A che punto siamo con le leggi salvapremier?
Abbastanza nel casino. Si sta procedendo su strade diverse. Da un lato la norma che dovrebbe abbreviare i processi, dall’altra l’idea di un nuovo Lodo Alfano per la alte cariche dello Stato, infine l’ipotesi (abbastanza tramontata) di reintrodurre semplicemente l’immuntà parlamentare, che ovviamente includerebbe anche il premier.
Partiamo dalla prima.
Per il “processo breve” i finiani e il resto della maggioranza stanno continuando a trattare su alcuni aspetti, come la durata dei diversi gradi di giudizio e l’articolo che escludeva gli immigrati irregolari. Se trovano un accordo, la legge dovrebbe passare al Senato prima di Natale e alla Camera forse entro febbraio-marzo. Ma c’è il rischio che a Montecitorio venga modificato qualcosa e allora la discussione torni a Palazzo Madama, quindi si arrivi almeno all’estate per l’approvazione.
Basterebbe a salvare Berlusconi?
Per quanto riguarda i due dibattimenti già iniziati (Mills e fondi neri Mediaset) forse sì, ma dipende da diverse variabili, a iniziare dalla durata massima che verrà alla fine stabilita per il primo grado, che potrebbe passare da due a tre anni; oltre che dai vari “legittimi impedimenti” che il premier potrebbe addurre per fare rinviare le udienze. In ogni caso Berlusconi non si fida, anche perché può arrivare nel frattempo il rinvio a giudizio per la questione Mediatrade, senza contare quello che sta succedendo a Palermo.
Che cosa sta succedendo a Palermo?
Ad esempio, continuano a saltare fuori i pizzini passati da Provenzano al defunto sindaco mafioso Vito Ciancimino. Ieri ne è uscito uno del 2000 in cui Provenzano scriveva a Ciancimino: «Abbiamo parlato con il nostro amico senatore per quella questione (…) hanno fatto una riunione e sono tutti d’accordo».
E chi era quel senatore?Ovvio che nessuno può dirlo, ma tutti pensano a uno stretto collaboratore del premier già condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. E poi da Palermo potrebbe uscire altro.
Tipo?
Il pentito Gaspare Spatuzza testimonierà il 4 dicembre prossimo al processo d’appello a Dell’Utri. Spatuzza ha già messo a verbale la dichiarazione secondo cui il suo boss, Graviano, nel ‘94 gli aveva detto che Berlusconi si era accordato con la mafia per un patto politico-elettorale tra Cosa Nostra e Forza Italia, intermediario lo stesso Dell’Utri.
E quindi?E quindi con queste previsioni a Berlusconi la legge sul processo breve rischia di non bastare più. Per stare tranquillo, avrebbe bisogno dell’immunità.
Un altro lodo Alfano?
Sì, ma dopo la bocciatura della Consulta non è facile. Bisognerebbe fare una legge costituzionale, con tempi lunghi e modalità complesse: una modifica della Costituzione deve essere approvata da ciascun ramo del Parlamento con due distinte deliberazioni, tra le quali devono trascorrere almeno tre mesi. Nel caso in cui la deliberazione, nella seconda votazione di ciascuna delle Camere, non sia avvenuta a maggioranza di due terzi, si andrebbe poi a un referendum confermativo. Lo stesso dicasi per la reintroduzione dell’immunità parlamentare, che è stata ventilata per qualche giorno ma che pure avrebbe bisogno di una revisione costituzionale.
E quindi?
Quindi in questi giorni c’è chi (come uno degli avvocati di Berlusconi, Gaetano Pecorella) ha ipotizzato una “legge-ponte” che metta al riparo il premier in attesa di una modifica della Costituzione.
Così a occhio sembra una porcheria pazzesca..In effetti è tutto da vedere che Napolitano firmi una roba del genere. Però uno spiraglio c’è.
Quale?
L’Udc di Casini sostiene che basterebbe approvare una leggina di pochi righe che blocchi i procedimenti contro il premier per legittimo impedimento fine a fine mandato.
Perché Casini sostiene una cosa del genere?Perché lui pensa che tutta Italia è bloccata attorno ai processi di Berlusconi, meglio dare al premier un salvacondotto fino a fine legislatura che rottamare migliaia di processi con norme come quella sul processo breve.
E a Berlusconi questa cosa andrebbe bene?
Certo che sì, ma non è facile né farla votare dalla componente finiana del Pdl né farla passare dal Quirinale come se niente fosse.
E poi rischierebbe una nuova bocciatura della Consulta.Sì, in effetti se passa come legge ordinaria c’è anche questo rischio, ma è secondario perché comunque così il premier guadagnerebbe un anno, che è quel che gli serve per far passare nel frattempo un nuovo lodo Alfano come legge di revisione costituzionale.
Quindi?
Quindi Berlusconi in queste settimane è nervoso come non lo era mai stato, questo ormai lo ammettono perfino i giornali del premier. Perché il Cavaliere è incerto sulle diverse ipotesi per salvarsi – con i vari Ghedini, Pecorella e Alfano che litigano tra di loro sulla strategia migliore – e teme che nessuna scelta lo metta completamente al sicuro, anche perché deve prima passare attraverso le forche caudine di Fini e (poi, eventualmente) di Napolitano. Per questo ogni tanto fa balenare – magari via Schifani – l’ipotesi di elezioni anticipate, soprattutto per spaventare Fini. Salvo poi ritirare la mano.
E perché ritira la mano?
Perché non le può indire lui, le elezioni anticipate. Lui può solo dimettersi, poi Napolitano potrebbe tranquillamente dare l’incarico a un altro, tipo lo stesso Fini o Casini. E quest’ultimo ha già detto che «in Parlamento una nuova maggioranza si troverebbe in dieci minuti». Per Berlusconi sarebbe lo scenario più agghiacciante: fuori dal governo e senza una maggioranza che lo mette al riparo dai processi.
E quindi?
E quindi vedremo come ne escono i consiglieri legali del premier, e a quale lui darà ascolto. Al momento l’ipotesi più probabile è ancora quella che passi in primavera la legge sul processo breve, e poi si vedrà se e cosa succede agli altri eventuali procedimenti. Con il premier ancora a Palazzo Chigi ma sulla graticola chissà fino a quando. Che poi è quello che vuole Fini e in un certo senso anche il Pd.
Anche il Pd?
Sì, perché Bersani ha bisogno di tempo. Tempo per ricostruire il partito (non siamo nemmeno arrivati alle nomine interne), per radicarlo sul territorio, e soprattutto per far nascere il partito di centro Rutelli-Casini con cui spera di fare asse alle prossime politiche per conquistare la maggioranza. Ma in Italia tutto è in movimento, sempre, e non è detto che la situazione non precipiti prima.
http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/11/22/salvapremier-faq/
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 23 novembre 2009
Riaperta d’urgenza la Repubblica di Salò - di Marco Travaglio
Ieri il piccolo duce ha smentito di aver mai pensato alle elezioni. Dunque, vista la sua innata sincerità, ci sta pensando seriamente. Per ora manda avanti l’apposito Schifani, ventriloquo da riporto, per vedere l’effetto che fa.
Perché lo faccia, è lampante: come nel 1992 il crollo della Prima Repubblica ne scoperchiò la scatola nera sversando i liquami di Tangentopoli e Mafiopoli, così ora salta il tappo della cloaca politico-affaristico-mafiosa denominata Seconda Repubblica. Le tubature non tengono più, i miasmi si spandono dappertutto. E non passa giorno senza che questa o quella procura s’imbatta, anche involontariamente, in un condotto della Fogna delle Libertà. In Campania l’arresto di Cosentino & C. A Palermo Spatuzza, Grigoli e Ciancimino jr. parlano di Dell’Utri e Berlusconi ai tempi delle stragi e delle trattative. In Puglia c’è Giampi col suo harem di escort bipartisan. A Milano mister Grossi, re delle cosiddette “bonifiche ambientali”, è in carcere con la moglie del vicecoordinatore nazionale del Pdl Abelli, e dietro la porta gli amici Formigoni, Lupi, Gelmini e Berlusconi tremano all’idea che qualcuno parli. Intanto saltan fuori gli altarini della Arner, la banca svizzera usata da noti mafiosi per riciclare soldi sporchi (indovinate di chi è il conto corrente numero 1).
Non c’è “dialogo”, riforma della giustizia, processo breve o morto, prescrizione-lampo che sia in grado di fermare l’onda nera. Il dialogo fa le pentole, ma non i coperchi. E non c’è coperchio che possa richiudere il pentolone. Qualcuno a questo punto obietterà che, al ducetto, le elezioni servirebbero a poco: guadagnerebbe un po’ di tempo e, casomai le rivincesse lui, si libererebbe pure di Fini, ennesimo nemico interno dopo il Bossi modello-base, Follini, Casini e Veronica.
Peccato che Fini oggi sia popolare almeno quanto lui (infatti i sondaggi sono miracolosamente scomparsi dagli house organ, che fino a due mesi fa ce ne rifilavano tre al giorno). Ma non c’è più nulla di razionale nel disperato agitarsi di questo pover’ometto in perenne fuga dal suo passato. Come Hitler nel bunker e Mussolini a Salò, il ducetto è solo, assediato dai suoi incubi e circondato di servi sciocchi (quelli furbi sono in fuga da un pezzo). Una Salò all’amatriciana, anzi alla puttanesca: al posto dei giovanottoni sadomaso di Pasolini, le girls di Tarantini. Roberto Feltrinacci incita alla pugna finale ripetendo a pappagallo la pietosa bugia: “Il popolo è con Te, o Duce, dall’Alpi al Lilibeo, ma non osa manifestarlo e ti adora in silenzio”.
Il feldmaresciallo Alfred Sallusting, cranio lucido e pallore nibelungico, stretto nel suo impermeabile di pelle nera esorta all’estrema resistenza, armi in pugno e baionetta fra i denti. Il principe grigio Junio Valerio Belpietro, pancia in dentro e mento in fuori, invoca lo spirito sansepolcrista e la fucilazione di Galeazzo Fini e degli altri traditori a Verona. Nicola Bombaccicchitto, l’ex socialista passato a destra, lancia il cappuccio oltre l’ostacolo, ma alla fine cade in disgrazia, sospettato di collusioni con la massoneria per via della sua collezione di grembiulini e compassi. Augusto Pavonzolini, dal palazzo dell’Eiar, distrae le masse con culi, tette e balle a volontà. Lo aiuta il figlio segreto del Duce, tale Bruno, che è tutto suo padre e, mentre l’impero crolla, parla a “Lupa a Lupa” delle orecchie dei cani. Claretta Bondi, vinta la concorrenza di Angelica Carfagnanoff, lacrima e si dispera giorno e notte, pronta a tutto pur di fare da scudo all’Amato, anche a intercettare col suo corpo le raffiche partigiane. Intanto il dottor morte Niccolò Ghedini, curvo nel laboratorio dell’impunità su provette, serpentine e alambicchi fumanti, prova e riprova la formula dell’arma segreta, che non arriva mai e, quando arriva, non funziona. Disperso, al momento, il camerata Capezzone. Ma niente paura: non lo cerca nessuno.
da Il Fatto Quotidiano del 19 novembre 2009
Perché lo faccia, è lampante: come nel 1992 il crollo della Prima Repubblica ne scoperchiò la scatola nera sversando i liquami di Tangentopoli e Mafiopoli, così ora salta il tappo della cloaca politico-affaristico-mafiosa denominata Seconda Repubblica. Le tubature non tengono più, i miasmi si spandono dappertutto. E non passa giorno senza che questa o quella procura s’imbatta, anche involontariamente, in un condotto della Fogna delle Libertà. In Campania l’arresto di Cosentino & C. A Palermo Spatuzza, Grigoli e Ciancimino jr. parlano di Dell’Utri e Berlusconi ai tempi delle stragi e delle trattative. In Puglia c’è Giampi col suo harem di escort bipartisan. A Milano mister Grossi, re delle cosiddette “bonifiche ambientali”, è in carcere con la moglie del vicecoordinatore nazionale del Pdl Abelli, e dietro la porta gli amici Formigoni, Lupi, Gelmini e Berlusconi tremano all’idea che qualcuno parli. Intanto saltan fuori gli altarini della Arner, la banca svizzera usata da noti mafiosi per riciclare soldi sporchi (indovinate di chi è il conto corrente numero 1).
Non c’è “dialogo”, riforma della giustizia, processo breve o morto, prescrizione-lampo che sia in grado di fermare l’onda nera. Il dialogo fa le pentole, ma non i coperchi. E non c’è coperchio che possa richiudere il pentolone. Qualcuno a questo punto obietterà che, al ducetto, le elezioni servirebbero a poco: guadagnerebbe un po’ di tempo e, casomai le rivincesse lui, si libererebbe pure di Fini, ennesimo nemico interno dopo il Bossi modello-base, Follini, Casini e Veronica.
Peccato che Fini oggi sia popolare almeno quanto lui (infatti i sondaggi sono miracolosamente scomparsi dagli house organ, che fino a due mesi fa ce ne rifilavano tre al giorno). Ma non c’è più nulla di razionale nel disperato agitarsi di questo pover’ometto in perenne fuga dal suo passato. Come Hitler nel bunker e Mussolini a Salò, il ducetto è solo, assediato dai suoi incubi e circondato di servi sciocchi (quelli furbi sono in fuga da un pezzo). Una Salò all’amatriciana, anzi alla puttanesca: al posto dei giovanottoni sadomaso di Pasolini, le girls di Tarantini. Roberto Feltrinacci incita alla pugna finale ripetendo a pappagallo la pietosa bugia: “Il popolo è con Te, o Duce, dall’Alpi al Lilibeo, ma non osa manifestarlo e ti adora in silenzio”.
Il feldmaresciallo Alfred Sallusting, cranio lucido e pallore nibelungico, stretto nel suo impermeabile di pelle nera esorta all’estrema resistenza, armi in pugno e baionetta fra i denti. Il principe grigio Junio Valerio Belpietro, pancia in dentro e mento in fuori, invoca lo spirito sansepolcrista e la fucilazione di Galeazzo Fini e degli altri traditori a Verona. Nicola Bombaccicchitto, l’ex socialista passato a destra, lancia il cappuccio oltre l’ostacolo, ma alla fine cade in disgrazia, sospettato di collusioni con la massoneria per via della sua collezione di grembiulini e compassi. Augusto Pavonzolini, dal palazzo dell’Eiar, distrae le masse con culi, tette e balle a volontà. Lo aiuta il figlio segreto del Duce, tale Bruno, che è tutto suo padre e, mentre l’impero crolla, parla a “Lupa a Lupa” delle orecchie dei cani. Claretta Bondi, vinta la concorrenza di Angelica Carfagnanoff, lacrima e si dispera giorno e notte, pronta a tutto pur di fare da scudo all’Amato, anche a intercettare col suo corpo le raffiche partigiane. Intanto il dottor morte Niccolò Ghedini, curvo nel laboratorio dell’impunità su provette, serpentine e alambicchi fumanti, prova e riprova la formula dell’arma segreta, che non arriva mai e, quando arriva, non funziona. Disperso, al momento, il camerata Capezzone. Ma niente paura: non lo cerca nessuno.
da Il Fatto Quotidiano del 19 novembre 2009
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