In realtà l’inchiesta giudiziaria fa emergere responsabilità gravi, anzi gravissime. Anche per questo avrebbero meritato più spazio. Ma andiamo con ordine. Chi indaga (Il Corpo forestale) scopre che per anni, almeno dal 2007 al 2009, nello stabilimento pavese della Scotti energia si brucia di tutto. Anche rifiuti tossici, i cui fumi hanno inquinato il cielo della provincia pavese. Reato grave, dunque. Che diventa gravissimo spulciando l’ordinanza d’arresto nella parte in cui si parla di denaro pubblico (oltre 60 milioni di euro) incassato dal dottor Scotti. Denaro pagato dallo Stato in cambio di energia. Questo il motivo per cui nell’hinterland pavese il gruppo Scotti costruisce un inceneritore. Dentro bisogna bruciarci la lolla, ovvero lo scarto biologico della lavorazione del riso. Questa produce energia che viene poi venduta. Lo Stato la paga a prezzo maggiorato. Con il tempo, però, dentro all’inceneritore ci finisce di tutto. Oltre 33mila tonnelate di rifiuti che provengono da tutta Italia e da ogni tipo d’azienda. Ci sono anche scarti di lavorazioni farmaceutiche. Finisce così che lì dentro si brucia una miscela composta per il 70% da plastica e solo per il 10% da lolla. Il giochetto è semplice: basta falsificare le analisi. Lo strumento si chiama Analytica srl. I due soci sono stati arrestati. Ancora più inquietante, il passaggio dell’inchiesta dalla procura di Pavia a quella antimafia di Milano. Indaga il procuratore Ilda Boccassini , la stessa che il 13 luglio ha assestato un duro colpo alla ‘ndrangheta lombarda. Mafia dunque. Un nome che potrebbe rientrare anche nell’indagine sul dottor Scotti. E si sa, quando i boss trasportano rifiuti, non si tratta certo di terra di coltivo.
L’allarme sociale, dunque, è oggettivo. Qui è in gioco la salute delle persone. Eppure nemmeno questo smuove il Corriere della Sera e Repubblica. Il 18 novembere, il quotidiano di via Solferino confina la notizia in 12 righe nell’edizione nazionale. Pezzo breve affogato a pagina 25. Più spazio nell’edizione locale, dove si dà la notizia e le si affianca un ritratto di Angelo Dario Scotti. Il titolo è un virgolettato che riassume la filosofia del patron. “La bussola dell’azienda è il business pulito”. Due righe in più per Repubblica. Il Sole 24ore, invece, relega la notizia in una breve. La Stampa fa poco di più. Silenzio. La faccenda non stuzzica i vertici delle redazione.
Scelta dubbia. Che un po’ scandalizza scorrendo le pagine dell’inchiesta in cui gli investigatori annotano, impresa per impresa, il materaile che è finito dentro all’inceneritore. Vediamone qualcuno. Partendo, magari, dai 712.640 chili di “rifiuti prodotti dall’estrazione tramite solvente 06″. Tutta monnezza che deriva da una società farmaceutica. E ancora 1.399.910 chili di “fanghi di scarto contenenti carbonato di calcio”. Ma ci sono anche rifiuti da fibre tessili grezze e “fanghi bilogici prodotti dal trattamento di acque reflue industriali”. Tutto questo finisce nell’inceneritore che produce energia. Una colpa divisia a metà. da un lato la Riso scotti energia e dall’altro, annotano gli investigatori, “tutte quelle società che hanno conferito presso la Riso scotti energia rifiuti generati dalla raccolta dei Rs falsificandone il codice di identificazione”. Il tutto “finalizzato a eludere i normali oneri”. Questo è quanto. Non sembra poco. Anzi.