Che sono tempi bui lo abbiamo già detto, vero? Che non sarà il solito Natale lo abbiamo letto da qualche parte, giusto? Bene, metà del lavoro è fatto. Ora passiamo a trattare l’argomento “Feste-in-pochi-e-in-zona-rossa”, con piccoli accorgimenti e trucchi per passare in armonia i giorni più santi dell’anno, quelli in cui si celebra la gloria del bambinello. No, non quello là che pensate voi, un altro bambinello, quello di Rignano.
Le settimane della vigilia sono state agitate e ricche di discussioni. Si faceva l’albero, e lui minacciava di fare il presepe, in subordine, ok, fare l’albero ma che non sembri un cedimento! Vuole scegliere le luci, poi appendere almeno una pallina ma non si può mettere il puntale finché non c’è la Bellanova. Alla fine, dopo estenuanti tira e molla, si è fatto l’albero, lui ha messo una pallina gialla sul terzo ramo dal basso e ha rilasciato gioiose dichiarazioni in cui “Senza di me sarebbe stato un Natale senz’albero!”.
Questo il pregresso. Ma veniamo al magico giorno della festa. Il gioco dell’oco. Non c’è gusto a fare la tombola in quattro o cinque, e anche il Mercante in Fiera perde molto del suo fascino senza il nonno rincoglionito a cui bisogna dire le cose tre volte. Quindi, un consiglio: il gioco dell’oco. Funziona sempre. Tabellone, dadi, sapienti tattiche e qualche variante nelle regole: un giocatore parte con due punti e mezzo, tira i dadi, spariglia, minaccia, piange, supera, arretra, arringa le folle, rilascia sette interviste al giorno sulle sue impareggiabili strategie, e alla fine resta… con due punti e mezzo. Non è successo niente, ma ci siamo divertiti. Lui un po’ meno, ma dice che ha vinto. Tutti allegri.
Il panettone. Altro snodo cruciale del Natale, la cerimonia del panettone. Ma attenzione, c’è un commensale deciso a sollevare qualche problema. Non vuole i canditi, come ha dichiarato al Corriere due settimane fa. Non vuole l’uvetta come ha rivelato in un retroscena già all’inizio del mese. Contesta che il panettone sia tagliato a fette triangolari. Valuta nuove maggioranze tra i commensali per aprire il pandoro, ripetendo che non fa tutto questo casino per avere una fetta di panettone in più. Ma poi, a pensarci, chi metterebbe lo zucchero a velo sul pandoro? Vuole che la stesura sia collegiale. Allora torna al panettone, vuole tagliarlo lui, in subordine far aprire lo spumante a Rosato. Qualche consiglio agli altri commensali: è Natale, non litigate, dategli una fettina più grossa e vedrete che si placa. Di spumante, bevetene parecchio, ne avrete bisogno.
I regali. Ci avviciniamo al dramma. L’apertura di pacchi e pacchettini è un momento che rivela molto della natura umana, da come si esprimono gioia e sorpresa, a come si mascherano le delusioni. Le famiglie più sagge sanno che azzeccare il regalo per il ragazzo difficile è fondamentale, e qui potete sbizzarrirvi, giocare sui bei tempi andati (un bel modellino di aereo presidenziale), o puntare sulle sue abilità alla Playstation, con nuovi games fantasy, tipo “Rottamator”, un eroe sparatutto che finisce a spararsi in un piede. Un consiglio per farlo felice: il modellino Lego della Farnesina da montare, che ci tiene tanto. Per i carrarmatini del Risiko bisogna aspettare che si liberi un posto alla Nato, portate pazienza.
Nel frattempo si è fatta sera, siamo un po’ storditi e stanchi. Ci meritiamo un po’ di relax, magari la tivù, un telegiornale. Dove compare un tizio che dice che è stato un Natale bellissimo. Per merito suo. Dovremmo ringraziarlo.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 23 dicembre 2020
Natale a Rignano. Si tratta su tutto, dai canditi a come si aprono i regali. - Alessandro Robecchi
Meglio camerieri che servi. - Gaetano Pedullà
Ci sono molti modi di fare la cameriera, o il cameriere. C’è chi si spezza la schiena per portare a casa il pane. E chi se ne sta su comode poltrone, anche in Parlamento, svolgendo l’unica funzione di attaccare l’asino dove vuole il padrone. I primi pagano il prezzo della loro dignità, i secondi incassano per averla svenduta.
Dunque dare a qualcuno della cameriera, come ha fatto ieri Sgarbi rivolgendosi alla Raggi, non implica necessariamente un’offesa, anche se l’intenzione non era certo di farle un complimento. Il dibattito politico – si dirà – è sceso da tempo a livelli primordiali, e chi insulta si qualifica da sé, soprattutto se ha finito gli altri argomenti, e allora una parolaccia o un’allusione sono le soluzioni più facili per buttarla in caciara.
Mi capita spesso in tv, soprattutto se infrango certi luoghi comuni: i 5 Stelle sono incapaci, Conte è il peggior premier della storia, la sindaca di Roma ha fatto più danni dell’uragano Katrina. Opinioni legittime tanto quanto quelle diametralmente opposte, con però due aspetti in comune. Partiamo dal più evidente: chi scarica ogni genere di livore su Governo e 5S è lasciato generalmente libero di farlo, e può andare avanti con autotreni di bugie senza che nessuno interrompa o puntualizzi, mentre se è l’opposto, la contestazione o la parolaccia sono immediate.
Meno visibile ma non meno determinante è però l’altra caratteristica dei distributori a senso unico di ingiurie e corbellerie: o hanno una tessera di partito o sono al servizio di qualche editore. Ma non chiamateli camerieri, che si offendono.
https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/meglio-camerieri-che-servi/
Italia Viva alza bandiera bianca. Ma spaccia la resa per vittoria. Bellanova esulta: la task force sul Recovery Plan non c’è più. Invece ci sarà perché prevista dall’Unione europea. - Raffaella Malito
Matteo Renzi sembra uno di quei bambini che prima fanno i capricci e poi, quando si convincono che è ora di farla finita, devono trovare il modo di “rientrare nei ranghi” senza perdere la faccia. Dunque se, da una parte, abbandona i toni aggressivi e gli ultimatum all’indirizzo di Giuseppe Conte, dall’altra ci tiene a mantenere viva la tensione. Ecco allora che, al termine dell’incontro a Palazzo Chigi col premier, finalizzato a ridefinire il Recovery plan, la delegazione di Iv si lascia andare a nuovi segnali distensivi ma nello stesso tempo tira un po’ la corda, riproponendo la questione dell’attivazione del Mes.
“Il problema di questo Paese non è se Bellanova o Bonetti si dimettano ma dare risposte ai cittadini. La task force nel testo del Recovery non c’è più, dunque avevamo ragione. Ora discutiamo nel merito delle questioni. Oggi si è fatto un passo avanti”, dichiara il capo delegazione Teresa Bellanova. Eppure come un disco rotto continua a risuonare la richiesta di attivazione del Mes: “Se nel documento che ci è stato consegnato continuano a esserci solo 9 miliardi per la sanità, perché non si riflette sulla possibilità di utilizzare i 37 miliardi del Mes, che hanno minori condizionalità rispetto a quelle del Recovery?”, chiede Bellanova, rilanciando la richiesta sul Salva Stati avanzata dal suo leader anche ieri nella consueta newsletter.
A Iv sul Mes risponde Leu: “La strumentalità a volte è commovente, qui il problema non è di accaparramento dei soldi ma di rafforzare i progetti che intrecciano la sanità con gli altri” pilastri del piano, “il green soprattutto”, dice la capogruppo al Senato, Loredana De Petris, che era nella delegazione di Leu che ha incontrato il premier dopo Iv. “Serve mettere in campo una strategia di lungo respiro che tenga insieme green, salute e infrastrutture sociali e questo significa anche un riequilibrio delle risorse”, spiega De Petris. Per Federico Fornaro (Leu) “è fondamentale che questa massa di investimenti abbia la cornice di una riforma del lavoro. Servono una nuova legge sulla rappresentanza e ammortizzatori sociali per rendere più stabile il lavoro, combattere la precarietà e aumentare i salari”.
Il premier, il giorno prima a Pd e M5S, ha spiegato che sulla governance ci sarà una riflessione seria e condivisa, che non sarà una struttura invasiva ma ha tenuto il punto: ce la chiede l’Europa. Il ministro per gli Affari Ue, Enzo Amendola, ha ribadito il concetto: “A pagina 33 la Commissione Ue chiede che ci siano strutture per il monitoraggio, per aiutare le pubbliche amministrazioni. La Commissione chiede che ogni Paese si organizzi con una struttura, che non sostituirà i ministeri, ma aiuterà la Pa a fare un lavoro positivo”. E ancora: “Avevamo 600 progetti, ora ne abbiamo 52 e saranno razionalizzati e resi coerenti”.
La delegazione di Iv ha preso qualche giorno di tempo per esaminare la documentazione illustrata nel corso dell’incontro. Già lunedì faranno pervenire un loro contributo di sintesi così come faranno le altre forze politiche. Subito dopo partiranno i tavoli di confronto. Amendola conferma quanto già detto da Conte sulla volontà di voler parlamentarizzare il processo: “Dopo la sessione di bilancio, ci saranno altri incontri al Mef. Presenteremo poi una proposta al Parlamento e successivamente ne discuteremo anche con gli enti locali e gli attori sociali. L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa che ha deciso di lavorare sul Recovery con il Parlamento. Vogliamo condividere tutti i passaggi”. Obiettivo: “Ci auguriamo che per metà febbraio si possano già presentare i piani nazionali”.
Rimane tra gli alleati lo stupore per i comportamenti del leader di Rignano: “Noi avevamo capito che volesse lavorare con noi per fare un patto di legislatura e invece ci siamo ritrovati con la possibilità di interruzione della legislatura”, dice Andrea Orlando del Pd che non si stanca di ribadire: “Non vediamo la possibilità di altre maggioranze, riteniamo che non ci siano altre formule praticabili come governi tecnici che non hanno portato benissimo”. Tagliente il ministro Francesco Boccia: “Si minacciano ultimatum che diventano penultimatum con liturgie che allontanano i cittadini dalla politica”.
Rimane sullo sfondo l’ipotesi di un rimpasto da varare a gennaio dopo la sessione di bilancio. Un’uscita di emergenza che, secondo alcuni, potrebbe definitivamente ricomporre la situazione saziando la fame di potere dei renziani. Nel mirino la delega ai Servizi segreti che il premier ha voluto mantenere nelle sue mani. Se Conte si decidesse a mollarla, quella potrebbe essere la prima pedina che avvierebbe il riassetto dell’attuale squadra di governo.
Solo Cassese sa come si fa l’amatriciana. - Antonio Padellaro
Quando lavoravo all’Espresso, nelle settimane mosce, a un certo punto della riunione di redazione, c’era sempre qualcuno che proponeva d’intervistare Norberto Bobbio. Inevitabilmente, il mortorio era scosso da un fremito, e subito qualcuno esultava: magari! Conoscendo la ritrosia dell’illustre pensatore e necessitando di un araldo adeguato alla prestigiosa incombenza, il direttore indicava Nando Adornato che, provvisto di una laurea in Filosofia, possedeva le credenziali giuste per telefonare a un filosofo. Purtroppo, la fiduciosa attesa era regolarmente infranta dal mogio ritorno del messo il quale allargando le braccia e scuotendo la testa confermava i peggiori presagi: Bobbio ringraziava, ma non se la sentiva e rinviava la conversazione, sicuramente pregna di significati, a un futuro imprecisato.
Quanto più fortunati sono i giornalisti di oggi a cui mai viene mai precluso il privilegio di un colloquio con il professore Sabino Cassese, che se non è Bobbio poco ci manca. Ormai, non c’è giorno che non sia scandito dal sorgere del sole e da un’intervista graziosamente elargita al Paese dal facondo prof. È tale l’intensità del suo dire che lo immaginiamo provvisto di una batteria di cellulari, con lui, zac, sempre lesto a rispondere al primo squillo, ma anche al secondo e al terzo per non fare torto a nessuno. Bisogna ammettere che nella corsa al Cassese stravincono i colleghi del Foglio, che rappresentano un po’ la Juve della specialità. Tanto che, secondo le malelingue, il cattedratico risiederebbe in subaffitto presso quel giornale, per non disperdere neppure una stilla del suo nettare. Come è noto la dottrina di Cassese, in ogni articolazione, è tesa a dimostrare che il governo Conte è peggio della pandemia, e che peggio del governo Conte c’è solo Conte. Pur tuttavia, in una Casseseide pubblicata ieri su Libero (secondo la metratura di almeno una pagina, certificata presso il Bureau dei pesi e delle misure di Parigi), a una osservazione birichina dell’intervistatore, ovvero “Qualcuno parla di lei al Quirinale (non sarebbe male)”, l’accademico sembra prendere la cosa molto sul serio senza smentirla affatto. Chissà se una volta issato sul Colle Cassese potrebbe ancora deliziarci con le sue interviste spazianti da Conte all’universo mondo. Come un altro professore, non meno titolato, quell’Alessandro Cutolo che, ai tempi della nostra infanzia, conduceva in tv Una risposta per voi, dove scioglieva qualunque enigma. Dall’esito della battaglia delle Termopili, alla vexata questio sull’amatriciana: meglio il guanciale o la pancetta? Statene certi che Sabino Cassese lo sa, basta intervistarlo.
Passione legittimo impedimento, così slittano i processi. - Gianni Barbacetto
Sono tornati i bei tempi del “legittimo impedimento”, quelli in cui i processi a Silvio Berlusconi erano bloccati all’infinito. Ieri, a Milano, era in calendario un’udienza del processo Ruby ter, in cui il leader di Forza Italia è imputato di corruzione in atti giudiziari, con l’accusa di aver pagato una trentina di testimoni affinché non raccontassero che cosa succedeva davvero durante (e dopo) le “cene eleganti” di Arcore, nella bollente estate 2010 del bunga-bunga.
L’udienza non si è tenuta: rinviata al 27 gennaio 2021, su richiesta dell’avvocato Federico Cecconi. Per un cavillo. Innescato già il 30 novembre, quando Cecconi aveva presentato un’istanza per chiudere in anticipo l’udienza: l’accusa aveva sostenuto che le due ville di Bernareggio progettate da Mario Botta, date in uso gratuito da Berlusconi a due testimoni – Barbara Guerra e Alessandra Sorcinelli – hanno un valore non di 900 mila euro ciascuna, ma di 1,1 milioni di euro. Allora bisogna cambiare il capo d’imputazione, ha chiesto il legale. Il Tribunale ha accolto la richiesta e sospeso l’udienza. Riconvocata ieri. Ma andata a vuoto: perché il cambio del capo d’imputazione deve essere notificato agli imputati, che devono avere 20 giorni per prenderne atto. Ieri di giorni ne erano passati solo 19. Ecco scattare la richiesta di rinvio da parte della difesa, che la settima sezione penale del Tribunale di Milano ha dovuto concedere.
Questa volta è scattato il cavillo. Ma da mesi i processi a Berlusconi vanno a rilento. C’è stato il blocco dei tribunali per la pandemia, le udienze saltate perché Berlusconi era risultato positivo al Covid-19, lo stop per i problemi di cuore dell’ex presidente del Consiglio. Prima ancora, i “legittimi impedimenti” erano stati politici. Tutto questo in una fase in cui il fondatore di Forza Italia si è riaccreditato presso i partiti come leader dell’opposizione “responsabile” e dialogante, o addirittura come interlocutore della maggioranza di governo.
I processi Ruby ter in corso sono tre: oltre a quello di Milano, con 28 testimoni coimputati, ci sono quello di Roma, dove coimputato è Mariano Apicella, il cantante che allietava le cene eleganti, accusato di aver ricevuto 157 mila euro dall’ex presidente del Consiglio; e quello di Siena, dove è processato in compagnia di Danilo Mariani, il silenzioso pianista delle serate del bunga-bunga, che ha ricevuto generosi bonifici per circa 170 mila euro.
A Roma, il processo è ancora nella fase iniziale. L’avvocato Franco Coppi aveva chiesto lo stop nel 2019 per la campagna elettorale per le Europee, poi per il Covid, infine per i “seri problemi cardiologici” dell’imputato. Il dibattimento partirà sul serio solo a maggio 2021. A Siena, dove il processo era invece quasi a sentenza, tutto è stato bloccato fino all’anno nuovo.
Magrini (dg Aifa): “Mai proposti gratis”. Le email lo smentiscono. - Thomas Mackinson
“L’Aifa ha interesse a sperimentare i monoclonali”. Giorgio Palù ha impresso la svolta all’agenzia che presiede dal 4 dicembre: “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti. Stiamo valutando una sperimentazione”. Lo sostiene da sempre, ma per riaprire il discorso tocca cancellare la macchia: l’occasione mancata di sperimentare già a novembre 10 mila dosi del farmaco sviluppato da Eli Lilly, a beneficio di altrettanti pazienti e a costo zero. Nicola Magrini, dg dell’Aifa, si intesta la smentita di una trattativa che il Fatto ha ricostruito e di cui proprio nulla, prima, si sapeva. Magrini parla di “una generica disponibilità a collaborare”. Sostiene che l’agenzia non ha ricevuto proposte di sperimentazione ma di acquisto. E che in ogni caso, “non è vero che abbiamo rifiutato l’accesso in Italia”.
La documentazione in nostro possesso racconta altro. Tutti i decisori pubblici coinvolti, a partire dallo stesso Magrini, fin dal 7 ottobre erano chiamati a valutare la proposta di un trial clinico-pragmatico gratuito che avrebbe garantito una delle poche cure disponibili al mondo. Stesso oggetto ha la riunione del 29 ottobre tra i vertici mondiali della Lilly (il vicepresidente Ajay Nirula), il gruppo regolatorio dell’Aifa, Gianni Rezza per il ministero, Giuseppe Ippolito (Cts e Spallanzani) e il professor Guido Silvestri, virologo della Emory University di Atlanta che ha dato impulso all’iniziativa. Lo conferma lo stesso Ippolito, in una lettera al Fatto in cui parla di “sperimentazione”, non vendita. Il comunicato gioca con le parole. Aifa non ha ricevuto la proposta, ma perché dopo la riunione l’ha lasciata cadere per dichiarato disinteresse. Sottolinea però d’aver ricevuto quella d’acquisto. Certo, ma è stata chiesta dall’Italia il 16 novembre perché il 9 l’Fda Usa autorizza il farmaco per l’emergenza e Lilly non può più regalarlo. Tanto che l’Italia torna al tavolo con Arcuri per trattare il prezzo. Si sostiene poi che l’intoppo è l’Ema, ma l’Ungheria ha autorizzato e si sta muovendo la Germania. Potevamo essere primi, rischiamo d’esser gli ultimi. Questa è la storia.
Artiglio Fontana. - Marco Travaglio
Miseramente fallito come presidente di Regione, Artiglio Fontana diventa editorialista del Corriere, diretto dal suo omonimo Luciano Fontana, che anziché correre all’anagrafe per cambiare cognome gli pubblica una lettera in cima alla pagina dei commenti. Spazio ben meritato, viste l’autorevolezza del mittente e l’acutezza dell’analisi. L’incipit è folgorante: “Caro direttore, il Covid ha cambiato il mondo”. Perbacco. “Ha stravolto il nostro modo di vivere”, tipo quando rischiò di strozzarsi con una mascherina. “Bisogna immaginare la Lombardia e l’Italia del domani”, dal che si deduce che la Lombardia non è in Italia (infatti lui i soldi li aveva alle Bahamas e i conti in Svizzera). “Sarà dura per tutti quando finiranno le misure che vietano i licenziamenti”: tipo il suo e quello di Gallera, peraltro già consentiti. “Occorre mettere mano alla legislazione dei contratti e degli appalti”, perché ora “servono tre anni solo per aggiudicare un’opera” (ma per suo cognato bastano un paio di giorni). Sennò addio “opere per le Olimpiadi Invernali del 2026”: e questo, visto che mancano 6 anni, più che mettere mano alle leggi, è mettere le mani avanti.
E la sua Regione? Possono definirla “pasticciona” e parlare di “disastro Lombardia” sulla sanità solo “commentatori distratti o faziosi”, incapaci di accorgersi che “il sistema ha retto”. Infatti, anche grazie alle mancate zone rosse e all’ordinanza che mandava gl’infetti nelle Rsa, ha sterminato 25mila persone (un terzo dei morti di tutta Italia, che sarebbe sotto la media europea se i morti lombardi fossero nella media nazionale). Ma l’editorialista Fontana, anziché scusarsi, dimettersi e andare a nascondersi, avverte: “Non siamo disposti a mettere in discussione il principio di libera scelta dell’individuo di farsi curare dove vuole a carico del sistema sanitario”: lo Stato paga e i privati intascano. Segue minaccia terrificante sul Recovery: ”Le Regioni devono giocare un ruolo da protagonista (sic, ndr)”: così pure quello finisce come i vaccini e le Rsa. Bisogna “lasciarle più libere” (di fare altri danni). Così alla fine gli sgovernatori potranno “essere premiati o puniti dai cittadini” (un chiaro tentativo di suicidio). Il crescendo fontaniano tocca l’acme con una perla di cultura: “Siamo chiamati a scorgere l’alba dentro l’imbrunire”. Citazione a cazzo da Prospettiva Nevskij di Battiato, che non meritava lo sfregio. Noi avremmo optato per “Quante squallide figure che attraversano il Paese, com’è misera la vita negli abusi di potere”. O “Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere di gente infame che non sa cos’è il pudore”. O meglio: “E perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?”.
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