venerdì 25 giugno 2021

Draghi: 'Non siamo fuori dalla pandemia, serve attenzione'.

 

La conferenza stampa al termine del Consiglio europeo. Sull'immigrazione: 'Dovranno essere messi in atto tutti gli impegni delle conclusioni'.


"La pandemia non è finita, non se siamo ancora fuori, va ancora affrontata con determinazione, attenzione e vigilanza". Lo dice il premier Mario Draghi in conferenza stampa dopo il Consiglio Ue. "Il Pnrr, - ha evidenziato in un altro passaggio parlando delle prospettive post-Covid - più le politiche fiscali nazionali faranno aumentare la crescita e la porterà a un tasso più alto di prima della pandemia".  "L'argomento per mantenere una politica fiscale espansiva focalizzata sempre più sugli investimenti - in particolare quelli che faranno la nostra società diversa - è che bisogna mirare alla crescita, a tassi più alti di quelli pre-pandemia".

Se gli investimenti del Recovery "sono ben fatti produrranno un aumento della produttività, quindi un tasso di crescita più alto che diminuirà la pressione del debito italiano", spiega. 

In Gran Bretagna, però, ha avvertito, "La variante Delta sta creando incertezza anche sulla ripresa economica". "A settembre - ha detto - non vogliamo trovarci nella stessa situazione dello scorso anno. In un anno avremo pure imparato qualcosa". "In Italia" di fronte alla variante Delta "serve continuare con determinazione la campagna vaccinale, continuare e aumentare i tamponi, aumentare il sequenziamento".

LA CONFERENZA.

 

"Occorre un rinforzo e forse una riforma dell'Ema". Sui vaccini "la contestazione è stata che lo Sputnik non è riuscito ad ottenere l'approvazione dell'Ema e forse non lo sarà mai. Il vaccino cinese non è adeguato ad affrontare la pandemia".

Sul dossier immigrazione "la sessione ci ha visto soddisfatti. Naturalmente dovranno essere messi in atto tutti gli impegni espressi nelle conclusioni". "Il mio obiettivo - ha specificato il premier - non era ottenere un accordo sui ricollocamenti, era prematuro avere un accordo per noi conveniente". Nell'intesa sulla dimensione esterna "il testo delle conclusioni è molto impegnativo", osserva il premier.  "Il problema dell'immigrazione l'Europa ha bisogno di affrontarlo possibilmente in armonia, ma senza escludere accordi tra Paesi", ha aggiunto. "La migrazione rientrerà nell'agenda del Consiglio europeo, non mi farei troppi problemi".

"La Russia è un attore importante sul fronte economico e politico, non può non essere coinvolta, bisogna tenere un dialogo attivo. Nello stesso tempo bisogna esser franchi su ciò che non va, gli attacchi cyber, lo spionaggio, la disinformazione, il rispetto dei diritti umani. Ci vogliono cooperazione e franchezza". "Il tentativo di un incontro in formato Ue-Russia andava fatto. Io ho sostenuto la necessità di farlo - ha aggiunto - perché piuttosto di essere dubbiosi sulla propria potenza, i paesi Ue devono essere orgogliosi della manifestazione di forza che danno quando parlano insieme". "I Paesi nordici perché più vicini alla Russia hanno sostanzialmente accantonato l'idea al momento", ha aggiunto.

"Sull'Unione bancaria non c'è stato un accordo ed è meglio che non ci sia se deve essere su termini per noi inaccettabili."

ANSA

Il covid salva la vita a un paziente affetto da raro tumore. -

 

La malattia ha evidenziato in un giovane piemontese, un raro tumore cardiaco operato con successo presso l’IRCCS Policlinico San Donato.


Salvo grazie al covid. La malattia ha infatti evidenziato in un giovane piemontese, un raro tumore cardiaco operato con successo presso l’IRCCS Policlinico San Donato grazie alla cardiochirurgia endoscopica 3D: il suo è l’unico caso noto trattato con un intervento mininvasivo endoscopico. Protagonista Filippo, 38 anni, che lo scorso novembre si ammala di Covid-19. Supera bene l’infezione ma una TAC polmonare di controllo, a febbraio 2021, evidenzia una dilatazione dell’aorta e una massa di 2,5 cm all’interno del ventricolo sinistro. I medici lo sottopongono a tre mesi di terapia anticoagulante, sotto stretta osservazione, pensando a una complicanza trombotica del Covid-19, ma la massa non regredisce con i farmaci.

Ulteriori indagini ecocardiografiche identificano allora il tumore, un mixoma del ventricolo sinistro, di cui sono descritti pochi casi al mondo. La massa gelatinosa, attaccata all’apice del ventricolo sinistro con un piccolo peduncolo, si muove all’interno del ventricolo e - sebbene si tratti di un tumore benigno dal punto di vista istologico - espone il paziente a un serio rischio di embolia: il mixoma potrebbe staccarsi o parcellizzarsi ed entrare direttamente in circolo provocando gravi embolie cerebrali o occludendo arterie importanti.
Una volta riconosciuto il tumore, il paziente è stato indirizzato all’IRCCS Policlinico San Donato, centro di riferimento internazionale per lo studio e l’insegnamento delle tecniche cardiochirurgiche sul ventricolo sinistro, grazie al lavoro pionieristico in questo campo del dottor Lorenzo Menicanti, oggi direttore scientifico.

Ad accogliere e operare Filippo, con il dottor Filippo Amoroso e la dottoressa Annalisa Francescato, è il dottor Marco Diena, responsabile della Cardiochirurgia mininvasiva ed endoscopica che spiega: “Abbiamo valutato il caso di Filippo grazie a un ‘cardioteam’ ovvero mettendolo al centro di una squadra multidisciplinare di cardiologi, cardiochirurghi ed esperti di imaging e il responso unanime è stato che dovevamo intervenire al più presto: il tumore attaccato ad un esile peduncolo si muoveva ad ogni contrazione del cuore, ovvero circa 100.000 volte al giorno”.

“In letteratura sono descritti al mondo pochissimi casi di mixoma del ventricolo sinistro, con danni neurologici in quelli non diagnosticati in tempo, e quasi tutti operati in sternotomia, cioè con tecnica tradizionale. Risulta solo un caso operato con la chirurgia robotica negli USA e uno in minitoracotomia in Germania.” Prosegue il dottor Diena: “Quello di Filippo è quindi l’unico caso operato tramite una tecnica mininvasiva endoscopica in 3D: grazie a un’incisione nel torace di pochi centimetri e grazie all’uso di telecamere endoscopiche ad alta risoluzione 3D, abbiamo la possibilità di vedere l’interno del torace e delle cavità cardiache con la massima precisione. Attraverso l’uso degli occhiali di polarizzazione 3D, il chirurgo visualizza sullo schermo un’immagine ingrandita otto volte, ricca di dettagli e di colori reali, e percepisce perfettamente il senso della profondità”.

“Questo ci ha consentito, in circolazione extra corporea e quindi a cuore fermo per pochi minuti, di recidere il peduncolo che teneva il tumore in sede e di rimuoverlo senza frantumarlo. Questa tecnica, in mani esperte, garantisce interventi più veloci e un tempo ridotto di circolazione extracorporea.“ Filippo infatti, operato l′8 giugno, dopo due giorni passeggiava già in reparto e in una settimana era a casa. Non dovrà fare ulteriori terapie.

Huffpost

“Hanno dato la sentenza: ammazzano Di Matteo”. - Giuseppe Pipitone

 

Il piano di morte - Il primo a parlarne fu il pentito Galatolo. Ora è Bellocco, boss della ’ndrangheta, mentre discute di Brusca con un altro detenuto: è il 1° giugno. 

“Anche il giudice Di Matteo lo ammazzano. Gli hanno già dato la sentenza”. A parlare è Gregorio Bellocco, boss della ’ndrangheta, già a capo della cosca di Rosarno. È la mattina dell’1 giugno e a Milano, nel carcere di Opera, alcuni detenuti al 41-bis stanno commentando la notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca. A parlare per primo, durante l’ora di socialità, è Francesco Cammarata, mafioso della famiglia di Riesi, che commenta le dichiarazioni di Maria Falcone: dice che la sorella del “fu giudice” si lamenta solo di quel tipo di scarcerazioni. È a quel punto che, senza un apparente motivo, Bellocco interviene per pronunciare quelle parole: “Anche il giudice Di Matteo lo ammazzano. Gli hanno già dato la sentenza”. I due tacciono subito perché incrociano il passaggio dell’agente del Gom. Il quale, però, riesce a sentire quelle frasi e fa rapporto ai suoi superiori. Quella relazione è finita al Dipartimento amministrazione penitenziaria, che l’ha girata alle procure competenti di Reggio Calabria e Palermo. Gli investigatori vogliono capire a cosa si riferiva Bellocco.

Le notizie relative al piano di morte di Cosa Nostra per colpire Nino Di Matteo, infatti, risalgono al 2014: perché dunque l’uomo della ’ndrangheta ne parla ora, sette anni dopo? Ha per caso avuto qualche novità dall’esterno? Di Matteo, tra l’altro, non aveva rilasciato alcuna dichiarazione pubblica sulla scarcerazione di Brusca: perché quindi Bellocco pronuncia quelle frasi sul consigliere del Csm?

A parlare per primo di un attentato contro l’allora pm della Trattativa era stato Vito Galatolo, boss dell’Acquasanta: secondo il pentito l’ordine era arrivato direttamente da Matteo Messina Denaro, con alcune lettere inviate ai boss di Palermo nel dicembre del 2012. I padrini si erano riuniti in un summit e avevano raccolto 600mila euro per acquistare 150 chili di tritolo. Almeno una parte di esplosivo era arrivata dalla Calabria: solo che era in cattive condizioni a causa di alcune infiltrazioni d’acqua. Secondo Galatolo i boss erano riusciti a farsi cambiare la partita difettosa dai loro referenti calabresi: il particolare dell’infiltrazione d’acqua, però, aveva suggerito agli inquirenti un’ipotesi investigativa. E cioè la possibile provenienza del tritolo dalle stive della Laura C, la nave affondata al largo di Saline Joniche durante la Seconda guerra mondiale: più volte i pentiti di ’ndrangheta hanno raccontato di avere recuperato grosse quantità di esplosivo da quell’imbarcazione inabissata.

Dopo la collaborazione di Galatolo, gli inquirenti avevano cominciato a cercare il tritolo che doveva essere usato per Di Matteo, ma secondo un altro pentito, Francesco Chiarello, era già stato spostato in un luogo sicuro. Sul caso ha indagato la Procura di Caltanissetta, che nel 2017 ha archiviato il fascicolo. Per i pm tutta la storia è riscontrata: la riunione per uccidere Di Matteo ci fu, ma poiché l’attentato non venne mai realizzato non era possibile contestare alcun reato. Nell’archiviazione i magistrati scrissero: “L’ordine di colpire Di Matteo resta operativo”.

Ora a parlare di un piano di morte per il magistrato è per la prima volta un boss della Calabria, la stessa zona da dove – secondo Galatolo – era arrivato l’esplosivo. “Già la sentenza gli hanno dato”, sostiene. Cosa intende dire?

Di sicuro c’è che il tema della scarcerazione di Brusca ha appassionato anche altri boss detenuti. Circa mezz’ora dopo l’esternazione di Bellocco, sono tre camorristi a parlarne. Gaetano Di Lorenzo spiega di essere “contento”, visto che pare non considerare il boss di San Giuseppe Jato come un pentito. Antonio Caiazzo auspica: “Devono cambiare la legge sui collaboratori”. Poi interviene Vincenzo Aprea, che dice: “Come quelli di Forza Italia, quei figli di bocchini che si sono opposti alla scarcerazione”.

ILFQ

Chiesa, a tre anni dalla sentenza Ue che impone la riscossione dell’Imu, lo Stato non ha nemmeno il dato ufficiale sulle somme non versate. Le stime? Fino a 11 miliardi per il periodo 2006-2011. - Chiara Brusini

 

La polemica tra Fedez e monsignor Galantino sul Ddl Zan riaccende lo scontro sulle tasse non pagate dalle strutture commerciali del Vaticano. Una querelle iniziata negli anni 90 e chiusa solo nel 2018 da una sentenza della Corte di Giustizia che obbligava l'Italia a riscuotere il dovuto per il periodo 2006-2011. A distanza di tre anni i numeri sul mancato introito restano vaghi: dai 300 milioni/anno per i soli immobili religiosi stimati dall'Anci fino ai 2,2 miliardi valutati dalla agenzia Ares.

“Ignora le cose o è in malafede. Per fermarci al 2020, l’Apsa ha versato 5.950.000 euro di Imu e 2.880.000 di Ires, solo per il patrimonio della Santa sede. E vanno aggiunte le imposte pagate da Governatorato, Propaganda fide, Vicariato di Roma, Conferenza episcopale italiana e singoli enti religiosi”. Così il presidente dell’Amministrazione patrimonio Sede apostolica, Nunzio Galantino, ha risposto a Fedez che intervenendo nel dibattito sul ddl Zan ha ricordato come “il Vaticano ha un debito stimato di 5 miliardi di euro su tasse immobiliari mai pagate dal 2005″. La querelle sulle imposte non pagate dalla Chiesa continua da almeno 15 anni. Ma Galantino ha buon gioco a parlar d’altro visto che, curiosamente, a tre anni dalla sentenza della Corte di giustizia europea che impone all’Italia di recuperare le illecite esenzioni concesse tra 2006 e 2011 ancora non esiste un dato ufficiale su quanti siano i soldi in ballo. Una cifra che, secondo le diverse stime può variare da un minimo di un miliardo e mezzo fino alla somma monstre di 11 miliardi in 5 anni di tasse mai richieste dallo Stato italiano. Ecco la storia della lunga battaglia intorno al fisco sul mattone ecclesiastico.

L’esenzione berlusconiana dall’Ici – La legge che nel 1992 istituì l’Ici esentava dal pagamento solo i fabbricati destinati “esclusivamente all’esercizio del culto” e relative pertinenze” e quelli utilizzati da enti non commerciali (ecclesiastici e non) per attività assistenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, ricreative e sportive. Con un effetto finanziario negativo per 100 milioni di euro l’anno, stando alla relazione del gruppo di lavoro sull’erosione fiscale coordinato da Vieri Ceriani. Nel 2005 il governo Berlusconi ampliò il perimetro dell’esonero, allargandolo agli immobili con fini commerciali a patto che non avessero “esclusiva” natura commerciale. Con il risultato di escludere dalla platea dei contribuenti sia le attività – alberghi, cliniche, scuole – degli enti ecclesiastici sia quelle gestite da associazioni, comitati, fondazioni, onlus e ong. L’anno dopo partì la querelle: un gruppo di b&b, hotel e scuole private non religiose si rivolse alla Commissione europea lamentando che quell’esonero favoriva senza motivo i concorrenti concedendo un ingiusto vantaggio competitivo.

La Ue: “Esenzione illegittima ma recupero impossibile” – Bruxelles aprì un’indagine e, con una decisione del dicembre 2012, sancì che effettivamente di aiuto di Stato anticoncorrenziale si trattava perché “gli enti non commerciali interessati dalle misure in questione svolgevano, almeno parzialmente, attività economiche” e “la natura selettiva della misura fiscale” non era “giustificata dalla logica del sistema tributario”. Ma diede retta allo Stato italiano che sosteneva fosse impossibile individuare retroattivamente gli immobili in cui si erano svolte anche attività commerciali e pretendere il versamento delle somme non versate negli anni. Conclusione: l’esenzione è illegittima ma non si può procedere al recupero.

La Corte di giustizia ribalta la decisione – Nel frattempo a Palazzo Chigi era arrivato Mario Monti, che con la manovra salva Italia aveva sostituito l’Ici con l’Imposta Municipale Propria (Imu), senza esenzioni per gli enti ecclesiastici che svolgano attività commerciali, che siano ricettive o scolastiche. Una definizione comunque ambigua: capita che anche veri e propri alberghi si presentino al fisco come strutture di accoglienza ai fedeli senza scopo di lucro e ottengano l’esenzione. Una scuola elementare montessoriana di Roma che aveva partecipato alle prime denunce, sostenuta dai Radicali, decise dunque di andare avanti e nell’aprile 2013 fece ricorso contro la Commissione. Ma nel 2016 il Tribunale Ue confermò l’impossibilità di recuperare quanto dovuto.

La Montessori e il titolare di un bed and breakfast di San Cesareo si opposero e nel novembre 2018 ottennero ragione dalla Corte di giustizia europea, che impose all’Italia di recuperare le somme non raccolte tra 2006 e 2011. Sottolineando che per sostenere che i soldi erano persi e irrecuperabili non era sufficiente, come aveva fatto l’Italia, “comunicare alla Commissione difficoltà interne, di natura giuridica, politica o pratica e imputabili alle azioni o alle omissioni delle autorità nazionali, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l’aiuto e senza proporre alla Commissione modalità alternative di esecuzione”. Nel mezzo si era pronunciata anche la Cassazione italiana, confermando che il Comune di Livorno poteva batter cassa dalle scuole paritarie. Ma soprattutto aveva detto la sua senza giri di parole Papa Francesco: “Un collegio religioso, essendo religioso, è esente dalle tasse, ma se lavora come albergo è giusto che paghi le imposte. In caso contrario, il business non è pulito“.

La cifra? Da un miliardo e mezzo a 11 miliardi – Insomma: per la giustizia europea Roma deve chiedere indietro le imposte non pagate dalla Chiesa tra 2006 e 2011. Ma a quanto ammonta il dovuto? Mistero. In questi giorni è tornata a circolare la stima, attribuita all’Anci, di “4-5 miliardi di euro”: circa 800 milioni l’anno nei sei anni in questione. L’Anci però nega di aver diffuso quella cifra, citata anche nel ddl del 2019 con cui il Movimento 5 Stelle proponeva un giro di vite sul pagamento delle imposte immobiliari da parte della Chiesa. L’archivio storico dell’Ansa viene in soccorso, ma non chiarisce il quantum: a quantificare la perdita di gettito in “600-700 milioni“, calcolando però anche le esenzioni per gli immobili delle associazioni no profit, è stato nel novembre 2005 l’allora vicepresidente Anci Fabio Sturani. Una nota ufficiale dell’Anci riduceva infatti a 300 milioni il dovuto per i soli immobili religiosi. L’assessore al bilancio del Comune di Roma, Marco Causi, temeva un ammanco di 24,5 milioni solo per la Capitale di cui 16 da enti religiosi e 8,5 dal non profit. Ma due anni dopo l’Ares (Agenzia per la ricerca economico sociale) alzava la posta, sostenendo che l’esenzione riguardava 45mila immobili – il 50% di quelli ecclesiastici – tra cui molti alberghi in zone strategiche di Roma. E valeva addirittura 2,2 miliardi. Da moltiplicare per 5 anni.

ILFQ

“Ogni cosa a suo tempo ha il suo tempo” (Fernando Pessoa). - Orso Grigio

 

Che a ricomporre i cocci del Movimento 5S non sarebbe bastato l’Attack di Conte è parso subito evidente.
I cocci restano cocci.
Però pareva almeno possibile, e persino auspicabile, che attorno all’ex Presidente del Consiglio, uno dei pochi personaggi politici per i quali gli italiani hanno provato rispetto e perfino empatia, potesse rinascere una nuova speranza.
Ma anche questo, fra ritardi, beghe legali, e poca chiarezza di intenti, adesso pare piuttosto problematico.
Il motivo è sempre lo stesso: Beppe Grillo.
Uno che, visto che il movimento l’ha creato, forse si sente anche in diritto di deciderne il destino. Sempre e comunque.
Ora, caro Beppe, e il caro è sinceramente affettuoso e affatto ironico, vorrei dirti due o tre cose.
Grazie di tutto, ma davvero tanto, ci hai dimostrato che le cose possono cambiare, che le persone possono aggregarsi e lottare insieme per un’idea. Ci hai insegnato a vestire la rabbia con l’ironia di un vaffanculo ma senza che perdesse la propria forza, hai fatto da parafulmine caricandoti sul groppone gli insulti e il livore di chi vedeva sgretolarsi il proprio mondo di privilegi e ruberie, per dare la possibilità ai tuoi ragazzi di costruirsi una possibilità, un’alternativa. Li hai protetti, come si fa con i figli.
E ce l’hai fatta. Hai vinto, c’è scritto in quegli oltre dieci milioni di voti.
E con te ha vinto un'idea di paese più giusto, abbiamo vinto tutti.
Ma anche basta.
Le cose finiscono, siamo entrambi abbastanza vecchi per averlo capito bene. Che siano storie d’amore, amicizie, rapporti di lavoro, e le passioni si spengono. Un po’ perché diventano cenere del loro stesso fuoco e poi ci soffocano sotto, e un po’ perché il tempo cambia le cose, e purtroppo cambia anche noi.
Qualsiasi campione ha la sua parabola e dovrebbe capire quando è il momento di uscire di scena, prima che gli errori e i fallimenti cancellino quello che di buono c’era stato prima.
Per continuare a stare in campo ci vorrebbero equilibrio e lucidità politica, cose che, per carattere sanguigno e passione, forse non sono mai state il tuo punto di forza, e adesso meno che mai.
E ci vorrebbe di confrontarsi davvero con gli altri, ascoltarli e saper ammettere quando quello che sbaglia sei tu, senza lasciare che quella sottile propensione all’autoritarismo ti condizioni fino a prendere il sopravvento e renderti anche un po’ ridicolo.
Conte è quello che resta per riprendere in qualche modo il cammino, non è nemmeno difficile da capire.
Goditi il tuo tempo con le persone che ami, serenamente.
Avresti dovuto farlo ancora prima di abbagliarti con quell’allucinazione secondo la quale Draghi era uno di noi e ti aveva promesso il castello fatato dell’ecologia. Sì, di stocazzo.
E’ stata una scelta suicida, e i casi sono due: o ti sei fatto ammaliare come un pivello, oppure davvero hai voluto scientemente portare al sacrificio il tuo movimento, tipo io l’ho fatto e io lo disfo.
In entrambi i casi basta.
Il grazie rimane, forte e sincero, ma in pista di lancio c’è anche quel vaffanculo che ci hai insegnato a usare così magistralmente e che stavolta sarebbe tutto per te.
Buona vita.

Orso Grigio 

Il fondatore affondatore. - Marco Travaglio

 

Ci eravamo quasi riavuti dallo choc per la rivoluzionaria affermazione di Draghi “Lo Stato è laico” e già pregustavamo le successive, tipo “La pioggia è bagnata”, “Il ghiaccio è freddo”, “Per vedere la tv bisogna accenderla”, “All’Equatore fa decisamente più caldo che al Polo Nord”, “Meglio una donna giovane e bella che una vecchia racchia”, quando siamo stati folgorati da un’altra frase che definire sorprendente è riduttivo: “Lo statuto di Conte è diverso dal nostro”. L’ha detta ieri Grillo nel suo monologo ai parlamentari 5Stelle, sottolineando non a caso che “io sono un visionario e Conte no”. Solo un visionario, infatti, poteva notare che affidando a Conte il compito di guidare e rifondare i 5Stelle, lo statuto dei 5Stelle sarebbe stato diverso da quelli dei 5Stelle guidati da Grillo e da Di Maio. Se fosse stato ancor più visionario, Grillo l’avrebbe previsto già il 28 febbraio, quando convocò Conte e gli altri big per chiedere al primo di fare il capo politico e di riscrivere lo statuto. Ma evidentemente in quei giorni aveva già esaurito le visioni con Draghi e Cingolani, scambiandoli per grillini della prima ora e mandando il M5S al macello nel governo più restauratore mai visto (a proposito di chi “sa cosa sono i 5Stelle” e di chi se l’è scordato).

Ma il sospetto è che in quel caso, più che di visioni, si trattasse di allucinazioni. E che la sindrome persista, almeno a leggere altre perle di saggezza del visionario. Tipo che “è Conte ad avere bisogno di me”. In che senso un affermato avvocato civilista e docente universitario divenuto in tre anni il politico italiano più popolare, il premier che ha affrontato la pandemia e ottenuto il Recovery Fund, quello che ha risolto i casini altrui con Casaleggio, avrebbe bisogno di Grillo, è un concetto che sfugge ai più. Ma qui, più che di visioni, è questione di vocabolario. Cosa intendeva esattamente Grillo quando chiese a Conte di fare il capo politico, visto che ora pretende di decidere al suo posto la linea politica, la segreteria e la comunicazione? Ha presente la differenza tra capo politico e prestanome, portaborse, badante? L’affermazione “non sono un coglione”, detta dall’interessato, vale quel che vale. Ma qualunque capo politico accettasse di farsi dettare la linea politica, la segreteria e la comunicazione da un altro non sarebbe un capo politico: sarebbe un coglione. Come se ne esce? In due soli modi. 

1) Gli eletti e gli iscritti ai 5Stelle votano sulla nuova piattaforma (“uno vale uno”) per decidere chi fa il capo e chi fa il coglione. 

2) Conte si grillizza per un giorno, manda tutti affanculo e se ne torna a fare l’avvocato e il professore, dopo quattro mesi di volontariato senza stipendio, riconsegnando i 5Stelle a Grillo: è lui che li ha fondati, è giusto che sia lui ad affondarli.

ILFQ