LA CONFERENZA DI FINE ANNO - Le risposte alle 44 domande: dagli aiuti fiscali ai ricchi alle scelte della campagna vaccinale fino al Pil. Abbiamo verificato quel che c'è di vero e di falso nelle uscite più rilevanti.
Nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, Mario Draghi ha risposto a 44 domande, toccando moltissimi temi, dai vaccini alla manovra all’economia. Il senso, in sintesi, è che il grosso del lavoro è stato fatto, e bene, e può continuare anche senza di lui (il famoso “pilota automatico” sulle riforme di cui parlò dopo le Politiche del 2013). Verificarle tutte è impossibile, ecco però una breve e inesaustiva analisi di quelle più rilevanti.
Taglio delle tasse.
Draghi: “I principali beneficiari della riforma fiscale sono i lavoratori e pensionati a reddito medio-basso. In termini percentuali i maggiori benefici uniti al taglio contributi per il 2022 si concentrano sui lavoratori con 15 mila euro di reddito e se si considerano gli effetti dell’assegno unico dei figli, a beneficiare della riduzione fiscale saranno soprattutto le famiglie a basso reddito
Usare il valore “percentuale” è fuorviante, come pure mischiare tutte le varie misure. Il taglio Irpef premia in valore assoluto i redditi tra i 42 mila e 54 mila euro (765 euro), il 3,3% del totale (a cui va il 14,1% delle risorse). Addirittura 270 euro in media vanno ai redditi sopra i 75 mila euro (l’1,1% più ricco). Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, se si considerano i nuclei familiari: il 20% più povero è escluso per motivi di incapienza fiscale, il 50% di quelli in condizione economica meno favorevole prende un quarto delle risorse mentre il 10% più ricco più di un quinto delle risorse. La decontribuzione poi vale solo per il 2022, mentre il taglio Irpef è permanente. Sull’assegno unico, inoltre, stimarne l’entità è difficile perché dipende dall’Isee.
Spread e crescita.
Draghi: “Se lo spread è più alto di quando sono arrivato vuol dire che io non sono uno scudo. Se si continua a crescere la preoccupazione diventa minore, i mercati guardano alla crescita prima di tutto, che non era così dagli Anni 60”.
Il premier giustamente ricorda che lo spread dipende da fattori che non si possono ridurre al capo del governo. Ad ogni modo, negli Anni 60 la crescita seguiva ad anni di crescita, mentre il +6,3% del Pil previsto per il 2021 segue il -8,9% del 2020: è soprattutto un rimbalzo e, peraltro, sia nel 73 che nel 76 è stata più alta (6,7% e 6,6%).
Superbonus.
Draghi: “Il governo non voleva estendere il Superbonus perché ha creato distorsioni. La prima è un aumento straordinario dei prezzi delle componenti che servono a fare le ristrutturazioni. (…) Chiaro che le emissioni vanno giù, ma non così tanto per assorbire questo aumento di prezzo. È la logica del 110% che in un certo senso non rende più la contrattazione di un prezzo rilevante. Secondo: ha incentivato le frodi. Questa mattina l’Agenzia delle Entrate ha bloccato 4 miliardi di crediti come cedibili”.
È vero che uno sconto fiscale così alto disincentiva l’interesse a ridurre i costi perché paga lo Stato, non è chiaro però se Draghi depuri dall’effetto del fortissimo rialzo dei prezzi che da un anno riguarda le materie prime. Sull’effetto di riduzione delle emissione: è vero che a fronte di una spesa oltre 10 miliardi finora i lavori riguardano assai meno dell’1% di abitazioni e condomini. Sui 4 miliardi di frodi: la cifra è corretta, ma riguarda tutti i bonus edilizi.
Camere esautorate.
Draghi: “È indubbio che ci sia un affanno finale sulla discussione e approvazione della manovra, ma questo non è senza precedenti. È successo tantissime volte. La manovra è stata accompagnata da un lunghissimo confronto politico.
Come noto, comprimere la discussione parlamentare sulla legge più importante dell’anno non è una novità ma ormai prassi (illegale) da anni. Il Parlamento però ha espresso il suo primo voto sulla manovra 2022 in commissione Bilancio al Senato nella notte tra lunedì e martedì. Questo è un record, e racconta di una procedura largamente extraparlamentare. Il ddl Bilancio sarà approvato al Senato il 24 e dalla Camera tra il 28 e il 31 senza discussione (un monocameralismo di fatto). È il terzo anno di fila che si arriva al via libera tra Natale e Capodanno, ma non era mai successo che si iniziasse a votare così tardi.
Pnrr.
Draghi: “ Abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e abbiamo raggiunto i 51 obiettivi del 2021.
È senz’altro vero, ma avremmo preferito avere a disposizione la relazione semestrale sul Pnrr che permette di verificare questo dato. È prevista ogni 6 mesi, ma sarà approvata solo oggi.
Chi vaccina e chi no.
Draghi: “Il 13 febbraio l’Italia era l’ultimo tra i grandi Paesi Ue per la somministrazione di prime dosi. Oggi circa l’80% della popolazione ha ricevuto almeno una dose, una proporzione più alta di Gran Bretagna Francia e Germania.
È tutto vero, però così sembra che fino al 13 febbraio, giorno del giuramento di Draghi, nessuno o quasi si fosse vaccinato. La campagna vaccinale comincia il 27 dicembre 2020 sotto il Conte 2, compatibilmente con qualche ritardo nelle consegne da parte dei produttori che penalizza il nostro Paese più di altri: tra il 6 e il 19 gennaio l’Italia fa anche meglio di Francia, Germania e Spagna quanto alle prime dosi in percentuale sulla popolazione, poi viene superata ma il 13 febbraio siamo tutti fra il 3,6 (Francia) e il 2,9% (Italia) almeno secondo ourworldindata.org/covid-vaccinations. La Gran Bretagna, fuori dall’Ue è già molto più avanti (21%). Solo il 1° marzo Draghi nomina Figliuolo che si insedia dopo una decina di giorni: il 13 marzo Figliuolo presenta un nuovo piano e quel giorno gli italiani che hanno avuto la prima dose sono l’8%, un dato sotto quello della Spagna (8,4%) ma sopra quelli di Francia (7,9%) e Germania (7,8%). Un mese dopo, il 13 aprile, con il generale al comando è al 16%, gli altri tre grandi Paesi al 17% e così per diverse settimane. Nei mesi seguenti l’Italia vaccina più di Francia e Germania e anche Gran Bretagna, probabilmente pure per l’effetto del Green pass (ma le 500 mila dosi al giorno annunciate per la seconda metà di aprile sono arrivate solo per due giorni, il 29 e il 30, ai primi di maggio eravamo di nuovo a 400 mila, soprattutto per la carenza di dosi). Se poi Figliuolo non avesse promesso l’immunità di gregge a settembre, sarebbe andata pure meglio per la credibilità delle istituzioni.
Comunicazioni sbagliate.
La comunicazione sul Green pass e sul Super Green pass si è sviluppata in base alle conoscenze ottenute fino a quel momento (…) Si è scoperto che la seconda dose declina più rapidamente di quanto si pensasse all’inizio.
Qualche volta invece le conoscenze sono state piegate alla propaganda. È il caso della conferenza stampa del 22 luglio in cui Draghi annuncia il Green pass dal 6 agosto per i ristoranti e i bar al chiuso: “L’estate è già serena e vogliamo che rimanga tale. Il Gp è una misura con i quali i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose”. E questo non è vero, il vaccino riduce in misura variabile la possibilità di contagiarsi e contagiare ma la garanzia è un’altra cosa, i vaccini non sono sterilizzanti: si sa da prima ancora che fossero approvati. A luglio Israele già lavorava per la terza dose, ma per non allarmare chi doveva fare la prima il governo ne ha parlato solo a settembre.
Stato di emergenza.
Draghi: “Lo stato di emergenza come stato di rassegnazione? No, come atto di necessità. Con i dati di inizio ottobre si poteva cominciare a ragionare di non prorogare tutto il contesto legato allo stato di emergenza ma di valutare misura per misura. L’evoluzione dei dati ha dimostrato che non valeva la pena farlo e che tutto il blocco sanitario e normativo andava prorogato.
I dati di inizio ottobre facevano ben sperare, tanto che il ministro Renato Brunetta ha disposto la fine dello smartworking per il pubblico impiego dal 1° novembre. Però a fine novembre gli anestesisti hanno lanciato i primi allarmi su quello che sarebbe accaduto nelle terapie intensive di lì a un mese e i dati dell’Istituto superiore di sanità, con l’indice di riproduzione del virus Rt ben oltre l’1,2, consentivano di prevedere quello che oggi tutti i giornali scrivono: alcune Regioni, Veneto e Liguria ma non solo, rischiano la zona arancione ai primi di gennaio. Il Fatto l’ha scritto il 4 dicembre in base alle tabelle previsionali dell’Iss. Da allora c’era tutto il tempo per costruire una cornice legale per conservare il commissariato straordinario e quanto necessario per gestire questa fase senza l’ennesima proroga dello stato di emergenza oltre il limite di due anni stabilito dalla legge quadro sulla Protezione civile.
Terapie intensive.
Draghi: “Per ora non parliamo di lockdown per i non vaccinati ma ogni risposta è sul tavolo, faccio però presente che i due terzi delle terapie intensive sono occupate da non vaccinati”.
È vero. Nell’ultimo rapporto dell’Iss (17 dicembre) si legge che tra il 29 ottobre e il 28 novembre sono stati ricoverati in terapia intensiva 747 non vaccinati, 21 vaccinati con una dose, 174 con due dosi fatte meno di 150 giorni prima, 220 con due ma fatte da oltre 150 giorni e 12 con tre dosi, per un totale di 427 che è poco più di un terzo dei 1.174 totali. Calcolati in proporzione, tenendo conto che i vaccinati sono molto di più, l’Iss stima che il rischio relativo di andare in terapia intensiva è 10,6 superiore per un non vaccinato rispetto a un vaccinato da più di 150 giorni, di oltre 17 volte rispetto a un vaccinato da meno di 150 giorni o a chi ha fatto tre dosi.
Generosità e brevetti.
Draghi: “La Ue ha fatto più di tutti in termini di donazione di vaccini, gli Usa hanno fatto promesse gigantesche ma consegne molto più limitate di quelle europee. Sui brevetti per i vaccini la Commissione europea ha presentato una proposta al Wto per permettere una deroga temporanea, gli Usa si oppongono”.
In realtà il 28 ottobre, alla vigilia del G20 ospitato da Roma, le Ong Oxfam, Emergency e Amnesty hanno criticato i Paesi ricchi per aver donato solo 261 milioni di dosi a quelli poveri, a fronte di promesse per 1,8 miliardi. Secondo gli ultimi dati, l’Italia ha inviato 8,2 milioni di dosi su 35,7 donate e ne ha 1,1 milioni annunciate ma non ancora donate. Gli Usa ne hanno promesse 857,5 milioni, 664,1 non ancora donate e 140,3 milioni già inviate, mentre la Ue, a fronte di promesse per 451,5 milioni di dosi, ne ha spedite appena 57,8 e 153,2 milioni non ancora donate. Quanto ai brevetti, sono stati gli Usa ad aprire per primi alle sospensioni. Il 30 novembre la Ue, che è contraria alla sospensione generale dei brevetti su scala globale, si è detta pronta a superare la sua posizione “per ottenere il consenso su una rinuncia che abbia senso e che aumenterà la produzione”. “La sospensione dei brevetti fa parte del contributo che possiamo fornire, ma in modo molto mirato per non minare il valore del sistema di proprietà intellettuale. Se dovessimo avere un tipo di deroga molto ampio, tutti questi elementi verrebbero interrotti e questo non sarebbe affatto utile per il nostro obiettivo che è aumentare la produzione di vaccini. E aumentare gli investimenti per produrre vaccini nei Paesi in via di sviluppo”, ha detto un funzionario della Ue. All’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) sono in corso negoziati su una deroga mirata. Se si raggiunge un accordo, un Paese che voglia autorizzare un’azienda a produrre vaccini dovrà essere immediatamente in grado di farlo “senza temere un contenzioso da parte dei titolari del brevetto” a condizione che i vaccini siano prodotti al costo industriale e non a scopo di lucro. Oxfam contesta un sistema di licenze obbligatorie paese per paese, complesso, lento e legalmente difficile, ma aziende e Paesi produttori sono preoccupati di avvantaggiare Cina o India nell’usare la tecnologia a proprio vantaggio. Fonti Ue si dicono “molto deluse” dalla mancanza di input da parte degli Usa alla Wto, visto l’impegno preso da Biden.
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