Dice Bossi: quei soldi erano nostri, potevamo farci quel che ci pareva, anche buttarli dalla finestra. Se era un tentativo di migliorare la posizione della Lega agli occhi degli elettori, temo non gli sia riuscito troppo bene. La sua frase rivela semmai lo spirito della Casta e il morbo che ha devastato il rapporto fra partiti e cittadini. Quei soldi, signor Bossi, non sono vostri. Sono nostri. Dei contribuenti che li hanno versati attraverso le tasse, spremendoli dal frutto del proprio lavoro. Sono un prestito che facciamo alla politica e che la politica è tenuta a restituirci con le sue opere e a documentarci con rendiconti precisi. Essendo soldi nostri, non solo ci interessa sapere come li spendete, ma saperlo è un nostro diritto. Altro che buttarli dalla finestra o negli stravizi del Trota. In fondo è la stessa forma di rispetto che pretendiamo dal dipendente pubblico, quando allo sportello ci tratta da postulanti. Ma come si permette? Siamo noi a pagargli lo stipendio, perciò deve mettersi al nostro servizio: persino quando siamo insopportabili (a volte lo siamo anche noi). Così almeno diceva mio padre, impiegato statale. È incredibile, ma forse no, come la Lega abbia mutuato dalla burocrazia di Roma ladrona i difetti che canzonava nei comizi delle origini. La visione proprietaria del bene pubblico e dei fondi della comunità. Quel pensiero molto italiano che ciò che è dello Stato non appartenga a nessuno e quindi chiunque ne possa approfittare. Invece appartiene a tutti: impariamo a difenderlo dai Bossi di oggi e possibilmente anche da quelli di domani. http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41 | |
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