Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 2 agosto 2012
L' errore di umanizzare gli animali. - Danilo Mainardi
Millenni di convivenza inquinati dal continuo desiderio di trasformarli in quello che non sono e farli simili a noi. L' errore di umanizzare gli animali. A proposito del rapido evolversi e modificarsi del rapporto tra l' uomo e i suoi animali l' ultima notizia riguarda la proposta di legge (del verde Alfonso Pecoraro Scanio) di istituire una mutua, ovviamente veterinaria, per cani, gatti e altri "animali d' affezione", analoga alla nostra mutua medica. Questa proposta segue quella, di cui gia' s' e' recentemente parlato, di inserire i cani nello stato anagrafico delle famiglie in cui vivono. Sembra, pertanto, chiara l' intenzione di codificare, anche con delle leggi, l' idea che questi animali, che spendono con noi la loro vita, che partecipano della nostra ricchezza o poverta' , della nostra affettivita' , dei nostri sbalzi d' umore, che recitano insomma un ruolo molto attivo nella dinamica del gruppo famigliare, vengano considerati parte della famiglia umana. Il riconoscimento, avevo scritto, di un dato di fatto. E avevo citato a sostegno di cio' , l' importanza dell' imprinting, che effettivamente crea una sorta di parentela tra l' uomo e l' animale. Ma resta una domanda: saremo capaci, noi uomini moderni sempre piu' distaccati dalla natura vera, di comprendere che questi esseri cui vogliamo riconoscere la dignita' della parentela e il beneficio della mutua, sono diversi da noi? E' un esercizio, mi pare, non solo eticamente positivo, ma anche praticamente utile per il loro benessere e il sapere rispettarne e apprezzarne la diversita' . Ebbene, penso che l' esercizio sia difficile ed e' la lunga storia del rapporto tra l' uomo e gli altri animali che ci testimonia questa difficolta' . Se ripercorro il tragitto attraverso cui s' e' sviluppata questa interazione di azioni e di conoscenza tra diversi, ho l' impressione che solo in certi momenti, e comunque parzialmente, si sia realizzata la comprensione auspicata. Per quasi tutta la sua storia (centinaia di migliaia di anni contro una decina di migliaia) l' uomo ha vissuto immerso nella natura come cacciatore - raccoglitore. La sua sopravvivenza s' e' per tutto quel tempo basata sulla conoscenza degli animali, perche' questi erano le sue prede, i suoi predatori, i suoi competitori per ogni tipo di risorsa. Doveva saperli riconoscere, sapere dove cercarli per catturarli o evitarli, come combatterli o attrarli. Nella sua mente nozioni di sistematica, comportamento, ecologia, seppure in modo primitivo, dovevano essere presenti. E questo, oltre che essere ovvio, e' anche noto agli antropologi che studiano la cultura delle popolazioni rimaste a questo stile di vita. Mi viene da pensare a quegli africani che si procurano il miele seguendo le tracce di un uccellino (l' indicatore del miele) che fa la guida a un tasso (il ratele) che, con le sue unghie robuste, fa poi a pezzi gli alveari. Quegli africani (se ancora ne esistono) sono dei veri etologi applicati. Cosi' , seppure in modo un po' peculiare e certamente per noi imperfetto, i cacciatori - raccoglitori una conoscenza della diversita' delle forme di vita, e del comportamento animale, l' hanno posseduta. E' durante questo lunghissimo periodo che s' e' scritta nei nostri geni quella curiosita' e attrazione per gli animali che si rinviene nei bambini piccoli, e che poi, purtroppo, una cultura distratta o, peggio ancora, zoofobica, devia o distrugge. Ma, al di la' della spinta conoscitiva innata, un altro meccanismo entra in gioco nella nostra mente: il tentativo di interpretare l' "altro" proiettandovi il "se". E' da qui che nasce quel fenomeno imponente che ha inquinato, e ancora inquina, ogni comprensione del comportamento degli animali: la tendenza a umanizzarli. Da questo "vizio" anche i primitivi cacciatori non erano immuni ma loro, almeno, avevano la possibilita' di verificare e correggere "sul campo" gli errori piu' grossolani. Loro in definitiva sapevano "cosa fanno gli animali". Un fatto e' certo, comunque, ed e' che una qualche tendenza antropomorfizzante e' sempre stata presente. Basti pensare agli animali totem, considerati antenati e parenti. Poi venne la rivoluzione determinata dall' addomesticamento. S' e' trattato davvero di una svolta di grande rilievo sia dal punto di vista della nostra socialita' , che s' e' estesa (specie con gli animali d' affezione) al di fuori della nostra specie, che da quello dell' ecologia, per l' enorme incremento delle risorse dovuto allo sviluppo della pastorizia e dell' agricoltura. Tutti e due questi aspetti interessano il rapporto dell' uomo con gli animali. Del primo, il socio - affettivo, ho gia' detto: con l' imprinting si rafforza l' idea dell' animale parente. Mi preme ancora di piu' , ora, parlare dell' aspetto ecologico. Con l' aumento delle risorse comincia la crescita demografica, nascono i primi villaggi e le prime citta' . Non e' piu' necessario che tutti gli individui si impegnino in ugual modo per procurarsi il cibo. Compaiono di conseguenza le specializzazioni, cioe' i guerrieri, gli scrivani, i pedagoghi, i contabili, i sacerdoti, i muratori, i costruttori di strade e altri ancora. Tutta gente che non aveva piu' la necessita' di un rapporto continuativo e approfondito con la natura, che la natura ha incominciato a ignorarla e di conseguenza a immaginarla, a vederla poi come "foresta", cioe' forestiera, estranea, ostile. E' allora che comincia a prendere forma l' idea dell' uomo al di fuori, o al di sopra, della natura. Che nacquero costruzioni filosofiche, religiose, perfino economiche utili a soffiare sotto il fuoco dell' antropocentrismo. L' animale s' allontana dal quotidiano, diventa alieno, oggetto di meraviglia, di terrore da esorcizzare: non a caso nelle antiche metropoli degli assiri, dei babilonesi, dei persiani, degli aztechi, puntualmente compaiono i primi giardini zoologici con animali in vincoli, sottomessi. E' un dato di fatto: l' animale immaginato piu' che conosciuto, solitamente umanizzato, ha dominato la nostra storia di uomini moderni. Dai bestiari medievali in cui agli animali vengono attribuiti vizi e virtu' umane (con la terribile conseguenza dei processi agli animali) fino, all' estremo opposto, alla costruzione razional - filosofica cartesiana dell' animale - macchina incapace di sentire e di soffrire. Perfino la scienza psicologica, che pure ha molto usato il modello animale, poco ha contribuito alla reale conoscenza della diversita' degli animali. Insomma, io la vedo cosi' : a modo loro, ma almeno i cacciatori - raccoglitori una sapienza pragmatica del comportamento degli animali l' avevano. Dovevano averla per forza. Poi, con rare eccezioni (mi piace ricordare, per certi aspetti di anticipatoria scientificita' , l' ornitologia di Federico II), l' animalita' e' stata piu' immaginata che compresa. Per cominciare a capire qualcosa dei significati del comportamento degli animali, in particolare delle loro capacita' comunicatorie e cognitive, c' e' voluto prima Darwin, poi soprattutto Lorenz, geniale e rivoluzionario fondatore dell' etologia. Ma quanto e' penetrata, nella nostra cultura, questa scienza naturale? Quanto ancora e' forte, invece, la tendenza a umanizzarli, inventandoceli a nostro uso e consumo, invece di imparare a conoscere gli animali per quello che sono? Osservare, rispettare e apprezzare la diversita' dei comportamenti, degli istinti, delle intelligenze: e' questa l' unica strada per conoscere gli animali.
http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/27/errore_umanizzare_gli_animali_co_0_98122711408.shtml
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