Iv non ottiene nulla sul Recovery Plan: muro contro muro. - Wanda Marra

 

“Conte è stato molto duro, poco aperto al dialogo. Se fa così, si va al muro contro muro”. Subito dopo la conferenza stampa di fine anno del premier, Matteo Renzi commentava così con gli amici. In linea con l’atteggiamento tenuto nelle ultime settimane, il fu Rottamatore non ha intenzione di fermarsi. Se Conte va in Parlamento a chiedere la fiducia senza un accordo con lui, è pronto a votargli contro. “Deve capire che se lo sfiduciamo, non è che poi facciamo il Conte ter”, continua a dire nei colloqui privati. “A quel punto, serve un altro premier”. Il nome che ha fatto trapelare in questi giorni è quello di Mario Draghi: tutto da capire se è una ipotesi reale, o una minaccia. Anche perché ufficialmente dal Colle continuano a dire che non è possibile che la legislatura vada avanti con una terza maggioranza. Renzi ha messo in conto che qualcuno dei suoi parlamentari non lo segua sulla strada della sfiducia, ma si dice convinto che non ci saranno abbastanza “Responsabili” per sostituirli. “Se poi va male e Conte riesce a trovare i numeri senza di noi, faccio l’opposizione”, va dicendo spavaldo. Mentre i suoi parlano anche di “appoggio esterno”. Le urne lui le esclude, nonostante il fatto che nello stato di caos politico generale è una variabile sul tavolo. Ma anche l’idea di uscire dal governo gli piace sulla carta più che nella realtà.

Tanto è vero che continua a ipotizzare che il premier vada da Mattarella, che apra lui la crisi. Che tratti. Per ora, l’altro non sembra intenzionato a farlo.

Ieri pomeriggio c’è stato il tavolo sul Recovery Plan al ministero dell’Economia, coordinato da Roberto Gualtieri e da Enzo Amendola (Affari europei). Il titolare del Tesoro ha presentato una nuova bozza di partenza di 153 pagine, con il dettaglio di come e dove si spende. Molte delle voci che interessavano Renzi restano immutate: 3,5 miliardi vanno alla Cultura, 9 alla Sanità. Così come le spese addizionali cambiano di poco (circa 2 miliardi). E rispunta la Fondazione per la Cybersecurity (contro la quale l’ex premier si è scagliato frontalmente), come Centro di ricerca. Dall’altra parte, sparisce il riferimento alla riforma della prescrizione, messa nel mirino da Iv. Resta ancora una bozza di partenza sulla quale mediare, alla luce delle proposte dei partiti. Ma le premesse confermano il muro contro muro.

Come quelli con Pd e M5S, l’incontro con Iv è durato ore. Il che evidenzia due aspetti in parte contraddittori: la voglia di Iv di condizionare la maggioranza per restarci dentro, ma anche la poca volontà di fare passi indietro sugli aspetti più divisivi. Nella delegazione c’erano Maria Elena Boschi, Ettore Rosato, Davide Faraone, Teresa Bellanova e Elena Bonetti. Agguerritissime soprattutto Boschi e Bellanova. Ma sul tavolo, Iv ha messo con forza il Mes e la riforma della giustizia. Temi divisivi. Tra i punti di Iv c’è persino “il riconoscimento del passato”, a partire dal jobs act.

Tra i momenti più animati, la risposta di Faraone a Gualtieri, che ha spiegato come sia irricevibile la proposta di Iv di usare tutti i prestiti per progetti aggiuntivi: far crescere il debito sarebbe incompatibile, è la linea del governo, con l’obiettivo di rientro che continua ad indicare l’Europa. “Ci mettete dei limiti”, ha risposto Faraone.

Gualtieri, poi, ha cercato di proporre un metodo: arrivare al Cdm previsto intorno all’Epifania con un accordo di massima e poi riaprire un tavolo, magari con gli esperti dei vari partiti. “No, dobbiamo arrivare a un accordo politico”, si è sentito rispondere. E dunque, si profila una riunione di maggioranza di inizio anno, magari il 2 gennaio. Dal Mef alla fine parlano di “incontro positivo”. Ma Iv continua imperterrita ad attaccare: “Ci separa un abisso, non saremo complici”.

Il Pd non sembra trovare troppo produttiva la linea di Conte del “muro contro muro”. Intanto, continuano i dialoghi sotto traccia con Renzi, per cercare una soluzione. Ma il ritiro delle ministre potrebbe esserci già nel Cdm sul Recovery.

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Vocabolario 2021. - Marco Travaglio

 

Nell’ambito delle pulizie di fine anno, ecco 12 parole che, alla luce del 2020, è meglio cancellare dal vocabolario 2021 per motivi di profilassi igienico-sanitaria.

1. Anima. Elemento fondamentale dell’essere umano, ma non richiesto ai governi: a cui bastano e avanzano una maggioranza, un programma e dei buoni ministri. L’anima dei governi è come l’amalgama del Calcio Catania per il mitico presidente Angelo Massimino: “Alla squadra manca amalgama? Ditemi dove gioca e ve lo compro subito”.

2. Autonomia differenziata. Purtroppo prevista dalla Costituzione, ce l’avevano spacciata per la panacea di tutti i mali. Invece ha fatto danni incalcolabili già l’autonomia semplice, figurarsi se la differenziano pure. Modesta proposta: differenziamola a tal punto da levare la sanità alle regioni e riaffidarla allo Stato.

3. Bonus/sussidi. Basta coi bonus, solo noi facciamo i bonus, ci vuol altro che i bonus, siamo diventati il Sussidistan. Poi si scopre che gli Usa hanno appena varato un piano da 900 miliardi di dollari di bonus e sussidi per i più colpiti dalla crisi Covid. Quindi basta con i basta ai bonus e ai sussidi.

4. Competenti. Non ne esistono per scienza infusa né per diritto di nascita, come dimostrano tutti i governi che ci hanno lasciato questo disastro, ma anche i figli di papà imprenditori che han mandato (o stanno mandando) in malora le aziende di famiglia. Meglio astenersi da oracoli preconcetti e aspettare tutti al varco dei fatti, onde evitare di dover esclamare un giorno: “Però, quel Conte!”, “Però, quel Patuanelli!”, “Però, quello Speranza!”, “Però, quell’Azzolina!”, “Però, quel Provenzano!”, “Però, quel bibitaro!”. O di doversi domandare: “Possibile che il supercompetente Beppe Sala non abbia pensato a tener da parte un po’ di sale per sciogliere due dita di neve a Milano?”.

5. Governatori. Termine abusivo usato per definire i “presidenti di Regione” che, salvo rare eccezioni, è già eccessivo chiamare così, visto che i più non saprebbero presiedere il ballatoio di casa loro. I governatori in Italia erano quelli dell’impero romano e dell’impero fascista. Uno, però, somigliava molto ai nostri: il governatore della Giudea Ponzio Pilato.

6. Governo Draghi. Perché esista, occorre che l’attuale governo cada, che in Parlamento si formi una maggioranza disposta a votarne uno guidato da Draghi e soprattutto che Draghi accetti di guidarlo. Chi dice di stimare Draghi dovrebbe almeno chiederglielo, anziché nominare il suo nome invano per darsi un tono e fingere di esistere sulle e alle sue spalle.

7. Larghe intese. Termine volutamente generico e suadente per nascondere un’operazione truffaldina e terrificante.

Cioè un governo-porcata per cacciare chi ha vinto le elezioni e imbarcare i partiti di un pregiudicato, Berlusconi, e di un Cazzaro, Salvini. Chiamiamolo con il suo vero nome e poi vediamo l’effetto che fa.

8. Mes. Siamo l’unico paese europeo dove tutti parlano e chiedono del Mes, il prestito-capestro salva-Stati che nessuno Stato Ue ha attivato né intende attivare. Facciamo così: ne riparliamo dopo che almeno tre Paesi Ue lo attiveranno. Cioè mai.

9. Modello tedesco/lombardo/veneto. La Germania, che finora l’aveva scampata, viaggia al ritmo di mille morti al giorno e viola le regole Ue sull’acquisto di vaccini. Il Veneto era un modello grazie al romano Andrea Crisanti, poi il veneto Luca Zaia l’ha scaricato e addio modello. La Lombardia (non l’Italia intera) ha il record mondiale di morti Covid per abitante e i governanti più ridicoli della storia. I soli modelli esistenti sono quelli da non seguire.

10. Rimpasto. Anziché invocarlo a ogni pie’ sospinto, i partiti che ritengono di avere dei pessimi ministri propongano di sostituirli con gente valida, se ce l’hanno. Ovviamente ogni partito rimpasta i suoi, non quelli altrui. E morta lì.

11. Ritardi (sul Recovery). A leggere i giornaloni, l’Italia era in ritardo prim’ancora che il Recovery Fund fosse deliberato il 20.7.2020. Come sui banchi di scuola, sul Mes, sui vaccini, sulle siringhe, su tutto. Ma dicesi ritardo il tempo trascorso fra il momento in cui un evento si verifica e quello in cui avrebbe dovuto verificarsi. Il Recovery Plan va presentato all’Ue a febbraio-marzo, fra 2-3 mesi. Si prega dunque di comunicare il ritardo quando il treno arriva, non prima che parta.

12. Verifica. Altro termine da Prima Repubblica, come rimpasto, consiste in una cosa semplicissima: ogni partito di governo porta le sue proposte, il Consiglio dei ministri le vota e quelle che hanno la maggioranza passano, le altre no. Se qualcuno si offende, lo spiega in Parlamento, sfiducia il governo e lo fa cadere, a meno che altri parlamentari non la votino al posto suo. Cosa immorale nei sistemi maggioritari, ma del tutto normale in quelli proporzionali, purché sia gratis.

Ps. Ciao. Parola fuori ordine alfabetico e fuori concorso, perché è troppo bella per essere abolita. Ma va riportata al significato originario, che non è il ridicolo acronimo renziano di Cultura Infrastrutture Ambiente Opportunità, né quello più attinente di Cazzaro Inquisito Avido Opportunista. È un saluto fra amici felici di vedersi. Da non confondere col suo falso sinonimo, che dedichiamo a chi non vogliamo mai più rivedere, possibilmente già nel 2021: “addio”. Magari accompagnato dal ricordo di chi vorremmo rivedere sempre e per sempre: “Tu m’hai rotto er ca’”.

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Conte, ultimo avviso a Renzi “Se apri la crisi, si va in Aula”. - Luca De Carolis

 

Come l’anno scorso il convitato di pietra è un Matteo. Ma se nel 2019 si trattava del Salvini ex alleato e avversario ormai sconfitto, questa volta nella conferenza finale di un calvario chiamato 2020 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte deve rispondere spesso su un nemico attualissimo, quel Renzi con cui ieri guerreggia a colpi di citazioni di Aldo Moro.

Schermaglie dietro la sostanza, evidente: Conte non arretra e non vuole “vivacchiare o galleggiare” come ripete più volte. Ergo, “se verrà meno la fiducia di un partito andremo in Aula e ognuno si assumerà le proprie responsabilità”. Quindi a inizio gennaio porterà il documento sul Recovery Fund in Consiglio dei ministri. E se Iv dovesse mostrare pollice verso, il premier sfiderà Renzi a sfiduciarlo davanti al Paese.

Perché è vero, il premier prova a giurarlo: “Il presidente del Consiglio non sfida nessuno”. E figurarsi se può ammettere di pensare al voto anticipato, magari con una sua lista: “Non mi appartiene ragionare di questo, non posso distrarmi pensando a una campagna elettorale”. Però nella conferenza in una gelida Villa Madama, tra giornalisti con mascherine e distanziamenti, l’avvertimento lo lancia e fa rima proprio con sfida. Del resto a chi gli evoca eventuali responsabili come sostituti dei renziani in Parlamento, Conte assicura: “Non cerco altre maggioranze, e non si governa senza coesione”. Sintesi: se l’attuale coalizione giallorosa non dovesse più esistere, andare avanti in qualche modo con i voti di ex forzisti e transfughi vari non gli interessa.

Meglio altro, cioè le urne. “Forse non subito ma in primavera, in un election day con le amministrative” soffiano voci trasversali dai palazzi, secondo cui “prima bisognerà comunque varare il Recovery Plan, con i numeri che si troveranno”. Poi si potrà anche votare. Anche perché nei Palazzi è diffusa un’altra convinzione: “Il Quirinale non accetterebbe la terza maggioranza diversa in tre anni”. La certezza è che Conte ha fretta. Per questo raccoglie l’invito di prevedere “percorsi accelerati” per il Recovery lanciatogli tramite Repubblica dal commissario europeo Gentiloni: “Se non si rispetta il cronoprogramma semestrale le erogazioni sono sospese o si devono restituire i fondi. Serve un meccanismo che stabilisca cosa succede se si accumulano ritardi e si rischia di perdere le somme”. Quindi arriverà “un decreto per la struttura di monitoraggio e i percorsi preferenziali”. Ma soprattutto bisognerà essere rapidi: “Dobbiamo accelerare, avremo la riunione finale sul Recovery al massimo agli inizi di gennaio. E a metà febbraio avremo la presentazione finale del documento”. Però poi ci sarebbe sempre Renzi, che pochi minuti prima in Senato aveva citato Moro: “La verità è sempre illuminante”. E un’oretta dopo Conte gli replica così: “Gli ultimatum non appartengono al mio bagaglio culturale e politico. Moro disse che non sono ammissibili in politica perché portano a un precipitare delle cose e a impedire una soluzione positiva”. Colpi di fioretto.

Ma il premier usa anche la clava, quando dice no a Renzi su un tema caldissimo, quello dei servizi segreti: “Chi chiede al premier di abbandonare la delega sui servizi deve spiegare perché: è una prerogativa del presidente del Consiglio. E poi neanche il mio predecessore Gentiloni aveva assegnato ad altri questa competenza”. Mentre è meno inflessibile sul rimpasto: “Ogni capitano difende la propria squadra, ma se il problema verrà posto lo affronteremo”. Ma entro certi limiti. Perché per esempio di avere due vicepremier proprio non ha voglia: “Nello scorso governo questa formula ha avuto scarso successo”.

E suona anche come un graffio al fu vice Luigi Di Maio. Ma ora le priorità sono altre, per il premier, che la butta lì: “La crisi? Non voglio credere a uno scenario del genere”. E sembra un esorcismo.

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Conte: “Sintesi urgente sul Recovery, governo non può galleggiare”. Renzi? “Non sfido nessuno. Se manca fiducia andrò in Aula”. E sulla delega ai Servizi: “È prerogativa premier”. Vaccino: “Escludo obbligo”.

 

LA CONFERENZA DI FINE ANNO - Il premier replica ai malumori della maggioranza: “Abbiamo un patrimonio di fiducia e credibilità da non disperdere”. Sulle minacce di Italia Viva: "Il passaggio parlamentare è fondamentale e ognuno si assumerà le rispettive responsabilità". E sulla delega ai Servizi: "Chi chiede al premier di abbandonarla deve spiegare perché. Altrimenti dobbiamo cambiare la legge". Sulle critiche alla manovra: "E' un collage di favori? Sì, ma a sostegno della sanità, delle famiglie e del lavoro".

Sul Recovery Plan serve subito una “sintesi politica” e ci sarà un Consiglio dei ministri già “nei primi giorni di gennaio”. È “urgente” arrivare subito a un accordo, perché il governo “non può permettersi di disperdere il patrimonio di fiducia e di credibilità” che si è costruito in Italia e in Europa. Ma, “se verrà meno la fiducia di un partito, andrò in Parlamento“. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte evita preamboli ed nella conferenza stampa di fine anno entra subito nel cuore del dibattito politico di questi giorni, chiedendo alle forze di maggioranza una sterzata decisiva, perché l’Esecutivo “non può permettersi di galleggiare“. Occorre “accelerare” la cosiddetta verifica di maggioranza, spiega, così da affrontare “nei primi giorni di gennaio” il Recovery Plan, da consegnare poi alle “parti sociali e alle Camere” per definirlo in via definitiva “a febbraio“. “Dobbiamo correre”, ripete più volte il premier. Il Piano, dai progetti alla governance, è uno dei temi che divide la maggioranza. Ma Conte affronta anche il nodo Mes e soprattutto il tema della delega ai Servizi, altro argomento al centro delle critiche di Renzi: “Chi chiede al premier di abbandonare la delega deve lui spiegare perché: è una prerogativa del premier. Altrimenti dobbiamo cambiare la legge“. La conferenza è anche l’occasione per parlare agli italiani di come proseguirà la lotta alla pandemia: il vaccino non sarà obbligatorio, la scuola e i trasporti restano i punti “più critici” e a marzo la fine del blocco dei licenziamenti è “uno scenario molto preoccupante“. Infine c’è la manovraapprovata oggi dal Senato: “Concordo, è un collage di favori a sostengo della sanità, delle famiglie e del lavoro“, risponde il premier al Corriere della Sera che citava le durissime critiche contenute in un commento del giurista Sabino Cassese, che parlava di “corporativismo”.

La replica a Renzi e la verifica in Aula – La conferenza di fine anno di Conte, iniziata poco dopo le ore 11 con un minuto di silenzio in ricordo delle vittime del Covid e poi con le parole del presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna, è l’occasione per parlare agli italiani della lotta al Covid: dal piano vaccini alle eventuali riaperture post-Epifania. Ma è anche la sponda ideale per una replica a Matteo Renzi e ai malumori che animano la maggioranza sul Recovery Plan. “Il premier non sfida nessuno, ha la responsabilità di una sintesi politica e di un programma di governo. Per rafforzare la fiducia e la credibilità del governo e della classe politica bisogna agire con trasparenza e confrontarsi in modo franco”, risponde Conte a chi gli chiede del leader di Italia Viva. “E’ chiaro che non si può governare senza la coesione delle forze di maggioranza, si può vivacchiare“, ripete più volte il premier. Per questo “il passaggio parlamentare è fondamentale“, afferma Conte, confermando la possibilità di ‘testare’ la tenuta della maggioranza proprio con il voto dell’Aula sul Recovery Plan. “Finché ci sarò io ci saranno sempre passaggi chiari, franchi, dove tutti i cittadini potranno partecipare e i protagonisti si assumeranno le rispettive responsabilità“, ribadisce il premier parlando proprio di un eventuale voto di fiducia in Parlamento al termine della verifica di governo. “Non ho sfidato Salvini col voto di fiducia: ho evitato che una crisi di governo si consumasse nel chiuso di un appartamento di rappresentanza o di un salotto“, ricorda ancora Conte.

Rimpasto: se ne può discutere – Il premier cita Aldo Moro e spiega che gli “ultimatum non sono ammissibili”. “Io sono per il dialogo”, ripete. “Un’altra cosa non mi appartiene oltre agli ultimatum. Noi stiamo lavorando al futuro del Paese, stiamo lavorando per il Recovery Plan, abbiamo fatto una manovra espansiva di 40 miliardi, lavoriamo al Bilancio europeo, sono qui per programmare il futuro. Non potrei distogliermi da questo per impegnarmi in una campagna elettorale“, sottolinea Conte. Che aggiunge poi: “Lavoro con disciplina e onore, non certo per fare una mia lista elettorale”. La prospettiva di un rimpasto non è esclusa: “Per quanto riguarda la squadra di governo, il capitano la difende in tutti i modi“. “Se verrà posto il problema se ne discuterà per cercare risposte funzionali che aiutino l’interesse nazionale. Io sono disponibile – chiarisce Conte – nel perimetro di soluzioni che aiutino l’interesse nazionale”. Sull’ipotesi di avere dei vicepremier, risponde: “Una formula rispettata nel precedente governo con scarso successo. Ma non c’è un problema di cambiare squadra, si lavora con le forze di maggioranza, si fa quello che serve al Paese“.

Servizi: legge attribuisce delega al premier – L’altro argomento spinoso è la delega ai Servizi. Renzi da tempo preme affinché Conte ceda la delega e ancora due giorni fa è tornato ad attaccare: “C’è una legge che dice che il presidente del Consiglio affida la delega a una personalità di chiara importanza a cui affida il compito strategico di gestire l’intelligence, che non è la polizia personale di qualcuno”. Il premier in conferenza replica: “La legge del 2007 attribuisce al presidente del Consiglio la responsabilità politica e giuridica sulla sicurezza nazionale”, spiega. “Io ne rispondo comunque. Che mi avvalga o meno di nominare una persona di fiducia”, aggiunge Conte, ricordando che anche il premier Gentiloni non aveva affidato la delega a un sottosegretario. “E poi – prosegue – abbiamo il Copasir che è un organismo fondamentale, composto da tutte le forze rappresentate in parlamento, presieduto da un esponente delle forze di opposizione. Il Copasir garantisce che ci sia il rispetto dell’interesse generale e la direzione politica per il rafforzamento dei presidi”. Il punto, secondo il premier, è un altro: “Chi mi chiede di abbandonare la delega deve spiegare. Domanda: perché si chiede a un presidente del Consiglio di liberarsi dei suoi poteri? Io non posso liberarmi, è una prerogativa del premier. Altrimenti dobbiamo cambiare la legge“, conclude Conte sull’argomento.

I nodi Mes e governance – Conte affronta anche il tema del fondo salva-Stati: “A un tavolo di maggioranza si può discutere di tutto, fermo restando che parlando di Mes, l’ho già detto, sarà il Parlamento a dover decidere se attivarlo o meno. Quello che va chiarito è che non possiamo usare tutti i prestiti in modo aggiuntivi, se lo facessimo avremmo vari inconvenienti“, chiarisce ancora una volta il premier, evidenziando che “nel 2020, sul fronte dei fondi, non siamo riusciti a spendere il 60%. Quindi c’è un limite alla capacità di spesa”. Per quanto riguarda il meccanismo di governance del Recovery Plans, occorre pensare a “una clausola di salvaguardia“, spiega Conte. “Il meccanismo europeo funziona con erogazioni semestrali, se non si rispetta il cronoprogramma le erogazioni sono sospese o addirittura si devono restituire i fondi. Per questo serve un meccanismo che stabilisca una volta per tutte cosa succede se si accumulano ritardi e si rischia di perdere le somme”, sottolinea il premier. “Sulla struttura di governance penso a un decreto: è una richiesta precisa della Commissione europea“, specifica poi Conte.

Il vaccino e il contratto Ue – Oltre le tensioni politiche e i malumori della maggioranza, Conte affronta anche i temi che riguardano più direttamente la lotta alla pandemia, a partire dal vaccino anti-Covid: “Io stesso per dare il buon esempio lo farei subito ma è giusto rispettare le priorità approvate dalle Camere”. Conte ribadisce inoltre che il governo esclude la possibilità di una “vaccinazione obbligatoria“. Quanto alle dosi extra comprate dalla Germania fuori dal recinto Ue, il premier replica: “Italia, Francia, Germania e Olanda sono stati i primi paesi che in modo sintonico si sono mossi per l’alleanza per i vaccini, dopo aver già preso contatti con le ditte. E’ stata una scelta politica. L’Italia non ha tentato di assicurarsi altre commesse perché le dosi contrattualmente negoziate sono centinaia di milioni. E poi L’Italia non l’ha fatto perché all’articolo 7 del contratto della commissione europea c’è il divieto di approvvigionarsi a livello bilaterale”, chiarisce Conte. Che poi dedica un passaggio anche agli insulti ricevuti dalla prima infermiera vaccinata in Italia, Claudia Alivernini: “E’ inaccettabile. Ancor più inaccettabile adesso che stiamo realizzando un piano vaccinale che consentirà di mettere in sicurezza il Paese”.

I licenziamenti – Il premier ammette invece la sua preoccupazione per la fine del blocco dei licenziamenti: “La ministra con i sindacati e le forze sociali sta già lavorando allo scenario che dovremo affrontare dopo marzo“. “È uno scenario molto preoccupante. Abbiamo costruito una cintura di protezione sociale che più o meno sta funzionando, ha scongiurato il licenziamento per 600mila persone. Ma dobbiamo lavorare alla riforma e riordino degli ammortizzatori sociali e rendere più incisive le politiche attive del lavoro. Dovremo lavorare per non farci trovare impreparati. Il mercato del lavoro si preannuncia molto critico dopo marzo”, ammette Conte. L’Italia ha dati economici più negativi di altri Paesi? “I nostri dati economici non lo sono. Aspettiamo l’ultimo trimestre e vediamo”, risponde poi il premier.

La scuola e i trasporti – “Auspico che il 7 gennaio le scuole secondarie di secondo grado possano ripartire con una didattica integrata mista almeno al 50% in presenza, nel segno della responsabilità, senza mettere a rischio le comunità scolastiche”, annuncia invece Conte parlando delle restrizioni post-Epifania e dell’eventuale rientro in classe per gli studenti più grandi. “Se, come mi dicono, i tavoli delle prefetture, hanno lavorato in modo efficace, potremo ripartire quantomeno col 50%“, afferma il premier. “Abbiamo approfittato di dicembre per un ulteriore passo avanti, in una logica di massima flessibilità. Abbiamo compreso che il sistema è così integrato che non è possibile decongestionare i flussi attorno alla scuola, anche per il trasporto pubblico locale, se non si integrano i comparti diversi. Le prefetture hanno avuto il compito di coordinare soluzioni flessibili, da valutare paese per paese, scuola per scuola. C’è stata disponibilità a differenziare gli orari di ingresso anche negli uffici pubblici”, spiega ancora Conte. “Il trasporto si è rivelato uno dei momenti più critici nella fase pandemica, perché se dovessimo rispettare il distanziamento, dovremmo quintuplicare la flotta dei mezzi di trasporto – ammette il premier – ma abbiamo stanziato tre miliardi per sostituire la flotta dei bus e stanziato 390 milioni per favorire il noleggio dei mezzi privati. Sono iniziative che vanno messe a terra a livello regionale”.

Le critiche sulla gestione della pandemia – In Italia i dati peggiori sul Covid che altrove? “Teniamo conto che l’Italia è stato il primo Paese europeo e occidentale in cui è scoppiata la pandemia in modo così incisivo. Questo ci ha complicato la risposta e abbiamo dovuto elaborare risposte che non ci consentivano di riprodurre quelle applicate altrove”, risponde il premier Conte alle osservazioni e critiche ricevute. E chiede aspettare prima di fare bilanci: “Avremo sempre il massimo impegno per limitare le limitazioni delle libertà personali. Nella seconda ondata le misure restrittive sono dappertutto e a volte anche in modo più incisivo che da noi”. Poi sul numero di decessi aggiunge: “Lascio agli scienziati e agli esperti le valutazioni. Dagli esperti ci viene detto che fattori che hanno contribuito c’è che abbiamo la popolazione più anziana d’Europa: in Italia si muore tardi ma si invecchia male. Tutti questi fattori, associati alle abitudini di vita dei nostri anziani che facciamo vivere con noi, possono aver contribuito”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/30/conte-recovery-rapida-sintesi-per-ok-a-febbraio-governo-non-puo-galleggiare-su-renzi-premier-non-sfida-nessuno-vaccino-escludo-obbligo/6051183/

mercoledì 30 dicembre 2020

Carlassare: “La Carta tutela la vita, il vaccino può essere obbligatorio per legge”. - Silvia Truzzi

 

Covid-19 - La pandemia tra diritti e doveri.

Di cosa parliamo quando parliamo di vaccino? Dell’articolo 32 della Costituzione e del diritto alla salute, l’unico caso in cui un diritto viene qualificato come “fondamentale.” Lo aveva sottolineato Lorenza Carlassare, professore emerito di diritto costituzionale a Padova, che all’alba del Fatto aveva guidato i nostri lettori in una lettura ragionata della Carta. Oggi, tornando a parlare di diritto alla salute, la professoressa spiega quali sono i punti cardine da cui partire: “La salute è tutelata nella Carta come diritto fondamentale dell’individuo e come interesse della collettività”. Due sono i riferimenti costituzionali “l’individuo e la collettività: il diritto del primo può cedere, eccezionalmente, soltanto di fronte a un interesse della seconda”.

Così, non sembra esserci dubbio: il vaccino potrebbe essere obbligatorio. C’è chi però sostiene che sarebbe una violazione della libertà dell’individuo.

Il legislatore – nel limitare la libertà individuale, inviolabile secondo l’articolo 13 – si muove entro i margini ben definiti dall’articolo 32: la salute come fondamentale diritto della persona e come libertà di rifiutare ogni trattamento quando non sia in gioco l’interesse della collettività. Della possibilità di rifiutare trattamenti sanitari si è parlato a lungo a proposito del fine vita. Ma la situazione che stiamo vivendo ora riguarda chiaramente l’interesse della comunità.

Lei ha scritto che ‘la Costituzione rimette la persona al centro del sistema segnando una svolta decisa con il sistema autoritario dove è la collettività, identificata spesso con lo Stato, il valore centrale rispetto al quale il singolo è strumento’. Non vale nel caso dell’epidemia?

L’ultimo comma dell’articolo 32 dice che ‘la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona’. Trattamenti sanitari imposti, ai quali il paziente non abbia consentito, sono rigorosamente vietati. Il trattamento sanitario può essere imposto soltanto quando sia direttamente in gioco l’interesse collettivo: sicuramente legittimo è ogni intervento diretto a prevenire o fermare malattie contagiose che si risolvono in un diretto danno sociale. La vaccinazione è un esempio tipico. Non si può essere costretti a curarsi quando è in pericolo la propria vita, ma non quando la mancanza di cure mette in pericolo la vita di altri.

Il governo per ora pare orientato alla volontarietà: scelta che è stata letta da alcuni come il tentativo di non prevaricare l’arbitrio dei cittadini.

Io credo che il motivo sia pratico: non sappiamo ancora con ragionevole certezza quante dosi saranno disponibili e in quali tempi.

E cosa risponde a chi dice che il vaccino obbligatorio sarebbe un’intromissione dello Stato?

Che sbaglia, per i motivi che ho spiegato prima. La legge può imporre la vaccinazione. Solo la legge naturalmente, nessun atto diverso: la riserva di legge per la limitazione dei diritti individuali è assoluta.

Secondo il dottor Guariniello gli operatori sanitari che rifiutino il vaccino possono essere licenziati in base alla legge sulla sicurezza sul lavoro.

Secondo me medici e infermieri devono vaccinarsi, perché mettono a rischio i pazienti con cui entrano in contatto. In questi mesi abbiamo visto quel che è accaduto nelle rsa e negli ospedali. Credo basti questo. Per consentire trattamenti sanitari imposti, l’interesse della collettività dev’essere anche attuale, come accade oggi con tutta evidenza in questa epidemia mondiale.

Si parla di un possibile obbligo per i dipendenti pubblici e non per quelli del settore privato. Discriminante?

I lavoratori del pubblico, pensiamo alla sanità e alla scuola ma anche alla giustizia, entrano nella stragrande maggioranza a contatto con le persone. La Consulta l’ha spiegato bene: eguaglianza vuol dire trattare in modo uguale situazioni uguali, ma anche trattare in modo diverso situazioni diverse. Se una persona disabile ha un accompagnatore, questo non è un privilegio: il criterio che prevale nel trattare situazioni differenti è quello della ragionevolezza.

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Cazzari a rotelle. - Marco Travaglio

 

A furia di sentirlo ripetere a reti ed edicole unificate, pensavamo che in Italia il vaccino non sarebbe arrivato per colpa di quei dementi di Conte, Speranza e Arcuri, che lo promettevano a fine 2020, mentre l’avremmo visto fra uno-due anni. Invece oggi siamo a 480mila dosi. Allora dicevano: sì, ma non avremo le siringhe per colpa di quei dementi di Speranza e Arcuri. “Il mondo fa scorta di siringhe. L’Italia rischia di restare senza aghi per il vaccino” (Stampa, 9.11). “Vaccino senza siringhe: ‘Ordini da tutta Europa, ma non dall’Italia’” (Luciano Capone, Foglio, 18.11). “Vaccino anti-Covid, Italia senza siringhe? Arcuri: ‘Non so dirglielo’. Gelo in conferenza stampa” (Libero, 19.11). Invece sono arrivate pure le siringhe. Allora si è detto: sono quelle sbagliate, costano troppo e sono introvabili. Colpa di quel demente di Arcuri che, invece di fare scorta nella farmacia sotto casa, s’è fissato – chissà con quale tornaconto – con le “luer lock”. “Arcuri paga le siringhe a peso d’oro. Le luer lock costano 14 volte di più di quelle scelte dagli altri paesi Ue” (Mario Giordano, Verità, 10.12). “Le siringhe a rotelle e altri nonsense di Napoleone Arcuri” (Christian Rocca, Linkiesta, 11.12). “‘Niente tappi alle siringhe’: un nuovo flop di Arcuri?” (Giornale, 16.12). “Vaccino: Arcuri fa il buco con le siringhe” (Nicola Porro, 19.12). E giù battutone sulle “siringhe a rotelle”. E giù puntatone di Diritto e rovescio (Del Debbio), Quarta Repubblica (Porro), Non è l’Arena (Giletti) sulle “siringhe d’oro”. E giù tweet di Calenda (“Arcuri va licenziato”), Salvini (“Mancano milioni di siringhe… Visto lo ‘storico’ di Arcuri, evitiamo di dover nominare un nuovo commissario agli aghi e alle siringhe a marzo”) e interrogazioni di Lega e Fd’I.

Ora si scopre che a raccomandare le “luer lock” è il bugiardino di Pfizer, infatti tutta l’Ue ha acquistato quelle (ma non erano introvabili?), che non costano né il doppio né 14 volte quelle normali, ma pochi cent in più. Londra invece, furba lei, ha preso le standard (“luer slip”). Ora l’Aifa ha autorizzato l’estrazione di 6 dosi anziché 5 da ogni fiala Pfizer, cioè ad avere un 20% di vaccini gratis ogni cinque già acquistati, ma solo se la siringa è la famigerata “luer lock” di quel demente di Arcuri (che evita sprechi di siero residuo e consente di recuperarli per la sesta dose). Cosa che potranno fare l’Italia e gli altri paesi Ue e non il Regno Unito (salvo che ricompri tutte le siringhe). Risultato: le fiale Pfizer acquistate dall’Italia per 26,5 milioni di italiani vaccinati in sei mesi con 5 dosi ciascuna serviranno a vaccinarne 31,8 (5,3 in più). Con un risparmio di 63 milioni di euro che, detratti gli 1,7 milioni di costi in più per le “luer lock”, fanno 61,3 milioni pubblici guadagnati. Si attendono le scuse dei cazzari a rotelle.

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