Nel silenzio prolungato di Silvio Berlusconi, e in quello imbarazzato di Giulio Tremonti, parla a sproposito il ministro dello Sviluppo Romani, che dice: "Non c'è motivo di preoccuparsi, la speculazione contro l'Italia è basata sul nulla". Ancora una volta, un'approssimazione e un dilettantismo che fanno accapponare la pelle. Sostenere una tesi del genere equivale a non aver capito nulla di ciò che sta accadendo nei mercati e nel Paese.
Primo: c'è moltissimo da preoccuparsi. In gioco non c'è qualche spicciolo di guadagno per le banche d'affari. C'è invece il futuro dell'euro, perché se saltano Stati come la Spagna o l'Italia salta la moneta unica, e dunque va in malora un ventennio di storia europea, con tutto il buono che ne è derivato per i "volonterosi" che aderirono al sogno di Maastricht. E nelle leadership europee non sembra esserci consapevolezza della drammaticità della fase, che richiederebbe ben altre e più energiche reazioni. Lo stillicidio di polemiche e di rinvii sugli aiuti alla Grecia, per esempio, è stato un atto irrazionale e irresponsabile: come spargere sangue nel mare di un mercato infestato dagli squali della speculazione. Servirebbe una politica di aiuti imponenti, sul modello del Tarp americano, non solo ai Paesi periferici, ma anche al sistema bancario dell'eurozona, che comunque necessita di un rafforzamento patrimoniale. E invece si nicchia, si chiacchiera, si indugia.
Secondo: la speculazione contro l'Italia non è affatto basata sul nulla. Ha invece solidissime basi, che questo governo di apprendisti stregoni ha "costruito" in tre anni di non gestione della crisi. Sul piano tecnico, la manovra da 40 miliardi va approvata in fretta. Ma andrebbe anche rafforzata e anticipata, come chiedono la Banca d'Italia e la Confindustria, e come Repubblica aveva invocato subito dopo la sua finta approvazione in Consiglio dei ministri. Troppe misure incerte nella quantità. Troppe misure erratiche nella tempistica. Non si può affidare quasi la metà dell'intervento di risanamento a una legge delega fiscale e assistenziale di cui nessuno può oggi conoscere i tempi e i modi di attuazione. Ci saranno i margini per rinvigorire e rendere più sostenibile questa "stangata a orologeria", senza che nel frattempo le "locuste" non spolpino quel poco che è rimasto?
Sul piano politico, governo e maggioranza affondano nell'entropia e nell'ignavia. Un premier marchiato a fuoco da una sentenza che lo definisce ufficialmente "corruttore di giudici" non è e non può essere in grado di gestire credibilmente il caos che regna sotto di lui. Un ministro dell'Economia sul quale pendono sospetti e che teme di subire il cosiddetto "trattamento Boffo" non è e non può essere in grado di sostenere serenamente il compito immane che il momento difficilissimo vissuto dal Paese gli carica sulle spalle. Siamo all'epilogo della parabola berlusconiana. La telefonata della Merkel al premier è la conferma plastica di quanto andiamo ripetendo da tempo: il presidente del Consiglio italiano non conta più nulla, ed è ormai di fatto "commissariato" dalle cancellerie d'oltre frontiera. Il dramma è che nell'abisso rischia di finire non solo il Cavaliere, ma l'intera nazione. È un pericolo che va scongiurato. Le opposizioni si dimostrino all'altezza. Questa manovra deve passare in Parlamento il più presto possibile, per mettere in sicurezza l'impegno collettivo sul pareggio di bilancio. Ma un minuto dopo Berlusconi deve andare a casa. È ora di separare, finalmente, la biografia del Cavaliere da quella della nazione.