Il primo sì alla riforma della legge elettorale, conditio sine qua non posta dai vertici Pd in direzione nazionale lunedì scorso per dare la propria benedizione al taglio dei parlamentari, è arrivato ieri dalla Camera. La commissione Affari costituzionali, nonostante i tentativi di ostruzionismo da parte del centrodestra e l’astensione di Italia Viva, ha adottato il testo base – il cosiddetto Brescellum, dal nome del deputato pentastellato Giuseppe Bescia (nella foto) -, un proporzionale con soglia di sbarramento al 5% e diritto di tribuna per i piccoli partiti.
I voti favorevoli sono arrivati dai due principali partiti di maggioranza, il M5s e il Pd: “Quando ero capogruppo M5S alla Camera avevamo raggiunto l’intesa sul taglio dei parlamentari, ma anche sulla legge elettorale. Bene, la nostra promessa è stata mantenuta, noi del Movimento siamo persone responsabili e non veniamo meno alla parola data”, ha commentato il deputato questore della Camera Francesco D’Uva, mentre il segretario dem Nicola Zingaretti ha sottolineato come si sia passati in un mese “dal nulla all’adozione del testo base”.
In ogni caso il cammino non è privo di ostacoli, dopo la pausa per il referendum ci sarà un ufficio di presidenza per stabilire il termine per la presentazione degli emendamenti e, nonostante l’approdo in Aula a Montecitorio sia calendarizzato il 28 settembre, è lo stesso presidente della commissione Brescia a vedere la strada in salita: “Sarà molto difficile – ammette – probabilmente ci sarà un rinvio proprio per andare incontro alle richieste delle opposizioni”. Le quali hanno tentato fino all’ultimo di far slittare il voto sul testo base, chiedendo approfondimenti tecnici al governo. Approfondimenti che, ha garantito lo stesso Brescia, saranno svolti nelle prossime sedute, prima di avviare l’esame della riforma nel merito.
Ma la protesta del centrodestra è proseguita, con attimi di tensione e la scelta di Forza Italia, Lega e FdI di abbandonare i lavori della commissione al momento del voto: “Non saremo complici di questo scempio”, ha detto l’azzurro Francesco Paolo Sisto. Il centrodestra compatto è pronto dunque a dare battaglia in Aula, forte anche delle divisioni in seno alla maggioranza, con i renziani che rilanciano sul maggioritario, insistono per ottenere l’inserimento della sfiducia costruttiva, l’eliminazione del bicameralismo paritario e per un maggior coinvolgimento delle opposizioni.
Su quest’ultimo punto, peraltro, da segnalare anche la posizione del ministro e capodelegazione Pd al governo Dario Franceschini, che ha avanzato l’idea, dopo il referendum, di dar vita a un patto sulle riforme con le opposizioni. Intanto, dal voto in commissione ieri si sono astenuti anche gli esponenti di Liberi e Uguali, da sempre contrari alla soglia di sbarramento al 5% che “non consentirebbe la rappresentanza di 1,5/1,6 milioni di elettori”. E c’è anche l’aspetto, non secondario, delle liste: saranno corte, lunghe, bloccate o si reintrodurranno le preferenze, come chiede il M5s? Insomma, i nodi da sciogliere ci sono e in ogni caso il percorso della riforma elettorale sarà inevitabilmente condizionato dall’esito delle imminenti elezioni regionali e del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Due appuntamenti con le urne che potrebbero modificare gli equilibri interni alla maggioranza giallorossa.
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