Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 5 aprile 2012
SUICIDIO DI MASSA. - di Marco Travaglio
Le carte dell’inchiesta sulla Lega suscita, in
chiunque sia dotato di un milligrammo di
materia grigia, una domanda su tutte: com’è che
siamo arrivati a questo punto? È la stessa
domanda che sgorgava spontanea dalle carte dei casi
Lusi, P3, P4, Enav-Finmeccanica, Cricca,
Monnezzopoli campana, furbetti del quartierino,
Mastella’s, Telecom-Tavaroli, Sismi-Pollari, Tarantini,
Lavitola, Tedesco, Milanese, casa Scajola, casa
Tremonti, casa Lunardi, Malinconico Tours, Regione
Lombardia, giù giù fino a Calciopoli, al
calcioscommesse alle mazzette ai vigili di Roma. Visti
tutti insieme – e chissà quanti ne abbiamo dimenticati
– gli scandali degli ultimi anni fanno impallidire
Tangentopoli, per qualità dei personaggi coinvolti e
per quantità di soldi pubblici rubati. Solo che sono
spalmati nello spazio e nel tempo, dunque vengono
rapidamente dimenticati: chiodo scaccia chiodo, anzi
ladro scaccia ladro. Ma basta alzare lo sguardo e
osservarli dall’alto per avere il quadro di paese di ladri i
quali, diversamente dagli altri paesi, appartengono
tutti alle classi dirigenti e rubano sempre e solo denaro
pubblico. Per ogni appalto truccato, favore indebito,
fondo nero, bilancio truccato, tassa evasa, collusione
malavitosa, cricca o lobby o loggia dedita alla
grassazione, ci sono decine e centinaia di complici,
favoreggiatori e pali che sanno, vedono, aiutano,
tacciono e coprono. Il risultato è un sistema illegale di
massa che coinvolge milioni di italiani e che nessuna
riforma della giustizia o delle carceri, nessun aumento
d’organico di tribunali e forze dell’ordine potrà mai
scoperchiare e punire per intero. Basta aprire un
cassetto per trovare una mazzetta, grattare un
intonaco per scoprire un bilancio falso, sollevare un
sasso per veder sciamare orde di parassiti grassi e
puzzolenti. Per capire lo scandalo Lega non occorre
addentrarsi nelle accuse penali, che spetta ai giudici
valutare: basta e avanza il curriculum di Belsito.
Condannato per guida senza patente, dunque autista
del ministro della Giustizia Biondi, buttafuori da
discoteca, entrato nel cuore dell’Umberto portandogli
le focacce, coinvolto in due crac, titolare di società
private più un diploma fantasma e due lauree per
corrispondenza da Malta e da Londra, dunque
vicetesoriere del partito, deputato, sottosegretario,
membro del Cda Fincantieri, infine tesoriere al posto
di Balocchi che in punto di morte gli passò i segreti dei
“rimborsi elettorali” (41 milioni in 10 anni per
campagne costate 3,5). Il potere di ricatto dei
tesorieri, elisir di eterna vita politica, spiega perché, da
quel ruolo, si esce solo coi piedi in avanti. Quando
Bossi dice “denuncerò chi ha utilizzato i soldi della
Lega per sistemare la mia casa”, la prima tentazione è
farsi una risata e iscriverlo al Partito dell’Insaputa, in
compagnia di Scajola, Malinconico, Fede, Lusi, Rutelli
& C. Ma il guaio è che, viste le pratiche dei partiti e le
condizioni del Senatur, è persino possibile che il
famelico “cerchio magico” di familiari e famigli agisse
alle sue spalle. Se siamo a questo punto è grazie ai
politici (quasi tutti) che hanno smantellato l’a buso
d’ufficio, il falso in bilancio, l’uso di fatture false,
dimezzato la prescrizione, evitato leggi anti-tangenti e
conflitti d’interessi o per la responsabilità giuridica dei
partiti, quadruplicato i “rimbor si”, legalizzato i fondi
neri fino a 50 mila euro l’anno pro capite. Ma anche
grazie al tradimento dei chierici che, dinanzi a
un’emergenza nazionale da 200 miliardi l’anno (tra
evasione e corruzione), raccontano da vent’anni la
favola del “g iustizialismo” e della “guerra tra politica e
ma gistratura”. Intanto il presidente della Commissione
Trasparenza alza le mani in segno di resa. La Severino è
costretta a “consultazioni” con gli sherpa dei partiti
per partorire una legge che esiste da 20 anni in
tutt’Europa. I partiti si fan le pippe su una legge
elettorale che fa rimpiangere il Porcellum. Il capo
dello Stato esala un inutile “monito” al giorno. E il
governo “tecnico” perde tre mesi per l’articolo 18. In
attesa della retata finale.
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