Repubblica — 01 maggio 2006 pagina 8 sezione: POLITICA INTERNA
LUGANO - C' è stata un' intermediazione da parte di una persona nota alla giustizia italiana nell' acquisto, in Svizzera, da parte della suocera di Silvio Berlusconi, Flora Bartolini, di una residenza a S-Chanf, in Alta Engadina. A far da tramite è stata Candia Camaggi, fino alla metà degli anni '90 ai vertici della Fininvest Service di Lugano, indagata per frode fiscale e falso in bilancio dai pm di Milano nell' inchiesta sulle presunte irregolarità nell' acquisto di diritti cinematografici da parte di Mediaset. Candia Camaggi, intervistata ieri dal settimanale elvetico "Il Caffè", ha detto: «Visto che vado spesso in Engadina, la signora Bartolini mi ha chiesto, se capitava, di segnalarle una casa in vendita. Non vedo cosa ci sia di male». Nei Grigioni non sanno chi sia Candia Camaggi, ma sono in tanti a volerci veder chiaro, nell' acquisto della casa di S-Chanf, da parte della suocera di Berlusconi. «Il problema principale è che la signora Bartolini ha ottenuto la residenza a S-Chanf, ma non si è mai vista in paese» dice Romedi Arquint, parlamentare socialista nei Grigioni, autore dell' atto parlamentare che ha scatenato questa polemica. Ma - secondo lei - come ha ottenuto la residenza, se non risiede lì? «La signora ha fatto sicuramente un accordo fiscale interessante con il Canton Grigioni, cìò che è sufficiente perché nessuno vada a controllare se vive, davvero qui o no» risponde Arquint. Lei, signor Arquint, forse ce l' ha con Berlusconi... «C' è l' ho con tutti quelli che aggirano le leggi. In Svizzera le vendite di immobili agli stranieri non domiciliati sono contingentate». Intanto il clamore del caso ha indotto le autorità a dare risposte pubbliche. Mercoledì alcuni funzionari del Canton Grigioni incontreranno la popolazione di S-Chanf e spiegheranno come funziona la legge nei casi degli stranieri residenti. - FRANCO ZANTONELLI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/05/01/svizzera-altre-polemiche-su-casa-berlusconi.html
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 10 maggio 2009
«Fondi Mediaset, ecco il patto segreto»
L'avvocato Mills: nel '94 a casa di Berlusconi
«Fondi Mediaset, ecco il patto segreto»
Secondo il legale inglese, «la richiesta era di creare società per dare parte del patrimonio ai figli»
MILANO - Procura di Milano, domenica 18 luglio 2004. I pm dell’inchiesta Mediaset interrogano in via riservatissima un grande avvocato inglese, David Mackenzie Mills, marito del ministro Tessa Jowell del governo Blair e parente del procuratore capo di Londra. I magistrati, Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo, mostrano a Mills il documento-chiave di tutta l’indagine: la prova scritta, secondo i pm, che Silvio Berlusconi e i suoi figli Marina e Piersilvio, invece di pagare le tasse sui profitti delle loro tv, avrebbero direttamente incamerato almeno 280 milioni di euro, nascosti sui conti segreti di una sistema di società fiduciarie («trust»).
Il documento, depositato solo ora con l’avviso di chiusura dell’inchiesta notificato ai difensori, descrive la catena di controllo delle due più ricche società-cassaforte: Accent e Timor, poi ribattezzate Century One e Universal One. Mentre i pm lo informano che non è più testimone, ma indagato, l’avvocato Mills sbianca. E poi vuota il sacco: «I beneficiari economici delle società Accent e Timor erano rispettivamente Marina e Piersilvio Berlusconi, come è scritto chiaramente nel documento. I nuovi nomi Century One e Universal One ci sono stati suggeriti da persone della Fininvest, a memoria Candia Camaggi, perché si volevano nomi che avessero a che fare con il mondo del cinema».
Queste due sigle sono alla base dell’impero televisivo di Berlusconi: sono le società off-shore che hanno venduto alla Fininvest i diritti di trasmissione dell’enorme magazzino di film americani poi ereditati da Mediaset con la quotazione in borsa. Proprio la manager svizzera Candia Camaggi (moglie di Giancarlo Foscale, primo cugino di Berlusconi) aveva raccontato a pm di Tangentopoli, fin dal ’94, che quelle due società sarebbero appartenute a «ex dirigenti delle major». A sentir lei, insomma, erano le grandi case cinematografiche statunitensi a imporre quelle due intermediarie off-shore. Da allora tutti i difensori hanno ripetuto la stessa versione: «Sono società del tutto estranee a Fininvest e Mediaset». Di fronte al documento intitolato «Proposed Holding Structure», invece, l’avvocato Mills mette a verbale tutta un’altra storia: «Io sapevo che Livio Gironi (il tesoriere della Fininvest, ndr ) era direttamente legato a Silvio Berlusconi, che era l’uomo che amministrava il patrimonio personale.
Ho avuto conferma di questo fatto in un incontro per me importante, avvenuto a Milano in quella che credo fosse la casa di Berlusconi: era una villa con un bellissimo giardino e una biblioteca a due piani, in legno... Fu in quell’occasione che Gironi mi disse che bisognava fare un’operazione: lo scopo fondamentale era destinare una parte del patrimonio privato di Silvio Berlusconi ai figli del suo primo matrimonio. L’idea era costruire due veicoli societari che dovevano fare trading (intermediazione) sui diritti e quindi ottenere profitti, che si voleva fossero destinati a Marina e Piersilvio». «Il documento l’ho scritto io - confessa Mills - con le indicazioni che mi ha dato Gironi: fu lui a dirmi che la cosa doveva restare assolutamente riservata e quindi era necessaria una banca fuori d’Italia. Fu sempre Gironi a sottolineare che i figli sarebbero stati i beneficiari, ma la gestione pratica doveva essere sempre soggetta al consenso di Silvio Berlusconi, che nel documento viene denominato "X".
Il punto 5 serve a spiegare in modo semplice cosa sia un "trust": era necessario perché Berlusconi comprendesse anche l’aspetto legale. Ovviamente nella famiglia hanno fatto le loro valutazioni e poi Vanoni (manager ora indagato, ndr ) mi ha riferito alcune modificazioni. Prima di tutto il documento non sarebbe stato firmato da Silvio Berlusconi ma dai due figli, che così avrebbero assunto il doppio ruolo di costituente ("settlor") e di beneficiario. Inoltre si voleva legare la possibilità di compiere atti di disposizione al consenso di alcune persone di fiducia di Silvio Berlusconi: intendo dire Gironi, Foscale e Confalonieri, che rappresentavano la volontà di Berlusconi». Secondo Mills, dunque, Marina e Piersilvio avrebbero ricevuto in regalo le due società-forziere con i profitti esentasse degli anni ’90, ma per prelevare i soldi dovevano chiedere il permesso allo zio o ai più fedeli collaboratori di papà: padroni sì, ma sempre sotto mister X.
Paolo Biondani 23 febbraio 2005
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/02_Febbraio/23/mediaset.shtml
«Fondi Mediaset, ecco il patto segreto»
Secondo il legale inglese, «la richiesta era di creare società per dare parte del patrimonio ai figli»
MILANO - Procura di Milano, domenica 18 luglio 2004. I pm dell’inchiesta Mediaset interrogano in via riservatissima un grande avvocato inglese, David Mackenzie Mills, marito del ministro Tessa Jowell del governo Blair e parente del procuratore capo di Londra. I magistrati, Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo, mostrano a Mills il documento-chiave di tutta l’indagine: la prova scritta, secondo i pm, che Silvio Berlusconi e i suoi figli Marina e Piersilvio, invece di pagare le tasse sui profitti delle loro tv, avrebbero direttamente incamerato almeno 280 milioni di euro, nascosti sui conti segreti di una sistema di società fiduciarie («trust»).
Il documento, depositato solo ora con l’avviso di chiusura dell’inchiesta notificato ai difensori, descrive la catena di controllo delle due più ricche società-cassaforte: Accent e Timor, poi ribattezzate Century One e Universal One. Mentre i pm lo informano che non è più testimone, ma indagato, l’avvocato Mills sbianca. E poi vuota il sacco: «I beneficiari economici delle società Accent e Timor erano rispettivamente Marina e Piersilvio Berlusconi, come è scritto chiaramente nel documento. I nuovi nomi Century One e Universal One ci sono stati suggeriti da persone della Fininvest, a memoria Candia Camaggi, perché si volevano nomi che avessero a che fare con il mondo del cinema».
Queste due sigle sono alla base dell’impero televisivo di Berlusconi: sono le società off-shore che hanno venduto alla Fininvest i diritti di trasmissione dell’enorme magazzino di film americani poi ereditati da Mediaset con la quotazione in borsa. Proprio la manager svizzera Candia Camaggi (moglie di Giancarlo Foscale, primo cugino di Berlusconi) aveva raccontato a pm di Tangentopoli, fin dal ’94, che quelle due società sarebbero appartenute a «ex dirigenti delle major». A sentir lei, insomma, erano le grandi case cinematografiche statunitensi a imporre quelle due intermediarie off-shore. Da allora tutti i difensori hanno ripetuto la stessa versione: «Sono società del tutto estranee a Fininvest e Mediaset». Di fronte al documento intitolato «Proposed Holding Structure», invece, l’avvocato Mills mette a verbale tutta un’altra storia: «Io sapevo che Livio Gironi (il tesoriere della Fininvest, ndr ) era direttamente legato a Silvio Berlusconi, che era l’uomo che amministrava il patrimonio personale.
Ho avuto conferma di questo fatto in un incontro per me importante, avvenuto a Milano in quella che credo fosse la casa di Berlusconi: era una villa con un bellissimo giardino e una biblioteca a due piani, in legno... Fu in quell’occasione che Gironi mi disse che bisognava fare un’operazione: lo scopo fondamentale era destinare una parte del patrimonio privato di Silvio Berlusconi ai figli del suo primo matrimonio. L’idea era costruire due veicoli societari che dovevano fare trading (intermediazione) sui diritti e quindi ottenere profitti, che si voleva fossero destinati a Marina e Piersilvio». «Il documento l’ho scritto io - confessa Mills - con le indicazioni che mi ha dato Gironi: fu lui a dirmi che la cosa doveva restare assolutamente riservata e quindi era necessaria una banca fuori d’Italia. Fu sempre Gironi a sottolineare che i figli sarebbero stati i beneficiari, ma la gestione pratica doveva essere sempre soggetta al consenso di Silvio Berlusconi, che nel documento viene denominato "X".
Il punto 5 serve a spiegare in modo semplice cosa sia un "trust": era necessario perché Berlusconi comprendesse anche l’aspetto legale. Ovviamente nella famiglia hanno fatto le loro valutazioni e poi Vanoni (manager ora indagato, ndr ) mi ha riferito alcune modificazioni. Prima di tutto il documento non sarebbe stato firmato da Silvio Berlusconi ma dai due figli, che così avrebbero assunto il doppio ruolo di costituente ("settlor") e di beneficiario. Inoltre si voleva legare la possibilità di compiere atti di disposizione al consenso di alcune persone di fiducia di Silvio Berlusconi: intendo dire Gironi, Foscale e Confalonieri, che rappresentavano la volontà di Berlusconi». Secondo Mills, dunque, Marina e Piersilvio avrebbero ricevuto in regalo le due società-forziere con i profitti esentasse degli anni ’90, ma per prelevare i soldi dovevano chiedere il permesso allo zio o ai più fedeli collaboratori di papà: padroni sì, ma sempre sotto mister X.
Paolo Biondani 23 febbraio 2005
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/02_Febbraio/23/mediaset.shtml
Patrimoni orali ed immateriali.
I capolavori del patrimonio orale e immateriale dell'umanità sono quelle espressioni della cultura immateriale del mondo che l'UNESCO ha inserito in un apposito elenco, per sottolineare l'importanza che esse hanno secondo tale organizzazione. I capolavori immateriali si affiancano ai siti patrimonio dell'umanità: mentre questi ultimi rappresentano delle cose tangibili (come una foresta, una montagna, un lago, un deserto, una città, un edificio o un complesso archeologico), i primi rappresentano antiche tradizioni che spesso non hanno una codifica "scritta" ma che vengono tramandate oralmente nel corso delle generazioni. L'UNESCO si è posto il problema di salvaguardare questi capolavori per evitarne la scomparsa, allo stesso modo di come è già stato fatto per i beni materiali.
La prima lista venne stilata nel 2001 e comprendeva 19 voci, cui se ne sono aggiunte altre 28 nel 2003. Un ulteriore elenco è stato reso pubblico il 25 novembre 2005.
Ogni capolavoro viene proposto da uno o più paesi. Altri sono proposti da un paese solo ma con il sostegno di uno o più altri paesi.
La prima lista venne stilata nel 2001 e comprendeva 19 voci, cui se ne sono aggiunte altre 28 nel 2003. Un ulteriore elenco è stato reso pubblico il 25 novembre 2005.
Ogni capolavoro viene proposto da uno o più paesi. Altri sono proposti da un paese solo ma con il sostegno di uno o più altri paesi.
Continua nel link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Patrimoni_orali_e_immateriali_dell%27umanit%C3%A0
Berlusconi: «Sì ai rimpatri, non apriremo le porte a tutti»
«Non faremo come la sinistra che vuole un'Italia multietnica». Critiche dal Pd: «Pluralismo e rispetto»
NOTIZIE CORRELATE
L’asilo negato senza verifiche (9 maggio 2009)
La chiesa e gli immigrati respinti: «Diritti a rischio» (9 maggio 2009)
Silvio BerlusconiROMA - «Nessuno scandalo» per il caso degli immigrati respinti e ricondotti in Libia. Silvio Berlusconi appoggia la linea dura di Roberto Maroni. E rilancia: «Si deve fare chiarezza sulle due visioni - afferma il presidente del Consiglio. - La sinistra con i suoi precedenti governi aveva aperto le porte ai clandestini provenienti da tutti i Paesi. Quindi l'idea della sinistra era ed è quella di un'Italia multietnica. La nostra idea non è così». Per questo, dice Berlusconi, «non apriremo le porte a tutti come la sinistra». La linea del governo in maniera d'immigrazione è quella dell'«accoglimento solo per chi» ha diritto «all'asilo politico», e cioè «coloro che mettono piede sul nostro suolo, intendendo anche le acque territoriali». Per il resto, prosegue il premier, «vale il nostro diritto di respingere», non si violano «gli accordi internazionali», fermo restando che in mare verranno forniti «tutti i tipi di assistenza».
Continua nel link:
http://www.corriere.it/politica/09_maggio_09/maroni_immigrati_respinti_da84e542-3ca2-11de-a760-00144f02aabc.shtml
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Carte spagnole contro Fininvest Provocò un crac a Telecinco
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/05/01/carte-spagnole-contro-fininvest-provoco-un-crac.html
ROMA - Il cosiddetto «gruppo B» Fininvest, la corona di 64 società offshore che ne puntellavano la doppia contabilità, non è più soltanto affare italiano. Quattro fax, pubblicati ieri dal quotidiano spagnolo El Mundo, accusano Silvio Berlusconi di aver stornato, nella prima metà degli anni '90, 21 miliardi di pesetas (252 miliardi di lire) dalle casse della rete tv Telecinco, di cui è stato azionista, verso tre società offshore del comparto riservato Fininvest attraverso operazioni di compravendita di diritti cinematografici e di sfruttamento televisivo di eventi sportivi. Con un unico esito, annota El Mundo: «Provocare importanti perdite nei conti di Telecinco (58 miliardi di pesetas nel '95, 696 miliardi di lire) che portarono ad una serie di licenziamenti, mentre i guadagni di Berlusconi crescevano in modo spettacolare». La storia, così come ricostruita dal quotidiano madrileno, ha un' immediata ricaduta spagnola. Dimostrerebbe come Berlusconi abbia mentito al giudice che su di lui indaga. Quel Baltazar Garzon cui il proprietario di Fininvest ha sin qui negato ogni legame tra il suo gruppo e le società che mediarono con Telecinco l' acquisto dei diritti tv. Ma la storia - lo vedremo - ha un altrettanto immediato e importante rimbalzo italiano. Perché lì dove i documenti di El Mundo non arrivano, lì dove, in altri termini, i quattro fax non sono in grado di stabilire con completezza il ruolo del gruppo Fininvest nell' operazione di asserito «svuotamento» delle casse di Telecinco, a definire il quadro provvedono, come Repubblica è in grado di documentare, le 800 pagine della perizia della società internazionale di revisione contabile KPMG depositate nei mesi scorsi presso la Procura della Repubblica di Milano. Proviamo dunque ad ordinare i fatti. < ***& Scrive El Mundo: all' inizio degli anni '90, Telecinco - controllata da Silvio Berlusconi attraverso un sistema di partecipazioni in parte trasparenti, in parte mediate da catene societarie, che lo rendono di fatto l' azionista di maggioranza - si impegna a comprare da Redeespana, società del gruppo Berlusconi, l' intera produzione cinematografica americana e un 50 per cento della restante produzione potenzialmente acquisibile dalla rete. E questo sulla base di un prezzo ed una composizione di pacchetti lasciati alla libera determinazione della stessa società venditrice. Redeespana, per l' appunto. Gli interlocutori finanziari di Telecinco, tuttavia, rapidamente mutano. I diritti del contratto di compravendita stipulato con Redeespana vengono da questa ceduti a Reteeuropa Bv, altra società del gruppo Fininvest, e da questa all' olandese Rinoba. In un fax datato 3 aprile 1990 - documenta il quotidiano spagnolo - Candia Camaggi, fiduciario svizzero della Fininvest service sa., informa infatti Telecinco dell' avvenuta cessione. Circostanza del resto confermata da due ulteriori comunicazioni del 28 febbraio e del 5 ottobre del '92 con cui, ancora una volta, Fininvest service indica in Rinoba la società distributrice dei titoli «Russians are coming», «Valentino» e «West side story». Rinoba - documenta ancora El Mundo - agisce a nome di Reteitalia, vale a dire del gruppo Fininvest. Così come a Fininvest fanno capo «altre due società che hanno contribuito a svuotare le casse di Telecinco: le società ungheresi Magyar e Arner Kft, che poterono godere da parte del gruppo Berlusconi della cancellazione di debiti per 53 e 5 milioni di dollari». Il cerchio, insomma, sarebbe chiuso. Telecinco è obbligata dal suo «vero» proprietario - Silvio Berlusconi - a corrispondere a società solo «formalmente terze», ma di fatto nel suo controllo - Rinoba, Magyar, Arner - compensi per diritti tv che ne piegano le finanze. Mentre i profitti dell' operazione, almeno fino ai primi anni ' 90, vengono parcheggiati su conti offshore del gruppo Fininvest. Non sfugge che la nettezza delle conclusioni tratte dal quotidiano spagnolo presuppone che si dia risposta ad una altrettanto netta domanda: i documenti in possesso di El Mundo e del giudice Baltazar Garzon, a tutt' oggi in attesa di risposta ad alcune rogatorie svizzere, sono sufficienti da soli a concludere senza ombra di dubbio che quelle tre società - Rinoba, Magyar, Arner - siano effettivamente appartenute al gruppo Fininvest? <****& Tre settimane fa, Repubblica ha dato ampio conto del contenuto delle 800 pagine della perizia della società di revisione internazionale KPMG sui bilanci del gruppo Fininvest. Ed è a quelle pagine che è utile tornare per capire cosa siano «Rinoba», «Magyar», «Arner», «Fininvest service sa», «Reteeuropa» e il perché lungo questa catena vennero movimentati centinaia di miliardi. Che «Reteeuropa» sia società riconducibile a Berlusconi appare pacifico. Il 28 gennaio 1987 - scrivono i periti di Kpmg - il contratto di acquisto della villa alle Bermuda del proprietario di Fininvest viene infatti «sottoscritto per procura da Claudio Fano per conto di Silvio Berlusconi, indicato come Presidente della Fininvest e presidente del Consiglio di amministrazione della Reteeuropa limited». E' certo dunque che nella catena di cessioni dei diritti tv di Telecinco, almeno fino al momento in cui questi stazionano nel portafoglio di Reteeuropa, il collegamento con Fininvest sia inoppugnabile. Ma dopo? Scrive KPMG: «Le società Rinoba, Magyar, Arner hanno avuto caratteristiche simili a quelle incluse nell' elenco delle 64 società del gruppo B, il cosiddetto comparto riservato Fininvest». «Sebbene possedute da soggetti esterni al gruppo Fininvest o alle società del gruppo B della Fininvest avrebbero agito, nella sostanza, come società controllate per intervenire in specifiche operazioni». Tra l' altro - e in particolare - per la compravendita di diritti televisivi. «In Spagna come in Germania». Del resto, «Rinoba» - ricordano i periti di KPMG - già era stata oggetto delle curiosità dei primi revisori contabili dei bilanci Fininvest, la «Arthur Andersen», che la avevano definita «società solo formalmente terza, in quanto sembra appartenga sostanzialmente al gruppo Fininvest». Un' intuizione cui KPMG dà sostanza documentale iscrivendola, nonostante la sua formale veste di «controparte commerciale nella compravendita dei diritti tv», a quella catena di società che «hanno evidenziato le seguenti caratteristiche: essere state amministrate dai gruppi Arner per conto Fininvest e su basi fiduciarie; avere avuto conti presso la Finter bank & Trust di Nassau; aver avuto rapporti finanziari con società del gruppo B della Fininvest; aver avuto azionisti ed organi amministrativi comuni con società del gruppo B». E se «Rinoba» era uno schermo, altrettanto - conclude KPMG - lo erano Magyar e Arner, le due società ungheresi che figurano nella matassa spagnola. Non da sole, come KPMG segnala, perché di catene societarie, su Madrid, Fininvest ne allungò più d' una. Con un unico scopo. O, quantomeno, con uno scopo prevalente: «Sfruttare i trattati contro le doppie imposizioni, in modo da minimizzare l' impatto fiscale». Ecco dunque perché i denari che lasciano Madrid approdano a conti accesi da società ungheresi e olandesi su piazze offshore. Ecco perché, a segnalarne l' urgenza, provvede via fax Candia Camaggi della «Fininvest service sa», il cui ruolo - come riportato dalla perizia KPMG - ben descrive David Mills, l' architetto del comparto riservato Fininvest: «Tutte le operazioni con le majors erano organizzate da Fininvest service sa di Lugano. Candia Camaggi aveva responsabilità e poteri amministrativi per le varie società, costituite proprio per sfruttare le agevolazioni fiscali. Si trattava, a prescindere dalla denominazione, sempre di società della Fininvest». - CARLO BONINI PIER FRANCESCO FEDRIZZI
ROMA - Il cosiddetto «gruppo B» Fininvest, la corona di 64 società offshore che ne puntellavano la doppia contabilità, non è più soltanto affare italiano. Quattro fax, pubblicati ieri dal quotidiano spagnolo El Mundo, accusano Silvio Berlusconi di aver stornato, nella prima metà degli anni '90, 21 miliardi di pesetas (252 miliardi di lire) dalle casse della rete tv Telecinco, di cui è stato azionista, verso tre società offshore del comparto riservato Fininvest attraverso operazioni di compravendita di diritti cinematografici e di sfruttamento televisivo di eventi sportivi. Con un unico esito, annota El Mundo: «Provocare importanti perdite nei conti di Telecinco (58 miliardi di pesetas nel '95, 696 miliardi di lire) che portarono ad una serie di licenziamenti, mentre i guadagni di Berlusconi crescevano in modo spettacolare». La storia, così come ricostruita dal quotidiano madrileno, ha un' immediata ricaduta spagnola. Dimostrerebbe come Berlusconi abbia mentito al giudice che su di lui indaga. Quel Baltazar Garzon cui il proprietario di Fininvest ha sin qui negato ogni legame tra il suo gruppo e le società che mediarono con Telecinco l' acquisto dei diritti tv. Ma la storia - lo vedremo - ha un altrettanto immediato e importante rimbalzo italiano. Perché lì dove i documenti di El Mundo non arrivano, lì dove, in altri termini, i quattro fax non sono in grado di stabilire con completezza il ruolo del gruppo Fininvest nell' operazione di asserito «svuotamento» delle casse di Telecinco, a definire il quadro provvedono, come Repubblica è in grado di documentare, le 800 pagine della perizia della società internazionale di revisione contabile KPMG depositate nei mesi scorsi presso la Procura della Repubblica di Milano. Proviamo dunque ad ordinare i fatti. < ***& Scrive El Mundo: all' inizio degli anni '90, Telecinco - controllata da Silvio Berlusconi attraverso un sistema di partecipazioni in parte trasparenti, in parte mediate da catene societarie, che lo rendono di fatto l' azionista di maggioranza - si impegna a comprare da Redeespana, società del gruppo Berlusconi, l' intera produzione cinematografica americana e un 50 per cento della restante produzione potenzialmente acquisibile dalla rete. E questo sulla base di un prezzo ed una composizione di pacchetti lasciati alla libera determinazione della stessa società venditrice. Redeespana, per l' appunto. Gli interlocutori finanziari di Telecinco, tuttavia, rapidamente mutano. I diritti del contratto di compravendita stipulato con Redeespana vengono da questa ceduti a Reteeuropa Bv, altra società del gruppo Fininvest, e da questa all' olandese Rinoba. In un fax datato 3 aprile 1990 - documenta il quotidiano spagnolo - Candia Camaggi, fiduciario svizzero della Fininvest service sa., informa infatti Telecinco dell' avvenuta cessione. Circostanza del resto confermata da due ulteriori comunicazioni del 28 febbraio e del 5 ottobre del '92 con cui, ancora una volta, Fininvest service indica in Rinoba la società distributrice dei titoli «Russians are coming», «Valentino» e «West side story». Rinoba - documenta ancora El Mundo - agisce a nome di Reteitalia, vale a dire del gruppo Fininvest. Così come a Fininvest fanno capo «altre due società che hanno contribuito a svuotare le casse di Telecinco: le società ungheresi Magyar e Arner Kft, che poterono godere da parte del gruppo Berlusconi della cancellazione di debiti per 53 e 5 milioni di dollari». Il cerchio, insomma, sarebbe chiuso. Telecinco è obbligata dal suo «vero» proprietario - Silvio Berlusconi - a corrispondere a società solo «formalmente terze», ma di fatto nel suo controllo - Rinoba, Magyar, Arner - compensi per diritti tv che ne piegano le finanze. Mentre i profitti dell' operazione, almeno fino ai primi anni ' 90, vengono parcheggiati su conti offshore del gruppo Fininvest. Non sfugge che la nettezza delle conclusioni tratte dal quotidiano spagnolo presuppone che si dia risposta ad una altrettanto netta domanda: i documenti in possesso di El Mundo e del giudice Baltazar Garzon, a tutt' oggi in attesa di risposta ad alcune rogatorie svizzere, sono sufficienti da soli a concludere senza ombra di dubbio che quelle tre società - Rinoba, Magyar, Arner - siano effettivamente appartenute al gruppo Fininvest? <****& Tre settimane fa, Repubblica ha dato ampio conto del contenuto delle 800 pagine della perizia della società di revisione internazionale KPMG sui bilanci del gruppo Fininvest. Ed è a quelle pagine che è utile tornare per capire cosa siano «Rinoba», «Magyar», «Arner», «Fininvest service sa», «Reteeuropa» e il perché lungo questa catena vennero movimentati centinaia di miliardi. Che «Reteeuropa» sia società riconducibile a Berlusconi appare pacifico. Il 28 gennaio 1987 - scrivono i periti di Kpmg - il contratto di acquisto della villa alle Bermuda del proprietario di Fininvest viene infatti «sottoscritto per procura da Claudio Fano per conto di Silvio Berlusconi, indicato come Presidente della Fininvest e presidente del Consiglio di amministrazione della Reteeuropa limited». E' certo dunque che nella catena di cessioni dei diritti tv di Telecinco, almeno fino al momento in cui questi stazionano nel portafoglio di Reteeuropa, il collegamento con Fininvest sia inoppugnabile. Ma dopo? Scrive KPMG: «Le società Rinoba, Magyar, Arner hanno avuto caratteristiche simili a quelle incluse nell' elenco delle 64 società del gruppo B, il cosiddetto comparto riservato Fininvest». «Sebbene possedute da soggetti esterni al gruppo Fininvest o alle società del gruppo B della Fininvest avrebbero agito, nella sostanza, come società controllate per intervenire in specifiche operazioni». Tra l' altro - e in particolare - per la compravendita di diritti televisivi. «In Spagna come in Germania». Del resto, «Rinoba» - ricordano i periti di KPMG - già era stata oggetto delle curiosità dei primi revisori contabili dei bilanci Fininvest, la «Arthur Andersen», che la avevano definita «società solo formalmente terza, in quanto sembra appartenga sostanzialmente al gruppo Fininvest». Un' intuizione cui KPMG dà sostanza documentale iscrivendola, nonostante la sua formale veste di «controparte commerciale nella compravendita dei diritti tv», a quella catena di società che «hanno evidenziato le seguenti caratteristiche: essere state amministrate dai gruppi Arner per conto Fininvest e su basi fiduciarie; avere avuto conti presso la Finter bank & Trust di Nassau; aver avuto rapporti finanziari con società del gruppo B della Fininvest; aver avuto azionisti ed organi amministrativi comuni con società del gruppo B». E se «Rinoba» era uno schermo, altrettanto - conclude KPMG - lo erano Magyar e Arner, le due società ungheresi che figurano nella matassa spagnola. Non da sole, come KPMG segnala, perché di catene societarie, su Madrid, Fininvest ne allungò più d' una. Con un unico scopo. O, quantomeno, con uno scopo prevalente: «Sfruttare i trattati contro le doppie imposizioni, in modo da minimizzare l' impatto fiscale». Ecco dunque perché i denari che lasciano Madrid approdano a conti accesi da società ungheresi e olandesi su piazze offshore. Ecco perché, a segnalarne l' urgenza, provvede via fax Candia Camaggi della «Fininvest service sa», il cui ruolo - come riportato dalla perizia KPMG - ben descrive David Mills, l' architetto del comparto riservato Fininvest: «Tutte le operazioni con le majors erano organizzate da Fininvest service sa di Lugano. Candia Camaggi aveva responsabilità e poteri amministrativi per le varie società, costituite proprio per sfruttare le agevolazioni fiscali. Si trattava, a prescindere dalla denominazione, sempre di società della Fininvest». - CARLO BONINI PIER FRANCESCO FEDRIZZI
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