di DANIELA PADOAN. L’anomalia italiana è la destra estrema al potere, unico caso tra i paesi fondatori in una Unione Europea dove le forze reazionarie sono forti ma non tanto da salire al governo. In questa unicità, la maggioranza della presidente Meloni procede a tappe forzate nel completare riforme e varare nuove leggi che rendono l’Italia un paese sempre più malato di autoritarismo.
In numerosi Stati membri le destre estreme hanno raggiunto dimensioni preoccupanti per numero di adesioni e legittimazione nel discorso pubblico, ma in nessun Paese, tra quelli fondatori, sono al potere, tranne in Italia, che si configura come un’anomalia nell’Unione. Eppure, mentre in politica estera, pur non avendo votato l’attuale presidente della Commissione, la maggioranza delle forze che compongono la compagine governativa è allineata alla Nato e al sostegno dell’Unione all’Ucraina nel conflitto con la Russia, in politica interna l’esecutivo può procedere a tappe forzate, senza suscitare particolare scandalo, nella realizzazione dei programmi elettorali presentati nel 2020 dalle rispettive componenti: presidenzialismo, autonomia differenziata, riforma della Giustizia.
Prima ancora che uno scambio tra forze governative, il progetto di riforme si mostra però come un complessivo e ben integrato disegno autoritario, tanto più se si guarda alle politiche che ne stanno definendo la cornice: una progressiva occupazione dei posti di potere istituzionali e mediatici; un’operazione revisionista di riscrittura della storia passata e recente; un atteggiamento insofferente quando non intimidatorio nei confronti di critici e oppositori; una tendenza alla criminalizzazione del conflitto e della disobbedienza anche non violenta, sugellata dal disegno di legge 1660-A approvato il 18 settembre alla Camera dei deputati, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”.
Le modifiche apportate nel testo e l’istituzione di nuovi reati evidenziano una concezione della sicurezza vista non come garanzia sociale, lavorativa e umana, ma esclusivamente come sistema di proibizioni e punizioni teso a silenziare la diversità, la difformità di pensiero e persino la ribellione non violenta che spesso accompagna la necessità di essere visti e ascoltati da parte dei più fragili, marginali, deprivati di diritti.
In linea con i progetti di autonomia differenziata, premierato “forte” e depotenziamento della Magistratura, il ddl mostra l’erosione degli spazi democratici che avverrebbe in una società dove cortei, picchetti, manifestazioni, sit-in, scioperi della fame e tutte le molteplici forme di resistenza passiva fossero considerati reati penali punibili con il carcere. Si può facilmente immaginare cosa sarebbe delle proteste degli studenti e degli ecologisti, delle lotte dei lavoratori, delle estreme manifestazione di dolore e impotenza di carcerati e migranti chiusi nei centri per il rimpatrio. A dirlo con chiarezza è stata l’Organizzazione intergovernativa per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) che, dopo aver esaminato la bozza del decreto legge, ha dichiarato che “la maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e della rule of law”, ovvero dello stato di diritto.
Abbiamo bisogno di un risveglio democratico che riaffermi una cultura consapevolmente antifascista, e che abbia come centro quell’articolo 3 della Costituzione che ha al centro la solidarietà e che Liliana Segre ha indicato come “stella polare”. Possiamo farlo. Già nel 2006 ci siamo trovati a combattere la riforma costituzionale propugnata da Silvio Berlusconi, che riguardava proprio un premierato forte e un’ulteriore devoluzione dei poteri alle Regioni, assieme alla riduzione dell’autonomia del Consiglio Superiore della Magistratura. Quella riforma fu respinta dal 61% degli italiani.
La straordinaria raccolta di firme, avvenuta in piena estate, per il referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata è un primo segno che è possibile opporsi a un progetto lesivo della Costituzione, dei poteri di bilanciamento politico-istituzionali e della democrazia. Che è possibile riaffermare il principio della solidarietà tra i cittadini della Repubblica indipendentemente dai territori in cui risiedono, nel Paese europeo maggiormente segnato dalla diseguaglianza interna, in cui l’autonomia differenziata sposterebbe un’enorme quantità di ricchezza dai territori più poveri a quelli più ricchi e destinerebbe sempre maggiori risorse ai privati sottraendoli al servizio pubblico. Che è possibile riaffermare la cultura di chi non vuole un “capo” che decida al suo posto ma un Parlamento rispettabile e rispettato. Di chi sa che il dissenso è prezioso e che la capacità di dialogare con chi confligge è ciò che definisce le democrazie.