domenica 30 giugno 2019

Val d’Enza, la terra dei bambini in affido: oltre cento in due anni e mezzo. - Paolo Pergolizzi

Bibbiano

Un aumento vertiginoso di casi che è stato scoperto dal consigliere comunale pentastellato dell'Unione, Natascia Cersosimo. Per i servizi sociali un boom in linea con i dati dei Paesi in guerra.

REGGIO EMILIA – Oltre cento minori dati improvvisamente in affidamento, dal 2016 fino a metà 2018, dai servizi sociali della Val d’Enza, mentre nel 2015 gli affidi erano zero. E’ quanto si evince da un documento contabile dell’Unione val d’Enza. I minori in struttura erano 18 nel 2015, 33 nel 2016, 40 nel 2017 e 34 nei primi sei mesi del 2018, mentre quelli dati in affidamento sono stati 0 nel 2015, 104 nel 2016, 110 nel 2017 e 92 nei primi sei mesi del 2018.
Un aumento vertiginoso di casi e di affidi che è stato scoperto dal consigliere comunale dell’Unione val d’Enza, Natascia Cersosimo (recente candidato sindaco, non eletto, del M5S a Cavriago) che un anno fa, quando venne chiesto di varare una maggiore spesa di 200mila euro per i centri accoglienza, chiese i documenti e si trovò di fronte a questi numeri.
Sempre dallo stesso documento si vede che la spesa per affidi di minori si impenna conseguentemente passando dai 245mila euro del 2015, ai 305mila euro del 2016, fino ai 327mila euro del 2017 e infine a una proiezione di spesa di 342mila euro nel 2018. I soldi necessari per le psicoterapie dei minori in affido passano, invece, dai 6mila euro del 2015 ai 31mila del 2017, fino ai quasi 27mila del primo semestre 2018.
Le prese in carico per violenza sono state invece 136 nel 2015, poi 183 nel 2016, fino alle 235 del 2017 e le 178 del primo semestre 2018. In sostanza, se si fosse arrivati fino a fine anno, si potrebbe dire che nel 2018 sarebbero state praticamente triplicate rispetto a tre anni prima.
Per minimizzare la cosa, nella relazione di fine mandato l’Unione scrive: “Preme sottolineare come i dati di grave maltrattamento e abuso della Val d’Enza, superiori alla media regionale, non sono ascrivibili a un fenomeno locale, ma sono in linea con i dati dell’Oms e di organizzazioni internazionali come Save the Children e Terre des Hommes”. Un paragone che non sta in piedi, tuttavia, perché quelle organizzazioni lavorano in zone che spesso sono teatri di guerra o piuttosto disagiate, cosa che non si può certo dire del Consorzio della val d’Enza che conta 60mila abitanti e otto Comuni.
Natascia Cersosimo
cersosimo
Natascia Cersosismo, il consigliere pentastellato dell’Unione, dice a Reggio Sera: “Sono dati che riguardano una variazione di bilancio del 2018 in cui i servizi sociali della val d’Enza chiedevano un aumento di 200mila euro. Avevano bisogno di questi soldi, perché sostenevano che si era creata una sorta di emergenza minori dovuta al crescere degli abusi. Quando a fine aprile siamo andati in consiglio per la variazione di bilancio ci hanno detto che erano in aumento il numero di casi di abusi e di violenze sessuali. Io avevo due segnalazioni di genitori, ma non se la sono sentita di darmi il permesso per l’accesso agli atti, perché avevano paura che, se mi avessero dato la delega, gli avrebbero impedito poi di vedere i bambini”.

Sea Watch, l’Olanda scarica la capitana Carola: «Ha sbagliato lei.» - Luigi Offeddu e Marta Serafini

Sea Watch, l'Olanda scarica la capitana Carola: «Ha sbagliato lei»

Il colloquio con il segretario di Stato all’immigrazione, Ankie Broekers-Knol: «Poteva andare in Tunisia o in Libia. Non prendiamo più migranti dalle operazioni Sar»

«Caro Collega…». La lettera è stata mandata via mail al Viminale verso le 22 di ieri sera e verrà poi seguita dalla versione ufficiale cartacea il più presto possibile, domani. Destinatario, il ministro dell’interno Matteo Salvini, che anche nelle ultime ore aveva attaccato l’Olanda su Facebook, accusandola di «menefreghismo» sulla questione dei migranti extracomunitari. Mittente, la segretaria di Stato olandese all’immigrazione, Ankie Broekers-Knol. Tema della missiva (qui la versione integrale), la vicenda della nave Sea Watch 3. Toni cortesissimi, come vuole da secoli la diplomazia in tutto il mondo, ma sostanza tosta e netta. Ecco un elenco dei temi affrontati, anche se non in quest’ordine esatto. Primo: il fatto che una nave batta la bandiera di un certo Stato, «non implica un obbligo per quello Stato di imbarcare persone soccorse». Secondo: l’Olanda ha deciso, «in assenza di una prospettiva di cooperazione verso una soluzione concreta e strutturale come quella indicata nelle conclusioni del Consiglio Europeo del giugno 2018, che non parteciperà più oltre agli schemi di sbarco “ad hoc”». Terzo: il governo olandese «ha esplicitamente dichiarato che in principio non prenderà più migranti dalle operazioni Sar (Soccorso in Mare) in un’area ampiamente colpita dalle attività dei trafficanti di esseri umani».

L’Aja, prosegue la lettera della Segretaria di Stato, «è pienamente impegnata a rispettare l’obbligo di salvataggio delle gente in mare imposto dalla legge internazionale. Tuttavia, come lei (Salvini, ndr) giustamente dice, le operazioni della Sea Watch 3 non dovrebbero contribuire alle attività criminali dei trafficanti». Quanto alla capitana tedesca della Sea Watch, l’Olanda dichiara di non condividere, «come lei» (Salvini, ndr), le scelte che ha fatto. Sarebbe potuta andare in Libia, in Tunisia, o anche nel porto olandese di competenza. Ma «contrariamente a quanto Lei dichiara nella sua lettera, non ha mai chiesto di sbarcare in Olanda».

I Paesi Bassi chiedono all’Italia di «lavorare insieme per riformare il sistema europeo di asilo e immigrazione, basato sui principi della solidarietà e responsabilità». E come parte di questa riforma, bisognerà studiare «una procedura obbligatoria europea di espulsione ai confini esterni». «Vorrei anche aggiungere — scrive la segretaria di Stato — che in caso di migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale, il ricollocamento è uno spreco di sforzi e risorse finanziarie dei contribuenti, che dovrebbe essere evitato». La segretaria di Stato all’immigrazione annuncia anche che si recherà a Roma per «colloqui bilaterali» con Salvini.

Fin qui, la lettera di risposta al ministro italiano degli Interni. In un’intervista esclusiva al Corriere della Sera, Ankie Broekers Knol ha poi precisato alcuni altri punti della posizione del suo Paese: «I Paesi Bassi sono acutamente consapevoli della pressione migratoria sull’Italia negli ultimi anni, e particolarmente della pressione sproporzionata sperimentata fino alla metà del 2017. Inoltre, l’Olanda ha sempre riconosciuto l’impegno e la leadership italiana. È anche per questo che ha dimostrato la sua solidarietà in molti modi, per esempio contribuendo allo schema di ricollocamento temporaneo. Grazie allo sforzo dell’Italia e al sostegno degli altri Stati membri fra cui l’Olanda, gli arrivi illegali e le richieste di asilo in Italia sono calati in modo drammatico dalla metà del 2017». Situazione generale in via di risoluzione, dunque? No, risponde la segreteria di Stato olandese, «al contrario noi abbiamo registrato in questo periodo successivo alla crisi migratoria un continuo, alto numero di richiedenti asilo, molti dei quali provenienti dall’Italia. Questi movimenti sono un altro problema che dobbiamo affrontare».

Le due curve Sud. - Marco Travaglio

Risultati immagini per banchina Lampedusa capitana saluta

La banchina di Lampedusa invasa da due fazioni di esagitati che salutano la capitana Carola Rackete appena sbarcata e arrestata, alcuni insultandola e altri esaltandola, è la perfetta rappresentazione di questo povero Paese che non riesce più a ragionare, ma solo a tifare. E a twittare.
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere tra ciò che ha fatto di buono la Sea Watch-3, cioè caricare da un gommone pericolante in acque libiche 53 migranti (un giorno magari le Ong ci sveleranno quale divina ispirazione le fa trovare sempre nel posto giusto al momento giusto nello sterminato Mediterraneo); e ciò che han fatto di inaccettabile, cioè infischiarsene della legge del porto sicuro più vicino (in Tunisia o a Malta) per creare l’ennesimo incidente politico col governo italiano, ricorrere al Tar contro il no di Roma e poi fregarsene della sentenza negativa, appellarsi alla Corte di Strasburgo e poi ignorare il verdetto contrario, violare i divieti di ingresso in acque italiane e di sbarco a Lampedusa, fino alla manovra spericolata e criminale di ieri, quando per poco non c’è scappato il morto tra i finanzieri della motovedetta schiacciata sulla banchina. Non lo diciamo noi fottuti giustizialisti. Lo dice il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, non certo sospettabile di filo-leghismo visto che aveva chiesto di processare Salvini per sequestro di persona e abuso d’ufficio per il caso Diciotti e ora ha disposto l’arresto in flagranza della Rackete: “Le ragioni umanitarie non possono giustificare atti di inammissibile violenza nei confronti di chi, in divisa, lavora in mare per la sicurezza di tutti”. Lo ribadiscono gli uomini della Guardia di Finanza sulla motovedetta: “La Sea Watch non ha fatto nulla per evitarci, siamo stati fortunati: poteva schiacciarci”. E il Reparto Operativo Aeronavale delle Fiamme Gialle di Palermo parla di “un atto di forza inaspettato, un gesto irresponsabile che ti puoi aspettare da un narcotrafficante o un contrabbandiere su un motoscafo”. Cos’hanno fatto e cos’hanno da dire ora i parlamentari-crocieristi de sinistra saliti a bordo della Sea Watch per garantirvi la loro personalissima “legalità”? E i fan dell’eroina non potrebbero almeno smetterla di chiedere la liberazione di un’indagata che, magari animata dalle migliori intenzioni, commette illegalità che non verrebbero tollerate in nessuna democrazia del mondo?
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere fra la simpatia umana che ispira la giovane cooperante e le ragioni del diritto, che non autorizzano chi compie un gesto umanitario a commettere reati.
E non c’entrano nulla con Salvini che chiede arresti e condanne come se fosse il padrone dei magistrati e passa dalla parte del torto annunciando che i 42 migranti “possono restare in mare fino a Natale”. Parole e condotte che vanno censurate duramente, senza per questo tacere le illegalità della Sea Watch.
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere fra l’apprezzamento per il coraggio di una donna che sfida le legittime leggi di un Paese che legittimamente non condivide con un atto di disobbedienza civile di cui si assume le conseguenze senza scappare né piagnucolare, opposta alla viltà di Salvini che dal suo processo è scappato grazie all’impunità parlamentare, e i doveri di uno Stato di diritto che non può farsi dettare la politica migratoria da un’Ong tedesca di bandiera olandese.
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere fra le leggi di uno Stato democratico come il nostro e quelle di regimi totalitari o autoritari come l’Italia fascista, la Germania nazista, il Sudafrica dell’apartheid e l’India colonia britannica. Ed evitare paragoni impropri fra la capitana e i partigiani della Resistenza, Mandela e Gandhi. Il governo italiano non è frutto di un golpe militare né di un’invasione: è espresso dalla maggioranza del Parlamento regolarmente eletto un anno e mezzo fa, appena plebiscitata da consensi persino superiori alle Europee del mese scorso. Dunque le leggi italiane, giuste o sbagliate che siano, sono perfettamente legittime e conformi alla Costituzione, a meno di non accusare di alto tradimento i presidenti della Repubblica che le hanno promulgate (incluso Mattarella) e di incostituzionalità la Corte costituzionale che, quando interpellata, le ha validate. Oltretutto i reati contestati alla capitana (resistenza a nave da guerra, tentato naufragio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) non li ha inventati questo governo, ma esistono nei codici dell’Italia e di tutti gli Stati degni di questo nome da tempo immemorabile. Certo, per battersi contro una legge c’è sempre la disobbedienza civile. Purché non venga spacciata per la nuova Resistenza, specie da chi, anziché salire sulle montagne, la combatte comodamente assiso sul suo bel sofà.
Chi volesse ragionare vedrebbe che le due propagande, opposte ma speculari, della Sea Watch e di Salvini hanno motivazioni diverse, ma si alimentano a vicenda. La Sea Watch schiva i porti più vicini per puntare sempre solo sull’Italia perché sa di trovarvi il nemico perfetto: Salvini. E Salvini ha bisogno di una Sea Watch al giorno perché è il nemico perfetto per dirottare l’attenzione generale dalle vere emergenze a quella fasulla, ma elettoralmente più lucrosa: l’immigrazione che, purtroppo per lui, ormai scarseggia. Altrimenti gli toccherebbe spiegare se vuole votare o no, perché non espelle un solo clandestino, dove prende i soldi per la Flat Tax, dove sono finiti i 49 milioni rubati dalla Lega, cosa deve ad Arata&Siri, perché difende a spada tratta i Benetton, Arcelor Mittal e gli affaristi delle grandi opere inutili. Cioè, quel che per lui è peggio, gli toccherebbe governare.

Sea Watch, Di Maio: “Capitana va processata ma escalation di insulti è assurda. La rabbia non va alimentata.”

Sea Watch, Di Maio: “Capitana va processata ma escalation di insulti è assurda. La rabbia non va alimentata”

Il capo politico del M5s è intervenuto sulla vicenda della Sea Watch con un post su facebook a dodici ore dall'entrata in porto della nave della ong: "Carola Rackete verrà giudicata da giudici sulla base delle leggi dello Stato italiano. Ma sono assurdi i toni offensivi delle ultime ore. Gli insulti violenti vanno sempre condannati."

Processare la comandante della Sea Watch perché ha violato le leggi. Ma fermare “l’escalation” di insulti a Carola Rackete. È questo in sintesi, il pensiero di Luigi Di Maio sui fatti di Lampedusa. Il capo politico del M5s è intervenuto sulla vicenda della Sea Watch con un post su facebook a dodici ore dall’entrata in porto della nave. “Carola Rackete – ricostruisce Di Maio –  comandante della Sea Watch, è stata arrestata dopo aver disobbedito all’alt della Guardia di Finanza, speronando una motovedetta nel tentativo di attraccare nel porto di Lampedusa. E per questo verrà processata, come è giusto che sia, perché ha violato la legge dello Stato italiano, rischiando di creare un danno anche ai nostri uomini e donne in uniforme, che ringrazio per il lavoro che svolgono ogni giorno a tutela della nostra sicurezza”.

Dopo oltre due settimane in mare, dopo il salvataggio di 17 giorni fa, i migranti recuperati dalla Sea Watch sono stati fatti sbarcare a Lampedusa. Ma l’attracco in banchina dopo tre giorni al largo dell’isola è avvenuto di nuovo con la forzatura del divieto, uno sfondamento del blocco che ha poi portato al sequestro della nave e all’arresto del comandante,  accusata di resistenza o violenza contro nave da guerra. La capitana è diventata oggetto d’insulti quando è scesa dalla nave: “Spero ti violentino questi negri”, le hanno urlato. “Trovo assurda l’escalation di insulti e di toni offensivi registrata nelle ultime ore. Non capisco l’esigenza di mettere in piedi questo circo mediatico, con alcuni giornali schierati da una parte e altri dall’altra. Uno Stato sovrano ha le leggi e le fa rispettare. Punto. La capitana verrà giudicata da giudici sulla base delle leggi dello Stato italiano”, scrive Di Maio su facebook. “C’è della rabbia intorno a tutto questo e lo comprendo – aggiunge il vicepremier – Chi rappresenta i cittadini questa rabbia deve sforzarsi di capirla, perché non può essere ignorata. Capirla non significa alimentarla, perché poi altrimenti la rabbia si trasforma in insulti violenti che colpiscono tutte le parti e che vanno sempre condannati”. Il riferimento evidente è all’alleato di governo, autore di prese di posizione nette contro al capitana della ong. 
Un altro riferimento indiretto alla Lega e a Matteo Salvini, il leader del Movimento 5 lo ha fatto citando “il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio” perché “ha motivato l’arresto della comandante affermando che “le ragioni umanitarie non possono giustificare atti di inammissibile violenza nei confronti di chi in divisa lavora in mare per la sicurezza di tutti”. Ancora una volta prendiamo atto dell’azione della magistratura, che quotidianamente svolge un egregio lavoro. È importante elogiare sempre, e non a giorni alterni, il prezioso contributo di giudici e magistrati, perché sono loro che hanno il dovere di far rispettare la legge nel nostro Paese. Troppo spesso, invece, per simpatie o antipatie, la magistratura è stata vittima di attacchi gratuiti, anche da parte della politica. Non c’è cosa più sbagliata di interferire con il lavoro che i nostri servitori dello Stato svolgono con grande professionalità e serietà. Io dico che la politica a volte dovrebbe tacere e applaudire l’operato di chi dalla mattina alla sera si batte per far rispettare la legalità nel nostro Paese”. Patronaggio, infatti, è il procuratore che ha iscritto nel registro degli indagati Salvini per la vicenda della nave Diciotti. A causa di quella vicenda è spesso diventato bersaglio d’insulti e minacce: per tre volte ha ricevuto lettere minatorie.
Nel suo lungo post Di Maio ha poi dedicato un paragravo ai rapporti con l’Unione Europea: “Il caso della Sea Watch ha fatto emergere un fatto da non sottovalutare: in svariate circostanze l’Italia è stata trattata come lo ‘zimbello d’Europa‘. Questo perché? Semplice: perché i vecchi governi hanno sempre abbassato la testa, a discapito degli interessi del nostro Paese. Adesso però le cose devono cambiare: o l’Europa si sveglia oppure la svegliamo noi. Ripartiamo insieme, come una vera comunità, cambiando Dublino e il principio di chi prima accoglie poi gestisce!
L’Italia non può più farsi carico da sola del problema migranti e fin quando non saremo ascoltati, noi continueremo a farci sentire”.
Qui il suo post:
Carola Rackete, comandante della Sea Watch, è stata arrestata dopo aver disobbedito all'alt della Guardia di Finanza, speronando una motovedetta nel tentativo di attraccare nel porto di Lampedusa. E per questo verrà processata, come è giusto che sia, perché ha violato la legge dello Stato italiano, rischiando di creare un danno anche ai nostri uomini e donne in uniforme, che ringrazio per il lavoro che svolgono ogni giorno a tutela della nostra sicurezza. 

Detto questo trovo assurda l’escalation di insulti e di toni offensivi registrata nelle ultime ore. Non capisco l’esigenza di mettere in piedi questo circo mediatico, con alcuni giornali schierati da una parte e altri dall’altra. Uno Stato sovrano ha le leggi e le fa rispettare. Punto. La capitana verrà giudicata da giudici sulla base delle leggi dello Stato italiano. 

C’è della rabbia intorno a tutto questo e lo comprendo. Chi rappresenta i cittadini questa rabbia deve sforzarsi di capirla, perché non può essere ignorata. Capirla non significa alimentarla, perché poi altrimenti la rabbia si trasforma in insulti violenti che colpiscono tutte le parti e che vanno sempre condannati.

Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ha motivato l’arresto della comandante affermando che “le ragioni umanitarie non possono giustificare atti di inammissibile violenza nei confronti di chi in divisa lavora in mare per la sicurezza di tutti". Ancora una volta prendiamo atto dell’azione della magistratura, che quotidianamente svolge un egregio lavoro. È importante elogiare sempre, e non a giorni alterni, il prezioso contributo di giudici e magistrati, perché sono loro che hanno il dovere di far rispettare la legge nel nostro Paese. 

Troppo spesso, invece, per simpatie o antipatie, la magistratura è stata vittima di attacchi gratuiti, anche da parte della politica. Non c’è cosa più sbagliata di interferire con il lavoro che i nostri servitori dello Stato svolgono con grande professionalità e serietà.

Io dico che la politica a volte dovrebbe tacere e applaudire l’operato di chi dalla mattina alla sera si batte per far rispettare la legalità nel nostro Paese!

Detto questo, il caso della Sea Watch ha fatto emergere un fatto da non sottovalutare: in svariate circostanze l’Italia è stata trattata come lo “zimbello d’Europa”. Questo perché? Semplice: perché i vecchi governi hanno sempre abbassato la testa, a discapito degli interessi del nostro Paese. Adesso però le cose devono cambiare: o l’Europa si sveglia oppure la svegliamo noi. Ripartiamo insieme, come una vera comunità, cambiando Dublino e il principio di chi prima accoglie poi gestisce!
L’Italia non può più farsi carico da sola del problema migranti e fin quando non saremo ascoltati, noi continueremo a farci sentire.

Orfini & C., statisti alla marinara. - Daniele Ranieri

Orfini & C., statisti alla marinara

Crocieristi - I dem sulla nave Ong dimenticano i campi libici e le politiche dei loro governi.
Il caldo gioca brutti scherzi: da due giorni ci sembra di vedere alcuni parlamentari del Pd a bordo della Sea Watch 3. Il miraggio è allucinante: Delrio in mocassino Capalbio-moda mare senza calzini sistema un materasso di fortuna sul ponte di prua mentre Orfini aggiorna il diario di bordo su Twitter e Davide Faraone si spara una ridda di selfie – con Delrio, con Giuditta Pini, con Riccardo Magi, con la capitana Rackete – rendendoli virali con gli hashtag di tendenza.
Orfini, nella sua fantozzianamente tragica mancanza di physique du rôle (pelle bianco-latte, asciugamano sulla spalla e cuffia in testa), ha un principio di ustione sul naso ma obbedisce a un dovere più grande della legge: “26 giugno, ore 22:31: Sono arrivato a Lampedusa. Quella luce gialla che vedete in foto è la #SeaWatch”. “27 giugno, ore 16:04: Siamo su un gommone.
Proviamo ad avvicinarci alla #SeaWatch”. “Ore 16:22: Siamo sulla #SeaWatch”, eccetera.
Chiamatelo Ismaele. Alle 19:28 la foto di uno splendido tramonto che potrebbe essere pure di Camogli o Ibiza accompagna le lancinanti parole di condanna: “I migranti sono in condizioni di sofferenza psicologica indescrivibile. Crudeltà, non c’ è altro modo per definire il comportamento del governo”.
Dev’ essere sempre il caldo, perché la indubbia crudeltà del governo attuale consiste nel tenere sulle barche delle Ong persone che avrebbero potuto benissimo restarsene al fresco nei campi di prigionia libici dove il governo Gentiloni, grazie al ministro Minniti, aveva profumatamente pagato le milizie indigene per trattenerle con tutti i comfort.
I meravigliosi selfie sul mare obnubilano la memoria: nel giugno di due anni fa, era Minniti che minacciava di chiudere i porti (minaccia che Delrio si fece in quattro per smentire, attenuare, ritirare), cosa che Salvini ha potuto fare perché non ha l’ organo della moralità che invece i piddini ogni tanto si scoprono sviluppatissimo. E fu Renzi – che oggi, mentre i suoi si imbarcano per l’ operazione Lampedusa, posta foto delle Dolomiti dall’ aereo che lo scarrozza per il mondo a impollinare gli altri Paesi del suo formidabile know how – a dire: “Si è fatto bene a bloccare gli sbarchi. C’ è un limite massimo di persone che puoi accogliere.
Aiutiamoli davvero a casa loro” (Festa dell’ Unità, Bologna, 1/9/17) e a vergare sull’ indimenticabile Avanti: “Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio. Se ciò avvenisse sarebbe un disastro etico, politico, sociale e alla fine anche economico”.
Ecco allora la delegazione marinara del Pd che solca le acque territoriali per raggiungere la nave con sopra i migranti, ai quali mancava solo questa, di disgrazia. Ma lasciando stare Orfini e Faraone, che di Renzi sono stati la proiezione ortogonale e prona, come può Delrio, persona seria, non notare lo stridore tra l’ aver sostenuto acriticamente quelle politiche ieri e il portare oggi soccorso a persone che hanno subito fame e violenze nei centri di detenzione libici, prevedibile eterogenesi dei fini del memorandum d’ intesa del 2017 tra Minniti e al-Sarraj?
Speriamo almeno si mangi bene, a bordo: non vorremmo che i delicati stomacucci dei digiunatori a staffetta ne avessero a soffrire. Vabbè che Orfini ormai è praticamente un lupo di mare, dopo esser salito a gennaio sulla Sea Watch al largo di Siracusa, dato l’ inspiegabile insuccesso della protesta del Pd intitolata “Non siamo pesci”.
Stavolta non c’ è con loro la Prestigiacomo, ministra di B. e memento vivente della Bossi-Fini e del decreto Maroni che creò il reato di favoreggiamento all’ immigrazione clandestina tuttora vigente, chissà per colpa di chi. Quale cultura di umanità e accoglienza possono vantare, oggi, i nostri statisti alla marinara? È come se Schettino facesse il testimonial della Costa Crociere.
SEA WATCH, DITO PUNTATO CONTRO DELRIO E PD: “VERGOGNATEVI”, NELLA NOTTE L’AFFRONTO ALL’ITALIA
(liberoquotidiano.it) – “Fossi in loro mi vergognerei”. Matteo Salvini ne ha anche per Graziano Delrio, Matteo Orfini e Davide Faraone, i tre parlamentari del Pd saliti a bordo della Sea Watch che hanno contribuito ad alimentare la “guerra politica” tra la ong tedesca e il governo italiano sulla pelle di 40 migranti tenuti sulla nave per oltre due settimane con un solo obiettivo, farli sbarcare in Italia e in nessun altro porto.
“Si sarebbe potuto intervenire prima”, hanno spiegato i dem scesi nella notte a Lampedusa, insieme ai migranti, dopo il blitz della capitana Carola Rackete. “Erano a bordo di una nave privata straniera che ha infranto tutte le leggi italiane – ha ricordato a Delrio e compagni il ministro dell’Interno, intervistato dal Gr1 Rai -. Tra l’altro stanotte la capitana ha anche messo a rischio la vita degli agenti delle forze dell’ordine”. Il riferimento è allo speronamento di una motovedetta della Guardia di Finanza che tentava di impedire l’attracco della Sea Watch al molo.
“Solidarietà alle donne e agli uomini delle Forze dell’Ordine e della Guardia di Finanza in particolare – ha poi commentato in una nota lo stesso Salvini -, visto che poche ore fa hanno rischiato la vita per la scelta criminale della SeaWatch. Da giorni stanno difendendo la legalità e i confini italiani, costretti agli straordinari da una nave pirata e da alcuni parlamentari di sinistra (tra cui un ex ministro) che anziché stare con le Forze dell’Ordine e con l’Italia hanno scelto di schierarsi con una ong tedesca che ha schiacciato una motovedetta delle Fiamme Gialle. I nostri finanzieri erano in grave difficoltà ma i parlamentari di sinistra applaudivano la capitana della Sea Watch”.

sabato 29 giugno 2019

Sea Watch, a bordo sono tutti pagati. Non ci sono più i radical chic di una volta. - Massimiliano Sfregola

Sea Watch, a bordo sono tutti pagati. Non ci sono più i radical chic di una volta

Oggi ho scoperto qualcosa di sensazionale grazie a Panorama (e già è una notizia che Panorama pubblichi qualcosa degno di nota). Reggetevi forte e ingoiate una compressa di Xamamina: la crew di Sea Watch sarebbe pagata. Già, avete capito tutti: pa-ga-ta. Non sono fichetti radical chic che spendono i soldi delle famiglie per fare i missionari come pensavate, ma veri e propri dipendenti di una Organizzazione non governativa che la stampa buonista continua a chiamare “volontari”. Ma quale volontariato! Pensate un po’: percepirebbero fino a 2000 euro al mese per stare a bordo e questo scoop spiegherebbe tante cose.
Pensateci: chi non andrebbe a farsi strizzare le budella dal mare grosso per due o tre settimane di fila, a gestire una delle situazioni più borderline che la psiche umana possa concepire, per 1500-2000 euro? Ovvio che la Ong organizza missioni continue: a questa cifra, ci sarà certamente la fila. D’altronde, parliamoci chiaro: quale preparazione ci vorrà mai per prendersi cura a 45 gradi di donne incinte, bambini, donne stuprate, uomini trattati come bestie per mesi o anni nello spazio calpestabile di una cantina o per tenere la calma laddove anche Cristo in persona cercherebbe una scialuppa per fuggire? Ma nessuna, è ovvio. Eppure prendono più di un animatore in crociera, per stare in mare giusto qualche settimana, si lamentano con frasi buoniste del tipo “siamo allo stremo”. Roba allucinante.
Se un odiatore qualsiasi, o un amplificatore editoriale di odio qualsiasi, si disperano per il cane che ha commosso il web (quello con il carrellino al posto delle zampe posteriori, presente no? Abbiamo una clip per ogni specie) e schiumano di rabbia per il salvataggio di un essere umano è semplicemente buonsenso. Così come è buonsenso che non esistano samaritani e chiunque là fuori faccia qualcosa non potrà che farlo per un doppio fine: in questi casi un lauto stipendio a tre zeri.
E non parliamo di quanto si può fare in Olanda, stato di bandiera di Sea Watch, con 1500 euro: niente. Millecinquecento è quanto si prende con il bijstand, il reddito di cittadinanza olandese. O da cassiere junior ad Albert Heijn, la catena nazionale di supermercati. Badate bene, junior perché sopra i 23 anni prenderebbero di più. Così questi pseudo-mercenari avrebbero trovato l’America (anzi, l’Italia) prendendo somme che ad Amsterdam non sarebbero sufficienti neanche per pagare un affitto (lasciamo stare per vivere) da una organizzazione no profit. Chi non farebbe la fila per imbarcarsi?
Volete mettere i radical chic di una volta, quelli con “l’attico con vista centro storico (mettete città a piacere) a spendere i soldi di papà”? Questi nordici, da buoni calvinisti, invece, fanno come si fa in quelle nazioni con una cultura delle Ong: l’organizzazione si rende solida economicamente e lo staff si paga per consentirgli di svolgere l’attività di interesse generale a tempo pieno (e senza morire di fame). E non c’è mica solo lo staff di bordo: ci sono addetti stampa, ricercatori, lobbisti – già, perché Sea Watch si propone di cambiare l’approccio alle migrazioni e di promuovere una legislazione umana. Ma per farlo ha bisogno di chi cura i rapporti con la politica – e c’è tutta la struttura che deve tenere in piedi un’organizzazione di questo tipo.
I conti, naturalmente, sono opachi per Panorama – figuriamoci – perché evidentemente loro non hanno a che fare con il fenomeno delle donazioni, più difficili da gestire del meteo in Olanda: fare piani sulla base di donazioni è molto complesso, molto più complesso, per esempio, che per quelle testate con i conti in rosso ma con un editore sempre pronto a staccare assegni (ovviamente non parliamo di Panorama). Ecco, per una Ong, se i soldi non ci sono, la geometria delle attività cambia.
Oggi, insomma, grazie a Panorama ho capito quanto poco abbiamo capito della Sea Watch e di quanti salvano vite a pagamento (anche se, con quel pagamento, nei Paesi Bassi non si copre neanche l’affitto).
Leggi anche:

Lo schiavismo dei buoni. 11.04.2016



Voluntas enim naturaliter tendit in bonum sicut in suum obiectum: quod autem aliquando in malum tendat, hoc non contigit nisi quia malum sibi sub specie boni proponitur. (Tommaso D’Aquino)
L’immigrazione di massa integra chiaramente un caso di guerra tra poveri. Non solo perché lo è nei fatti, con milioni di persone a contendersi alloggi insufficienti, lavori sottopagati o di bassa manovalanza criminale, periferie anguste e i palliativi di un welfare centellinato dai tagli. Ma anche perché così si vuole che sia – o quantomeno ce la si mette tutta affinché lo diventi.
Nei giorni in cui il Comune di Milano decideva di trasferire 400 euro al mese a chi accogliesse un profugo nella propria abitazione, nella stessa città moriva di stenti Giovanni Ceriani, un disabile di cittadinanza italiana che si manteneva con un assegno di 186 euro al mese e un bonus comunale di 1.000 euro all’anno. Mentre scrivo, a La Spezia l’invalido Roberto Bolleri è in sciopero della fame per rientrare in possesso del suo alloggio popolare occupato abusivamente da una famiglia di marocchini che, fanno sapere, usciranno solo quando il Comune avrà assegnato loro una sistemazione adeguata in deroga alle graduatorie. In Germania l’infermiera Bettina Halbey e la sua vicina di casa stanno per essere sfrattate dal Comune di Nieheim: dovranno lasciare i loro appartamenti ai richiedenti asilo, mentre nel resto del paese si espropriano immobili privati e si evacuano scuole pubbliche, per lo stesso motivo.
Non c’è bisogno di essere leghisti per capire che finirà male, malissimo.
In un sistema di finanza pubblica dove la scarsità di investimenti è postulata come un dogma, è inevitabile che i poveri e gli impoveriti si contendano le briciole e temano l’arrivo di nuove bocche da sfamare. Tanto più se quello stesso sistema predica anche la scarsità dei salari e delle tutele come una virtù e la scarsità di lavoro come una colpa, non lasciando ai deboli altra scelta che un cannibalismo di sopravvivenza in cui l’odio etnico e razziale è solo il pretesto di una guerra per bande.
C’è del dolo o comunque una sterminata irresponsabilità in chi sostiene queste politiche di scarsità e al tempo stesso auspica corridoi umanitari per prelevare gli stranieri alla fonte, chiede la rimozione dei blocchi alle frontiere e sogna di accogliere 300-400 mila persone ogni anno se non 30 milioni in 15 anni. Salvo poi, al delinearsi di una catastrofe umanitaria che colpirebbe tutti – in primis gli immigrati di cui si fanno paladini – sfoderare il ferro vecchio della rivoluzione culturale e rimproverare ai sudditi il vizio della xenofobia lanciando vibranti campagne contro l’odio. Quasi fossero, la xenofobia e l’odio, patologie dalle origini oscure da debellare con la profilassi (nei giovani) e gli antibiotici (nei vecchi) e non un’etologica conseguenza delle politiche da loro stessi create.
C’è del dolo e dell’irresponsabilità in questa filantropia a spese degli altri, ma c’è anche e soprattutto il suo contrario, cioè del razzismo. Che non è il razzismo di cui si lamentano i progressisti: l’islamofobia e il disprezzo di civiltà diverse che, deplorabile e insensato a parere di chi scrive, è già condannato a reti unite e sarà presto oggetto di un’apposita commissione per la schedatura dei reprobi. E neanche l’autorazzismo di cui si parla quando i bisogni degli stranieri sono anteposti a quelli degli autoctoni. Il razzismo dei buoni colpisce invece proprio loro: gli immigrati, che protegge a parole e trasforma nei fatti in strumenti di un piccolo e penoso esercizio di autocertificazione etica e di un più grande disegno socio-economico di sfruttamento degli ultimi.
L’idea che abbiamo bisogno (?) dello sperma di milioni di disperati per ripopolare un continente in stasi demografica, o delle loro braccia per svolgere i lavori che gli italiani non vogliono più fare (cioè quelli sottopagati) non differisce in principio dalle deportazioni degli schiavi africani negli Stati Uniti del sud o dei forzati nelle colonie inglesi da ripopolare. Allora li si prelevava con la violenza, oggi li si costringe con la violenza del debito, della guerra e dello sfruttamento – che i deportazionisti buoni chiamano rispettivamente aiuti (sic) internazionali, missioni di peacekeeping e investimenti diretti esteri, e li sostengono pulendosi la coscienza con un’agile mossa lessicale. Ritenere normale che alcuni paesi del mondo, i più poveri, siano serbatoi di carne umana da ricollocare alla bisogna dei meno poveri soddisfa i requisiti non solo del razzismo, ma anche dello schiavismo tout court, e tradisce un disprezzo ignaro ma totale del diritto di queste popolazioni a vivere in pace e prosperità nelle proprie terre di origine.
In quanto al ritornello de i-lavori-che-gli-italiani-non-vogliono-più-fare, gira da almeno 20 anni ed è un classico esempio di come si peggiora un problema vero (l’abbassamento dei salari) con una soluzione falsa (l’immigrazione). Se molti mestieri non garantiscono redditi sufficienti per condurre una vita dignitosa nonostante siano richiesti dal mercato e in molti casi indispensabili, c’è evidentemente un problema di allocazione dei frutti del lavoro, che dalla base produttiva si spostano verso l’alto, ai dirigenti e ai grandi imprenditori fino a raggiungere lo stretto vertice degli investitori finanziari e dei loro vassalli. E se il lavoro vale sempre di meno, in ciò non aiuta la velleità di competere a frontiere aperte e a cambio fisso con i paesi che ci hanno preceduto nello sfruttamento in larga scala, condannandoci a una guerra globale tra poveri dove vince chi compra il lavoro, non chi lo svolge.
Per chi si dice di sinistra questi concetti dovrebbero essere pane quotidiano, se non fosse che l’oppio del moralismo gli ha fatto credere che gli italiani sono pigri e viziati e “non vogliono sporcarsi le mani”, mentre invece i migranti sarebbero baciati da una voglia di fare e di migliorarsi attraverso il lavoro duro, umile e senza pretese. Nel raccontarsi questa fiaba si inanellano almeno tre obbrobri: 
1) il disprezzo per i propri connazionali che lottano per preservare i diritti e il benessere conquistati con il sangue degli avi, oggi derubricati a “privilegi”
2) la celebrazione della propria eccezione etica (per la nota Equazione di Scanavacca) e, 
3) in quanto agli stranieri, la certificazione del loro status di morti di fame disposti a tutto per un pugno di riso, di selvaggi che tutto sommato possono fare a meno del set completo di tutele e benefici formalmente garantiti a chi è nato nell’emisfero dei ricchi.
Se i primi due punti meritano compassione, trattandosi in ultima analisi di autolesionismo, il terzo suscita rabbia e stupore per i modi in cui i concetti antichi di colonialismo, paternalismo e sfruttamento sono riusciti a riciclarsi nei panni dei buoni sentimenti. L’unica, amarissima, consolazione è che chi ammette la deportazione del povero a beneficio del ricco – sia pure con la bonomia della dama coloniale che getta caramelle ai negretti – deve prepararsi a seguirne la sorte mettendosi al servizio di chi è ancora più ricco, come sta accadendo.
Forse un giorno ci si accorgerà che combattere la povertà importando poveri, lo schiavismo importando schiavi e la disoccupazione importando disoccupati non è una buona idea – da qualsiasi parte politica la si guardi. Quel giorno, italiani e stranieri, ovunque ci troveremo, sapremo chi ringraziare. 
Fonte: http://ilpedante.org
Link: http://ilpedante.org/post/lo-schiavismo-dei-buoni

Caporalato, blitz nel Foggiano: arrestati due imprenditori, commissariata azienda agricola.

Caporalato, blitz nel Foggiano in grande azienda agricola: sequestri e ordinanze cautelavi


Per la prima volta in Capitanata, posta sotto controllo giudiziario l’azienda che si estende su di una superficie di circa 50 ettari e che fornisce prodotti ortofrutticoli a importanti ditte dell’agroalimentare.

Nell’ambito di una operazione anticaporalato, la Procura della Repubblica e i carabinieri di Foggia hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari nei confronti di due imprenditori agricoli del Foggiano. I due sono accusati di sfruttamento del lavoro irregolare.
Inoltre, per la prima volta in Capitanata, è stata posta sotto controllo giudiziario l’azienda agricola dei due imprenditori che si estende su di una superficie di circa 50 ettari e che - raccontano gli inquirenti - fornisce prodotti ortofrutticoli a importanti ditte dell’agroalimentare. Una trentina i braccianti trovati irregolari nell’azienda.
Stando a quanto sostenuto dagli investigatori all’interno della stessa dell’azienda sono stati anche posti sotto sequestro quattro, cinque container, utilizzati dai due imprenditori come alloggi di fortuna per i braccianti agricoli. Si tratta di abitazioni fatiscenti ed in pessime condizioni igienico- sanitarie dove - a dire degli inquirenti - venivano letteralmente stipati i migranti. I particolari dell’operazione verranno resi noti in una conferenza stampa che si terrà alle 10 presso la Procura della Repubblica di Foggia.

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/foggia/1154525/caporalato-blitz-nel-foggiano-in-grande-azienda-agricola-sequestri-e-ordinanze-cautelavi.html


Ecco che cosa vuole alimentare la parte peggiore del paese: permettere, a persone di dubbia integrità morale, che i migranti, approdati sulle nostre coste con la speranza di una vita migliore, vengano usati come schiavi malpagati e bistrattati per puro scopo di maggiore lucro.

Se la Sea Watch fosse quotata in borsa Salvini starebbe zitto. - Beppe Grillo


Borsa Italiana, Piazza degli Affari, Milano - Opera di Maurizio Cattelan.

di Beppe Grillo e il suo neurologo – Il presidente di Confindustria è pienamente armonizzato con le tre sigle sindacali, era necessario che il MoVimento andasse al governo perché accadesse una cosa del genere!
In sostanza CGL, CISL e UIL, insieme a Boccia, hanno formato una specie di eclissi a forza di girarci attorno. Nell’oscurità del cono d’ombra che formano questi resti della storia si minacciano tranquillamente i governi!  Se qualcosa va storto con una concessionaria di un servizio pubblico fondamentale del paese, fatevi i cazzi vostri, sono quotati in borsa. Come se la stessa parola “Nazione” fosse troppo grossa: lo stato e i cittadini si devono infantozzare di fronte ai magliari multicolore, i Benetton e le grandi società quotate nel gran mercato.
Parlando di grosse società, ancora di più “se quotate in borsa” un governo dovrebbe accettare passivamente che la sua concessione crolli, divida in due Genova,  uccida 43 persone e distrugga pure un quartiere.
“Ok, grazie, siete fantastici, però quelli erano i nostri cittadini, quella è la nostra città e il ponte lo hanno pagato gli italiani! Adesso siete fuori!” Unica Possibile Reazione Plausibile (UPRP)
Però Boccia dice che “…servirebbe una valutazione più a freddo del linguaggio da usare…” di fronte ad una grande società sana come Atlantia…
Sana? Cosa significa sano oggi? Gli amici che “rappresentano” i cittadini ti danno in concessione un pezzo vitale del paese e tu non te ne prendi cura, ti rifiuti di risponderne senza vergogna. Potrebbe anche essere… l’incapacità di provare vergogna è la nuova definizione di salute (mentale) chi lo sa.
Sono morti in 43, uno in più dei poveracci che sono bloccati sulla nave di fronte a Lampedusa. Per il primo gruppo il mondo civile è contento se facciamo finta di niente, se non sbarcano quelli del secondo gruppo invece siamo dei criminali.
Non importa a nessuno come la pensi, la vera questione è che la Sea Watch non è quotata in borsa! E’ un mondo cacotopico, uno dei sinonimi di “distopico.” Cosa significa CACOTOPICO? Che viviamo in un futuro che tradisce tutte le aspettative più rosee di un lungo e noiosamente entropico dopoguerra.
Si perché noi siamo ancora nel dopoguerra, viviamo le conseguenze della crisi del ’29 e della guerra mondiale che l’ha seguita. Un’utopia alla rovescia, questa è una cosa cacotopica!
Così, il nostro CacoCapitano è un eroe contro i deboli, mentre l’eternamente imberbe non riesce a trovare la concentrazione necessaria a mandare a quel paese la cachessia delle idee che sta travolgendoci.
Se è un brutto sogno… svegliamoci, se siamo svegli: agiamo!
C’è una terza possibilità: lasciamo fare al mondo della finanza, forse si accorgono che la Sea Watch è quotata in borsa tramite qualche altra “controllata” come sembra esserlo tutto il mondo, tranne l’Africa (forse).
Pensateci: questo è uno dei paesi più evoluti della terra, mica noccioline.


http://www.beppegrillo.it/se-la-sea-watch-fosse-quotata-in-borsa-salvini-starebbe-zitto/?fbclid=IwAR2jKpKrJ5HuKk6oGHPt6jVlGouggcdjPSPK5yHGg65NULxfKdg-G_AUxe4

La Gdf contro Carola Rackete, "ci ha schiacciati sulla banchina, abbiamo rischiato di morire." -



Ignorato tre volte l'alt, poi il contatto fra la Sea Watch e la motovedetta dei finanzieri. Procuratore di Agrigento: "Violenza inammissibile."


L’ultima disobbedienza di Carola Rackete poteva avere conseguenze gravi per l’incolumità della Guardia di Finanza. Dinanzi alla decisione della comandante della Sea Watch di riaccendere i motori e dirigersi verso il porto, i finanzieri hanno intimato per tre volte l’alt. Ma lei lo ha ignorato. La motovedetta della Gdf ha tentato di frapporsi fra la banchina e la nave per impedire l’attracco, ma anche in questo caso Carola non si è fermata fino all’incidente con l’imbarcazione dei finanzieri.
“Abbiamo rischiato di morire” dicono fonti della Gdf all’Adnkronos, che parlano di “azione criminale” nel forzare il blocco, perché “siamo rimasti schiacciati sulla banchina” e a bordo della motovedetta si è respirato un clima di “terrore” perché “ci siamo visti addosso a noi un bestione da 600 tonnellate”.
“Le ragioni umanitarie non possono giustificare atti di inammissibile violenza nei confronti di chi in divisa lavora in mare per la sicurezza di tutti” dice il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio.
La Guardia di Finanza ha sequestrato d’ iniziativa la nave Sea Watch. Le Fiamme gialle, dopo le operazioni di sbarco dei migranti che erano a bordo della Sea Watch, sono salite a bordo e hanno preso il comando della nave. La nave è stata portata fuori dal porto, in rada.

La Sacra Famiglia - Marco Travaglio


E niente, in questa valle di lacrime non si fa che piangere a dirotto. Avevamo appena finito di commuoverci per i caldi abbracci e i teneri petting dei vincitori olimpici a Losanna, sublimati in liriche corali da Francesco Merlo, il Pindaro di Repubblica. E, quando i cigli erano ormai asciutti, ci siamo ricascati. È stato per gli strazianti gridi di dolore sul proditorio attacco di Luigi Di Maio, “a mercati aperti”, contro la concessionaria autostradale Atlantia della Sacra Famiglia Benetton (sempre sia lodata). Proprio alla vigilia della demolizione di quel che restava del Ponte Morandi, orgoglio e vanto della nazione tutta, purtroppo crollato il 14 agosto per una tragica fatalità causata dal destino cinico e baro, fors’anche dalle avverse condizioni meteorologiche (pioveva). 
L’idea che il crollo di un viadotto autostradale, col contorno di 43 morti e decine di feriti, fosse imputabile alla mancata manutenzione e all’inosservanza dei più elementari obblighi e norme di sicurezza da parte della società che lucrosissimamente lo gestiva dal 1999, fu subito scartata e bollata dai principali organi di stampa (foraggiati dai Benetton con pubblicità e altri aiutini) come sintomo di gravissime patologie. Nell’ordine: populismo, giustizialismo, moralismo, giustizia sommaria, punizione cieca, voglia di ghigliottina e di Piazzale Loreto, sciacallaggio, speculazione, ansia vendicativa, barbarie umana e giuridica, cultura anti-impresa che dice No a tutto, deriva autoritaria, ossessione del capro espiatorio, esplosione emotiva, punizione cieca, barbarie, avventurismo, collettivismo, socialismo reale, decrescita, oscurantismo (citazioni testuali da Repubblica, Corriere, Stampa e Giornale).
Provvide poi Merlo, il Vate del Laterizio, a risarcire i poveri Benetton con un’imperitura intervista a Luciano, di cui per brevità citiamo soltanto l’incipit: “È vero che il crollo del ponte Morandi con i suoi 43 morti ha ferito lei e ucciso suo fratello?”. Mancava solo una richiesta di danni ai defunti. Ora Di Maio smentisce a Porta a Porta (programma che va in onda a mercati chiusi, ma anticipa le risposte registrate a mercati aperti) le voci su Atlantia nella nuova Alitalia. E ricorda l’impegno del governo tutto (Salvini incluso) ai funerali di Genova sulla revoca della concessione ad Atlantia che, se perdesse le autostrade, sarebbe una scatola vuota “decotta”. La società lo accusa di “perturbare l’andamento del titolo Atlantia in Borsa” con “gravi danni reputazionali per la società, che si riserva ogni iniziativa legale a tutela dei propri interessi”. Come se la revoca della concessione, annunciata 10 mesi fa, fosse un fulmine a ciel sereno.
Come se qualcuno potesse peggiorare la reputazione di un gruppo che ha lasciato crollare il Morandi e ha visto i suoi dirigenti condannati in primo grado per un’altra strage, quella di Avellino (altri 40 morti), dovuta ai guardrail marci. 
Come se uno dei massimi rappresentanti del governo e del partito di maggioranza relativa dovesse tapparsi la bocca sulle gravissime responsabilità di un concessionario pubblico solo perché è quotato in Borsa, oppure parlarne soltanto bene (possibilmente a mercati aperti). Il caso ricorda gli alti lai del gruppo Caltagirone quando la Raggi, in campagna elettorale del 2016, osò ventilare un cambio della guardia in Acea, partecipata dal Comune di Roma e da Caltagirone. Il quale, tramite gli appositi Messaggero e Pd, la accusò di aver causato un calo in Borsa (tre giorni dopo le sue dichiarazioni). Stavolta i primi a insorgere, in stereofonia con Atlantia, sono il Pd (per bocca di Raffaella Paita, candidata trombata alla Regione Liguria e dunque deputata), quel che resta di FI (Mara Carfagna) e Salvini in versione garantista: “Chi ha morti sulla coscienza pagherà, ma non faccio il giudice”: in effetti, i processi a Genova potrebbero appurare che il Morandi è crollato per la pioggia, o che è tutta colpa della Sea Watch.
E poi, naturalmente, i giornaloni. Corriere: “Ilva e Atlantia, l’attacco di Di Maio. Nel mirino le grandi imprese” (per la verità solo due: quella che ha lasciato crollare il ponte e quella che minaccia serrata e licenziamenti perché pretende l’immunità per i suoi reati, dandoli per scontati); “nella cultura politica del ministro Di Maio è facile riscontrare un pregiudizio di fondo nei confronti dell’impresa e della libera iniziativa” (di lasciar crollare i ponti). Repubblica, con la fotocopiatrice: “Il metodo gialloverde contro l’industria”, “la missione dei 5Stelle pare quella di affondare ciò che c’è – o che resta – dell’imprenditoria, in nome di una vendetta epocale contro un capitalismo considerato di rapina”, al punto di negare financo “l’immunità dalla responsabilità penale per il risanamento ambientale” (già ci par di vederli, i buoni samaritani di Mittal, che si dannano l’anima per bonificare l’Ilva e le toghe gialle istigate da Di Maio che li arrestano per il reato di risanamento ambientale). La Stampa, cioè la nuova Padania: “Salvini attacca: ‘Di Maio sbaglia. Atlantia assicura migliaia di posti. Attenti a dare giudizi sommari’” (meglio i suoi giudizi somari). Messaggero: “Quelle parole incaute che spaventano gli investitori”, “Salvini contro lo sfascia-tutto (Di Maio, non Atlantia, ndr)’”. 
Sole 24 Ore: “Troppo livore e parole in libertà”. Libero: “Di Maio vuole che Atlantia fallisca”. Giornale: “Il folle piano di Di Maio: un’Italia senza acciaio e i Benetton sul lastrico” (e neanche una pubblicità delle pecore col maglione). Non so a voi, ma a me, all’idea dei Benetton sul lastrico per una frase di Di Maio che rinunciano alla grigliata cortinese di ferragosto, è venuto da piangere. Vanno assolutamente risarciti. Magari facendogli costruire un bel ponte a Cortina. Tanto poi nel giro di cinque anni crolla e diventa un ottimo trampolino per le Olimpiadi del 2026.