sabato 26 gennaio 2019

New Horizons, Ultima Thule porta il collare. - Eleonora Ferroni


Ultima Thule, il corpo celeste più lontano mai visitato da una sonda spaziale. Crediti: Nasa/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute.

La camera a bordo della sonda della Nasa ha catturato dettagli topografici inediti, come il misterioso “collare” luminoso che avvolge la strozzatura tra i due lobi.


Dettagli incredibili in questa nuova immagine di Ultima Thule, o 2014 Mu69, scattata dalla sonda della Nasa New Horizons lo scorso Capodanno durante un flyby passato alla storia. Si tratta del corpo celeste più lontano mai visitato da un oggetto costruito dall’uomo (la sonda si trova a 6,64 miliardi di chilometri dalla Terra).
L’immagine è stata ottenuta dallo strumento Multicolor Visible Imaging Camera a una distanza di 6700 chilometri dall’oggetto primordiale della Fascia di Kuiper. Con una risoluzione di 135 metri per pixel, lo scatto originale è stato inviato sulla Terra e poi editato dai tecnici della Nasa prima di essere pubblicato online. Normalmente le immagini arrivano in un formato grezzo, che va poi modificato per essere apprezzato anche dai non addetti ai lavori. Nello specifico, il processo si chiama “deconvoluzione” e serve per migliorare la risoluzione, dare più contrasto a piccoli dettagli e ad amplificare la grana dell’immagine.
La camera di New Horizons ha catturato dettagli topografici inediti, compresa la linea giorno-notte (tecnicamente “terminatore“). Depressioni profonde e picchi non molto alti appaiono chiaramente in questo scatto. Una caratteristica interessante ma ancora misteriosa è il “collare” luminoso che avvolge la strozzatura tra i due lobi.
Gli scatti del prossimo mese saranno utili per spiegare questo e altri dettagli geologici.

I Bambini di Llullaillaco vennero a lungo Drogati prima del loro Sacrificio Rituale. - Annalisa Lo Monaco


Il Vulcano Llullaillaco


Nel 1999, tra le fredde e ventose vette della Cordigliera delle Ande che segnano il confine tra Cile e Argentina, in cima al Vulcano Llullaillaco, furono trovati i resti mummificati di tre bambini, morti circa 500 anni fa, in ottimo stato di conservazione.
La spedizione, guidata dal Professor Johan Reinhard, era partita proprio alla ricerca dei luoghi dove gli Inca sacrificavano i bambini durante cerimonie rituali. L’impresa non era certo agevole: il team fu costretto a trascorrere circa un mese a bassa quota sulla montagna, per acclimatarsi, salendo verso la cima a tappe, e affrontando condizioni climatiche estreme, con temperature anche di 40 gradi sotto zero, e venti impetuosi. Arrivati a 6.600 metri di altezza, dopo una tempesta durata quattro giorni, Reinhard e la sua squadra avevano quasi deciso di rinunciare, quando trovarono un sentiero dove c’erano tracce di un passaggio umano, il percorso verso il luogo di sepoltura dei tre bambini:
La doncella, la niña del rayo ed el niño
La “doncella”aveva 13/15 anni quando andò incontrò alla morte, mentre i suoi compagni “el niño”, e la “niña del rayo” (la bambina del fulmine) avevano tra i 4 e i 5 anni di età.
Analisi radiologiche e del DNA, effettuate nel 2012, hanno rivelato alcuni dettagli sorprendenti: i bambini erano stati drogati e avevano consumato alcool durante l’anno precedente al sacrificio, nel corso delle fasi rituali che lo precedevano.

Frammenti di foglie di coca fra i denti della “Doncella”

Le tre vittime avevano masticato foglie di coca e bevuto birra di mais, secondo le analisi di campioni dei loro capelli. I ricercatori hanno anche scoperto che i bambini provenivano probabilmente da famiglie contadine, perché risulta che abbiano consumato soprattutto verdure comuni fino a quando non furono scelti per il sacrificio. In seguito, e fino alla morte, seguirono una dieta solitamente riservata alle classi privilegiate, nella quale erano presenti mais e carne di lama. Questa pratica è confermata anche dai resoconti storici, secondo i quali i bambini erano accuratamente selezionati in tutto il vasto territorio dell’impero, anche in base alla loro perfezione fisica, e poi seguiti attraverso un percorso di purificazione durante il quale partecipavano a una serie di cerimonie sacre, prima di essere sacrificati.
Le analisi hanno rivelato che i bambini furono trattati in maniera diversa: la “doncella” aveva seguito una dieta elitaria e consumato coca e alcool nei 21 mesi precedenti la sua morte, mentre i bambini più piccoli avevano cambiato abitudini alimentari soltanto nove mesi prima del loro sacrificio.
La coca era usata comunemente per tollerare gli effetti dell’altitudine dalle persone che frequentavano queste vette
La ragazza più grande si distingue anche per il modo in cui era vestita e pettinata: aveva un copricapo di piume e i capelli elaboratamente intrecciati, oltre che numerosi manufatti di seta posti su un drappo appoggiato sulle sue ginocchia.

El niño

I risultati dello studio suggeriscono che il bambino di Llullaillaco non ebbe una morte pacifica: sui suoi vestiti fu trovato sangue e vomito, segno che forse morì soffocato, mentre era strettamente avvolto in un panno, cioè legato, l’unica vittima a ricevere un trattamento apparentemente violento.
La niña del rayo, chiamata così perché fu probabilmente colpita da un fulmine, dopo la sepoltura, aveva la testa e una parte del corpo avvolti in una coperta di lana spessa, cui era sovrapposta un’altra coperta colorata.
Andrew Wilson, archeologo dell’Università di Bradford nel Regno Unito, spiega perché la doncella fu trattata in modo diverso rispetto ai suoi compagni più giovani: “La doncella era forse una donna scelta per vivere in modo totalmente diverso dalla sua vita precedente, tra l’élite e sotto la cura delle sacerdotesse”.
Sotto, la replica della giovane ragazza al “Museo Nacional de Historia Natural” di Santiago in Cile:
Questo tipo di pratica sacrificale era probabilmente usata come una forma di controllo sociale: essere scelti per i riti sacrificali doveva essere visto come un grande onore, ma probabilmente era anche fonte di paura, con i genitori che non dovevano mostrare timore o rabbia se i loro figli venivano scelti. Forse ulteriori studi delle tre mummie congelate di Llullaillaco forniranno una maggiore comprensione del sacrificio rituale.
Dal 2007 le tre mummie sono esposte al Museo de Arqueología de Alta Montaña, a Salta, in Argentina, in un territorio che faceva parte dell’impero Inca, fino a che non crollò sotto la conquista degli spagnoli, nel 1530. I discendenti del fiero popolo degli Inca vedono nella riesumazione e nell’esposizione delle mummie un affronto alle loro tradizioni religiose e culturali: il vulcano Llullaillaco è ancora una montagna sacra per loro, che non andrebbe profanata.


La Casta fa autocritica e si autoassolve. - Marcello Veneziani

Da diversi giorni su la Repubblica va in scena il teatrino dell’assurdo: la Casta spiega al popolo perché ha perso e perché hanno vinto i loro nemici. Fanno autocritica perché non accettano critiche, gli unici abilitati a criticarli sono sempre loro stessi. Hanno la presunzione di sapere solo loro come sono andate effettivamente le cose, perfino la loro sconfitta la capiscono solo loro che l’hanno pur causata, almeno in buona parte. La loro autocritica esclude il presupposto di ogni serio bagno di umiltà: ascoltare. Ascoltare gli altri, ascoltare chi ha vinto e chi ha decretato la vittoria dei populisti e dei sovranisti, ascoltare la gente, ascoltare chi già prima del collasso spiegava le ragioni del cambiamento in corso. Macché. Gli altri non esistono, non hanno diritto di parola, sono plebe, o fascisti, reazionari, sovranisti o loro complici. La stessa cosa ha fatto il Pd.
Ma tutta questa presunzione – che il loro Papa laico definisce in modo altrettanto presuntuoso come “albagia” (Eugenio Scalfari dixit di Sé stesso, col Sé maiuscolo) per non confonderla con la volgare arroganza – spiega il crollo delle élite molto più di quanto si possa immaginare.
Infatti cosa si può rimproverare alle élite, il fatto di esistere e dunque per ciò stesso di tradire la democrazia, cioè l’autogoverno del popolo? Ma no, questo è lo schema puerile, simil-rousseauviano, di chi crede alla favola della democrazia diretta. C’è sempre stato un governo d’élite, non si conoscono paesi e sistemi politici in cui i governati coincidano coi governanti, nemmeno a rotazione, e tutto si decide a colpi di referendum e di plebiscito, persino le manovre economiche si fanno al balcone e poi si firmano in piazza tra bandiere, abbracci e tric-trac.
Il problema vero, la malattia del sistema, è che non si sono viste in campo  le élite, al plurale, in competizione tra loro, come si addice a una vera democrazia, ma una sola oligarchia, un blocco di potere compatto e uniforme benché ramificato.
I teorici delle élite, da Mosca a Pareto, parlavano di circolazione delle elite, per loro la storia è un cimitero di aristocrazie; sono le minoranze che governano, ma sono minoranze in competizione, che si rinnovano.
Da noi invece è avvenuta la stipsi delle élite. O se preferite una metafora meno cacofonica, l’arteriosclerosi delle élite, l’indurimento delle arterie che non consentivano la loro fluida circolazione. Si formano i trombi nel sangue e i tromboni nella società. E fermano il flusso. È lì che la classe dirigente si è chiusa a riccio, diventando solo classe dominante, e casta sovrastante.
Non c’è stata circolazione, non c’è stata competizione tra élite divergenti, e non c’è stato filtro selettivo per consentire il ricambio tramite la meritocrazia. Si è bloccato l’ascensore sociale, si è chiuso l’accesso dei capaci e dei meritevoli. Si accedeva alle élite solo per cooptazione, per affiliazione alla cupola elitaria, per conformità di idee, metodi, linguaggi e idolatrie.
Ma per avere circolazione, selezione, competizione, devi ammettere che non esista solo un Modello, una via di sviluppo, un solo codice politico, culturale e ideale. Devi accettare le differenze e il vero antagonismo.
E invece chi non era conforme a quella precettistica, era messo fuori legge, fuori sistema, si poneva di volta in volta fuori dalla modernità, dalla democrazia, dall’Europa e in certi casi perfino fuori dall’umanità. Poi non si spiegano perché l’odio sia diventato un fatto sociale diffuso. Dopo aver insegnato Odiologia verso chi dissentiva dal loro canone, non potete poi meravigliarvi se la gente ha ricambiato, magari con la rozzezza dovuta a chi è carente di cultura e buone maniere. D’altra parte la buona educazione, dal ’68 in poi, fu cancellata e se non sbaglio da quella storia provenite pure voi. Una società volgare, sboccata, primitiva, nasce proprio da quella “liberazione”, dal mancato nesso tra diritti e doveri, che dal ’68 in poi è diventato il discorso dominante (“il diritto di avere diritti”). Ora, non dico che quel che è accaduto sia solo colpa della casta: anche dalla parte opposta si è fatto poco per far crescere e formare élite adeguate, qualificate e competitive. Però negando ogni cittadinanza alle idee diverse, ai modelli politici e culturali diversi, riducendo tutto a fascismo e paraggi, e soprattutto negando perfino l’esistenza di chi la pensava diversamente perché chi divergeva non poteva avere pensiero, hanno di fatto avallato il loro essere un Blocco Unico e Chiuso, che si autoriproduce.
A differenza loro, io per esempio leggo Ezio Mauro e Alessandro Baricco, Michele Serra e Ilvo Diamanti, Eugenio Scalfari e altre loro firme culturali, e ne apprezzo in generale la qualità intellettuale. Li critico, polemizzo. Per loro invece, chi non la pensa come loro o è una bestia o non esiste. Poi non si sanno spiegare perché alla fine parlano solo tra loro e a Sé stessi, col sé maiuscolo, dimenticando il mondo. Che alla fine fa volentieri a meno di loro, o si rivolta contro di loro.
MV, La Verità 15 gennaio 2019