martedì 24 novembre 2020

Universo è sorprendentemente simile al cervello umano, ecco le incredibili somiglianze.

 

Il cervello umano può essere paragonato all’universo grazie a varie somiglianze e caratteristiche abbastanza simili secondo un nuovo interessante studio apparso sulla rivista Frontiers of Physics. Non si tratta della prima volta che si paragona il cervello umano all’universo ma probabilmente è la prima volta che questa somiglianza viene studiata in maniera analitica ed approfondita con tanto di studio scientifico revisionato.

Somiglianze tra rete di galassie e rete neuronale.

I ricercatori Franco Vazza, un astrofisico dell’Università di Bologna, e Alberto Feletti, un neurochirurgo dell’Università di Verona, hanno analizzato in particolare le somiglianze che occorrono tra la rete di neuroni del cervello degli esseri umani e la rete e delle galassie, con i suoi vari ammassi sempre più grandi e dei intricati.
In uno studio che è una sorta di incrocio tra astronomia e neurobiologia, i ricercatori propongono diverse caratteristiche che in effetti fanno assomigliare la rete galattica dell’universo osservabile e la rete neuronale dei nostri cervelli sorprendentemente simili.

Numero di galassie in universo osservabile e di neuroni simile.

I ricercatori stimano, secondo quanto mostrato dalle ultime ricerche, che il cervello umano contenga circa 69 miliardi di neuroni. D’altro canto l’universo osservabile sembra contenere un quantitativo relativamente simile, circa un centinaio di miliardi, di galassie.

Molta della massa in filamenti.

All’interno di tutti e due i sistemi, solo il 30 per cento delle loro masse è fatto da galassie e da neuroni. Molta della massa è infatti collocata in lunghi filamenti che collegano galassie e neuroni.

Somiglianza tra l’acqua nel cervello e l’energia oscura.

Infine c’è una somiglianza tra l’acqua nel cervello e l’energia oscura nell’universo osservabile: in entrambi i sistemi 70 per cento della distribuzione della massa/energia appartiene a componenti che sembrano avere un ruolo passivo.

Simulazioni.

I ricercatori non si sono limitati certo a rilevare queste somiglianze. Hanno effettuato anche delle simulazioni confrontando quelle fatte con reti di galassie e quelle eseguite con sezioni della corteccia cerebrale e del cervelletto per capire le fluttuazioni della materia e come quest’ultima si diffonde su scale così enormemente diverse.

Densità spettrale.

Come spiega lo stesso Vazza, lui e colleghi hanno misurato la densità spettrale di tutti e due i sistemi con una tecnica che in astronomia si usa per analizzare la distribuzione delle galassie nello spazio: “La nostra analisi ha mostrato che la distribuzione della fluttuazione all’interno della rete neuronale del cervelletto su una scala da 1 micrometro a 0,1 millimetri segue la stessa progressione della distribuzione della materia nella rete cosmica ma, ovviamente, su una scala più ampia che va da 5 da milioni a 500 milioni di anni luce”.

Numero medio delle connessioni di ciascun nodo.

Infine due ricercatori hanno trovato somiglianze anche per quanto riguarda il numero medio delle connessioni di ciascun nodo (uno nuovo rappresenta una galassia oppure un neurone) e per quanto riguarda la tendenza a sviluppare un numero maggiore di connessioni nei nodi centrali e più rilevanti della rete.
Anche in questo caso i parametri strutturali mostravano delle somiglianze sorprendenti, come spiega Feletti. Somiglianze che sembrano suggerire che in entrambi i sistemi la connettività delle reti si evolve in base a principi fisici che devono essere simili.

https://notiziescientifiche.it/universo-e-sorprendentemente-simile-al-cervello-umano-ecco-le-incredibili-somiglianze/?fbclid=IwAR2RkXwdVXHvCZ3V_uvbllmPh7Qx0bI6f_X6BeoD6cZam5xIidEpTHsXido

Cashback, arriva il bonus per lo shopping di Natale. - Patrizia De Rubertis

 

Slittano al 2021 i rimborsi fino a 300 euro e il super incentivo da 1.500 euro. Subito 150 euro, ma i fondi sono limitati.

Rinviato a gennaio il cashback ordinario, in questo “Natale sobrio”, per dirla con le parole del premier Conte, ci sarà comunque spazio per il rimborso degli acquisti effettuati con carte di credito, bancomat e app, con esclusione però dell’online, sia per incentivare la lotta al contante ma soprattutto per stimolare i consumi falcidiati dalle restrizioni anti-Covid. L’ultimo tassello necessario per far partire il “Piano Italia cashless” è arrivato con la stesura del regolamento del ministero dell’Economia in cui emergono un paio di novità rilevanti per il tris di misure previste (il cashback, il super incentivo e il bonus di Natale), che potrebbero ridare agli italiani fino a 3.450 euro nel 2021 sommando i vari rimborsi. Dall’acquisto dell’auto alla fattura del meccanico, dall’abbigliamento al caffè al bar, vale la pena capire come funzionano i rimborsi e quanto si avrà indietro, direttamente sul proprio conto corrente.

Il meccanismo. Per richiedere i rimborsi bisogna essere maggiorenni, residenti in Italia e dichiarare che le carte registrate vengano utilizzate solo per acquisti al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arte o professione. Serve iscriversi all’app “Io” della Pa (si può accedere con Spid o carta d’identità elettronica) o su altri sistemi degli operatori convenzionati con PagoPa, fornire il codice fiscale e gli estremi delle carte con cui si faranno gli acquisti e l’Iban per l’accredito.

Cashback sperimentale. Il meccanismo ribattezzato bonus di Natale è l’ultima novità. Valido per il solo mese di dicembre, è un rimborso fino a 150 euro per tutti coloro che spenderanno almeno 1.500 euro (vale a dire il 10% di tutti gli acquisti). Per ottenerlo vanno fatti almeno 10 acquisti con carte e app (Apple Pay, Samsung Pay, Satispay o Paypal). Il rimborso verrà erogato a febbraio 2021. Ma se le richieste sforeranno l’importo di 227,9 milioni, il pagamento verrà proporzionalmente ridotto. Fondi che dovrebbero accontentare 1,5 milione di persone.

Piano ordinario cashback Saltata la campagna informativa prevista per presentare la misura (complice l’invito a rimanere a casa), è slittato anche l’inizio del vero e proprio cashback. Il regolamento del Mef prevede che il normale rimborso slitti da dicembre 2020 al primo gennaio 2021 per concludersi il 30 giugno 2022. Le modalità restano invariate: un rimborso del 10% delle spese effettuate per un massimo di 300 euro all’anno (150 euro a semestre). Vanno fatte almeno 50 operazioni sempre ogni sei mesi. Non si possono superare transizioni superiori a 3mila euro annui. I soldi saranno erogati a luglio 2021, gennaio 2022 e luglio 2022. Uno slittamento che ha permesso di prevedere un fondo di 1,7 miliardi nel 2021 e poi 3 miliardi nel 2022. Arriveranno molto probabilmente risorse aggiuntive.

Rimborso speciale. Al cashback ordinario si affianca un bonus di 1.500 euro che sarà erogato ai centomila consumatori che effettueranno più transazioni in tre semestri: gennaio-giugno 2021; luglio dicembre 2021; gennaio-giugno 2022. Ogni semestre il conteggio ripartirà da zero.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/24/cashback-arriva-il-bonus-per-lo-shopping-di-natale/6014204/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-24

Non esiste un “caso Morra”: è solo fumo negli occhi da destra. - Andrea Scanzi

 

Il “caso Morra”, che in realtà esiste solo nella testa di Gasparri (dunque non esiste), è un inno all’ipocrisia italiana. Il senatore M5S ha le sue colpe. Colpisce come nelle prime ore non sia stato minimamente difeso dai suoi colleghi grillini: deve stare davvero antipatico a un sacco di deputati e senatori 5 Stelle, altrimenti non si spiega. Chi lo descrive come egoriferito, chi come troppo polemico, chi come “bravo solo lui”. Da qui, al primo inciampo dialettico, questo fuoco amico che si è placato solo dopo il caso della censura Rai, che ha tardivamente compattato i 5 Stelle attorno a Morra.

Il senatore, che conosce la Calabria come pochi e si batte per essa come pochissimi, sta verosimilmente pagando il suo approccio antipatizzante nei confronti di Di Maio e certi attacchi “gilettiani” a Bonafede. A proposito di Giletti, tra gli errori di Morra c’è anche la telefonata di due sere fa a Non è l’Arena. Cercare di intervenire al telefono in un programma di Giletti e uscirne bene senza chiamarsi Salvini e Meloni è una perversione ben strana, che mesi fa aveva contraddistinto pure Bonafede. Morra ha poi sbagliato a vantarsi per essere diventato “trend topic su Twiitter”, perché per divenire trending (non trend) topic in quel social morto e sepolto chiamato Twitter bastano poche decine di tweet vomitati dai soliti imbecilli fascisti (e derivati). Soprattutto: Morra ha sbagliato nel definire la Calabria “irrecuperabile” e nel citare Jole Santelli nella famigerata intervista a Radio Capital. Ha sbagliato non certo perché abbia insultato calabresi, Santelli e malati oncologici: non lo ha mai fatto, e chi asserisce il contrario o è scemo o intellettualmente disonestissimo. Ha sbagliato perché ha prestato il fianco alle polemiche becere dei Mulè e dei Tajani, dei Salvini (che lo ha definito “cretino”) e delle Meloni (che ha attaccato la classe dirigente grillina dimenticandosi dei non pochi esponenti di Fratelli d’Italia con pendenze giuridiche).

Ciò detto, il (non) “caso Morra” è oltremodo avvilente. Morra ha insultato Jole Santelli? No: ha detto che la rispettava umanamente, ma che politicamente erano agli antipodi. Aggiungendo, ed è vero, che i calabresi che l’hanno votata sapevano quanto fosse purtroppo malata. Morra ha insultato tutti i calabresi? No: ha detto che chi ha votato Tallini, ora agli arresti domiciliari con accuse devastanti, non può certo lamentarsi. Affermazione sacrosanta: è ora di finirla con queste analisi sempre autoassolutorie degli elettori. Se voti Tallini, Spirlì o chi volete voi, poi non puoi certo prendertela con la politica cattivona. Proprio Morra si sgola da anni nel raccontare chi sia Tallini, ritenuto “impresentabile” dalla Commissione antimafia pochi giorni prima delle elezioni regionali. Con quali risultati? Nessuno. La destra ha fatto finta di nulla (Sgarbi ne celebrò le lodi attaccando proprio Morra) e Tallini a Catanzaro è risultato il candidato più votato. Morra ha insultato i malati oncologici? No: è la ’ndrangheta a voler lucrare sui farmaci antitumorali. Quella ’ndrangheta che, stando alle intercettazioni, di Tallini non pare aver disistima.

Davvero: di cosa diavolo stiamo parlando da giorni? Che colpe avrebbe Morra? Ci rendiamo conto che, se lui è ritenuto “moralmente indegno” al punto da non poter andare in Rai, Sgarbi andrebbe internato e Berlusconi spedito in Siberia? Ci rendiamo conto che, per molti, sono più gravi due parole (forse) sbagliate da un senatore incensurato che gli arresti e i crimini di un’impresentabile classe politica purtroppo al potere? Siamo messi male.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/24/non-esiste-un-caso-morra-e-solo-fumo-negli-occhi-da-destra/6014224/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-11-24

Le speculazioni di mia zia e della sua vicina di casa: le gatte di Wall Street. - Daniele Luttazzi

 

Mia zia e la sua vicina, una borgatara che si dà delle gran arie e parla con un accento straniero, come se venisse da qualche parte, sono in buoni rapporti diretti, ma nemiche sul piano finanziario, dove tentano di affermare la propria egemonia attraverso le loro società di revisione: una legge demenziale le autorizza a controllare i bilanci delle società cui fanno consulenza, con conflitti di interesse che sono giganteschi quanto i loro ricavi. Il bello è che non solo non debbono mai rispondere dei loro errori, ma più sbagliano più guadagnano, la classica gallina dalle uova sode. Le multe? Ridicole, dunque convenienti.

Mia zia, che per le sue speculazioni al ribasso viene chiamata la Samara di Wall Street, mi illustra la regola del tre: “Se leggi tre volte il bilancio di una società e non riesci ancora a capire come fanno i soldi, di solito c’è trippa per gatti. Noi siamo i gatti”. Vent’anni fa, zia fu tra i pochi a scommettere sul crollo della Enron, il gigante Usa dell’energia, in apparenza solidissimo, e guadagnò una fortuna quando la Enron implose in un gigantesco scandalo contabile. La società di revisione, di proprietà della vicina, chiuse i battenti. “La Enron derubò la banca”, dice zia, con una nota di sherry nell’alito, “ma la società della vicina fece da palo e fornì la mappa delle fognature”. Da allora, fra la zia e la vicina è in corso una guerra senza quartiere: in due, controllano la stragrande parte del business mondiale della revisione dei bilanci societari. In Italia si dividono l’88 per cento del mercato (ricavi per un miliardo all’anno, multe Consob per 2 milioni e mezzo in sei anni: una pacchia). Anche se avevano l’obbligo di farlo, non hanno visto i buchi di Parmalat, Cirio, Giacomelli, Italease, Carige, Banca Etruria, Banca Marche, Popolare di Vicenza, Mps e Popolare di Bari. Del resto, nel Cenacolo di Leonardo, solo dopo che ti hanno detto chi è Giuda gli vedi una faccia da canaglia.

Comunque, anche se due milioni di risparmiatori hanno perso un centinaio di miliardi, e fioccano i ricorsi, la zia e la vicina restano sulla cresta dell’onda. In Germania, per esempio, la società della vicina non s’è accorta dei trucchi contabili di Wirecard, il gigante dei pagamenti digitali che è finito in bancarotta dopo la scoperta dell’ammanco di 1,9 miliardi di liquidità nei suoi conti bancari; ma la vicina ha ottenuto lo stesso, dal prossimo anno, la revisione di 7 delle principali società tedesche quotate. “La supervisione europea è lenta, non ha risorse, e non è coordinata”, mi spiega zia, mentre le ciuccio le poppe (è ancora una strafiga, e facciamo sesso da quando mi svezzò, fra lenzuola ruvide, ma immacolate, in una casa colonica circondata da ortiche: avevo 15 anni, lei aveva appena cambiato sesso; fu indimenticabile, come la prima volta che vidi Shining) “cosicché i nostri pastrocchi passano spesso inosservati. Gli Stati potrebbero dotarsi di un proprio organo di revisione, ma non lo fanno. Che idioti!”. Nel 2015, zia e vicina misero da parte i dissapori per creare il cartello con cui conquistarono un maxi-appalto Consip da 66,5 milioni di euro, spartendosene i lotti. Multa dell’Antitrust: solo 23 milioni. Quanto fatturano con la pubblica amministrazione italiana? 300 milioni. L’anno prossimo ci sarà un nuovo appalto per altri cinque anni. “Tu e la vicina parteciperete di nuovo, zia?”. “Secondo te?”.

Ultim’ora. Da domenica prossima, cambia il Padre Nostro: il versetto “non indurci in tentazione” diventa “non abbandonarci alla tentazione”; e “ma liberaci dal male” diventa “ma da quando ci sei Tu, tutto questo non c’è più”.

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Mercato dei vaccini, s.o.s. ’ndrangheta. - Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

 

Mafie nell’emergenza covid - La criminalità organizzata sfrutta eventi drammatici e crisi per incrementare il proprio giro d’affari: i cosiddetti farmaci generici sono già da tempo bocconi appetitosi.

Hanno fiutato subito l’affare. Le loro voci sono state intercettate in diverse indagini. Tutti a parlare di mascherine (chirurgiche, facciali filtranti Ffp2/Ffp3), guanti in lattice, camici monouso, occhiali protettivi e flaconi disinfettanti. Come se fossero esperti del settore. Sono aumentate in modo esponenziale anche le truffe che promuovono kit di test e trattamenti per il coronavirus, come ha spiegato l’Europol, segnalando pure un aumento degli acquisti di prodotti farmaceutici e sanitari contraffatti quali appunto mascherine, antivirali o gel a base di alcol.

Il 28 marzo 2020, funzionari dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di Gioia Tauro, unitamente ai militari della Guardia di Finanza del comando provinciale di Reggio Calabria, hanno intercettato due importanti carichi di materiale medico e sanitario, contenenti 364.200 paia di guanti sterili per uso chirurgico provenienti dalla Malesia e 9720 dispositivi endotracheali, provenienti dalla Cina, utilizzati per l’intubazione di pazienti con difficoltà respiratorie. Truffe del genere sono state scoperte in diverse località: da Bari a Perugia, da Roma a Lecce. Spesso, a muoversi in situazioni del genere sono le “teste di paglia”, i prestanome. È stata un’imbarcata che ha coinvolto moltissima gente che ha intuito la possibilità di facili guadagni, a scapito della collettività. Una sorta di “tana libera tutti” che ha consentito, ancora una volta, ai furbi di uscire allo scoperto.

Durante il lockdown la richiesta di medicinali e di dispositivi di protezione individuale ha registrato una notevole impennata in tutto il mondo. La domanda è stata in parte soddisfatta rivolgendosi a fonti alternative, spesso non autorizzate e illegali, gestite o finanziate da organizzazioni criminali. Oltre al rischio di trovarsi in mano prodotti contraffatti, ancora una volta è emersa la capacità di adattamento dei faccendieri dell’emergenza, come dimostra l’operazione “Pangea XII”, che ha portato all’arresto in varie parti del mondo di 121 persone e al sequestro di farmaci potenzialmente pericolosi per un valore di oltre 14 milioni di dollari, tra cui più di 34.000 mascherine contraffatte e scadenti, “anticorona spray” e “medicine contro il coronavirus”. Secondo l’Interpol, tra marzo e aprile 2020, le mascherine sono state il prodotto sanitario maggiormente oggetto di truffe. A Istanbul, in Turchia, ne sono state sequestrate circa 1 milione con l’arresto di cinque persone sprovviste di autorizzazione che producevano in condizioni di totale insicurezza. In India, la polizia ha smantellato una fabbrica illegale e sequestrato più di 27.000 mascherine contraffatte nelle aree di Bangalore e nel Kerala. Gli autori della truffa avevano già venduto circa 75.000 unità a diversi ospedali e istituzioni statali. In Thailandia, la polizia ha perquisito una fabbrica che nella provincia di Saraburi vendeva mascherine usate come nuove.

Da tempo le mafie hanno messo le mani anche su importanti risorse della sanità pubblica. Ha fatto il giro del mondo, per esempio, la notizia pubblicata dal Financial Times secondo cui alcuni privati, nell’impossibilità di farsi liquidare da aziende sanitarie pubbliche calabresi, avrebbero venduto i loro crediti a banche e società estere. Secondo il noto quotidiano britannico, i titoli venduti a investitori internazionali tra il 2015 e il 2019 ammonterebbero a circa 1 miliardo di euro. In un caso, i titoli commerciali e le obbligazioni legate ad aziende sospettate di avere legami con la ’ndrangheta sarebbero stati acquistati da una delle banche private più importanti d’Europa. Scrive Gaetano Mazzuca sulla Gazzetta del Sud: “Ancora una volta, è il buco nero della sanità calabrese a trasformarsi in un lucroso affare per la ’ndrangheta”. Della vicenda si è occupato anche l’Ufficio investigativo della Banca d’Italia, che avrebbe individuato un pacchetto finanziario, del valore di 400.000 euro, riconducibile a un’azienda coinvolta nel settore delle apparecchiature acustiche, degli articoli medici e ortopedici. Il nome dell’azienda era già comparso nel voluminoso fascicolo dell’inchiesta “Quinta Bolgia”, con cui la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha scoperto l’infiltrazione dei clan lametini nella sanità pubblica, tanto da far decidere al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, lo scioglimento dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro. L’azienda coinvolta era riuscita a mettere le mani sul servizio delle autoambulanze sostitutive del servizio pubblico, delle onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario, del trasporto del sangue, escludendo dal mercato le altre ditte mediante un’illecita concorrenza e cercando di turbare, tramite atti illeciti, la regolarità delle gare di affidamento.

Quello dei debiti della pubblica amministrazione, soprattutto nel settore della sanità, rischia di diventare terreno fertile per l’infiltrazione della criminalità mafiosa. “La criminalità organizzata, grazie alla complicità di apparati burocratici contigui o compiacenti”, spiega Domenico Guarascio, magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, “condiziona sempre più le gare d’appalto. Le forniture di beni e servizi verso le Asp sono spesso gonfiate anche grazie all’emissione di fatture false o all’erogazione di prestazioni di valore inferiore rispetto al normale”. C’è anche il rischio concreto che le mafie possano appropriarsi del mercato dei vaccini, come ha avvertito nel giugno 2020 lo stesso capo della polizia, Franco Gabrielli, nel suo intervento in videoconferenza con i vari Paesi che aderiscono al progetto I-Can (Interpol Cooperation against ’ndrangheta). In particolare, Gabrielli ha spiegato come la ’ndrangheta punti alla possibilità di entrare in società che gestiscono la produzione di farmaci e vaccini. Quello dei cosiddetti “equivalenti”, ovvero i farmaci generici, è un mercato in continua crescita. In Nord America organizzazioni criminali riconducibili alla Russia e alla Georgia hanno cominciato a mettere le mani su aziende che riproducono farmaci con la copertura brevettuale scaduta. Negli Stati Uniti, dove non esiste l’assistenza sanitaria garantita dallo Stato, sono proprio le assicurazioni a incentivare il consumo dei farmaci generici, che costano molto meno. Ci sono poi nuovi canali di distribuzione come il dark web, dove è possibile acquistare di tutto e dove i farmaci più richiesti sono l’anticolesterolemico atorvastatina e quelli volti a migliorare le prestazioni fisiche e sessuali.

© 2020 Mondadori Libri Spa, Milano

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Sci-muniti. - Marco Travaglio

 

Il Covid-19 ci ha regalato due ondate e, se tutto va male, a gennaio arriva la terza. Invece la cosiddetta informazione sforna un’ondata alla settimana. Ma non di virus: di cazzate. C’è la settimana del governo Draghi (la prima di ogni mese), quella del Mes (la seconda), quella del rimpasto, quella delle troppe scarcerazioni (colpa di Bonafede), quella delle troppe carcerazioni (colpa di Bonafede), quella del governo senza “anima”, quella di Conte che decide sempre tutto da solo, quella di Conte che non decide mai niente neanche in compagnia, quella che le scuole che non riapriranno mai (colpa della Azzolina), quella che riaprire le scuole è stato un errore (colpa della Azzolina), quella che devono decidere le Regioni, quella che deve decidere il governo, quella che ci vuole il lockdown, quella che meno male che non s’è fatto il lockdown, quella che i vaccini arrivano troppo tardi (colpa di Arcuri), quella che i vaccini che arrivano troppo presto (colpa di Arcuri), quella di Salvini europeista liberale, quella di B. che è diventato buono. La settimana scorsa era quella del “salviamo il Natale”. Ieri, altro giro di giostra: “Salviamo le vacanze sulla neve”.

Un’allegra combriccola di buontemponi che si fan chiamare “governatori” e “assessori” di alcune fra le Regioni peggio messe (le zone rosse Lombardia, Piemonte, Alto Adige, Val d’Aosta, l’arancione Friuli-Venezia Giulia e le gialle Veneto e Trentino), chiede di riaprire la stagione sciistica. Con 600-700 morti al giorno e molti ospedali in overbooking, gli sci-muniti pensano alle “linee guida per l’utilizzo degli impianti di risalita nelle stazioni e nei comprensori sciistici da parte degli sciatori amatoriali”. Gli assessori lombardi Caparini e Sertori, in rappresentanza di una giunta che non riesce nemmeno a comprare i vaccini antinfluenzali per medici, anziani e malati, spiegano spensierati che chiudere gli impianti di sci è stata addirittura “una scelta scriteriata e incomprensibile da parte di un governo disorientato” (loro invece sono lucidi). Intanto i giornaloni raccolgono gli appelli di Alberto Tomba e di altri cervelli in fuga. Tutti a strillare che lo sci “è uno sport all’aperto e individuale” (come se gli assembramenti si verificassero sulle piste e non prima e dopo le discese, cioè negli hotel, negli impianti di risalita, nei rifugi e nei locali serali di “après ski”) e bisogna “dare un segnale positivo” (al Covid-19). È la stessa demenza collettiva che prima voleva “salvare la Pasqua”, poi “il ferragosto”, “la movida”, “le discoteche”. La stessa follia che ancora a metà settembre, mentre i contagi risalivano, portò la Conferenza delle Regioni a chiedere di riaprire gli stadi fino al 25% della capienza. Quando arriva il vaccino contro i cretini?

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Vaccini Covid: 1 regione su 2 è ancora senza piano. - Natascia Ronchetti

 

Dopo i due vaccini anti-Covid messi a punto negli Stati Uniti dalla partnership Pfizer-Biontech e da Moderna, nella corsa agli annunci (e a chi ce la farà prima), arrivano anche i risultati preliminari dei testi clinici condotti in Regno Unito e Brasile arrivati in fase 3 del vaccino europeo, quello sviluppato da Irbm – il gruppo di Pomezia specializzato nella ricerca farmaceutica – insieme all’Università di Oxford e alla multinazionale britannica AstraZeneca.

Il nuovo vaccino, per il quale la commissione dell’Unione europea ha pattuito con la big pharma inglese l’acquisto di 300 milioni di dosi per tutti i Paesi Ue (con una opzione per altri 100 milioni), ha una efficacia media intorno al 70%, che però può arrivare al 90: dipende dal dosaggio. La sperimentazione ha dimostrato che la somministrazione di due dosi genera una protezione del 62% ma quella di una mezza dose, seguita da una intera, la porta al 90. Certo, si tratta di una soglia inferiore a quella può essere raggiunta dai vaccini targati Pfizer-Biontech e Moderna (rispettivamente 95 e 94,5% di efficacia). Ma quello di AstraZeneca offre altri vantaggi, come il fatto di poter essere conservato e trasportato a una temperatura che oscilla tra i 2 e gli otto gradi, a differenza del preparato di Pfizer che richiede una refrigerazione di 70-80 gradi sotto zero. Inoltre il prezzo sarebbe decisamente più conveniente. Il vaccino AstraZeneca costa 2,80 euro, richiamo compreso, contro i 16-20 euro a dose degli altri due vaccini americani, per i quali in questi giorni sarà depositata la richiesta di autorizzazione di emergenza alla Food and Drug Administration, l’agenzia del farmaco Usa.

Fin qui tutto bene. I problemi, però, arrivano quando si va a verificare la rapidità della risposta dei sistemi regionali alla predisposizione di un piano nazionale di stoccaggio e somministrazione dei vaccini alla popolazione, a partire dagli operatori sanitari e dagli ospiti delle residenze per anziani, i più esposti al contagio.

Entro venerdì scorso tutte le Regioni avrebbero dovuto inviare a Domenico Arcuri, il commissario straordinario per l’emergenza pandemica, un piano dettagliato, con l’individuazione dei luoghi più idonei per stoccaggio e somministrazione. Una richiesta fatta il 17 novembre. E alla quale, alla scadenza, hanno risposto solo dieci Regioni: una su due. Non ce l’hanno fatta, a rispettare il termine del 20 novembre, né al Nord né al Sud. Dal Veneto al Friuli-Venezia Giulia, per arrivare alla Campania. Nonostante le ripetute sollecitazioni di Arcuri – e la concessione di uno slittamento della scadenza – ieri alle 16 mancavano all’appello ancora sette regioni. Questo a poche ore dal termine ultimo della proroga, fissato proprio a ieri: le 24. In vista della probabile disponibilità dei vaccini a partire dai primi mesi del prossimo anno, Arcuri ha chiesto alle Regioni, per “definire il piano di fattibilità in questa prima fase di somministrazione”, di individuare “in ogni provincia le idonee strutture”, capaci di rispettare alcuni vincoli. Vincoli che riguardano la conservazione e la somministrazione del vaccino Pfizer, “il cui iter di validazione sembra essere, ad oggi, il più avanzato” e di cui l’Italia già da gennaio potrebbe disporre di 3,4 milioni di dosi per vaccinare 1,7 milioni di persone. Vale a dire, celle frigorifere a meno 75 gradi per la conservazione di sei mesi; nelle apposite borse del fornitore per 15 giorni.

Il ritardo si somma ad altri ritardi, soprattutto se confrontato con altri Paesi europei. La Germania già i primi di novembre aveva previsto l’attivazione di 60 centri per la vaccinazione, dando mandato agli Stati federali di individuarli e comunicarli entro il 10 dello stesso mese al ministero della Salute. In Italia tutto si inserisce nel quadro di un sistema nazionale dei trasporti e della logistica molto fragile. “Le imprese del settore non sono preparate per affrontare lo stoccaggio e il trasporto dei vaccini – spiega Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio liberalizzazioni trasporti e infrastrutture –. Non lo erano nemmeno per quelli antinfluenzali. Sono arretrate, poco digitalizzate, come del resto conferma la gestione della logistica dei prodotti farmaceutici affidata a operatori stranieri”.

L’aeroporto di Bruxelles ha già messo le mani su una fetta sostanziosa del mercato del trasporto dei vaccini anti-Covid: sulla piattaforma a temperatura controllata è stato già sperimentato il trasporto di carichi aerei altamente termosensibili nei 30mila metri quadrati del Bruxelles Pharma Center. Con la simulazione di due spedizioni, una con temperatura di -70 gradi, è riuscito a mantenere le condizioni prescritte, grazie anche all’uso di ghiaccio secco sia all’interno del magazzino, sia durante il carico sui veicoli industriali. A Malpensa l’Italia può contare sull’area PharmaZone, che però si estende su una superficie di soli 600 metri quadrati ed è divisa in diverse aree a temperatura controllata, da -25 gradi a +8, con strutture inadeguate. “Il che equivale a dire – osserva Balotta –, che siamo nudi alla meta”.

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