Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 17 aprile 2019
ALT! COSA C'È DIETRO L'INDAGINE SU SANDRO GOZI E SULLA PRESIDENTE DELLA BANCA CENTRALE DI SAN MARINO CATIA TOMASETTI?
Alt! Cosa c'è dietro l'indagine della magistratura – anzi di un magistrato – di San Marino sull'ex sottosegretario agli esteri Sandro Gozi e sulla presidente della Banca Centrale Catia Tomasetti? Davvero si tratta solo di una "consulenza fittizia" da 120mila euro in un anno, concessa dall'istituzione a Gozi, oppure c'è in ballo un gioco molto più grande da cui dipende il futuro e la sopravvivenza stessa del micro-stato che si professa indipendente dal 301 dopo Cristo? Cosa c'entra l'inverosimile visita ufficiale del ministro degli esteri russo Lavrov dello scorso 21 marzo?
Facciamo un passo indietro fino alla storia recente. San Marino ha vissuto trent'anni di sfrenata crescita economica sostenuta solo dal suo mercato finanziario: dalle quattro banche che aveva all'inizio degli anni '80, altri istituti sono spuntati come funghi per approfittare di un grande e fiorente mercato: quello del riciclaggio del denaro. Il pil passa dagli 1,1 miliardi del 2000 ai 2,7 del 2008. Tutto è pubblico: mense, farmacie, ospedali. Il tenore di vita e il reddito pro-capite fanno impallidire gli italiani che vivono a pochi chilometri di distanza e attraggono migliaia di frontalieri.
Tutto fila liscio finché nel 2009 Giulio Tremonti, all'epoca ministro del Tesoro, non inserisce quel ''neo'' incastonato tra la Romagna e le Marche nella black list dei paradisi fiscali. Di fatto è un embargo finanziario per gli imprenditori italiani: chi fa affari con San Marino, si aspetti di ricevere la visita della Guardia di Finanza. Praticamente una condanna a morte.
Da lì, complice anche la crisi dei mutui subprime e il clima di grande sfiducia nei confronti delle istituzioni finanziarie, tutto inizia ad andare a rotoli, anche perché nessuno nel frattempo ha pensato a un piano B né investito in altri settori.
Senza entrare nei dettagli, il seguito è noto: partono inchieste sui soldi della criminalità organizzata che passano per San Marino, politici e banchieri vengono arrestati, e i ricchi romagnoli che tenevano le loro fortune nelle banche del Titano iniziano a portare via i soldi perché annusano la mala parata.
Più o meno quello che succede allo Ior: le istituzioni internazionali come Commissione Europea, Moneyval (Consiglio d'Europa) e OECD cominciano a menare duro sui paesi che lucrano sull'opacità finanziaria. Se volete fare affari con i nostri paesi membri, dovete rinunciare al segreto bancario e ai traffici loschi.
Passano gli anni e i conti di San Marino finiscono in pezzi, il welfare al collasso, le banche cadono come mosche. L'unica strada, sembra, è quella di fare pace con l'Unione Europea, che nel 2013 si dice pronta a offrire un ''Accordo di Associazione'' anche ad Andorra e Monaco. I tre campioncini dell'offshore non diventerebbero stati membri né farebbero parte dell'Area Economica Europea (in cui troviamo Islanda, Liechtenstein e Norvegia), ma se accettano l'aquis, la mole di legislazione comunitaria (inclusa la trasparenza fiscale), potranno ricominciare a fare affari con i loro vicini di casa.
Il processo va avanti ma molto lentamente, e una parte della politica locale, quella che vuole portare lo staterello nelle white list, decide che bisogna dare una sterzata, almeno di facciata.
Nell'aprile 2018 Catia Tomasetti, già partner dello studio legale Bonelli Erede, viene nominata presidente della Banca Centrale di San Marino (Bcsm), e due mesi dopo arriva la consulenza a Sandro Gozi. Lei ha il compito di ripulire le finanze del Titano e di studiare un futuro senza riciclaggio, magari puntando sulle agevolazioni fiscali. Se di questo campano Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo, perché non può farlo San Marino?
Lui deve invece trattare con le istituzioni europee la definizione dell'Accordo di Associazione: non rieletto in Parlamento e con molti agganci e conoscenze a Bruxelles visto che è stato per 10 anni il braccio destro di Romano Prodi, aveva il profilo giusto per occuparsi ai negoziati che languono.
Da qui nasce l'inchiesta, o meglio nasce sulla base di un esposto anonimo che ''appare'' a dicembre sulla scrivania del magistrato Alberto Buriani, che accusa la Tomasetti di aver ''indotto il consiglio direttivo di Bcsm a stipulare un contratto di consulenza fittizia con Gozi, di cui aveva nascosto l'amicizia''. Lei replica al Resto del Carlino: ''Il consiglio direttivo era perfettamente al corrente della consulenza'', tanto che lei stessa aveva fatto pubblicare sul sito (la legge di San Marino non lo prevedeva) l'entità e la durata dell'ingaggio, e il loro rapporto era noto a tutti.
Poi aggiunge: ''Abbiamo commissariato un istituto (Banca Cis) e chi ci va intorno finisce sempre indagato''. E in effetti basta fare una rapida ricerca su Google per scoprire cosa succede a chi tocca questa banca.
Gli ultimi che avevano provato a riformare il sistema bancario di San Marino, firmando un Memorandum of Understanding con Bankitalia, sono stati condannati in primo grado e hanno perso il lavoro alla Bcsm, finché non sono stati assolti in appello e ri-assunti dall'attuale dirigenza.
Lui invece sostiene che la consulenza non sia affatto fittizia: si è recato molte volte a Bruxelles per trattare con la delegazione ufficiale di San Marino (ci sono i verbali), ha prodotto diversi report per la banca e lo stesso magistrato gli ha sequestrato 2800 email di lavoro attinenti all'incarico, che dunque in qualche modo è stato svolto.
Ma ora bisogna tornare alla visita di Lavrov a San Marino lo scorso 21 marzo, quando il ministro degli esteri russo è stato accolto trionfalmente dal Segretario di Stato per gli Affari Esteri Nicola Renzi (solo omonimo) e ai due Capitani (capi di Stato) Tomassoni e Santolini.
"Apprezziamo il fatto che San Marino, nonostante le pressioni esercitate sulla Repubblica dall'esterno, non abbia aderito alla spirale sanzionatoria antirussa promossa da Bruxelles, su dirette istruzioni di Washington. Questo approccio autonomo e pragmatico del vostro Paese, che favorisce lo sviluppo ulteriore dei nostri legami economico-commerciali e finanziari, merita il più profondo rispetto", ha dichiarato Lavrov.
Perché un uomo così potente si è prestato a un viaggio ufficiale in un micro-stato, per giunta nel pieno delle trattative di accordo con l'Unione Europea, a parlare male di Bruxelles e Washington? È presto detto: a San Marino molti non vogliono affatto abbandonare lo stile di vita da vitelloni di cui hanno goduto per decenni. Rinunciare al riciclaggio, attività in cui si erano specializzati senza necessità di chissà che titoli di studio, vuol dire imparare un mestiere e mettersi a lavorare per stipendi decisamente meno esorbitanti.
E allora, per mantenere lo status quo, non resta che l'alleanza con la Russia, vendere il debito a Mosca e garantire in cambio uno sbocco finanziario ''protetto'' per oligarchi in cerca di paradisi. Magari facendo passare per San Marino un po' di merci italiane, così da sfuggire all'embargo sull'export verso il puzzone Putin. A Lavrov non pare vero di mettere un'altra spina nel cuore dell'Europa.
Per farlo però, le trattative di Gozi con Bruxelles devono saltare, e il processo di pulizia della Tomasetti deve fermarsi. Lui si è appena candidato all'Europarlamento con la Renaissance macroniana, e dunque la sua collaborazione era già stata interrotta.
Mentre per costringere alle dimissioni lei, e rimettere al suo posto qualcuno più compiacente, niente di meglio di una bella inchiesta con grande rilancio sulla stampa italiana, interessata più a menare su Gozi (in quanto euro-macronista, un nemico perfetto per i sovranisti) che alle sorti delle finanze del Titano.
Insomma San Marino è al bivio: mollare le vecchie abitudini per un futuro incerto ma ''inserito'' nel contesto europeo, o tenere in piedi i vecchi sistemi sperando nella protezione russa per tirare a campare. Quale strada sceglierà?
Ps: pochi minuti fa i dipendenti ''di ogni ordine e grado'' della Banca centrale di San Marino hanno emesso un comunicato a sostegno di Catia Tomasetti:
I dipendenti di ogni ordine e grado della Banca Centrale della Repubblica di San Marino, venuti a conoscenza tramite i media della notizia di un'indagine avviata dal Tribunale di San Marino che coinvolge l'Avv. Catia Tomasetti Presidente di Banca Centrale, esprimono la loro piena solidarietà alla stessa che, sin dal suo insediamento, si è impegnata con determinazione per il rilancio e consolidamento del sistema bancario e finanziario ed a difesa dell'autorevolezza dell'istituzione e delle professionalità dei dipendenti della Banca Centrale.
I dipendenti della BCSM, nell'esprimere la loro fiducia nell'operato della magistratura, auspicano che quanto emerso possa essere chiarito in tempi celeri, a tutela degli interessati, di BCSM e nel superiore interesse del Paese.
https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/alt-cosa-39-dietro-39-indagine-sandro-gozi-201270.htm
https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/alt-cosa-39-dietro-39-indagine-sandro-gozi-201270.htm
Mondo di mezzo, 13 a giudizio per falsa testimonianza. Anche Micaela Campana: al processo pronunciò 39 “non ricordo”.
Con la deputata del Pd, per decisione del gup Costantino De Robbio, andranno a processo altre 12 persone tra le quali Antonio Lucarelli, ex braccio destro del sindaco Gianni Alemanno, e l’ex direttore del Dipartimento promozione dei servizi sociali del Comune di Roma, Angelo Scozzafava. Il processo è stato fissato al 13 novembre.
Molti “non so“, moltissimi “non ricordo“. Trentanove in tutto, tutti pronunciati in aula. Troppi per i magistrati capitolini, che per tutte le amnesie inanellate il 17 ottobre 2016 hanno rinviato a giudizio per falsa testimonianza deputata la del Partito Democratico Micaela Campana. Con lei, per decisione del gup Costantino De Robbio, andranno a processo altre 12 persone tra le quali Antonio Lucarelli, ex braccio destro del sindaco Gianni Alemanno, e l’ex direttore del Dipartimento promozione dei servizi sociali del Comune di Roma, Angelo Scozzafava. L’accusa: nel corso del processo di primo grado al Mondo di mezzo mentirono davanti ai giudici della X sezione penale del Tribunale di Roma. Il processo è stato fissato al prossimo 13 novembre davanti alla settima sezione penale.
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I pm di piazzale Clodio, che il 26 ottobre 2018 avevano chiesto il rinvio a giudizio, contestavano alla Campana di “aver negato reiteratamente numerose circostanze della sua vita politica e personale”, fra le quali “la richiesta rivolta a Salvatore Buzzi di curare il trasloco per il cognato Nicolò Corrado, le ragioni dell’incontro del 4 aprile 2014 con Buzzi presso la sua abitazione, i collegamenti diretti di Buzzi con l’ex viceministro dell’Interno Filippo Bubbico e l’interessamento di quest’ultimo alle vicende inerenti alla gara per la gestione del Cara di Castelnuovo di Porto“. Secondo i pubblici ministeri campana aveva “affermato il falso, ovvero taceva, in tutto o in parte, ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali era interrogata”.
Ex moglie di Daniele Ozzimo, assessore alla casa della giunta Marino (condannato in appello a 2 anni e due mesi per corruzione), Campana aveva pronunciato la prima raffica di “non ricordo” proprio a proposito dell’incontro tra Buzzi e Bubbico: la deputata aveva riferito di non ricordare, negando circostanze ben definite nelle intercettazioni telefoniche. “Non ricordo se Buzzi mi indicò le motivazioni per cui mi chiese quell’incontro”, affermava la Campana, che, di fronte all’incalzare delle domande del difensore del presidente della Cooperativa 29 giugno, aveva motivato l’amnesia con il fatto che erano passati diversi mesi.
All’ennesima dichiarazione approssimativa la presidente della Corte, Rossana Ianniello, l’aveva redarguita: “Lei non può rispondere dicendo ‘Probabilmente sì’. Lei è una componente della Commissione Giustizia e dovrebbe sapere che il testimone risponde sui fatti di cui è a conoscenza. E qui non facciamo giudizi sulla base di probabilità”. All’ennesimo “non ricordo” Ianniello era costretta a ricordarle la gravità di una testimonianza falsa in un processo e rincarava: “Lei è anche una persona giovane, quindi questo “non ricordo” continuo come ce lo spiega?“. “Faccio anche altre cose“, era stata la risposta lapidaria della parlamentare Pd.
Nonostante il rinvio a giudizio che pendeva sulla sua testa, il Pd aveva deciso di ricandidarla e con il voto del 4 marzo la Campana era tornata in Parlamento anche nella diciottesima legislatura: ancora una volta alla Camera, dove è membro della commissione Affari sociali. Durante il mandato precedente aveva tenuto per tre anni il proprio assistente con contratti a progetto da 1500 euro lordi al mese. Davanti al giudice aveva poi accettati di pagarne 16mila, ma in cambio dall’ex collaboratore aveva preteso un impegno al silenzio tombale.
Per la Procura, poi, Lucarelli aveva detto il falso nell’aula bunker di Rebibbia quando aveva affermato “di non conoscere Massimo Carminati, di non essere mai stato contattato dallo stesso nel periodo in cui ha svolto le mansioni di capo segreteria di Alemanno, di non aver subito da Carminati alcuna intimidazione e di aver avuto rapporti conflittuali con Buzzi che, poi, ridimensionava nella rilevanza”.
Il giudice De Robbio ha disposto il proscioglimento per Biagio Campanale, Maurizio Mattei, Maurizio Franchini e Angelo Chiorazzo.
Per la Procura, poi, Lucarelli aveva detto il falso nell’aula bunker di Rebibbia quando aveva affermato “di non conoscere Massimo Carminati, di non essere mai stato contattato dallo stesso nel periodo in cui ha svolto le mansioni di capo segreteria di Alemanno, di non aver subito da Carminati alcuna intimidazione e di aver avuto rapporti conflittuali con Buzzi che, poi, ridimensionava nella rilevanza”.
Il giudice De Robbio ha disposto il proscioglimento per Biagio Campanale, Maurizio Mattei, Maurizio Franchini e Angelo Chiorazzo.
È ARRIVATO IL CONTO - Marco Travaglio
Spiace per Nicola Zingaretti, che è appena arrivato alla segreteria del Pd e non ne ha certo selezionato la classe dirigente. Ma quello che sta accadendo con lo scandalo della (in)sanità in Umbria, il rinvio a giudizio della deputata Micaela Campana per falsa testimonianza su Mafia Capitale e la fine delle indagini sul governatore calabrese Oliverio & his friends è la resa dei conti finale di un equivoco durato troppo a lungo, dai tempi di Tangentopoli: quello della “diversità morale” del partito della sinistra.
Una diversità che aveva una ragion d’essere ai tempi del vecchio Pci, più per l’onestà personale (indiscutibile) di Enrico Berlinguer che per la correttezza (molto opinabile) delle sue classi dirigenti.
Mani Pulite dimostrò che il Pci-Pds era pienamente integrato nel sistema della corruzione. E fu solo per la tenuta stagna dei cassieri-faccendieri alla Primo Greganti se lo scandalo coinvolse solo dirigenti locali, quasi tutti dalla corrente filocraxiana che si faceva chiamare “migliorista” (e tutti chiamavano “pigliorista”).
Mani Pulite dimostrò che il Pci-Pds era pienamente integrato nel sistema della corruzione. E fu solo per la tenuta stagna dei cassieri-faccendieri alla Primo Greganti se lo scandalo coinvolse solo dirigenti locali, quasi tutti dalla corrente filocraxiana che si faceva chiamare “migliorista” (e tutti chiamavano “pigliorista”).
Infatti Greganti, in cambio del suo preziosissimo silenzio sugli anelli superiori della catena, fu sempre protetto dal partito, tant’è che ancora cinque anni fa faceva il bello e il cattivo tempo nel sistema degli appalti per l’Expo di Milano. Ma, nell’immaginario collettivo, anche se decine di ex Pci furono arrestati e condannati per tangenti, la sinistra riuscì a perpetuare la leggenda della sua diversità: un po’ perché i suoi rubavano perlopiù per il partito, senza lo scandalo supplementare degli arricchimenti personali; un po’ perché l’altro fronte era dominato prima dal Caf e poi dal campione mondiale dell’illegalità, Silvio B. che non temeva confronti.
Il centrosinistra s’impegnava allo spasimo per stargli appresso e tenere i suoi ritmi, ma non ce la faceva: e così, per 25 anni, è riuscito a gabellare da “mele marce” (in un cestino sano) e da “compagni che sbagliano” la miriade di amministratori locali e nazionali presi con le mani nel sacco. A ogni elezione l’appello al fronte comune anti-Caimano funzionava, almeno fra chi non fuggiva nell’astensione: il giorno del voto milioni di persone, imprecando e giurando che era l’ultima volta, accettavano di subire il ricatto e si turavano il naso sugli scandali del centrosinistra per non ritrovarsi nella Cloaca Maxima. Il bipolarismo penale fra berlusconiani e menopeggisti è durato fino al 2013, quando il sistema è diventato tripolare con l’avvento dei 5Stelle. Che proprio della questione morale facevano una delle loro bandiere. Infatti i due vecchi poli si misero insieme al seguito di Letta, Renzi e Gentiloni.
Prima direttamente con B., poi coi suoi cascami (alfanidi e verdiniani). Per la prima volta in 25 anni il centrosinistra che aveva sempre finto di opporsi a B., salvo poi chiedere i voti contro di lui e sopravvivere a se stesso grazie a lui, dimostrò quanto era simile a lui. Al punto da governare per cinque anni (e riformare la Costituzione e la legge elettorale) con lui o chi per lui. Così, alle elezioni del 2018, il ricatto “votateci o vince B.” smise di funzionare. Infatti il Pd si ritrovò a tifare espressamente per lui, in vista di nuove “larghe intese” contro il nuovo spaventapasseri creato ad arte per gabbare gli elettori più gonzi e trascinarli un’altra volta alle urne con gli occhi tappati e il naso turato: i “populisti”. Contro di loro si invocava un nuovo fronte comune senza andare troppo per il sottile, un’Union Sacrée per stomaci forti dal Pd a FI. Lo spauracchio funzionò all’incontrario: Pd e FI ai minimi storici, M5S e Lega ai massimi.
Finalmente liberi da tutti i ricatti (prima “votate Dc sennò vince il Pci”, poi “votate B. se no vincono i comunisti”, infine “votate Pd se no vince B.”), gli elettori hanno ritrovato la vista e l’olfatto, e si sono divisi secondo le proprie inclinazioni: uno strano e confuso movimento post-ideologico di centro, che però assorbe molte battaglie disertate dalla sinistra, cioè i 5Stelle; e una destra estrema, popolare, demagogica e xenofoba che si identifica fideisticamente in un capo rude e parolaio, ma empatico e abile a spacciare la vecchia Lega per una novità. Ed ecco questo governo Frankenstein che ha senso solo come espiazione di tutti i precedenti. Convinti di aver visto tutto il peggio possibile, gli elettori rifiutano i tentativi dei partiti sconfitti di ricondurli all’ovile con nuovi ricatti: tipo “votateci sennò torna il fascismo”, “votateci perché siamo competenti”, “votateci perché siamo cambiati”. Il fascismo era una cosa seria (purtroppo), la Lega è una mezza farsa. Di competenza se ne vedeva poca anche prima, altrimenti non saremmo da 30 anni sull’orlo della bancarotta. Quanto al cambiamento, be’, un pregiudicato mezzo rintronato di 82 anni che si ricandida in Europa parla da sé. E Zingaretti, col poco tempo che ha avuto dal congresso alle Europee, ha cambiato poco o nulla. E lo scandalo dell’Umbria, come se non bastassero quelli in Campania, in Basilicata, in Calabria ecc., sembra fatto apposta per fotografare un partito sopravvissuto a ogni “rottamazione” e rimasto fermo a Tangentopoli. Ma ormai nudo, senza più il trio Craxi-Forlani-Andreotti e la Banda B. a fare da schermo e da alibi. Le carte dell’inchiesta sui concorsi truccati nella sede del Pd umbro, sui disabili costretti a farsi raccomandare dal partito per non essere scavalcati da quelli con tessera e padrino, sui direttori generali di stretta osservanza che “se mi intercettano mi scoprono cinque reati all’ora”, richiederebbero ben altro che le giaculatorie di padre Zinga sulla “fiducia nei magistrati” e sul “senso di responsabilità della governatrice Marini” (che finalmente se n’è andata). Sennò la gente scuote il capo e, casomai si fosse riavvicinata al Pd, scappa a gambe levate.