sabato 24 aprile 2021

Stop al vitalizio ai condannati: Senato contro Formigoni&C., il segretario generale ha impugnato la decisione in appello. - Ilaria Proietti

 

Sentenza Caliendo: il ricorso di Palazzo Madama.

Ha sfondato quota 100mila firme l’appello con cui il Fatto ha chiesto ai massimi vertici del Senato di rimediare alla decisione di ridare i vitalizi ai condannati portando la questione di fronte alla Corte costituzionale. Sì, perché a Palazzo Madama dieci giorni fa l’organo di giustizia interna presieduto da Giacomo Caliendo di Forza Italia ha cancellato le regole che il massimo organo politico dello stesso Senato si era dato nel 2015 quando aveva deciso di chiudere i rubinetti agli ex inquilini che si fossero macchiati di reati gravissimi, dalla mafia al terrorismo passando per la corruzione. In una sorte di autogolpe, che ha favorito non solo Roberto Formigoni che aveva fatto ricorso per riavere l’assegno, ma pure tutti gli altri, da Berlusconi a Dell’Utri passando per Del Turco a cui era finora rimasto negato per via del casellario giudiziale non esattamente puro come un giglio. Un conflitto tra poteri tutto interno a Palazzo consumato sulla questione dell’argent. Che conta eccome. E ieri Formigoni ha attaccato il Fatto: “Nessun altro esponente di partito si è espresso, riconoscendo la giustezza della Commissione contenziosa. È stato solo il M5S, agitato dal proprio house organ, che è il Fatto Quotidiano, alimentato dagli odiatori, ma ho pietà per loro”.

Non è una pensione.

Così, mentre si riflette sul ricorso alla Consulta, il segretario generale del Senato, Elisabetta Serafin, che guida l’amministrazione di Palazzo Madama, ha impugnato in appello la sentenza di Caliendo&C. Con un ricorso che smonta in radice il presupposto che ha consentito di riaprire i rubinetti a Roberto Formigoni e ad altri 12 condannati (o loro eredi) baciati, diciamo così dalla fortuna. Perché, checché ne dica la Contenziosa, il vitalizio non è affatto una pensione pure se lo si vuol far a tutti i costi credere. “L’affermazione della natura previdenziale dell’assegno degli ex parlamentari che sarebbe contenuta nelle ordinanze delle Sezioni unite del 2019 (ossia la novità giurisprudenziale invocata a sostegno della tesi sostenuta dalla Contenziosa, ndr) non si evince dalla portata delle ordinanze stesse” ha scritto infatti il segretario generale sottolineando come le ordinanze in questione si limitino ad affermare “che il cosiddetto vitalizio rappresenta la proiezione economica dell’indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato. Ma sulla natura previdenziale non viene specificato nulla di più”.

E non è tutto. Perché nel ricorso il segretario generale evidenzia pure che, per ridare il vitalizio a Formigoni, l’organo di giustizia interna del Senato abbia addirittura smentito se stesso. In altre pronunce precedenti aveva infatti confermato la sospensione del vitalizio ai condannati sulla base della delibera che nel 2015 ha introdotto un nuovo presupposto di onorabilità per poterne godere: ossia le condizioni di dignità e onore che l’articolo 54 della Costituzione prevede per coloro che rivestono cariche pubbliche. Ma allora perché la commissione Caliendo oggi afferma il contrario brutalizzando con l’onta dell’illegittimità la stessa delibera?

La carta: Dignità e onore.

E sì che, come ricorda anche nel ricorso la Serafin, prima di decidere lo stop degli assegni ai condannati, era stata fatta una istruttoria approfondita con la richiesta di pareri a costituzionalisti ma anche al Consiglio di Stato che aveva dato semaforo verde. Anche perché il provvedimento che stabilisce la sospensione dell’assegno al venir meno delle condizioni di dignità e onore, era stato modellato sulla legge Severino (che ha stabilito che le condanne di un certo tipo facciano venir meno il requisito soggettivo per il mantenimento delle cariche pubbliche) ritenuta perfettamente legittima dalla Corte costituzionale.

Ora grazie a Caliendo&C. si vorrebbe tornare all’antico, ma non senza conseguenze.

Perché quella decisione adottata peraltro non per il solo Formigoni ma erga omnes, espone il Senato non solo alle critiche e allo sdegno, ma pure “alla restituzione di rilevanti importi verso i dodici senatori nei confronti dei quali è cessata da anni l’erogazione del trattamento”. Con l’ulteriore complicazione che se in Appello la sentenza venisse ribaltata, l’amministrazione dovrebbe recuperare le somme provvisoriamente ripristinate. Per questo il segretario generale oltre a fare appello ha chiesto che la sentenza, immediatamente messa in esecuzione da Sua Presidenza Casellati, venga sospesa in attesa della definizione del giudizio di secondo grado.

ILFQ

Draghi presenta il Recovery. Stop a quota 100 dal 2022.

 

La bozza del piano al Cdm. Per la supervisione politica, un comitato a palazzo Chigi con ministri competenti.


Il CdM sul Piano di Ripresa e Resilienza è stato convocato per questa mattina alle 10. L'impegno di Draghi è 'consegnare alle prossime generazioni un Paese più moderno'.

Nella bozza di 318 pagine sono tratteggiate sei missioni, quattro grandi riforme, tre priorità trasversali di sostegno a giovani, donne, Sud. Previste 30 grandi infrastrutture di ricerca e uno di eccellenza per le epidemie. La stima del suo impatto sul Pil "sarà nel 2026 di almeno 3,6% più alto". Stop a quota 100, 228mila nuovi posti per gli asili, accesso snello, semplificazione e digitale per la P.A, la laurea varrà già come esame di Stato. Più gare nei servizi pubblici, 25 miliardi per i treni veloci. Non è prevista la proroga del Superbonus fino al 2023. La supervisione politica del piano sarà a Palazzo Chigi.

Ma è forse il più complicato, l'ultimo miglio che il premier deve percorrere prima dell'invio del piano all'Europa, il 30 aprile. Perché i partiti hanno le armi affilate, la discussione promette di essere puntigliosa in Consiglio dei ministri. Il Cdm che era previsto in giornata, slitta alle 10 di sabato: nessuna ragione politica, spiegano da Palazzo Chigi, ma la necessità di completare le rifiniture del piano. Intanto però la bozza del Pnrr inizia a circolare e far emergere, agli occhi, dei partiti della maggioranza, alcune criticità. Su tutte c'è la mancata proroga al 2023 del Superbonus caro al M5s, ma chiesto anche da Confindustria. Ma dalla Rete unica alle pensioni (con la fine di quota 100), fino alla composizione della cabina di regia, la vigilia del Cdm vede ancora alcuni nodi sul tavolo. La bozza prevede che il 40% delle risorse vadano al Sud, il 38% a progetti "Verdi" e il 25% a progetti digitali. Il piano è composto da 6 missioni e 4 riforme della Pubblica amministrazione, della giustizia, per la concorrenza e le semplificazioni. Dopo l'invio del piano in Europa il governo si appresta a varare tre decreti e leggi delega come quella prevista a luglio per la concorrenza. Un decreto servirà a snellire le norme (con la nascita di un apposito ufficio a Palazzo Chigi), con misure come una speciale "VIA statale" per rendere più rapide le autorizzazioni del Pnrr. Il secondo decreto servirà per le assunzioni nella P.a. che rafforzeranno l'attuazione del Recovery. E il terzo per definire la governance del piano: la cabina di regia a Palazzo Chigi (con rafforzamento degli uffici della presidenza del Consiglio) dovrebbe coinvolgere le amministrazioni coinvolte, gli enti locali, le parti sociali.

Recovery plan, il programma da 221,5 miliardi per far ripartire l'Italia.

Il grosso del piano è definito e difficilmente cambierà. Ci sono - tra le numerose misure - 6,7 miliardi per le rinnovabili, internet veloce a 8 milioni di famiglie e 9mila scuole, 25 miliardi per la rete ferroviaria veloce, 228mila nuovi posti negli asili. Ma ci sono anche alcuni temi politicamente sensibili . Sparisce dal piano (ma resta finanziato e dunque per ora in vigore) il cashback. A fine 2021 scadrà anche quota 100, cara alla Lega, e sarà sostituita da misure pensionistiche per chi svolga lavori usuranti. Non c'è la proroga al 2023 per il Superbonus: l'agevolazione al 110% per le ristrutturazioni edilizie viene confermata com'è oggi, fino al 2022, i fondi non crescono. 

Scontro nella maggioranza - "Il super bonus è una misura importante. Per noi indispensabile con adeguati finanziamenti". E' la dura reazione di FI alla notizia della mancanza, nella bozza del Pnrr, della proroga del Superbonus fino al 2023. Questa proroga - fanno sapere fonti azzurre - era tra le proposte vincolanti fatte da Fi al governo nel piano presentato nei giorni scorsi. "Avevamo chiesto la proroga di un anno - prosegue Fi - con adeguati finanziamenti ed estensione ad altre tipologie di edifici, strutture recettive turistiche e non solo, addirittura per patrimonio immobiliare di fondi". "Il superbonus al 110% è una misura creata dal Movimento, la sua proroga è indispensabile e imprescindibile per la transizione ecologica. Si ricorda che proprio la transizione ecologica è la matrice che ha fatto nascere questo governo". Lo sottolineano fonti del M5S.

ANSA

Il condannato Formigoni ha poco da festeggiare. La Corte dei Conti conferma che deve risarcire 47,5 milioni. - Clemente Pistilli

 

Due anni fa gli arresti domiciliari e poi, negli ultimi giorni, il ripristino del vitalizio, nonostante la delibera Grasso lo revochi ai condannati in via definitiva, e il successo legato al suo libro. Il peggio per l’ex governatore centrista della Lombardia, Roberto Formigoni, dopo anni di scandali, sembrava ormai consegnato al passato. Ma qualche intoppo arriva a tutti e per il Celeste è giunto sotto la forma di una sentenza d’appello della Corte dei Conti, che conferma la condanna a lui inflitta a risarcire oltre 47 milioni di euro al Pirellone.

La storiaccia dell’ormai ex uomo forte del centrodestra è iniziata nel 2012, quando sono spuntate fuori le prime accuse su un giro di mazzette con al centro Pierangelo Daccò, un suo amico. Da lì quelle sui circa 70 milioni di euro che sarebbero stati distratti dal patrimonio della fondazione Maugeri e sui milioni di fondi neri attorno all’ospedale San Raffaele. Un terremoto sulla sanità privata lombarda.

Con Formigoni ben presto a sua volta accusato di corruzione, tra vacanze da sogno, yacht e altri lussi, e infine ritenuto dalla Procura di Milano al vertice di un’organizzazione criminale. Condannato in primo grado a sei anni di reclusione, pena aumentata in appello a sette anni e mezzo, nel 2019 l’ex governatore è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione a 5 anni e 10 mesi, finendo nel carcere di Bollate e ottenendo infine i domiciliari.

Sulla stessa vicenda ha indagato anche la Corte dei Conti, che due anni fa ha condannato Formigoni, gli ex vertici della Fondazione Maugeri, Umberto Maugeri e Costantino Passerino, Pierangelo Daccò e Antonio Simone, a risarcire circa 47,5 milioni di euro alla Regione Lombardia, confermando così anche il sequestro al Celeste di 5 milioni di euro. Una decisione presa dai giudici sostenendo che l’organizzazione aveva “ad oggetto il mercimonio delle funzioni politico-amministrative, in un ambito, quale quello sanitario, particolarmente rilevante per l’interesse pubblico”.

Formigoni, Maugeri, la stessa Fondazione, e Passerino hanno impugnato la sentenza, che ora i giudici contabili d’appello hanno però confermato tranne che per Simone. Bocciata dalla Corte dei Conti la tesi degli appellanti di un danno erariale ormai caduto in prescrizione e bocciata anche la richiesta dell’ex governatore di sospendere il giudizio in attesa della definizione di quello civile.

Per i giudici è stata provata “l’esistenza di un accordo finalizzato alla sottrazione dalle casse della Fondazione dell’ingente importo di 71 milioni di euro, di cui 61 destinati a finanziare la corruzione degli amministratori regionali, nonché degli intermediari”. Formigoni dovrà risarcire la Regione.

LaNotizia