La polemica tra Fedez e monsignor Galantino sul Ddl Zan riaccende lo scontro sulle tasse non pagate dalle strutture commerciali del Vaticano. Una querelle iniziata negli anni 90 e chiusa solo nel 2018 da una sentenza della Corte di Giustizia che obbligava l'Italia a riscuotere il dovuto per il periodo 2006-2011. A distanza di tre anni i numeri sul mancato introito restano vaghi: dai 300 milioni/anno per i soli immobili religiosi stimati dall'Anci fino ai 2,2 miliardi valutati dalla agenzia Ares.
“Ignora le cose o è in malafede. Per fermarci al 2020, l’Apsa ha versato 5.950.000 euro di Imu e 2.880.000 di Ires, solo per il patrimonio della Santa sede. E vanno aggiunte le imposte pagate da Governatorato, Propaganda fide, Vicariato di Roma, Conferenza episcopale italiana e singoli enti religiosi”. Così il presidente dell’Amministrazione patrimonio Sede apostolica, Nunzio Galantino, ha risposto a Fedez che intervenendo nel dibattito sul ddl Zan ha ricordato come “il Vaticano ha un debito stimato di 5 miliardi di euro su tasse immobiliari mai pagate dal 2005″. La querelle sulle imposte non pagate dalla Chiesa continua da almeno 15 anni. Ma Galantino ha buon gioco a parlar d’altro visto che, curiosamente, a tre anni dalla sentenza della Corte di giustizia europea che impone all’Italia di recuperare le illecite esenzioni concesse tra 2006 e 2011 ancora non esiste un dato ufficiale su quanti siano i soldi in ballo. Una cifra che, secondo le diverse stime può variare da un minimo di un miliardo e mezzo fino alla somma monstre di 11 miliardi in 5 anni di tasse mai richieste dallo Stato italiano. Ecco la storia della lunga battaglia intorno al fisco sul mattone ecclesiastico.
L’esenzione berlusconiana dall’Ici – La legge che nel 1992 istituì l’Ici esentava dal pagamento solo i fabbricati destinati “esclusivamente all’esercizio del culto” e relative pertinenze” e quelli utilizzati da enti non commerciali (ecclesiastici e non) per attività assistenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, ricreative e sportive. Con un effetto finanziario negativo per 100 milioni di euro l’anno, stando alla relazione del gruppo di lavoro sull’erosione fiscale coordinato da Vieri Ceriani. Nel 2005 il governo Berlusconi ampliò il perimetro dell’esonero, allargandolo agli immobili con fini commerciali a patto che non avessero “esclusiva” natura commerciale. Con il risultato di escludere dalla platea dei contribuenti sia le attività – alberghi, cliniche, scuole – degli enti ecclesiastici sia quelle gestite da associazioni, comitati, fondazioni, onlus e ong. L’anno dopo partì la querelle: un gruppo di b&b, hotel e scuole private non religiose si rivolse alla Commissione europea lamentando che quell’esonero favoriva senza motivo i concorrenti concedendo un ingiusto vantaggio competitivo.
La Ue: “Esenzione illegittima ma recupero impossibile” – Bruxelles aprì un’indagine e, con una decisione del dicembre 2012, sancì che effettivamente di aiuto di Stato anticoncorrenziale si trattava perché “gli enti non commerciali interessati dalle misure in questione svolgevano, almeno parzialmente, attività economiche” e “la natura selettiva della misura fiscale” non era “giustificata dalla logica del sistema tributario”. Ma diede retta allo Stato italiano che sosteneva fosse impossibile individuare retroattivamente gli immobili in cui si erano svolte anche attività commerciali e pretendere il versamento delle somme non versate negli anni. Conclusione: l’esenzione è illegittima ma non si può procedere al recupero.
La Corte di giustizia ribalta la decisione – Nel frattempo a Palazzo Chigi era arrivato Mario Monti, che con la manovra salva Italia aveva sostituito l’Ici con l’Imposta Municipale Propria (Imu), senza esenzioni per gli enti ecclesiastici che svolgano attività commerciali, che siano ricettive o scolastiche. Una definizione comunque ambigua: capita che anche veri e propri alberghi si presentino al fisco come strutture di accoglienza ai fedeli senza scopo di lucro e ottengano l’esenzione. Una scuola elementare montessoriana di Roma che aveva partecipato alle prime denunce, sostenuta dai Radicali, decise dunque di andare avanti e nell’aprile 2013 fece ricorso contro la Commissione. Ma nel 2016 il Tribunale Ue confermò l’impossibilità di recuperare quanto dovuto.
La Montessori e il titolare di un bed and breakfast di San Cesareo si opposero e nel novembre 2018 ottennero ragione dalla Corte di giustizia europea, che impose all’Italia di recuperare le somme non raccolte tra 2006 e 2011. Sottolineando che per sostenere che i soldi erano persi e irrecuperabili non era sufficiente, come aveva fatto l’Italia, “comunicare alla Commissione difficoltà interne, di natura giuridica, politica o pratica e imputabili alle azioni o alle omissioni delle autorità nazionali, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l’aiuto e senza proporre alla Commissione modalità alternative di esecuzione”. Nel mezzo si era pronunciata anche la Cassazione italiana, confermando che il Comune di Livorno poteva batter cassa dalle scuole paritarie. Ma soprattutto aveva detto la sua senza giri di parole Papa Francesco: “Un collegio religioso, essendo religioso, è esente dalle tasse, ma se lavora come albergo è giusto che paghi le imposte. In caso contrario, il business non è pulito“.
La cifra? Da un miliardo e mezzo a 11 miliardi – Insomma: per la giustizia europea Roma deve chiedere indietro le imposte non pagate dalla Chiesa tra 2006 e 2011. Ma a quanto ammonta il dovuto? Mistero. In questi giorni è tornata a circolare la stima, attribuita all’Anci, di “4-5 miliardi di euro”: circa 800 milioni l’anno nei sei anni in questione. L’Anci però nega di aver diffuso quella cifra, citata anche nel ddl del 2019 con cui il Movimento 5 Stelle proponeva un giro di vite sul pagamento delle imposte immobiliari da parte della Chiesa. L’archivio storico dell’Ansa viene in soccorso, ma non chiarisce il quantum: a quantificare la perdita di gettito in “600-700 milioni“, calcolando però anche le esenzioni per gli immobili delle associazioni no profit, è stato nel novembre 2005 l’allora vicepresidente Anci Fabio Sturani. Una nota ufficiale dell’Anci riduceva infatti a 300 milioni il dovuto per i soli immobili religiosi. L’assessore al bilancio del Comune di Roma, Marco Causi, temeva un ammanco di 24,5 milioni solo per la Capitale di cui 16 da enti religiosi e 8,5 dal non profit. Ma due anni dopo l’Ares (Agenzia per la ricerca economico sociale) alzava la posta, sostenendo che l’esenzione riguardava 45mila immobili – il 50% di quelli ecclesiastici – tra cui molti alberghi in zone strategiche di Roma. E valeva addirittura 2,2 miliardi. Da moltiplicare per 5 anni.
ILFQ