I risultati delle Regionali sono salutari per il Paese e un’opportunità (l’ultima) per il centrosinistra. Dalle urne è uscito un responso chiaro e, checché se ne dica, ben poco favorevole al Cavaliere: il centrodestra ha vinto – generalmente per insussistenza degli avversari – ma Berlusconi ha perso. Dalle Politiche in poi il Pdl (al pari del Pd) è in costante emorragia di voti: nel giro di due anni ha addirittura lasciato per strada il 7 per cento dei consensi. E ora il neonato partito del premier vale quanto valeva la vecchia Forza Italia. Segno che il giudizio di Dio, più volte invocato da Berlusconi contro i giudici e l’informazione, è stato un flop. Dio (gli elettori) si è astenuto o ha votato Lega. Con questi numeri parlare ancora di riforme – a partire dall’unica che interessa all’anziano leader del Pdl: la reintroduzione dell’autorizzazione a procedere – non ha senso.
Se si mettesse davvero mano alla Costituzione, il referendum confermativo, previsto per le leggi fondamentali che non hanno una maggioranza qualificata, è destinato a chiudersi con una sonora bocciatura. Resta, è vero, la via delle riforme condivise sempre invocata dai brontosauri della partitocrazia. Ma si tratta di un percorso politicamente suicida. Saggiamente ben pochi tra gli elettori (di destra e di sinistra) ne sentono il bisogno. Perché al Paese più che nuove regole servono il rispetto di quelle vecchie e una nuova classe dirigente. Per questo la sconfitta della nomenklatura del Pd è un’opportunità.
Se nel Lazio e in Piemonte il centrosinistra avesse vinto (ci voleva un niente), oggiPier Luigi Bersani racconterebbe di avercela fatta. Per fortuna è andata diversamente. Ed è arrivata l’ora delle centinaia di funzionari, militanti e amministratori locali onesti, con meno di quarant’anni. Adesso tocca a loro. Devono scegliere: o ribellarsi per prendere il potere nel partito, o morire con esso prima ancora di essere nati. Per gli Italiani comunque andrà a finire, sarà una liberazione.
Da il Fatto Quotidiano del 31 marzo
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