La scelta della pace. - Tommaso Merlo

 

Se investissimo nella pace le stesse risorse che investiamo nella guerra, salveremmo l’umanità invece di rischiare l’autodistruzione nucleare. Non utopia, ma una scelta. Investire nella pace significa investire nella nostra crescita personale, perché più evolviamo come persone più abbandoniamo la guerra in maniera naturale. La pace è una conseguenza della consapevolezza di noi stessi e della vita. Più abbiamo una visione profonda ed ampia del mistero della nostra esistenza e delle vicende del mondo, più la guerra appare nella sua follia autodistruttiva e si fa di tutto per evitarla. Vale per la nostra vita privata come in quella pubblica. I contrasti sono inevitabili, ma la persona consapevole fa di tutto per prevenirli e li gestisce in maniera intelligente e quindi pacifica. Nessuna utopia, la pace si sceglie, si costruisce ogni giorno ed è più faticosa della guerra. Perché richiede pazienza, ascolto, ragionamento, altruismo, lungimiranza e tenere a bada il proprio ego. La guerra è invece uno sfogo egoistico contro un nemico considerato la causa dei nostri mali, è l’illusione che prevalendo su quel nemico tutto si risolverà. Ma la guerra non risolve i problemi ma ne crea di nuovi e non ha mai veri vincitori. Perché l’odio logora chi lo prova e la violenza prima o poi si ritorce contro chi la compie. L’unico modo che gli esseri umani hanno per trovare soluzioni è discuterne. Vale tra persone come tra paesi. Eppure l’umanità non riesce a vincere la guerra contro la guerra e questo perché le sue radici sono dentro di noi. Prima le persone danno importanza vitale a cose che non ne hanno, poi vi si attaccano con le unghie e poi guerreggiano per difenderle o conquistarle. Nella storia europea milioni di persone sono morte per difendere reggenti e bandiere e confini e ideologie che oggi non significano più nulla. Milioni e milioni di vite buttate via per colpa delle ambizioni egoistiche di qualche potente o per credenze ed opinioni spacciate come verità assolute o per minacce e nemici immaginari. Follia autodistruttiva. Non vi sono ragioni al mondo per sprecare il proprio unico e fugace passaggio sul pianeta, non vi sono ragioni al mondo per uccidere altri esseri umani. Lo hanno scolpito sulla roccia i profeti dell’antichità, insegnamenti ignorati da millenni come tutti quelli che contrastano coi sempiterni deliri egoistici. Dopo secoli di guerre inutili, almeno in Europa pensavamo di avere conquistato la pace ed invece i politicanti stanno facendo di tutto per trascinarci verso una pericolosa escalation tra stampa guerrafondaia e indifferenza generale. I più apriranno gli occhi quando i loro figli o nipoti verranno chiamati alle armi e sarà troppo tardi per fermare la macchina della guerra. A quel punto non gli resterà che pregare che tornino sani e salvi. Perché la guerra alla fine è questo, poveri cristi che escono di casa per ammazzare altri poveri cristi e spesso non tornano più indietro. Diventano lapidi di pietra che col tempo nessuno legge più. Le deleterie guerre private perlomeno le combatte chi le scatena, quelle pubbliche vengono invece decise dai reggenti a qualche cena di gala e a morire in trincea ci vanno i poveri cristi. È sempre stato così. Il compito dei reggenti è trovare scuse come qualche imminente minaccia o questione di principio, è alimentare la paura in modo da spacciare la guerra come indispensabile, è dirottate soldi pubblici per produrre armi e poi godersi lo spettacolo seduti ad una tavola imbandita sperando nella vittoria. È sempre stato così. Una deriva particolarmente grave in un Europa che ha vissuto ben due conflitti mondiali con decine di milioni di morti e stava vivendo il più lungo periodo di pace della sua storia. Dopo secoli a scannarci a vicenda abbiamo capito che uniti siamo tutti più ricchi e sicuri. Eppure i politicanti che oggi bazzicano in quel di Bruxelles sembrano esserselo scordato e stanno facendo di tutto per trascinarci verso una pericolosa escalation. Chissà quanti di loro si rendono conto della responsabilità storica di tale pericolosa retromarcia e quanti invece sono vittime del conformismo guerrafondaio che aleggia nei palazzi o agiscono per mere convenienze di carriera. Chissà quanti di loro si rendono conto di mettere a rischio la vita delle generazioni future e lo stesso progetto continentale che è fondato sulla pace. Non capiscono che se investissimo nella pace le stesse risorse che investiamo nella guerra, salveremmo l’umanità invece di rischiare l’autodistruzione nucleare. Non capiscono che la pace è una scelta sempre più obbligata. Tutta colpa della loro scarsa consapevolezza. Più evolviamo come persone e come paesi infatti, più ripudiamo la follia della guerra. Una strada che dobbiamo riprendere prima che sia troppo tardi.
Tommaso Merlo

Progetto Selene: l’Italia vuole costruire piccole centrali nucleari sulla Luna.

 

I progetti atomici del Governo Meloni non trovano territori favorevoli lungo lo Stivale, potrebbe andare meglio nello spazio?

Il ritorno dell’energia nucleare su suolo italiano, che il Governo Meloni continua a propagandare come chiave di volta per la transizione energetica – nonostante costi e tempi maggiorati rispetto alle fonti rinnovabili, per tacere delle preoccupazioni sul fronte sicurezza – non trova spazio sui territori: da ultimo è stato il Consiglio regionale del Veneto, governato dalla destra, a dire no a nuove centrali. Non va meglio col Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, l’unica infrastruttura davvero utile per il Paese, che il ministro Pichetto immagina però possa entrare in funzione non prima del 2039. Perché allora non ampliare gli orizzonti localizzativi al cosmo?

In un certo senso, è l’idea che davvero sta nascendo in seno al progetto tutto italiano denominato Selene (Sistema energetico lunare con l’energia nucleare), finanziato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) e condotto dall’Enea come capofila, in collaborazione con il dipartimento di Energia del Politecnico di Milano e Thales Alenia Space Italia.

«L’Italia è fortemente impegnata nell’esplorazione della Luna e nella realizzazione di una base lunare permanente. Per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico, le soluzioni attualmente disponibili, basate sull’utilizzo dell’energia solare, non consentono – dichiara Angelo Olivieri, responsabile Missioni scientifiche dell’Asi – di raggiungere gli obiettivi energetici sfidanti per le future attività sulla superficie lunare, a causa dell’alternanza di 14 giorni di luce e 14 di buio. La ricerca di una soluzione tecnologica adeguata rappresenta un campo di ricerca di notevole interesse per l’Asi».

L’obiettivo dell’infrastruttura denominata Moon energy hub (Menh) sarà di fornire una base energetica stabile ai futuri insediamenti lunari attraverso l'impiego di piccoli reattori nucleari a fissione, i Surface nuclear reactors (Snr).

«In prospettiva, queste innovazioni potrebbero consentire di superare i limiti dei pannelli solari che hanno mostrato bassa densità di potenza, scarsa scalabilità, breve vita operativa e vulnerabilità da irraggiamento cosmico – aggiunge il coordinatore del progetto Francesco Lodi, ricercatore Enea – In questo senso, il Menh segna un passo rivoluzionario nell'esplorazione lunare, ponendosi al centro della strategia per espandere le capacità umane sulla Luna».

Oltre alla progettazione dei sistemi di conversione, distribuzione dell'energia e degli Snr, i ricercatori dell’Enea lavoreranno all’analisi degli aspetti di decommissioning e della supply chain e alla creazione di una roadmap per l'industrializzazione dell’infrastruttura.

https://www.greenreport.it/news/nuove-energie/4345-progetto-selene-litalia-vuole-costruire-piccole-centrali-nucleari-sulla-luna