Ora che il “governo del Presidente” è tutto sotto i nostri occhi, è possibile criticare il Presidente? I manuali di Diritto costituzionale spiegano che non si è mai stabilito un divieto legale di criticare il presidente della Repubblica perché lo scopo della tacita regola per cui il capo dello Stato non si critica è quello di indurlo ad agire in modo da non ricevere critiche. Se l’attività del Presidente diventasse insindacabile, verrebbe meno la garanzia che questi non faccia un uso politico dei suoi poteri.
Ora, la decisione di non sciogliere le Camere è stata frutto di una valutazione dello stato del Paese: come tale, quintessenzialmente politica. La scelta di non comunicare questa decisione al presidente del Consiglio Conte, che aveva appena ricevuto la fiducia dal Parlamento, è stata politica. La decisione di incaricare Mario Draghi senza ricavarne il nome da un ulteriore giro di consultazioni, e mettendo i partiti davanti a un fatto compiuto, è un’altra scelta politica di Sergio Mattarella. Tutto nei limiti formali della Costituzione, sia chiaro, ma, come ha osservato Gustavo Zagrebelsky, fuori dalle consolidate convenzioni che circondando l’attuazione della Carta. E con la chiara volontà politica di uscire dalla crisi “dall’alto”, e non “dal basso”. Verso l’oligarchia, non verso la democrazia parlamentare. Coerentemente, Mattarella si è assunto davanti al Paese la responsabilità dell’identità del nuovo esecutivo: “Di alto profilo” e “che non deve identificarsi in nessuna formula politica”.
Come mentore e garante di un “governo del Presidente di alto profilo”, Mattarella ha assunto su di sé (ancor più di quanto non preveda l’articolo 92 della Costituzione) la responsabilità della scelta dei ministri, e quindi dei sottosegretari: ben sapendo, tra l’altro, che il Consiglio dei ministri è organo collegiale il cui presidente è solo un primo tra pari. Ora, come pensare che la credibilità della Presidenza non sia intaccata dalla qualità infima, in molti casi disdicevole fino al rigetto, della compagine ministeriale? Da cittadino, sono francamente sconcertato che il Presidente, dopo aver promesso al Paese l’“alto profilo”, abbia firmato i decreti di nomina di ministri come Stefani o Gelmini, e di sottosegretari come Molteni o Sisto. Borgonzoni alla Cultura e Sasso all’Istruzione, poi, sono veri e propri schiaffi alle parti più sensibili del progetto costituzionale.
E veniamo alla formula politica: che, in realtà, esiste eccome. Anzi, quella larghissima formula fino a ieri impensabile potrebbe essere la base per la rielezione dello stesso Mattarella al Quirinale: in un cortocircuito che avrebbe implicazioni inedite. Ancor più se questo secondo mandato, di cui si inizia a sentir parlare, avesse termine precoce: magari proprio per permettere l’ascesa di un successore (lo stesso Mario Draghi) che sarebbe così in qualche modo un erede designato, in una torsione dal sapore monarchico. E inoltre: la scelta di portare la Lega in un governo del Presidente comporta un’assunzione di responsabilità politica per nulla neutrale, visti i molti nodi irrisolti nei rapporti di quel partito con i neofascismi e il suo sostanziale rigetto di gran parte dei principi fondamentali della Carta. E anche la scelta di affidare l’opposizione a un solo partito, ancor più compromesso col neofascismo, è gravida di conseguenze politiche (a mio avviso, nefastissime). In Cecità di Saramago (libro che, a rileggerlo oggi, mette i brividi) la radio finalmente trovata, diffonde “notizie non confortanti: correva voce che fosse prevista a breve scadenza la formazione di un governo di unità e di salvezza nazionale”. Credo che anche oggi, nell’Italia resa politicamente cieca dalla pandemia, la notizia più sconfortante sia proprio questa. La resa della politica; la teorizzazione, dal più alto colle della Repubblica, che di fronte all’emergenza si debba abbandonare qualsiasi “formula politica”. E non per il presunto commissariamento da parte dei tecnici (che sembrano in verità assai poco autorevoli), quanto proprio per la dimensione dirompentemente antipolitica del messaggio che ne scaturisce. Tutti i partiti insieme, a correre sulla monorotaia imposta dal mercato e dalle banche (Draghi): a far capire che davvero There Is No Alternative, nessuna scelta è possibile. E cioè di fatto affermando che è inutile (oggi e domani) votare, perché comunque le scelte sono obbligate, e prese in alto: per il bene dello Stato.
Come dimostrano le prime mosse di Draghi (dalla scelta dell’ultraliberista Giavazzi alla incomprensibile opposizione, in sede europea, alla donazione dei vaccini per il personale sanitario africano proposta da Francia e Germania), la formula politica c’è: l’asse della politica italiana si è ulteriormente spostato a destra. E non per un voto, ma per una decisione politica del presidente della Repubblica.
Io credo che Mattarella si sia consultato con Napolitano prima di decidere, ed ha deciso seguendo il consiglio ricevuto, senza commettere, però, lo stesso errore fatto da Napolitano quando nominò Renzi a capo del consiglio per le sue doti di yesman, (bravo soldatino), ma che, alla fine , è risultato poco adatto, poichè ammalato di protagonismo ed egocentrismo. Draghi è stato scelto per le sue doti di "mago della finanza" e, quindi, a disposizione del mondo della finanza, mondo nel quale si muove benissimo. Naturalmente essendo un drago, farà gli interessi di chi conta, non certo i nostri.
Ancora una volta, la politica ci ha dimostrato che ciò che chiamano democrazia è solo un'utopia, il nostro voto non ha alcun valore, andare a votare o non farlo produce lo stesso effetto, se votiamo chi vogliamo noi il governo cade, se votiamo chi vogliono loro il governo prosegue fino alla scadenza naturale.
Mattarella mi ha molto deluso, pensavo fosse un buono, ma credo di aver confuso la sua bontà con una forma di debolezza, di mancanza di carattere.
Cetta.