mercoledì 7 luglio 2021

Zig-Zag-Zan. - Marco Travaglio

 

Fra i misteri gaudiosi del nostro tempo, uno svetta su tutti: che altro devono fare i due Matteo perché si smetta di prenderli sul serio? Gli elettori, coi loro tempi, sono quasi guariti: il Cazzaro Verde due anni fa era al 40% e ora è sotto il 20 e l’Innominabile sette anni fa era al 40% e ora è al 2 (soglia minima sotto cui è difficile scendere anche volendo, a causa degli effetti indesiderati della legge Basaglia). Ma il problema non sono gli elettori: sono i politici e i giornali che sanno tutto dei due Matteo, ma devono fingere di trattarli come politici normali per consentirne l’uso da parte dei padroni. E continuano a giudicarli con i criteri della logica e della politica anche se sono estranei all’una e all’altra. Prendete la legge Zan. Il Matteo maior, omofobo ma non quanto il suo partito, non la vuole: e, fin qui, nulla di strano. Il Matteo minor, notoriamente refrattario a qualsiasi valore non monetizzabile (per 80mila dollari fa pure la cheerleader del Rinascimento Saudita), finge di volere il dl Zan, che il suo partitucolo ha contribuito a scrivere e ad approvare alla Camera. Siccome però è da tempo passato a destra, ma non osa dirlo perché lì ci sono ancor meno elettori che a sinistra disposti a votarlo, tresca con Salvini per affossare la legge. E si serve dei soliti scudi umani, tipo Scalfarotto (è gay, quindi vale doppio), per stravolgerla a 7 giorni dal voto.

Così, sia che venga bocciata sia che passi stravolta, perde il centrosinistra e vince Salvini (e lui magari fa un altro libercolo per dire che ha vinto lui). Ma, non potendolo confessare, finge di difenderla: “In Senato così com’è non ha i voti: per approvarla bisogna emendarla”. Già, ma se in Senato non ha i voti è solo perché lui ha deciso di far mancare i suoi (anzi quelli dei 18 eletti nel Pd che han voltato gabbana passando a Iv). L’alibi ricorda quello dell’Anonima Sequestri che rapisce un bambino e poi fa sapere ai genitori che, senza riscatto, il piccolo potrebbe non sopravvivere. Ma, come diceva Petrolini al disturbatore in piccionaia, “io non ce l’ho con te: ce l’ho col tuo vicino che non t’ha ancora buttato di sotto”. Il Pd continua a riunirsi con Iv. E da mesi Repubblica ci fa due palle così sul dl Zan e ora, nell’editoriale di Stefano Folli, confessa che non gliene frega nulla: ciò che conta davvero è l’Innominabile, guai se il Pd lo “tiene fuori dalla porta”; urge un “compromesso” con Salvini per evitare “massimalismi” e scongiurare “un rafforzamento del rapporto Pd-M5S”, che va superato in vista di “nuovi scenari”. Tipo una “contaminazione” col “centrodestra con cui peraltro si governa insieme”, cioè una gaia fusione Lega-FI-Pd-Iv. Il tutto sulla prima di Repubblica, unico caso al mondo di giornale di centrodestra letto da gente di centrosinistra che non se n’è ancora accorta.

ILFQ

I “contiani” fanno saltare il blitz del Clan dei Vitalizi. - Ilaria Proietti


Il blitz, o colpo gobbo, che dir si voglia, è fallito. Per il momento. Perché dopo le polemiche deflagrate per la convocazione dell’organismo del Senato chiamato a decidere sulla legittimità del taglio dei vitalizi proprio la sera della semifinale Italia-Spagna, è stato tutto rinviato al prossimo 13 luglio. “I lavori d’aula si sono protratti oltre il previsto”, minimizza il presidente del collegio dei “giudici” interni di Palazzo Madama, il forzista Luigi Vitali. A cui per tutto il giorno sono fischiate le orecchie data la gragnuola di critiche che gli è piovuta addosso. “La verità è che è scoppiato un casino, altro che aula” spiega un papavero del Pd che sceglie di non esporsi.

Ma l’attesa decisione ha fatto scoppiare una grana soprattutto in casa 5 Stelle dove per tutta la mattinata di ieri si è litigato eccome sul che fare in attesa della sentenza, poi slittata all’ultimo momento.

Perché i senatori che si iscrivono tra i contiani sono arrivati a minacciare l’arma di fine mondo: per loro il Movimento 5 Stelle deve esser pronto a uscire dalla maggioranza nel caso in cui al Senato venga confermato il ripristino dei vitalizi e per questo in giornata hanno spinto per dare alle stampe una nota ufficiale in cui si mettessero in chiaro le cose, già prima della sentenza. Per tutta risposta i grillisti hanno accolto la proposta degli emissari dell’ex premier con sospetto per usare un eufemismo: l’accusa è più o meno quella di voler usare la battaglia contro il privilegio della casta, come grimaldello per lasciar intendere che nel Movimento già comanda Giuseppe Conte e che le sue truppe sono pronte a mettere in discussione anche l’appoggio a Mario Draghi. Benvenuti al Senato, un martedì da leoni.

La guerra in corso tra Giuseppe Conte e l’Elevato fondatore manda in fibrillazione gli eletti pentastellati spaccati giusto a metà e non solo sulla faccenda dei vitalizi, ma pure sulla Rai. Una dramma familiare dove ci si guarda in cagnesco che neppure in Kramer contro Kramer, ma non è un film. Un grande macello che inizia di buon mattino a suon di messaggi whatsapp sulla chat del gruppo dove spirano venti di divorzio e intanto volano i calci negli stinchi tra veleni e sospetti reciproci. Sicché anche il che fare rispetto alla imminente sentenza sui vitalizi attesa a Palazzo Madama diventa una questione più grande.

S’ode a destra uno squillo di tromba, con i contiani che la mettono più o meno così: “Mandiamo un avviso ai naviganti forte e chiaro: non si può stare in una maggioranza che spazza via il taglio degli assegni”. A sinistra risponde uno squillo dei beppegrillisti: “Ma che c’entra la maggioranza e Draghi? Questa è una decisione che verrà assunta da un organismo giurisdizionale del Senato. Se usiamo questa minaccia preventiva finiamo per regalare ai giudici della Lega un’arma micidiale: cancelleranno il taglio invocando qualche codicillo e potranno ben dire di non essersi fatti condizionare neppure dalle nostre minacce. E così Salvini ne esce pulito pulito, al massimo tirerà le orecchie ai suoi che gli hanno disobbedito”.

Ma non è tutto perché poi affondano pure il fendente, bersaglio principale Paola Taverna. “Invece di minacciare di far saltare il governo, perché invece non si dimette chi tra noi ha poltrone nell’organo politico di Palazzo Madama ossia il Consiglio di presidenza?”. Un messaggio in bottiglia nemmeno tanto oscuro all’indirizzo della vicepresidente del Senato accusata dai fedelissimi di Beppe Mao di intelligenza con il nemico che poi sarebbe Conte.

La mattinata scivola così: dopo essersela data di santa ragione, i due fronti si sterilizzano a vicenda. Alla fine, intorno all’ora di pranzo, esce una nota comune che non scioglie il vero nodo politico. Chi decide cosa farà il Movimento nel caso in cui il Senato dovesse cancellare il taglio degli odiati vitalizi?

La questione è rinviata di una settimana. Il big bang è il 13 luglio, la stessa data in cui a Palazzo Madama ci sarà la battaglia sul ddl Zan, la legge sui diritti civili. Una giornata campale.

ILFQ

"I biocarburanti dell'Ue hanno causato la deforestazione di un'area grande come l'Olanda".

 

La stessa Commissione europea ha ammesso che il biodiesel derivato dagli oli vegetali di palma e soia inquina dalle due alle tre volte di più rispetto al diesel fossile.

Negli ultimi dieci anni, i biocarburanti voluti dall’Ue per rimpiazzare i combustibili fossili hanno causato la scomparsa di un’area totale di foresta pari alla superficie dell’Olanda e hanno emesso fino a tre volte più CO2 rispetto al diesel che hanno sostituito. Queste le conclusioni poco incoraggianti dello studio condotto da Transport & Environment (T&E), un’organizzazione attiva sui temi della mobilità sostenibile. Il documento mette in evidenza, oltre alle scelte discutibili fatte da Bruxelles, quali sono i Paesi che hanno scommesso di più sui carburanti di nuova generazione. Nel 2020, l’Italia è stata la terza produttrice europea di biodiesel, alle spalle di Spagna e Paesi Bassi, e la quarta per consumi. 

“Nel 2009 - si ricorda nello studio - è stata introdotta la direttiva Ue sulle energie rinnovabili (Red) per promuovere l’uso” delle fonti alternative a quelle fossili “nel settore dei trasporti”. La norma ha obbligato “gli Stati membri, entro il 2020, a rispettare una quota del 10% di energia rinnovabile nel consumo finale di energia dei trasporti”. Tuttavia, tali regole “hanno trascurato le salvaguardie della sostenibilità e non hanno tenuto conto dell'intero ciclo di vita delle emissioni legate alla catena di approvvigionamento del carburante e all'uso del suolo”. In altre parole, “il consumo della gran parte di biocarburanti” ha portato ad “emissioni complessive di gas serra superiori rispetto ai combustibili fossili”. 

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Ad esempio, la domanda di biodiesel dell’Ue ha richiesto la coltivazione di 1,1 milioni di ettari di palme nel sud-est asiatico e di 2,9 milioni di ettari di semi di soia in Sud America. Superfici strappate ai preziosi milioni di ettari di foresta, riconvertita alle monocolture necessarie per le produzione dei carburanti. Il documento di T&E ricorda che nel 2012 e nel 2016 la Commissione europea ha pubblicato due studi che hanno quantificato le emissioni di biocarburanti legate all'uso del suolo. In entrambe le occasioni, l’esecutivo Ue ha ammesso “che quando si prendono in considerazione le emissioni previste per il cambiamento indiretto della destinazione del suolo, tutti i biodiesel a base di olio vegetale comportano più emissioni del diesel fossile”. “Il rapporto più recente - si precisa - ha mostrato che le emissioni sono particolarmente elevate per l'olio di palma e di soia, che causano rispettivamente tre e due volte le emissioni del diesel fossile”.

“Una politica che avrebbe dovuto salvare il pianeta in realtà lo sta distruggendo”, è il commento di Laura Buffet, direttrice energetica di T&E. “Gli sforzi per sostituire i combustibili inquinanti come il diesel con i biocarburanti stanno paradossalmente aumentando le emissioni di anidride carbonica che riscaldano il pianeta”, ha concluso Buffet.

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Photo By ADPartners. Credit: commons.wikimedia.org

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