Senza vergogna - L’ex sindaco di Firenze getta fumo sulla vicenda saudita, ma i punti controversi sono tantissimi: i diritti umani, la guerra, il caso Khashoggi, la stampa complice.
I giornali che lo criticano lo farebbero per creare un “diversivo”. Così Matteo Renzi ha commentato le polemiche – poche per la verità – seguite al suo viaggio saudita per partecipare alla Future Investment Initiative. “Prendo l’impegno a discutere con tutti i giornalisti dei miei incarichi internazionali, delle mie idee sull’Arabia saudita, di tutto”, ha dichiarato Renzi. Ma non ora, perché c’è la crisi di governo da risolvere.
E allora proviamo a riassumere quello che di questa vicenda dovrebbe far vergognare e a porre alcune domande.
1. Il diversivo. Matteo Renzi non ha avuto remore a recarsi a Riyad per la conferenza della Fii, istituto finanziato dal governo saudita, nel bel mezzo di una crisi provocata da lui. Per tornare ha utilizzato il beneficio di un volo privato garantito dal Fii stesso. Aveva avvertito il presidente Sergio Mattarella che in quei giorni così intensi si sarebbe assentato?
2. Condotta immorale. Nel Parlamento europeo esiste un Codice di condotta in base al quale, assicurano autorevoli esponenti di Strasburgo, una situazione come quella renziana sarebbe stata censurata. Renzi si è fatto pagare, nel pieno di un mandato parlamentare, da una istituzione che dipende da uno Stato straniero. Possibile che un politico che ama “il coraggio e la nobiltà d’animo” non sappia definire un proprio, accettabile, codice di condotta?
3. I diritti di Amnesty. L’elencazione delle violazioni dei diritti umani da parte saudita, stilato da Amnesty è esplicito. Ieri, sul manifesto, il portavoce italiano, Riccardo Noury, citava tra i casi più eclatanti quello di Raif Badawi, blogger, fondatore di Liberali sauditi: “Viene fatto scendere da un pulmino, in catene. La piazza di fronte alla moschea di Gedda è piena di gente. Arriva il funzionario addetto all’esecuzione delle pene e lì, al centro della piazza, inizia ad agitare la frusta. Una, due, dieci, 50 volte. Dopo 15 minuti, lo ‘spettacolo’ è terminato. Il pulmino riparte”. Che ne pensa Renzi?
4. Khashoggi e la Supercoppa. Il caso più agghiacciante è ovviamente quello del giornalista Jamal Khashoggi, ucciso, seviziato “smembrato con una sega”, dopo essere entrato nel consolato saudita a Istanbul. Bin Salman, indicato come il mandante dell’omicidio, non ha mai risposto di nulla e Agnes Callamard, responsabile Onu per le esecuzioni extragiudiziali, ha definito il processo allestito dai sauditi come privo di “legittimità legale o morale”. Il 26 ottobre 2018, il deputato Luciano Nobili, che di Italia Viva sembra guidare il servizio d’ordine, dichiarava su Twitter: “Dopo la morte di Khashoggi la comunità internazionale non può restare indifferente. La Supercoppa non può giocarsi in Arabia Saudita”. La Supercoppa no, la conferenza sì?
5. Scusi, dov’è lo Yemen? Tra i crimini sauditi riconosciuti internazionalmente ci sono i centomila morti nello Yemen, gettato in una guerra interna ormai decennale e in cui Riyad ha giocato sporco anche grazie alle bombe occidentali. Tra cui quelle prodotte in Italia e approvate, guarda caso, proprio dal governo Renzi. Ora, finalmente, il governo ha bloccato l’export di quelle bombe, applicando la legge 185 e in virtù di una risoluzione firmata sia dal M5S che dal Pd. Quanti morti servono per non parlare con un regime?
6. Se mi fossi ritirato. Nel colloquio-intervista con Bin Salman, Renzi si è presentato “soprattutto come ex sindaco di Firenze”. In realtà, è soprattutto un senatore in carica, membro della Commissione Difesa. L’Arabia Saudita è tra i Paesi al mondo che più spendono in armamenti. Possibile che non si colga il tema del conflitto di interessi? Inutile ricorrere a casi come quello di Gerhard Schröder, Tony Blair o Bill Clinton, tutti impegnati in iniziative “private”, ma dopo aver dismesso qualsiasi incarico pubblico. Renzi lo avrebbe potuto fare se avesse dato seguito a quanto dichiarato in occasione del Referendum 2016, ma la politica non l’ha lasciata.
7. La quarantena dei furbi. Grazie alla carica di senatore, Renzi non ha dovuto sottoporsi alla quarantena per coloro che rientrano dagli Stati contenuti nell’elenco E del Dpcm 14 gennaio. Sulla base di quell’elenco, “gli agenti diplomatici” sono esentati dall’obbligo di quarantena e, secondo quanto confermato dall’Ufficio questori del Senato, i senatori vengono coperti dalla norma. Che, però, non dovrebbe riguardare chi viaggia per interessi personali soprattutto se retribuiti. Abbiamo anche i “furbetti della quarantena”?
8. Rinascimento medievale. Renzi ha dato prova di un nitido provincialismo rivolgendosi “al grande principe” con il sorriso emozionato dello scolaretto di fronte al maestro. La gag del Rinascimento l’aveva già usata più volte, ma in questo caso sembra davvero imbarazzante. Per quanto si voglia giocare a paragonare i “prìncipi” del Cinquecento a quelli che governano nel Golfo Persico, di mezzo c’è la Storia. Il Rinascimento è un simbolo dell’Italia chiamato in causa per definire una fase di progresso culturale. In Arabia Saudita si è data la possibilità alle donne di guidare solo nel 2018 e di entrare in uno stadio nel 2019. Più che Rinascimento siamo in pieno Medioevo (con tante scuse al Medioevo).
9. Un Jobs act saudita. “Sono geloso del costo del lavoro a Riyad” ha detto Renzi a Bin Salman. Geloso: perché sono alti o perché sono bassi? Perché i salari sauditi sono piuttosto buoni per i sauditi doc, ma il sistema si regge su 11 milioni di lavoratori migranti sottoposti a un regime semi-schiavistico. Con un ruolo assolutistico delle imprese (che possono anche ridurre unilateralmente i salari). Pensava a questo sistema quando ideava il Jobs act?
10. Il silenzio della stampa. A differenza di altri casi, Matteo Renzi ha goduto della sostanziale impunità dal resto delle forze politiche. Ma ancora di più dalla stampa. Tranne Domani che ha dato la notizia, il manifesto, la Verità e, ovviamente, il Fatto la vicenda non ha avuto il risalto che merita sul resto della stampa nazionale né nei telegiornali.
Sui social network, il cinguettio quotidiano di giornalisti, molto noti, molto liberali e molto antipopulisti, è stato attento nell’accusare, limitandosi ad alzare il sopracciglio. Quella politica giova alla politica? E questo tipo di giornalismo giova al giornalismo?