venerdì 18 febbraio 2022

Quando eravamo normali. - Marco Travaglio


Che avrebbero dovuto fare 30 anni fa i magistrati sommersi dalle confessioni e dalle chiamate in correità di politici corrotti e imprenditori corruttori? Quello che prevedeva (e prevede) la legge: indagarli, arrestarli e processarli. Che avrebbero dovuto fare i cronisti sommersi dalle notizie sui politici e imprenditori più famosi che si scambiavano mazzette e, presi con le mani nel sacco, le confessavano e restituivano? Quello che era (ed è) il loro mestiere: procurarsi gli avvisi di garanzia, i verbali, le ordinanze di custodia cautelare (tutti atti, fra l’altro, non segreti) e pubblicarli. Che avrebbero dovuto fare i cittadini sommersi dai nomi e cognomi di chi si era mangiato l’Italia a suon di mazzette sugli appalti pubblici e di appalti pubblici fatti apposta per trarne mazzette, depredando le casse dello Stato e le tasche dei contribuenti con opere inutili, gonfiate e inquinanti e lasciando il conto da pagare a noi (manovra finanziaria da 90mila miliardi e prelievo del 6 per mille dai conti correnti nel 1992 a cura del governo Amato)? Maledire i ladri di Stato, smettere di votarli e, se provavano a farla franca col trucchetto dell’impunità parlamentare, contestarli con lanci di insulti, spugne, monetine e banconote (false) e difendere i magistrati che applicavano la legge (finalmente) uguale per tutti.

Quella del 1992-’93 fu una rara parentesi di normalità nel Paese di Sottosopra che, prima e dopo, ha sempre confuso le guardie con i ladri, i giornalisti con i leccaculo, i cittadini con i sudditi. Per due anni gli italiani furono veri cittadini e, informati da veri giornalisti, si schierarono dalla parte delle guardie contro i ladri. Poi, grazie alle sue tv, B. riportò al potere i ladri travestiti da amici delle guardie, li salvò con decine di leggi impunitarie votate o mantenute anche dal centrosinistra e tutto tornò come prima. Ora vogliono farci pentire di essere stati normali e farci credere che non sta bene tifare guardie, anzi è giusto tifare ladri. E l’ex braccio destro del ladrone latitante presiede la Consulta che avalla un referendum per vietare l’arresto dei ladri, uno per riportarli in Parlamento e tre per punire le guardie. Una guardia si porta avanti e, nel trentennale di Mani Pulite, rinvia a giudizio un galantuomo come Davigo. Partecipano alla festa molti giornalisti che per due anni informarono i cittadini sui delitti dei potenti, anche dei loro editori (che, terrorizzati, li lasciavano liberi), e ora, per far carriera e non finire prepensionati, si pentono di aver fatto per pochi mesi il proprio dovere. Li vediamo sfilare in tv a battersi il petto come nelle purghe staliniane, confessando il loro peccato mortale di gioventù: aver chiamato ladri i ladri. Il sistema migliore per non dover spiegare perché hanno smesso.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/18/quando-eravamo-normali/6498074/

Davigo a giudizio: “Segreto violato”. Ma al Csm non c’è. - Antonio Massari

 

LOGGIA UNGHERIA - Il processo a Brescia per i verbali di Amara ricevuti dal pm di Milano Paolo Storari. L’ex consigliere: “So di essere innocente”. 

Persino le date danno il loro contributo nella storia legata alla presunta Loggia Ungheria: nell’anniversario di “Mani Pulite” – a trent’anni esatti dal 17 febbraio 1992, quando fu arrestato l’ex presidente del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa – un uomo simbolo del pool di magistrati che avviò Tangentopoli, Piercamillo Davigo, finisce sotto processo.

Se fisicamente è a Pisa, per un convegno sull’indagine che segnò la fine della Prima Repubblica, Davigo è virtualmente in un’aula del tribunale di Brescia, nelle vesti di imputato. E viene rinviato a giudizio, per concorso in rivelazione d’ufficio, dal gup Francesca Brugnara. Il processo inizierà il prossimo 20 aprile. È così, a trent’anni da Mani Pulite, dopo aver affrontato e spesso vinto processi delicatissimi, dopo aver indagato colossi della politica e dell’economia, quella stessa procura si ritrova spalle al muro. Davigo sotto processo e ben altri quattro magistrati sotto indagine. Dopo il caso Palamara la credibilità dell’intera magistratura è già ai minimi storici. Il crollo arriva con i verbali dell’ex legale esterno di Eni Piero Amara.

Tutto precipita infatti nel dicembre 2019 quando Amara dichiara al pm milanese Paolo Storari e alla procuratrice aggiunta Laura Pedio di essere membro della presunta loggia coperta Ungheria affollata da magistrati e vertici delle istituzioni. Fino a gennaio fornirà ulteriori dettagli (tutti da verificare e tuttora al vaglio della procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone). I verbali di Amara – nell’aprile 2020 secondo le versioni di Davigo e Storari – prendono però un’altra strada. Storari ravvisa un’inerzia della procura nel procedere alle iscrizioni (accusa ritenuta insussistente, nei riguardi dell’ex procuratore capo di Milano, Francesco Greco, che sarà indagato e archiviato). Per tutelarsi denuncia la situazione a Davigo – in qualità di membro del Csm – che lo autorizza a rivelargli le notizie coperte dal segreto. Ad autorizzarlo, secondo Davigo, c’è una norma del 1994: non si può opporre il segreto istruttorio a un membro del Consiglio. In sostanza, secondo Davigo, non ci sarebbe alcuna violazione del segreto. Evidentemente la procura di Brescia la pensa diversamente. Storari consegna a Davigo una copia in formato word dei verbali di Amara. L’avvocato coinvolge due consiglieri del Csm in carica: Sebastiano Ardita, della stessa corrente di Davigo, e Marco Mancinetti. A quel punto – è la versione di Davigo – il consigliere del Csm, nel timore che scegliendo le vie formali possa essere vanificato il segreto istruttorio, come già accaduto nello scandalo legato a Luca Palamara, decide di informare oralmente i membri del comitato di presidenza del Csm. A partire dal vicepresidente David Ermini (e attraverso lui il Quirinale). Davigo informerà dell’indagine – parlando della questione Ardita e “vincolandoli al segreto istruttorio” – anche altri consiglieri del Csm e le sue segretarie. Ed è per questo motivo che Ardita, che si considera danneggiato dalla condotta di Davigo, s’è costituito in giudizio come parte civile. Di lì a poco Davigo lascia il Csm. E al Csm lascia anche una copia dei verbali ricevuti da Storari. Da quel momento in poi, a sua insaputa, il segreto istruttorio va in frantumi: nell’ottobre 2020 copia dei verbali giunge in forma anonima al Fatto Quotidiano che – per non distruggere l’eventuale indagine in corso e temendo una polpetta avvelenata, non avendo prova che fossero autentici – denuncia alla procura di Milano e li deposita nelle mani di Storari e Pedio.

A marzo 2021 li riceve la cronista di Repubblica Liana Milella che denuncia a Perugia. Una copia giunge infine al consigliere Nino Di Matteo che prima denuncia a Perugia e poi rivela durante un plenum del Csm il “dossieraggio calunnioso” ai danni di Ardita. Inizia così l’inchiesta sulla fuga di notizie. L’invio dei verbali alla stampa e a Di Matteo viene attribuito alla segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, oggi indagata per calunnia a Roma. Storari confessa a Greco di averli consegnati a Davigo. Rinviato a giudizio, Davigo commenta: “Non dirò mai una parola contro la giurisdizione che ho servito per 40 anni. I processi servono per accertare se l’imputato è colpevole o innocente. Io so di essere innocente”. Storari ha scelto il rito abbreviato, la sentenza è prevista il 7 marzo. L’accusa – che ieri ha parlato di “buona fede” dell’imputato, contestata radicalmente dalla parte civile Ardita, sin dall’atto di costituzione – ha chiesto una condanna a 6 mesi per aver consegnato i verbali a Davigo “fuori da ogni procedura formale”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/18/davigo-a-giudizio-segreto-violato-ma-al-csm-non-ce/6498098/