giovedì 24 settembre 2020

Conte unico vincitore. E occhio ai 209 miliardi. - Massimo Fini


Tutti i principali media e i loro commentatori riconoscono, alcuni obtorto collo, che l’unico, vero vincitore di questa doppia tornata elettorale (referendum più Regionali e Comunali) è, per la disperazione della Trimurti (Giornale, Verità, Libero), il disprezzatissimo “Giuseppi”, vale a dire il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e con lui il suo governo giallorosa che, a dispetto di tutti gli aruspici malauguranti, finirà regolarmente la legislatura.

Ma c’è un altro partito, che esiste da decenni in Italia, ma di cui prudentemente si parla poco o preferibilmente nulla, che esce vincitore da queste elezioni ed è il più forte di tutti: il partito degli astenuti. Prendiamo il referendum. Il quesito era semplice e tale da attizzare l’attenzione dei cittadini: mandare a casa, per la prossima legislatura, un bel numero di deputati e senatori. L’affluenza è stata del 53,84%, 12 punti in meno rispetto al referendum del 2016 (65,47%) che pur poneva questioni molto più complesse. L’affluenza alle Regionali di quest’anno (57,19%) è superiore a quella delle Regionali del 2015 (53,15%), ma si avvale del balzo dell’affluenza in Toscana (quasi 3 milioni aventi diritto al voto) dove quest’anno si giocava la partita decisiva per la tenuta del governo del Paese. Nel 2015 quando questo problema non esisteva andò a votare solo il 48,3% mentre questa volta si è arrivati al 62,6%. Interessante è l’alta affluenza, sia pur sempre in termini relativi, alle elezioni comunali dove ci si attesta al 66,19% confermando, con un lieve margine di aumento, il dato del 2015. E si capisce il perché. Il voto nei Comuni e soprattutto nei piccoli Comuni è l’unico autenticamente democratico perché il sindaco è permanentemente sotto il controllo dei concittadini, poiché vive fianco a fianco con loro. Come esce di casa c’è sempre qualcuno che gli può contestare ciò che ha fatto o piuttosto non ha fatto.

Il partito degli astensionisti è contro la politica in generale? Non credo. È contro la democrazia parlamentare? Forse. Sicuramente è contro una democrazia trasformatasi da decenni in partitocrazia, cioè in strapotere del tutto illegittimo di queste lobby di cui la nostra Costituzione si occupa in un solo articolo, il 49 (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”) e che invece ha finito per occupare abusivamente gli altri 138, infiltrandosi nel Csm, nella Magistratura ordinaria, nella burocrazia, nelle Forze Armate, nell’industria pubblica e anche privata, negli enti di Stato e di parastato (la Rai-tv è solo l’esempio più noto e clamoroso), nei giornali, negli enti culturali, nei teatri, nei conservatori, nelle mostre, nelle banche, nelle grandi compagnie di assicurazione, nelle università, giù giù fino ai vigili urbani e agli spazzini.

Questa avversione nei confronti dei partiti è confermata anche da chi in questa tornata a votare ci è andato turandosi montanellianamente il naso. Tutti i partiti, dal Pd alla Lega ai Cinque Stelle a Forza Italia, hanno perso, solo il partito di Giorgia Meloni ha guadagnato in consensi. Prendiamo la Toscana: il Pd ha perso 12 punti, è stato salvato dalle cosiddette liste civiche cioè da cittadini che al Pd non credono più affatto, ma non si sentivano di consegnare quella regione e forse il Paese a Matteo Salvini. Non è stato quindi un voto a favore, ma un voto contro.

Mai come in questa occasione si è potuto osservare come la democrazia partitocratica sia fatta di accordi e accordicchi in funzione del proprio potere personale o di lobby senza alcuno sguardo all’interesse nazionale. L’esecutivo Conte, che ha governato bene, si è salvato perché i partiti si sono paralizzati a vicenda. Poi ci sono naturalmente le eccezioni, il governatore del Veneto Zaia è stato riconfermato perché evidentemente ha governato bene soprattutto durante l’emergenza Covid e quello della Liguria Toti per lo stesso motivo e anche perché, coadiuvato dal sindaco di Genova Marco Bucci, ha affrontato con efficacia le conseguenze del crollo del ponte Morandi che noi “stranieri” abbiamo sempre chiamato il “ponte sul Polcevera” e i genovesi “ponte Saragat” perché fu inaugurato dall’allora presidente della Repubblica e che ora si chiamerà ponte San Giorgio. E questo apre uno spiraglio di speranza per il nostro futuro che però dipende molto, almeno nell’immediato, da come verranno utilizzati i 209 miliardi che l’Europa, l’inutile Europa secondo i cretini “sovranisti”, ci ha generosamente concesso: se cioè finiranno nelle fauci dei soliti noti che le hanno già aperte o verranno distribuiti con intelligenza e soprattutto equità sociale.

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La Telefonata Conte-Salvini: È il momento. - Antonio Padellaro

 



“Conte sappia che il mio cellulare è sempre acceso”, ha risposto Matteo Salvini nello speciale elezioni del Tg1 a una domanda che non gli avevamo fatto. Un messaggio che il premier forse attendeva visto che meno di un mese fa, alla festa del Fatto Quotidiano, intervistato sui rapporti con la destra, aveva detto che mentre con Giorgia Meloni c’era una qualche interlocuzione, il leader della Lega non rispondeva al telefono. Ripristinati, si spera, i collegamenti in remoto, vedremo se accantonate le battaglie elettorali, governo e opposizione troveranno il modo di parlarsi, e magari di concordare qualcosa di utile per gli italiani. Sarebbe cosa buona, giusta e opportuna per almeno tre motivi.

1. Nelle elezioni ai tempi del Covid, i cittadini hanno confermato, e accresciuto la fiducia in quei presidenti di Regione che si sono dimostrati particolarmente attivi ed efficaci nel contrastare il virus nella fase più drammatica della pandemia. Come dimostrano le sonanti affermazioni di Luca Zaia nel Veneto, di Vincenzo De Luca in Campania, di Michele Emiliano in Puglia. Poiché purtroppo il virus non è affatto debellato, e l’emergenza economica incombe come una nube plumbea sulle nostre teste, gli elettori hanno decisamente preferito la stabilità alla propaganda. Risultato di cui ha tratto vantaggio anche il governo giallorosa che adesso, senza più temere spallate o ribaltoni, potrà affrontare con energia, e senza più alibi, la madre (e il padre) di tutte le battaglie: la salute e il portafoglio (copyright, Alessandra Ghisleri).

2. La sconfitta politica di Salvini è figlia della sua arroganza, di quei pieni poteri che non avrà, del tramonto della stagione sovranista (rispetto alle Europee dello scorso anno, domenica il Carroccio ha perso quasi un milione di voti). Purtuttavia, lui e la Meloni non hanno torto quando fanno valere il peso delle 15 Regioni governate dal centrodestra, mentre il centrosinistra ne ha soltanto cinque. Un’opposizione di destra che rischia di essere maggioranza nel Paese e conquista un così vasto potere locale (egemone nel Nord industriale), non può essere considerata un incidente della storia. Bisogna parlarci e farci i conti.

3. Conte ha l’occasione ideale per mettere alla prova le reali intenzioni di dialogo della controparte. O per dimostrare il bluff. Salvini ha elencato ieri sul Corriere della Sera tre possibili terreni di confronto col governo: “Un piano di sostegno alle aziende vero, un piano di riapertura delle scuole vero, un piano della sicurezza vero”. Crediamo che su quest’ultimo punto sarà difficile trovare un accordo, nel momento in cui il Pd di Zingaretti sollecita nuove leggi sulla sicurezza (e gli sbarchi) in sostituzione dei decreti salviniani. In ogni caso: il presidente del Consiglio ha intenzione o no di comporre il numero di Salvini? (sempre che qualcuno risponda).

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/24/la-telefonata-conte-salvini-e-il-momento/5941952/

Salvini & C.: che valle di lacrime. - Antonio Padellaro

 



“Non rimpiango nulla, rifarei tutto”, dice Matteo Salvini, e come Edith Piaf di "non, je ne regrette rien", gli scappa da piangere. A chi gli chiede se non si sia per caso slogato una spalla, a furia di spallate al governo andate a vuoto (muy dolorosa quella toscana) ritrova l’abituale ghigno di traverso ed enumera i tot consiglieri in più conquistati a vattelapesca, come un dc di una sottocorrente dorotea. Stacco.

Ecco Nicola Zingaretti, che celebra l’aver miracolosamente salvato la pelle annunciando non uno, non due bensì tre “cantieri” in confezione premio. Evocando così qualcosa che si apre ma non si chiude mai, tipo la metro capitolina. Stacco. Intercettata casualmente nella canicola di piazza Montecitorio l’onorevole Laura Ravetto coglie l’occasione per dolersi con chi, nel favoloso partito di Forza Italia, organizza “camini e caminetti, tavoli e tavolini” (e ci siamo capiti), e mai e poi mai che le facessero uno straccio di invito. Stacco. Su Skype il sottosegretario 5stelle Fraccaro compare così misurato, compito, disponibile, affabile, gentile che non si ha il cuore di chiedergli della “peggiore sconfitta nella storia dei 5stelle” (Di Battista). Del resto, transitando casualmente in piazza Montecitorio, l’onorevole Gennaro Migliore di Italia Viva esprime una tale soddisfazione per il “sette per cento conquistato in Campania”, che sarebbe una cattiveria interrompere un’emozione. Stacco. Attenzione attenzione, il presidente Conte comunica che i decreti Sicurezza andranno in Consiglio dei ministri, per poi affrontare l’iter parlamentare (ed essere approvati, se tutto va bene nell’anno del mai). E ora un’occhiata ai giornali. “Il declino dei populisti. Vincono il referendum ma perdono il paese (Domani). “Zingaretti e Di Maio vice il nuovo incubo di Conte”. Sì, non si finisce mai di soffrire in questa valle di lacrime. È tutto per oggi. Abbiamo trasmesso il documentario: “Niente di nuovo sul fronte elettorale”.

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Lotta a difesa del clima: non abbiamo più scuse. - Luca Mercalli - 17 settembre 2020












Alla prossima emergenza climatica non si dica, come per la pandemia da coronavirus, che non si erano fatti per tempo piani di intervento e valutazioni dei rischi. È da decenni che se ne producono in tutto il mondo da parte dell’Onu-Ipcc (Intergovernmental Panel on climate change), della Banca Mondiale, dell’Unione europea. E pure qui da noi con la presentazione del rapporto “Analisi del rischio cambiamenti climatici in Italia” del CMCC di Lecce (Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici), abbiamo ora una fotografia aggiornata sugli impatti che il riscaldamento globale imporrà alla nostra società e alla nostra economia.

È un lavoro che ha coinvolto trenta ricercatori, basato sulla miglior conoscenza scientifica disponibile. Il clima italiano entro metà secolo si riscalderà, ma possiamo ancora decidere di quanto: da un paio di gradi in più, con danni moderati a cui possiamo far fronte, a cinque gradi in più se non si farà nulla, con calamità straordinarie e irreversibili.

Avremo più siccità estive, minore produzione agricola, più incendi boschivi, più ondate di calore soprattutto nelle zone urbane, meno neve d’inverno, più eventi meteorologici estremi (che negli ultimi vent’anni sono già cresciuti del 9 per cento), un aumento del livello dei mari con rischio di inabitabilità delle zone costiere. Recita il rapporto che “i cambiamenti climatici hanno un imponente costo economico. Il loro impatto da qui a fine secolo può arrivare fino all’8 per cento del prodotto interno lordo pro capite. Senza interventi per arrestare la marcia del riscaldamento climatico aumenterà anche la diseguaglianza economica Nord-Sud e tra fasce di popolazione più povere e più ricche”. Turismo, agricoltura e infrastrutture saranno i settori più colpiti, ma non bisogna sottovalutare che non tutto è monetizzabile, come la sofferenza delle persone.

Il rapporto CMCC spiega dove investire per diminuire i rischi e dimostra che una politica della prevenzione creerà anche nuove opportunità di lavoro, in sintonia con il Green Deal promosso dalla Commissione Ue.

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Il surriscaldamento costa all’Italia fino all’8% del Pil. - Luca Mercalli - 20 settembre 2020



















 In Italia – Nei giorni scorsi pareva luglio al Centro-Nord, invaso come tutta l’Europa occidentale da aria nordafricana. Primato settembrino di 35 °C lunedì 14 a Capo Mele, Savona (11 °C sopra media!), ma notevoli pure i 36,2 °C di Latina (dati Aeronautica Militare). Temporali invece all’estremo Sud (122 mm di pioggia in 3 ore lunedì a Catania, massimo in 17 anni di misure, allagamenti), intorno a una depressione che si è mossa verso lo Ionio evolvendo poi nell’intenso ciclone battezzato “Udine” dall’Istituto di Meteorologia dell’Università di Berlino e “Ianos” dall’agenzia meteorologica greca: l’Europa meteonomastica è ancora da fare. Questo vortice simil-tropicale o “Medicane” (da Mediterranean hurricane), tipologia già vista in passato ma che potrebbe divenire più frequente con il mare più caldo, prima di colpire la Grecia ha lambito giovedì la Calabria (nubifragio a Isola di Capo Rizzuto). Nonostante la molta neve invernale e il fresco giugno 2020 la Società Meteorologica Italiana ha misurato una perdita di 80 cm di spessore al ghiacciaio Ciardoney, Gran Paradiso, a causa dei calori tardivi di agosto e settembre, un bilancio meno estremo degli anni recenti (circa 2 m persi nel 2012, 2015 e 2016) ma sempre sfavorevole. Secondo le immagini del satellite Sentinel-2, analizzate su Earth System Science Data anche dall’Università di Milano (Glacier shrinkage in the Alps continues unabated), i 4.395 ghiacciai delle intere Alpi coprono circa 1.800 km2 di area, in riduzione del 14 per cento dal 2003 e del 60 rispetto a metà Ottocento. Tra alluvioni, aumento dei livelli marini e delle ondate di caldo, e perdita di produzione agricola, i cambiamenti climatici implicheranno costi enormi per l’economia italiana in questo secolo, fino all’8 per cento del Pil: è solo uno dei dati allarmanti del rapporto “Analisi del rischio” del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici. Per affrontare le crisi future bisognerebbe imparare qualcosa dalla pandemia di Covid: se ne parlerà il 26-27 settembre ai “Colloqui di Dobbiaco”.

Nel mondo – Caldo inedito per settembre in decine di località tra Francia, Benelux e Germania, 34,8 °C a Treviri, 35,1 °C a Lille e 35,4 °C a Charleroi. Intanto, seppur attenuati, sull’Europa sono arrivati i fumi dei vasti incendi nell’Ovest americano, i peggiori della storia californiana con 14 mila km2 bruciati finora nel 2020 (come l’area del Trentino-Alto Adige). Raro affollamento di uragani tropicali in Atlantico: Sally, Paulette, Teddy e Vicky. Sally ha spazzato Florida e Alabama, ora in pieno oceano è nata la tempesta Wilfried e così, esaurita la lista di nomi stabiliti per il 2020 dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale, si deve passare alle lettere dell’alfabeto greco, come era avvenuto solo nel 2005. Ianos ha imperversato sulle isole greche Cefalonia e Zante con venti a 130 km/h, onde da 5 m e gravi danni anche per le piogge da 300 mm. Inoltre alluvioni nel Sahel e piena secolare del fiume Niger. L’agenzia meteo americana Noaa dice che sia agosto sia l’estate 2020 sono stati i più caldi nell’emisfero boreale (anomalie +1,2 °C), e rispettivamente in seconda e terza posizione a livello mondiale (+0,9 °C). Ma l’aumento termico dell’aria è solo la punta dell’iceberg del riscaldamento globale: l’89 per cento dell’energia in eccesso accumulata nel sistema-Terra nell’ultimo mezzo secolo a causa dell’effetto serra è finita negli oceani. Per neutralizzare il crescente sbilanciamento energetico e salvarci da disastrosi cambiamenti climatici bisognerebbe riportare la concentrazione di Co2 dalle attuali 417 a 350 parti per milione. Lo dice il rapporto Where does the energy go? di 38 tra i migliori scienziati mondiali del clima tra cui il grande Jim Hansen della Columbia University.

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Fridays For Future: le finte svolte green dell’Europa e dei governi dell’Unione. - Fridays For Future Italia

 












Dalla Merkel, a Macron, a Conte, per non parlare dell'Europa di Von der Leyen. Tutti sposano programmi per l'ambiente, ma incrementano le centrali inquinanti e l'estrazione di gas e petrolio.

Come la politica continua ad ignorare il clima.

Il 2019 è stato l’anno del clima. Milioni di giovani in tutti i continenti sono scesi per la prima volta in piazza al grido di “non c’è più tempo” e “giustizia climatica”, mentre Greta Thunberg è diventata un simbolo delle lotte ambientaliste a livello globale. Politici di destra e di sinistra hanno cercato di cavalcare l’onda, proponendosi come interlocutori della scienza e dei nuovi movimenti. È il caso della Von der Leyen e del suo European Green Deal, del Klima Paket di Angela Merkel, della Commissione per il Clima di Emmanuel Macron, del Decreto Clima voluto dal nostro premier Giuseppe Conte. La battaglia, dicono alcuni, sembra ormai avviata verso una felice conclusione: le istituzioni hanno ascoltato gli esperti e, finalmente, agiscono.

La realtà, però, è più complessa.

Tutti i piani sopra elencati – pur presentati in pompa magna – sono lacunosi, insufficienti, talvolta persino dannosi. Si distingue in negativo, poi, il governo italiano, timido fino al ridicolo nell’affrontare la questione. E così la Von der Leyen promette un Europa a zero emissioni in trent’anni ma intanto continua a finanziare il gas fossile; Angela Merkel incontra Greta ma apre nuove centrali a carbone; Macron promette grandi cose e intanto si contende i pozzi petroliferi del Nord Africa.

Al risveglio della popolazione non sono – ancora – seguite reazioni sufficienti. Ma protestare ha portato ad un’attenzione mai vista sul tema e atti – stop ai sussidi al fossile in Spagna, massiccio disinvestimento da gas&oil nelle Borse mondiali, impennata delle rinnovabili – comunque senza precedenti. La sfida, insomma, procede, ma bisogna giocarla fino in fondo.

Arriviamo, dunque, alla cronaca. Approfittando cinicamente dell’attenzione rivolta al covid, alcuni leader cercano di fare precipitosi passi indietro sui temi ambientali. Eccone alcuni esempi.

Trump nega l’evidenza.

La costa est degli Stati Uniti brucia ormai da settimane, vittima di incendi resi sempre più violenti e incontrollabili dalla crisi climatica. In questo contesto il Presidente Trump – in piena campagna elettorale – si è detto convinto che le “temperature globali, invece di aumentare, diminuiranno”. Una tesi, inutile dirlo, che non trova riscontro in nessuno studio scientifico e men che meno nell’esperienza degli americani accerchiati dal fuoco. “Le prove osservate parlano da sole: il cambiamento climatico è reale e ha aggravato gli incendi” gli ha risposto uno sconsolato governatore della California, lo stato più colpito dalle fiamme.

L’Unione Europea gioca col gas.

“L’European Green Deal sarà il nostro uomo sulla Luna” aveva detto una gongolante Ursula Von Der Leyen presentando il suo piano per la transizione ecologica. Già allora, in realtà, denunciammo l’inconsistenza del progetto, e oggi abbiamo l’ennesimo riscontro: il Parlamento Europeo ha ammesso tra gli investimenti verdi anche quelli sul gas, combustibile fossile responsabile della crisi climatica. E’ come se si raccomandassero baci e abbracci in un decreto anti-Covid.

I petrolieri italiani all’attacco.

Il Ministero dell’Ambiente italiano sta lavorando da mesi ad un piano di parziale riconversione dei SAD (sussidi ambientalmente dannosi) in sussidi favorevoli a clima, natura e salute. Un progetto in verità tutt’altro che rivoluzionario, criticato per la sua timidezza, ma già troppo per i petrolieri italiani. Secondo alcune indiscrezioni di stampa, l’Unione Petrolifera Italiana si starebbe opponendo al provvedimento, spingendo affinché tutto rimanga com’è. Saprà il nostro governo resistere a queste pressioni?

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Ce la pagherete. - Marco Travaglio

 












Non capire come voterà il Paese è umano. Ma non capire come ha votato il Paese è diabolico. Eppure ci riescono in tanti. Lasciamo perdere gli opinionisti, che capiscono benissimo ma devono scrivere l’opposto per contratto. Ma i politici sul voto degli elettori dovrebbero costruire il loro futuro. Cos’hanno detto gli elettori? Intanto che i parlamentari sono troppi, in perfetta quanto rara sintonia col Parlamento che aveva approvato – pur obtorto collo, su pressione e per paura dei 5Stelle – quella riforma col 98%. Quindi, se quella riforma era populista, ha stravinto il populismo e tutte le analisi sulla fine o sul calo del populismo sono baggianate. Ora, che chi puntava al No finga di non accorgersene, passi. Ma che non se ne accorga chi puntava al Sì è deprimente. Per questo l’uscita di Di Battista che frigna per “la più grande sconfitta M5S di sempre”, è suicida sia nei tempi sia nei contenuti. Nei tempi, perché il referendum è stato una delle più grandi vittorie M5S di sempre e andava festeggiato almeno per un paio di giorni, anziché fare gné gné a Di Maio e agli altri che, diversamente da Dibba, si sono spesi nella campagna del Sì. Nei contenuti, perché le Regionali i 5Stelle le perdono sempre, da quando sono nati, anche quando vincevano le Politiche nel 2013 e le stravincevano nel ’18 e intanto venivano battuti in Sicilia e Lazio.

Le Regionali, per quanto appaia bizzarro, decidono chi governa le singole Regioni, così come le Comunali i Comuni. Gli elettori votano per i candidati presidenti o sindaci, non per il governo o per i segretari di partito. E sommare i voti di lista nelle Regioni e nei Comuni per stabilire chi ha vinto su scala nazionale è come sommare i fichi e le patate. Si può al massimo stabilire chi ha perso, in base alle dichiarazioni della vigilia. Se Salvini puntava al 7-0, è ovvio che ha perso: è finita 3-4. Se l’altro Matteo mirava a far vincere Giani e far perdere Emiliano e Sansa, è ovvio che ha perso: Giani ha vinto per 8 punti e Iv ha preso il 4,5; Emiliano ha vinto nonostante Iv e Sansa avrebbe perso anche con Iv. Di vincitori nazionali c’è solo la Meloni, che ha strappato le Marche con un fedelissimo e ha aumentato i voti dappertutto. Tutti gli altri hanno perso voti. Anche Zingaretti: ha salvato Toscana, Puglia e segreteria, ma oltre alle Marche ha perso terreno in Liguria, Toscana e Veneto. I veri vincitori sono i cosiddetti “governatori”, trainati dall’effetto Covid e dal populismo trasformista da “cacicchi” che ne fa delle star locali, non nazionali e sganciate dai partiti: Zaia, Toti (anche per il dopo-Morandi), De Luca, Emiliano. Successi personali più che partitici. De Luca aveva 5 liste dei più vari colori.

Emiliano addirittura 15, dall’estrema sinistra alla destra. Zaia la sua, che ha svuotato la Lega. In più, quasi dappertutto, è scattato il soccorso grillino per tre fattori: la fiducia in chi ha gestito la pandemia; il voto utile, disgiunto o diretto, al male minore; la corsa sul carro del vincitore. Come si fa a non capire che gli stessi elettori, in un’elezione nazionale col proporzionale, avrebbero votato in modo totalmente diverso dalle Regionali col maggioritario a turno secco e dalle Comunali col doppio turno? Chi fa un altro mestiere non deve studiare le leggi elettorali, ma per chi fa politica è proprio il minimo. Col proporzionale (Politiche), ciascuno va per conto suo e le alleanze si fanno dopo le elezioni. Col maggioritario a doppio turno (Comuni), si corre da soli e le alleanze si fanno tra il primo e il secondo turno (e, se non i partiti, le fanno gli elettori). Col maggioritario a turno secco (Regionali), le alleanze si fanno prima del voto (e, se non i partiti, le fanno gli elettori delle forze sfavorite scegliendo il meno distante dei due favoriti).
Perciò Emiliano e De Luca hanno avuto molti voti grillini, ma anche forzisti e leghisti: tutta gente che alle Politiche tornerà all’ovile. Come i grillini che han votato Giani. E i veneti della lista Zaia, alle Politiche, voteranno quasi tutti Lega. Ecco perché la vittoria dei presidenti Pd non è di Zingaretti, se non per averlo aiutato a sventare la manovra dei poteri forti per rimpiazzarlo con Bonaccini, rovesciare Conte, scaricare il M5S e tentare l’ennesimo inciucio con quel che resta di FI e pezzi di Lega. Emiliano e Giani l’hanno capito: Zinga&C. pare di no. Infatti, consigliati da Repubblica e dai “padri nobili” che non ne azzeccano una, avanzano pretese bizzarre o ideologiche: il Mes (di cui non si parla da nessuna parte in Europa, neppure più a Cipro), lo Ius Soli (non proprio in cima ai pensieri degli italiani, e nemmeno degli stranieri) e i decreti Sicurezza (dove basta qualche ritocco sulla linea Mattarella, senza tanti strepiti). Del resto, se anche il Pd avesse vinto, gli elettori l’avrebbero premiato per il governo giallorosa che, anziché perdersi in quelle fumisterie, s’è occupato di cose più urgenti e vitali: Covid, tre manovre da 100 miliardi, bonus ai più deboli, Recovery Fund. E ora, si spera, una legge elettorale senza più liste bloccate, su cui il Fatto lancia oggi una petizione di costituzionalisti del Sì e del No da firmare sul sito. Qualcuno ha detto che il nostro appello a “turarsi il naso”, in Puglia e Toscana, è servito come quello di Montanelli nel 1976: ne siamo felici. Ma quella volta, subito dopo il voto, il grande Indro inviò un telegramma alla Dc che cantava vittoria: “Vi abbiamo votato, ma ce la pagherete”

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