sabato 5 marzo 2022

Il cortigiano Johnny. - Marco Travaglio (4.3.2022)

 

Sgominati il direttore d’orchestra e la soprano russi alla Scala, respinto l’assalto della Brigata Dostoevskij all’Università Bicocca, attendevamo con ansia che qualcuno bombardasse l’hotel de Russie di Roma e la fermata Moscova della metro milanese, o boicottasse la griffe Moschino, o prendesse sul serio chi sul web propone di ribattezzare Ignazio La Russa “L’Ucraina” (Maurizio Mosca l’ha scampata bella, defungendo per tempo). Poi è giunto l’annuncio della Federazione Internazionale Felina che, “in segno di vicinanza verso gli ucraini”, ha deciso di “non registrare più gatti provenienti dalla Russia e mettere uno stop alla partecipazione degli allevatori russi alle esposizioni internazionali”. E abbiamo pensato che nessuno ne avrebbe più battuto il record di stupidità. Ma avevamo sottovalutato Johnny Riotta, che c’è riuscito in scioltezza su Repubblica con la lista di proscrizione “Destra, sinistra e no Green pass: identikit dei putiniani d’Italia. Da Savoini a Fusaro, da Barbara Spinelli a Mattei, Foa e Mutti, editore del fascio-putinista Dugin”. Un frittomisto scombiccherato e imbarazzante (non per lui, che non conosce vergogna e non ha mai la più pallida idea di ciò che dice, tipo quando negava in tv che l’articolo 1 della Costituzione affermi che la sovranità appartiene al popolo, ma per gli eventuali lettori). Piluccando da uno studio della Columbia University, forse per dimostrare la bruciante attualità de L’Idiota di Dostoevskij, il cortigiano Johnny frulla personaggi, storie, tesi diversi e spesso opposti, accomunando il leghista che chiedeva tangenti all’hotel Metropol di Mosca a chi osa obiettare al fumetto dell’Occidente buono, democratico e pacifista minacciato dal Nuovo Satana. Una barzelletta che farebbe scompisciare pure Kissinger, i migliori diplomatici Usa e il capo della Cia Burns, tutti molto critici sull’allargamento della Nato a Est.

Ma curiosamente Riotta, nella lista dei nemici pubblici, si scorda quei fottuti putinisti di Kissinger e Burns. E omette la Luiss, citata dalla Columbia fra gli amici della Russia, forse perché lui vi dirige una scuola di giornalismo (per mancanza di prove). In compenso ci infila la Spinelli, che scriveva su Rep quando era ancora un giornale e non il pannolone di Biden. E pure l’ex presidente Rai Marcello Foa, “commentatore di reti di propaganda russa”: cioè di Russia Today, che fino a sei anni fa usciva come inserto mensile di Rep. Il finale è un’istigazione ai rastrellamenti che piacerebbe un sacco a Putin e sarebbe un tantino inquietante, se Riotta lo leggesse e lo prendesse sul serio qualcuno: “Li riconoscete a prima vista: tutti hanno la stessa caratteristica”. Quella di pensare con la propria testa, ma soprattutto di averne una.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/04/il-cortigiano-johnny/6514852/

Tra il dire e il fare. - Marco Travaglio

 

Chi può contestare che il popolo ucraino non va lasciato solo nell’eroica resistenza all’invasore russo? E che non ha bisogno di fiori, ma di armi? È tutto ovvio, in via di principio. Ma, prima di inviare anche un solo petardo oltre i confini dell’Ucraina, bisognerebbe rispondere ad altre domande molto meno scontate che purtroppo nessuno – in questa spensierata decisione assunta dal governo dinanzi al Parlamento sdraiato – ha pensato di porre, né tantomeno di rispondere. L’obiettivo di Putin è chiaro: riprendersi l’Ucraina, poi si vede. Quello di Zelensky pure: ricacciarlo indietro, magari sacrificando il Donbass e la Crimea già persi. Ma il nostro qual è? Allungare di qualche settimana la resistenza ucraina in vista di una resa scontata, per indebolire un po’ Putin nel negoziato finale, o aiutare l’esercito e i civili ucraini a respingere l’Armata russa? Trattare con Putin o buttarlo giù? L’invio o meno delle armi dovrebbe dipendere da queste due risposte. Che dovrebbero dipendere dall’analisi del reale andamento della guerra, al di là delle opposte propagande. Se si pensa che gli ucraini abbiano buone probabilità di farcela nel breve e lungo periodo, complici le sanzioni alla Russia, inviare armi ha un senso. Se invece si ritiene che l’esito dell’invasione sia segnato, armare civili non (o male) addestrati serve solo a prolungare l’agonia del Paese e a moltiplicare la carneficina, seguitando a usare quel popolo martoriato come carne da macello per i giochi di guerra dei “grandi”.

Supponiamo che chi invia armi pensi sinceramente che possano ribaltare l’esito della guerra: resterebbero un paio di interrogativi. Secondo i calcoli più ottimistici, le armi giungeranno a destinazione non prima di qualche settimana, quando l’avanzata russa su Kiev sarà probabilmente completata: se l’intelligence Nato era certa da tre mesi dell’attacco russo, perché non pensarci prima? Conosciamo la risposta: Usa e Uk l’han fatto in abbondanza, mentre le armi dell’Italia e del resto dell’Ue sono perlopiù ferrivecchi e fondi di magazzino. E allora, di grazia, a che servono? Come ha spiegato Mackinson sul Fatto, non potendo coinvolgere paesi Nato, bisognerà portarle in Ucraina con finti convogli umanitari e voli commerciali, affidando le consegne a milizie private di contractor: mercenari prezzolati senza bandiera che combattono per ogni bandiera, cioè per il miglior offerente. Si tengono parte del carico come provvigione. Poi, se va bene (ma chi controlla?), consegnano il resto alle truppe o ai resistenti. Ma, se la Russia vince la guerra, si prende tutto. E usa le nostre armi – come i talebani in Afghanistan, l’Isis in Iraq e in Siria, le milizie in Libia – contro di noi. Che, ancora una volta, riusciremo a spararci sui piedi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/05/tra-il-dire-e-il-fare/6515975/