Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 14 luglio 2012
Sulle armi non si bada a spese. - Silvia Cerami
La tanto sbandierata Spending review sui militari prevede solo tagli al personale, ma lascia intatti gli investimenti in caccia, fregate e satelliti, vero pallino del ministro Di Paola che ci costano decine di miliardi di euro l'anno.
«La Difesa, prima ancora che la definizione spending review nascesse, la sua spending review l'ha veramente impostata». Il ministro e ammiraglio Giampaolo Di Paola non ha dubbi. Il tono è marziale e perentorio: «Devo ancora trovare un'altra amministrazione che abbia fatto una proposta così incisiva». Tanto incisiva da salvare le armi.
La tattica messa in campo con il decreto di revisione della spesa e il disegno di legge di riforma del comparto militare prevede infatti di limitarsi a sacrificare qualche fante per strappare al pericolo le campagne di acquisto in armamenti, compresi i tanto contestati F-35. Più che un risparmio, uno spostamento di risorse. Il piano del ministro stabilisce tagli per un miliardo e centomila euro in tre anni, a cui vanno aggiunti i tre miliardi già decurtati ma in parte recuperati da aumenti di bilancio, e la riduzione del 10 per cento dell'organico.
«Una ristrutturazione profonda», non v'è dubbio. Soprattutto se paragonata agli oltre sette miliardi richiesti alla Sanità, ai tagli nell'istruzione e nella giustizia o ai 24mila esuberi nella Pubblica Amministrazione. E proprio in vista del grande sacrificio si è scelto di rigettare l'ipotesi di un taglio di 100 milioni all'anno per la spesa in armamenti. Meglio sottrarre solo poche decine di milioni ai programmi come la mini-naja, il fondo riassunzioni e l'Agenzia Industrie Difesa.
Del resto dall'anno prossimo un militare su dieci lascerà l'esercito. Oltre 20mila unità. Una riduzione talmente significativa da essere, secondo molte associazioni pacifiste, virtuale. Perché sarà ottenuta ove possibile con pre-pensionamenti o trasferimenti, ma per la gran parte degli esuberi si ricorrerà all' 'ausiliaria', una specie di aspettativa che lascia a casa il militare pur riconoscendogli il 95 per cento dello stipendio. Un ammortizzatore privilegiato. Si applica infatti solo per il personale militare, solo in questo comparto. Con buona pace degli esodati. Di fatto la diminuzione dei ranghi si realizzerà dopo diversi anni e il paracadute dell'aspettativa retribuita non produrrà un immediato risparmio per le casse dello Stato. «Pure illazioni» per il generale Domenico Rossi. «Ci sono ancora troppe incognite per formulare una seria ipotesi».
In attesa delle norme attuative vi è la certezza delle missioni all'estero. Su quelle si taglierà. 430 milioni in meno già dal prossimo anno per i contingenti che operano negli scenari caldi del mondo, dal Kosovo alla Libia, passando per l'Afghanistan. Per il 2013 il fondo extra bilancio ammonterà a un miliardo, ma non è ancora chiaro come sarà possibile effettuare queste riduzioni visto l'impegno pluriennale concordato con l'Onu e la Nato. Il ritiro degli oltre 4mila militari impiegati in Afghanistan comporterà infatti consistenti costi logistici.
Quisquiglie, quel che conta è che il ministro Di Paola ha centrato il suo obiettivo: salvare gli investimenti in armamenti. L'elenco è ricco. Una rete di comunicazione satellitare futuristica che unirà i mezzi di terra, mare e cielo in un solo network. Si chiama Forza Nec e la sola progettazione costa 650 milioni, quanto alla spesa complessiva è stimata intorno ai 12 miliardi. E poi le fregate 'FREMM' e ovviamente i caccia F-35. L'Italia si può sentire più sicura: non rinuncerà ai 90 nuovi aerei da combattimento. Poco importa se tutti i paesi partner del progetto si stanno interrogando sull'opportunità della propria partecipazione, Stati Uniti compresi dove il presidente del Comitato sui Servizi Armati del Senato ha chiesto ufficialmente di mantenere «pressione continua» su Pentagono e Lochkeed Martin per ridurre costi e problemi. Di Paola è convinto e si va avanti. Anche se ci si potrebbe fermare. Non si può fare a meno del programma F-35. Nemmeno in tempi di crisi. Emblematiche in tal senso le considerazioni del coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, Francesco Vignarca che giudica: «incredibile l'ostinazione con cui i funzionari del Ministero - anche in audizioni parlamentari - continuano a sostenere che ogni velivolo costerà meno di 80 milioni mentre i dati di base del Pentagono già oggi si attestano su oltre 130 milioni di euro».
Nonostante l'incremento dei costi di oltre il 40 per cento, il ritardo sulle previsioni di ben 6 anni, i problemi tecnici, i ritorni occupazionali messi in dubbio dalla stessa Finmeccanica in una comunicazione ufficiale al Parlamento, l'Italia acquisterà 90 velivoli, con una spesa per il solo acquisto di 12 miliardi di euro, a cui andranno aggiunti i costi di mantenimento ed esercizio. Solo per fare qualche paragone, rinunciando a 10 caccia bombardieri avremmo potuto salvare 18 mila posti letto e con un solo F-35 costruire 183 asili nido per settanta bimbi. Stipendi per insegnanti compresi. Di Paola però è uomo di parola e mantiene le promesse. E' stato infatti lui a sottoscrivere, nel giugno 2002, la partecipazione italiana alla fase di sviluppo del Joint Strike Fighter. E poi da 131 siamo passati a 90. «Il ministro ha già ridotto su F-35, sommergibili, equipaggiamenti. Il tutto in linea con la policy europea che prevede una riduzione del personale in esubero a favore della tecnica. I risparmi devono essere reinvestiti» spiega il generale Vincenzo Camporini, ex-capo di Stato maggiore della Difesa e vicepresidente dell'Istituto Affari Internazionali.
Insomma in tempi di tagli e sacrifici, la spesa militare miracolosamente non cala, ma si rimodula. Ne è convinto persino il presidente e ad di Finmeccanica Giuseppe Orsi che ha rassicurato gli azionisti: «Il decreto sulla spending review appena varato dal Governo non impatta drammaticamente sulle nostre attività». A preoccuparsi sono invece le associazioni protagoniste della campagna 'Taglia le ali alle armi' che hanno già raccolto migliaia di firme di cittadini per chiedere al Parlamento di non approvare questa legge delega e di avviare una seria riforma delle Forze Armate. «230 miliardi di euro di denaro pubblico sottratti ad un Paese, il nostro, in grandissima difficoltà. Se il disegno di legge Di Paola venisse approvato così com'è entrato a Palazzo Madama ci ritroveremmo con un superministro della Difesa, dotato di poteri e autonomia senza pari, capace persino di vendere armi nel mondo. E con uno strumento militare ipertrofico, costosissimo, modellato sui livelli di ambizione di qualche generale e di un complesso industriale che sembra dettare le linee politiche ai politici. Uno strumento vicino più ai campi di battaglia che alla Costituzione" tuona Flavio Lotti coordinatore di Tavola della Pace. Un appello che Pd ed Idv hanno accolto e a cui giurano di opporsi. «Il provvedimento contiene investimenti superiori alle risorse disponibili, un po' come acquistare i mobili prima di aver comprato casa. Ma il punto più grave è il mancato rispetto dell'articolo 11 della Costituzione: un modello Difesa bellico e offensivo anziché improntato al peacekeeping, è assolutamente inaccettabile» nota il Capogruppo dell'Italia dei Valori in Commissione Difesa al Senato, Giuseppe Caforio.
E così, mentre non è ben chiaro quale sia il nostro modello di difesa, meglio rinunciare alle garanzie sociali, piuttosto che a nuovi sistemi d'arma.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/sulle-armi-non-si-bada-a-spese/2187002//0
Nessun commento:
Posta un commento