Molti ritengono che l’espansione della Nato non abbia niente a che vedere con la decisione di Putin di invadere l’Ucraina e, infatti, dicono: “Perché la Russia non si oppose all’ingresso della Nato dei Paesi un tempo membri del Patto di Varsavia?”. La risposta è semplice: perché, negli anni Novanta, la Russia si trovò senza forze per lottare. La Russia ha pagato un prezzo enorme per la sua debolezza anche in Serbia, dove non riuscì a difendere il suo alleato fraterno – tale era Belgrado – dalle bombe della Nato. Come avrebbe mai potuto?
Crollata l’Unione Sovietica, la Federazione Russa precipitò in una crisi talmente grave che molti osservatori dell’epoca temettero addirittura che lo Stato russo si sarebbe dissolto. Eltsin, affiancato da un gruppo di riformisti inesperti, come Egor Gajdar e Viktor Chernomyrdin, e da consiglieri del Fondo Monetario Internazionale, si lanciò in una campagna di riforme liberiste dalle conseguenze negative. Ad arricchirsi fu soprattutto una minoranza di beneficiati, i cosiddetti “oligarchi”, mentre la corruzione e l’inefficienza dilagavano dappertutto. Pensionati, operai, militari, scivolavano nella povertà, entrando in contrasto stridente con i pochi che si abbandonavano a uno ostentato consumismo occidentale. Tra il 1992 e il 1993 la crescita del debito estero della Russia fu smisurata, i prezzi aumentarono di 22 volte e i salari di 10. Il Pil russo crollava insieme con la produzione industriale. Il tenore di vita peggiorò secondo i principali indicatori; la mortalità aumentò e le aspettative di vita si abbassarono; la popolazione si contrasse anche a causa del processo di emigrazione che investì soprattutto i lavoratori molto qualificati. A partire dall’estate 1998, la crisi economica e finanziaria si aggravò tragicamente. Il governo, allora guidato da Sergey Kiriyenko, e la Banca Centrale, svalutarono il rublo e non furono più in grado di rimborsare il debito sovrano. Il governo russo, ad agosto, fece default sul proprio debito. La Russia non aveva le forze per contrapporsi all’Occidente in Serbia e nemmeno all’espansione della Nato. Tra le numerose cause che portarono al default, bisogna ricordare anche l’estenuante guerra in Cecenia. È in questo momento di debolezza della Russia che Madaleine Albright, nominata da Clinton Segretaria di Stato americana (1997-2001), progettò di inglobare i Paesi del Patto di Varsavia nella Nato. La procedura per l’ingresso nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, fu avviata nel 1997 e portata a termine nel 1999.
Come avrebbe potuto Mosca attaccare la Nato in Serbia avendo un bisogno disperato dei prestiti dell’Occidente? Eppure le tensioni non mancarono. Pochi ricordano la crisi dell’aeroporto di Pristina nel 1999 in Kosovo. Per comprendere la rabbia di Putin, bisogna ricordare anche un altro fatto, avvenuto nel 1999, vale a dire l’approvazione dello Strategic Concept, un documento approvato a Washington il 24 aprile 1999, che ampliava le aree in cui la Nato si riteneva legittimata a intervenire (nome per esteso The Alliance’s New Strategic Concept). A partire dal 1949, quelle aree erano state: l’Europa, l’Atlantico settentrionale e l’America del Nord. Ma il New Strategic Concept stabiliva che la Nato sarebbe stata legittimata a intervenire anche out of area, cioè in tutto il mondo e, quindi, anche nelle regioni sotto l’influenza della Russia, come la Serbia. Nessuno si illuda: alla Russia l’espansione della Nato non è mai piaciuta. Ora che ha le forze, Putin la contrasta.