorire il risparmio privato dei cittadini, consentendo di tenere a freno l’inflazione e, spesso, di batterla. Con rendimenti a ZERO, che senso aveva comprare btp? Forse a fini speculativi, certo, ma in tal caso il rischio era fuori controllo e la compravendita di obbligazioni prima delle scadenze non mette a proprio agio il classico padre di famiglia.
Perchè, dunque, gli italiani (privati) hanno smesso di comprare i btp?
1) non rendevano niente, cioè non staccavano cedole degne di questo nome
2) in banca non le consigliano ai clienti, perchè l’intermediario non ci guadagna così tanto come con i fondi.
Ora, con lo spread attorno a quota 300, il risparmiatore può attendersi cedole dignitose, in astratto oltre il 3 per cento, pur tenendo conto delle diverse scadenze. Inoltre, con una risalita dello spread vi è l’aumento, a esso collegato, anche dei rendimenti dei BTP Italia, cioè di strumenti finanziari legati all’inflazione e che in linea di principio rientrano fra gli impieghi più adatti per i risparmi del proverbiale buon padre di famiglia.
Beppe Scienza propone a questo proposito un esempio illuminante:
«i Btp Italia novembre 2023 (codice Isin IT0005312142), sono scesi dai 102 euro di aprile agli attuali 95 euro e così ora offrono un rendimento a scadenza lordo pari all’inflazione maggiorata di un 1,2% annuo. Non è moltissimo, ma certo meglio di quando tale maggiorazione era intorno allo zero: si otteneva cioè l’inflazione italiana e nulla più. Anche a tal riguardo la risalita dello spread ha migliorato le cose. Non si dimentichi però che con tutti i Btp, Cct ecc. c’è sempre il rischio di un calo (o crollo) della loro quotazione, se gli umori del mercato peggiorano (o precipitano).
Altra conseguenza seppure indiretta della salita dello spread, un ritocco all’insù dei tassi dei buoni fruttiferi postali giusto venerdì scorso».
Fonte: micidial del 18/10/2018