mercoledì 31 ottobre 2012

Sacrificio in Afghanistan? «Ne vale la pena».


Il ministro Di Paola
Roma - Il sacrificio dei militari italiani morti in Afghanistan, 52 dall’inizio della missione Isaf, «va messo nel contesto dell’impegno di tutta la comunità internazionale per dare agli afgani un futuro migliore, che si sceglieranno loro. Se si chiede a tanti afgani risponderanno che ne è valsa la pena».
Lo ha detto il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, in un’intervista al Tg2. «Siamo impegnati - ha aggiunto Di Paola - in un’operazione approvata dalle Nazione Unite, a fianco del popolo afgano. I nostri ragazzi sono impegnati fino al sacrificio della vita, lo fanno con il tricolore sulla divisa ed i loro genitori devono andarne fieri».
Per quanto riguarda il caso dei due marò in India«ci aspettiamo dalla Corte suprema il riconoscimento che i due militari debbano essere giudicati in Italia secondo quanto prevede il diritto internazionale - ha commentato il ministro -. Sono fiducioso, la Corte suprema non è la Corte di Kerala, che non è serena. L’India è una grande democrazia e io ho fiducia».
I due marò, ha assicurato Di Paola, «sono costantemente seguiti giorno e notte da un team della Difesa. Io stesso li sento quotidianamente al telefono. Faremo di tutto fin quando non otterremo giustizia. Il governo sta facendo il massimo, anche al di là di ciò che si vede».
Che ci mandi suo figlio, allora, così prova quanto si può essere fiero del sacrificio della vita del proprio figlio per il tricolore che porta sulla divisa!! 

Sequestrati venti money transfer, violazioni per 3 miliardi.


Controlli della guardia di finanza in un money transfer


Eseguite 30 milioni di operazioni: denaro proveniente da traffico di droga, immigrazione clandestina e attivita' finanziaria abusiva.

ROMA - I finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria stanno sequestrando 21 agenzie di money transfer di Brescia dopo aver accertato violazioni alla normativa antiriciclaggio per tre miliardi euro. Nelle 21 agenzie sono state eseguite 30 milioni di operazioni di trasferimento di denaro proveniente, secondo le indagini, da traffico di droga, immigrazione clandestina e attivita' finanziaria abusiva.
Secondo quanto accertato dagli uomini del Nucleo di polizia valutaria, da parte delle agenzie di money transfer ci sono state sistematiche violazioni delle norme antiriciclaggio con l'obiettivo di rendere impossibile l'identificazione dei proprietari dell'enorme flusso di denaro passato per le agenzie. Si tratta di ben 10 miliardi di euro solo tra il 2010 e il 2011, di cui il 35% e' risultato proveniente da reati.

"Signorina, il mio badge non funziona" I licenziamenti brutali di Ubs a Londra. - Enrico Franceschini


"Signorina, il mio badge non funziona" I licenziamenti brutali di Ubs a Londra


Un centinaio di dipendenti del colosso bancario svizzero hanno scoperto di essere stati tagliati quando ieri, cercando di entrare al lavoro, si sono accorti che i loro tesserini non funzionavano più. L'istituto di credito si accinge a eliminare 10 mila posti, di cui 3mila soltanto nella capitale britannica.

LONDRA – “Scusi, signorina, non capisco perché ma il mio tesserino non funziona”. Uno dopo l’altro, un centinaio di dipendenti della Ubs, banca svizzera e uno dei giganti della finanza mondiale, si sono rivolti con queste parole, martedì mattina, alla receptionist all’ingresso della sede londinese della società. L’impiegata ha fatto una telefonata, un addetto alla sicurezza è apparso dal nulla e ha accompagnato uno alla volta i perplessi dipendenti della banca a un anonimo ufficio al quarto piano, dove ciascuno di loro ha appreso di essere diventato un ex-dipendente. Ad attenderli c’erano infatti uno scatolone con i loro effetti personali e una lettera che diceva più o meno: “Gentile collega, la tua presenza non è più richiesta. In attesa di ulteriori comunicazioni, ti preghiamo di non venire più in ufficio”. I licenziati, perché di questo in sostanza si tratta, sono andati al pub, cercando di annegare nella birra la brutta notizia.

E’ il ritorno della brutalità nella City, commenta il Times di Londra. Scene simili non si vedevano dal collasso della Lehman Brothers nel 2008, all’apice del crack finanziario globale che sconvolse il mondo. E forse una durezza simile non si era vista nemmeno allora: perlomeno ai dipendenti della Lehman licenziati in tronco fu permesso di riempirseli da soli, gli scatoloni con gli effetti personali da portare via per sgomberare l’ufficio. Il centinaio di banchieri e bancari che hanno perso l’impiego nel quartier generale della Ubs a Londra, del resto, sono solo l’avanguardia di un ben più ampio “bagno di sangue”, come lo definisce metaforicamente ilGuardian: la banca svizzera si accinge infatti a tagliare 10 mila posti di lavoro, di cui 3 mila soltanto nella capitale britannica, riducendo entro il 2015 da 64 mila a 54 mila il suo staff nel mondo.

“E’ una decisione difficile”, afferma Sergio Ermotti, il 52enne banchiere nato a Lugano diventato l’anno scorso amministratore delegato della Ubs con il compito di portare l’istituto di credito svizzero fuori dalla tempesta. Impresa non facile: la banca ha registrato perdite pari a oltre 1 miliardo e mezzo di euro nel trimestre terminato a settembre, è invischiata nello scandalo Libor dei tassi d’interesse truccati e uno dei suoi (ormai ex) broker dell’ufficio di Londra, il giovane Kweku Adoboli, è sotto processo per avere sottratto fraudolentemente un miliardo e 400 milioni di sterline sotto il naso dei suoi presunti controllori. “Tornano i giorni cupi” nella City, commenta un operatore della cittadella finanziaria londinese, che sperava di avere superato il peggio e voltato pagina, ma evidentemente non ha ancora finito di soffrire. Come hanno scoperto all’improvviso recandosi al lavoro un centinaio di dipendenti della Ubs, accorgendosi che il “pass” per superare i tornelli all’ingresso, per qualche strana ragione, non funzionava più. L’equivalente di un colpo alla schiena: così si “muore” oggi nel Miglio Quadrato più ricco della terra, prima ti sparano e poi ti spiegano perché.


http://www.repubblica.it/economia/2012/10/31/news/signorina_il_mio_badge_non_funziona_i_licenziamenti_brutali_di_ubs_a_londra-45648239/

L'INCREDIBILE BRUCO-TESCHIO



Una specie di bruco molto rara dalla quale si originale la falena rosa, specie in via d'estinzione.

https://www.facebook.com/pages/Beautiful-exotic-planet-earth/134877533199366

Le province d'Italia ridotte a 51 Cdm approva decreto di riordino.



Roma - (Adnkronos/Ign) - Nuovo sistema al via nel 2014. Da gennaio via le giunte. Il ministro Filippo Patroni Griffi: "Il decreto prevede province completamente nuove per dimensioni e funzioni".Ecco cosa cambiaSCHEDALA MAPPA. Critiche dall'Upi: "Forzature su alcuni territori". L'annuncio della Cancellieri: ''Election day per Lazio, Lombardia e Molise''Prima data utile il 27 gennaio 2013.

Roma 31 ott. (Adnkronos/Ign) - Il Consiglio dei ministri ha approvato il dl di riordino delle Province. Dalle attuali "86 province a statuto ordinario" che diventano 107 contando anche quelle a statuto straordinario si passerà a "51 province" e il numero e' "comprensivo delle citta' metropolitane" annuncia il ministro della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi. Il ministro sottolinea che il decreto di riordino prevede "province completamente nuove per dimensioni e funzioni".
Dal 1 gennaio 2014 diventeranno operative le città metropolitane, "che sostituiscono le province nei maggiori poli urbani del Paese realizzando, finalmente, il disegno riformatore voluto fin dal 1990, successivamente fatto proprio dal testo costituzionale e, tuttavia, finora incompiuto" si legge nel comunicato stampa del Consiglio dei ministri. Le 10 città metropolitane che vengono istituite sono Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria.
"L'operativita' piena, con i nuovi organi eletti, avverra' dal primo gennaio 2014 perche' le elezioni delle Province avverranno nel mese di novembre 2013". "Da subito, dal primo gennaio 2013 verranno meno le giunte provinciali" spiega Patroni Griffi durante la conferenza stampa a palazzo Chigi. "Sara' data la possibilita' ai presidenti, per consentire la gestione ordinaria nella fase di transizione - aggiunge - di delegare al massimo 3 consiglieri, e nello stesso tempo saranno previsti una serie di adempimenti (bilanci, ricognizione dotazione organiche, del patrimonio immobiliare ecc).
Nel decreto legge "resta fermo il divieto di cumulo di emolumenti per le cariche presso gli organi comunali e provinciali. Resta altresi' ferma l'abolizione degli Assessorati. Infine gli organi politici devono avere sede esclusivamente nelle citta' capoluogo" secondo quanto si legge nel comunicato di palazzo Chigi. Il riordino delle Province "e' il primo tassello di una riforma piu' ampia che - si legge ancora - prevede la riorganizzazione degli uffici territoriali di governo (prefetture, questure, motorizzazione civile etc etc) in base al nuovo assetto. Dunque anche gli altri uffici su base provinciale saranno di fatto dimezzati. Al termine di questo processo sara' possibile calcolare gli effettivi risparmi che comportera' l'intera riforma".
Il decreto si e' mosso "cercando di tenere il piu' possibile presenti le istanze che venivano dal territorio - afferma Patroni Griffi -. Abbiamo avuto molte proposte dai Cal e dalle Regioni. In alcuni casi non abbiamo avuto proposte o non erano coerenti con i requisiti fissati dalla spending e quindi non ne abbiamo potuto tenere conto". Province nuove per dimensioni e nuove per funzioni "perche' le province avranno tre funzioni fondamentali di area vasta, di livello sovracomunale ma necessariamente infraregionale e nuove funzioni per governance perche' e' stato confermato l'assetto di elezione indiretta degli organi delle province". Si tratta in definitiva, spiega il ministro - di "un processo oramai irreversibile che guarda al futuro e in cui l'organizzazione dei servizi sara' piu' coerente con un livello qualitativo e moderno della loro erogazione".
Con il nuovo dl sul riordino delle province - afferma il ministro - "si compira' un processo di riordino del governo del territorio di portata strutturale e ordinamentale. E' un intervento di attuazione della legge di Spending e quindi concentrata su province e citta' metropolitane". "Il governo si e' trovato in questo periodo un po' in sospeso tra spinte al mantenimento totale dello status quo e spinte volte alla cancellazione totale delle province. La scelta effettuata gia' al momento della spending e' coerente con i modelli europei che prevedono per tutti gli stati dimensioni rapportabili a tre livelli di governo e quindi anche a quel livello intermedio che da noi si chiama provincia".
Il riassetto delle Province non prevede che siano istituiti dei commissari nella fase di transizione. Tuttavia, dice ancora il ministro, "solo dall'eventuale inadempimento dell'obbligo nei termini scatterà un commissario ad acta per garantire i passaggi intermedi funzionali alla transizione".
Riguardo al riassetto geografico delle province settentrionali, Griffi spiega: "Avevamo due ordini di problemi, uno che riguarda la Lombardia e in parte anche il Veneto e poi abbiamo la zona piemontese". "Per il Piemonte avevamo due proposte diverse dal territorio - dice - i Cal avevano proposto un'unica provincia del quadrante e la Regione aveva proposto Biella e Vercelli e Novara e Verbano Cusio- Ossola. Il governo ha scelto la piu' prudente delle due, e quindi una soluzione che consente il passaggio da quattro a due anziche' da quattro a una".
Unione Province: "Forzature su alcuni territori, un errore cancellare le giunte dal 2013". ''Il decreto legge varato oggi dal consiglio dei ministri consegna al Paese una nuova organizzazione delle istituzioni locali. E' un percorso che come Upi abbiamo contribuito a portare avanti, ma riteniamo che su alcuni territori siano state fatte forzature che non tengono conto a pieno delle realta' socio economiche delle comunita''' afferma il presidente dell'Upi, Giuseppe Castiglione. "Le nuove Province non dovranno essere una banale riscrittura geografica dei confini, ma istituzioni chiamate ad esercitare funzioni determinati, capaci di tenere insieme in maniera unitaria comunita', tessuto sociale, economico e produttivo, spesso estremamente differenziato - sottolinea - Per questo l'Upi aveva chiesto al governo di rispettare alcune delle deroghe che erano emerse dalle proposte dei Consigli delle Autonomie Locali, laddove queste fossero state equilibrate, ragionevolmente motivate e tali da rispecchiare la volonta' dei territori".
"Riteniamo poi - aggiunge Castiglione - che sia sbagliato avere deciso di cancellare le giunte dal gennaio 2013, perche' il vero processo di riordino inizia proprio adesso e non si puo' immaginare che un presidente, da solo, possa gestire tutti gli adempimenti che il decreto stesso gli impone di portare a termine, tra l'altro con scadenze strettissime. Ci sara' da unificare bilanci, piani territoriali, reti di trasporto, beni mobili e immobili e personale. Un percorso delicatissimo che va affrontato la massima cura. Per questo chiederemo al parlamento di ripensare questa posizione e di prevedere giunte per gestire la fase transitoria".


http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Le-province-dItalia-ridotte-a-51-Cdm-approva-decreto-di-riordino_313847842688.html

Fiat: licenzia 19 operai per assumere quelli Fiom. - Amalia Angotti



In rispetto ad ordinanza Corte d'Appello di Roma. Lavoratore assunto: 'E' una vergogna'.

TORINO - La Fiat metterà in mobilità nella fabbrica di Pomigliano 19 lavoratori per poter rispettare l'ordinanza della Corte d'Appello di Roma che obbliga ad assumere i 19 dipendenti di Fiat Group Automobiles iscritti alla Fiom che hanno presentato ricorso per presunta discriminazione. Lo rende noto l'azienda in un comunicato.
La Fiat "é consapevole della situazione di forte disagio che si è determinata all'interno dello stabilimento di Pomigliano, sfociata in una raccolta di firme con la quale moltissimi lavoratori hanno manifestato comprensibile preoccupazione". E' quanto si legge nella nota sull'ordinanza della Corte d'Appello di Roma. "Spero che gli altri sindacati non vogliano firmare la procedura di mobilità annunciata da Fiat": è quanto ha affermato il segretario della Fiom di Napoli, Andrea Amendola, commentando l'annuncio da parte del Lingotto della messa in mobilità di 19 lavoratori della Newco di Pomigliano d'Arco per poter assumere altrettanti lavoratori iscritti al sindacato metalmeccanici della Cgil. Amendola ha anche annunciato che il sindacato valuterà il da farsi con il proprio pool di avvocati.

"L'impegno dell'azienda - si legge nella nota - è quello di individuare la soluzione che consenta di eseguire l'ordinanza creando il minor disagio possibile a tutti quei dipendenti che hanno condiviso il progetto e, con grande entusiasmo e spirito di collaborazione, sono stati protagonisti del lancio della Nuova Panda". "L'azienda ha da tempo sottolineato - prosegue il comunicato - che la sua attuale struttura è sovradimensionata rispetto alla domanda del mercato italiano ed europeo da mesi in forte flessione e che, di conseguenza, ha già dovuto fare ricorso alla cassa integrazione per un totale di venti giorni. Altri dieci sono programmati per fine novembre".
Incredulo Mario Di Costanzo, iscritto Fiom che dovrebbe essere assunto entro il 28 novembre. "E' proprio una vergogna, Marchionne non perde occasione per cercare di dividere i lavoratori. Adesso dichiara anche guerra alla magistratura per far pesare sui giudici la situazione che si sta creando".  "Con questo atteggiamento però - ha proseguito Di Costanzo - l'Ad non sta facendo altro che fare luce sul suo reale progetto per Pomigliano: se l'assunzione di 19 persone per lui è un problema, figuriamoci cosa sarà l'assunzione degli oltre 2000 in cassa integrazione che attendono di entrare in Fabbrica Italia Pomigliano entro luglio del prossimo anno. Mi auguro che questa cosa non passi nel silenzio delle istituzioni e degli altri sindacati, che dovrebbero avere reazioni immediate per quest'annuncio". Di Costanzo, inoltre, sostiene che con questo provvedimento Marchionne "sembra dichiari guerra anche alla magistratura". "Pare voglia far pesare loro quello che sta mettendo in atto - conclude l'operaio - dimostrando di essere lui il più forte e l'unico che debba prendere decisioni, anche a discapito delle leggi".
Per i 19 lavoratori di Pomigliano per i quali la Fiat è pronta al licenziamento per poter adempiere alla sentenza per l'assunzione di 19 lavoratori iscritti alla Fiom potrebbero non esserci in requisiti per avere la mobilità. La legge prevede infatti che per ottenere l'indennità si sia in possesso di almeno 12 mesi di anzianità aziendale di cui almeno sei di effettivo lavoro. Nella newco di Pomigliano, spiega il segretario nazionale Uilm, Giovanni Sgambati le prime assunzioni sono state effettuate a novembre 2011.
TITOLO CROLLA IN BORSA - Accelera in Piazza Affari Fiat industrial dopo la trimestrale con utile netto in crescita del 45,6% rispetto all'analogo periodo 2011: il titolo sale del 3% a 8,3 euro. Sempre male Fiat spa, il cui titolo cede il 4,33% a 3,76 euro, un secondo scivolone dopo quello di ieri che appesantisce anche la controllante Exor, in calo di un punto percentuale.
FIAT INDUSTRIAL: +45,6% UTILE NETTO TRIMESTRE A 297 MLN - Fiat Industrial ha chiuso il terzo trimestre con un utile netto di 297 milioni di euro, in crescita del 45,6% rispetto all'analogo periodo 2011. Fiat Industrial ha chiuso il terzo trimestre con un utile della gestione ordinaria di 575 milioni di euro, 91 milioni in più dello stesso periodo del 2011, pari a un incremento del 18,5%.
Confermati i target 2012: ricavi oltre 25 miliardi di euro, un risultato della gestione ordinaria superiore ai 2 miliardi di euro, un risultato netto di circa 900 milioni di euro e un indebitamento netto industriale tra 1,2 e 1,5 miliardi di euro.
L'indebitamento netto industriale di Fiat Industrial, nel trimestre, è aumentato di 200 milioni di euro a 2,2 miliardi di euro: l'autofinanziamento generato dalla gestione - spiega la società - è stato più che compensato dall'aumento stagionale del capitale di funzionamento e da significativi livelli di investimento. La liquidità disponibile è pari a 4,9 miliardi di euro (5,7 miliardi di euro alla fine del secondo trimestre).
di Amalia Angotti

Il pareggio delle attività in Europa non potrà essere raggiunto dal gruppo Fiat prima del 2015, ma nessuno stabilimento sarà chiuso in Italia. Ai sindacati, che incontra in serata al Lingotto, Sergio Marchionne conferma gli investimenti che consentiranno di dare lavoro a tutti i dipendenti: non dà cifre né date, ma l'avvio è imminente a Melfi per produrre i suv. Poi toccherà a Cassino dove si faranno modelli con Chrysler e a Mirafiori dove oltre alla Alfa Mito arriveranno famiglie di vetture di alta gamma. Negli impianti italiani saranno prodotti in tutto 17 nuovi modelli tra il 2013 e il 2016. Per il rilancio il Lingotto punta non più sulle utilitarie, ma sui modelli di alta gamma Alfa Romeo e Maserati. Il marchio Lancia, invece, "ha un appeal limitato" e sarà ridimensionato. Sono queste le linee guida del nuovo piano del gruppo Fiat, illustrato da Sergio Marchionne nella conference call sui conti del terzo trimestre. In una e-mail agli impiegati della Chrysler l'ad assicura che la la produzione della Jeep non sarà trasferita dagli Stati Uniti alla Cina. Smentita anche l'ipotesi di un accordo con Psa, con cui c'é "un rapporto storicamente forte" e con Gm ("i colloqui risalgono al 2008") per dare vita a un grande gruppo. Grazie alla casa di Detroit, con cui resta l'obiettivo della fusione entro il 2014 o il 2015, i conti del gruppo Fiat vanno bene, anche se l'indebitamento netto industriale sale a 6,7 miliardi e tutti gli obiettivi del 2012, del 2013 e del 2014 vengono rivisti al ribasso.

In Borsa il titolo crolla e chiude in calo del 4,66% a 3,93 euro. Marchionne ribadisce che nessuno stabilimento italiano chiuderà e chiede ai sindacati che hanno firmato il contratto di gruppo, con un ovvio riferimento alla Fiom, "di difendere attivamente il progetto nei confronti di alcune minoranze, determinate a impedirne il successo contro gli interessi del Paese". "Il vero problema - spiega Marchionne - è che se chiudessi un impianto in Europa dovrei aprirne un altro da un'altra parte". L'obiettivo per le fabbriche italiane è utilizzare il 15% della capacità produttiva per l'export, ma gli investimenti sono condizionati al rispetto dei nuovi accordi di lavoro. "Dobbiamo uscire dalla crisi lottando", sottolinea Marchionne. Il prossimo anno il gruppo Fiat lancerà tre nuovi modelli prodotti in Italia, uno targato Alfa Romeo e due Maserati. Nel 2014 è prevista la produzione di altri 5 nuovi modelli, sempre destinati anche all'export. "Una svolta storica, un salto di qualità", commentano i leader della Cisl, Raffaele Bonanni e della Uil, Luigi Angeletti. "Era quello che volevamo sentirci dire", afferma il numero uno della Ugl, Giovanni Centrella, mentre il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo si dice "assolutamente soddisfatto". "Marchionne sa bene che senza un vero piano di investimenti che parta subito, la Fiat è destinata a perdere ancora quote di mercato rispetto agli altri produttori", osserva il leader della Fiom, Maurizio Landini, che accusa "il governo con il suo silenzio e gli altri sindacati, di assumersi la responsabilità del disimpegno Fiat in Italia e in Europa". Il responsabile economia del pd Stefano Fassina, chiede al governo "di verificare il cambio di rotta", mentre il responsabile lavoro e welfare dell'IdV, Maurizio Zipponi, auspica che non sia "l'ennesima promessa al vento dopo il progetto fasullo di Fabbrica Italia".

Uragano Sandy e il silenzio sul clima nelle elezioni Usa. - Gianni Silvestrini



Come si è formato un uragano catastrofico e delle dimensioni di Sandy ce lo diranno i climatologi, ma nessuno oggi parla dell'aumento delle catastrofi naturali nel Nord America con una quintuplicazione dei danni causati da eventi estremi. Anche i duelli tra Obama e Romney sembrano voler oscurare l'argomento, complici le forti lobby dei fossili.


Solo nei prossimi giorni si potrà fare un bilancio dei morti e degli enormi danni provocati dal catastrofico uragano Sandy anomalmente deviato verso il continente nordamericano dall’incontro di una tempesta tropicale con una zona di alta pressione sotto la Groenlandia. Restando alla sola New York, è incredibile la fragilità di una metropoli che resta totalmente bloccata, con ampie zone al buio, e infrastrutture strategiche come le metropolitane e tutta l’area vicina al mare già parzialmente inondate.
Solo un paio di settimane fa Munich Re, una delle più importanti società di riassicurazione del mondo, aveva reso pubblico un rapporto rivolto proprio alle assicurazioni dal titolo “Severe Weather in North America”. Munich Re evidenziava il fatto che in nessuna altra parte del Pianeta l’aumento delle catastrofi naturali sia stata più evidente che nel Nord America con una quintuplicazione dei danni provocati da eventi estremi legati al clima (siccità, inondazioni, cicloni, ecc.) negli ultimi tre decenni.
Ma veniamo a Sandy. I climatologici e i meteorologi stanno esaminando tutte le informazioni per capire come si possa essere formato un uragano di queste dimensioni (l’ampiezza ha raggiunto i 1.500 km, più di tutta la penisola italiana). Dalla temperatura dell’oceano di 3-5 gradi superiore alla media, agli effetti sulla circolazione dei venti provocati dalla drastica riduzione della superficie del Polo Nord che ha raggiunto il minimo storico a metà settembre.
Questo disastro si abbatte su un Paese che già aveva visto nei primi 9 mesi dell’anno temperature record, 2 °C sopra la media del secolo scorso, tanto da portare il Dipartimento per l’Agricoltura, USDA, a dichiarare lo stato di disastro naturale agricolo per la maggior parte delle contee statunitensi.
In questo allarmante contesto stupisce l’assordante silenzio sul tema dei cambiamenti climatici durante la campagna elettorale e nei faccia a faccia tra Obama e Romney.  In effetti si tratta di un tema tabù che vede gli Usa in grande difficoltà. Segnali sempre più forti e una disponibilità a trattare sul clima vengono dalla Cina che vede una forte crescita della propria green economy e che punta a creare un mercato mondiale per le tecnologie verdi.
Come spiegare l’impasse degli Usa che non sono riusciti nemmeno a far approvare una legge sul contenimento delle emissioni dal proprio Senato? È un imbarazzo bipartisan dovuto alla forza dei settori del petrolio, del carbone, delle case automobilistiche. Ma il cambiamento del contesto diplomatico internazionale, l’accelerazione degli eventi disastrosi e l’emergere di un comparto industriale green anche negli Usa porterà a un cambiamento anche oltre Atlantico. Sperando che non sia troppo tardi. 

Treno fa sosta solo per i calciatori della Roma, esposto a procura.


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Codacons: fermata non prevista a Parma del Frecciarossa. Arrivo in ritardo a Milano. "Indagare per interruzione pubblico servizio".
Roma, 31 ott. (TMNews) - Il Codacons ha presentato oggi un esposto alla procura della Repubblica di Parma per denunciare un treno deviato per trasportare i calciatori della Roma. "Come riportato oggi dal quotidiano Metro - scrive l'associazione nell'esposto - alcuni passeggeri hanno denunciato un increscioso episodio avvenuto sul treno Frecciarossa 9544 del 30 ottobre, con partenza da Napoli alle 14:50, fermate a Roma, Firenze e Bologna, arrivo a Milano centrale alle 19:40. Risulterebbe infatti - spiega - che il convoglio abbia accumulato un ritardo di oltre 40 minuti poiché, a quasi un'ora dalla fine dell'itinerario programmato, il treno avrebbe abbandonato la linea dell'alta velocità per dirigersi verso Parma. I passeggeri avrebbero chiesto al controllore il motivo della sosta nella stazione di Parma per ricevere in risposta che: 'Il motivo della sosta, e del ritardo che ci sarà, è far scendere la Roma qui a Parma'".
Effettuata la "sosta straordinaria" il treno sarebbe poi giunto - continua il Codacons - alla stazione di Milano con un ritardo di 40 minuti, e molti passeggeri hanno denunciato l'accaduto alla Polfer e all'ufficio reclami di Trenitalia.
In particolare - riferisce il Codacons - i viaggiatori hanno segnalato la totale mancanza di informazioni da parte di Trenitalia: nessun avviso sui tabelloni presenti negli scali di Napoli, Roma, Firenze e Bologna era stato dato circa la sosta nella stazione di Parma, lo stesso dicasi per quanto riguarda gli avvisi a bordo. Se non per quella "sosta straordinaria" dagli altoparlanti del treno a ridosso dell'arrivo.
A seguito di tale "grave episodio e dopo aver ricevuto le segnalazioni anche di alcuni tifosi della Roma, indignati per la vicenda", il Codacons ha deciso di presentare oggi un esposto alla procura di Parma, chiedendo di aprire una indagine per il reato di interruzione di pubblico servizio. L'associazione ha anche chiesto alla Regione Emilia Romagna di elevare una sanzione nei confronti di Trenitalia, "in relazione all'ingiusta prevaricazione a danno degli utenti".
Della serie: "Le altre Caste" che quando si muovono proletariamente lo fanno con procedure personalizzate.

La Politica Comincia da Te. - Giampaolo Marcucci


jedi

Accade spesso che di fronte alle notizie politiche fornite dai media si finisca col provare rabbia, tristezza, rassegnazione. Alla lunga queste sensazioni portano la maggior parte delle persone ad allontanarsi dalla politica e chiudersi in una disillusione controproducente che non fa altro che alimentare ancor di più il potere di chi controlla.
Abbiamo già visto come il disinteresse e il sentimento della rassegnazione siano molto incentivati da un leader che vuole controllare le masse. L’allontanamento del singolo dalla politica concreta deve essere un importante stendardo da portare con dedizione. Bisogna far discutere l’unica parte della massa che si interessa di politica riguardo a temi sui quali il singolo non può in alcun modo influire. Tutti quegli argomenti che riguardano invece la politica locale e la gestione della dimensione del “vicinato” sono tenuti in sordina e vengono fatti insorgere, comunque sempre sottovoce, solo al momento delle elezioni amministrative. Diviene così retaggio comune, influenzato dai media, tra coloro che si pensano attivisti, il voler cambiare ciò che si vede in televisione, ignorando ciò che si può osservare dalla propria finestra. Non è rivolgendo l’attenzione nei confronti delle tematiche proposte dai palinsesti nazionali che si cambia il sistema politico. E’ a livello locale che va iniziata la ricostruzione. La politica è una piramide, per cambiarla bisogna partire dalla base e non dal vertice.Informatevi, interessatevi, muovetevi, prendete contatto con i vostri rappresentanti, candidatevi, fatevi protagonisti e non spettatori delle sorti della vostra città. Se a livello locale cambiano i rappresentanti, mano mano il cambiamento ingloberà tutti i livelli, fino al più alto. Solo allora la politica potrà ricominciare a definirsi tale e rincorrere una dimensione più umana e rispettosa. Cambiamo i verbi della nostra azione politica: proporre invece di reagirefare anzi che suggerireLa politica sei tu, se non cambi tu, non cambierà mai nulla!
Se tu non ti occupi di politica
la politica si occupa comunque di te.

L'amaca di Michele Serra.


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Napolitano non riceve Berlusconi: inaffidabile. Semmai vedrà Alfano, dopo Casini (oggi) e Bersani (forse domani)


Silvio Berlusconi
Stavolta Giorgio Napolitano non lo riceve. Il presidente della Repubblica non ci sta a finire dentro la tela intricatissima che Silvio Berlusconi pare voler tessere intorno al governo Monti, magari per stritolarlo. L'incontro al Colle era stato chiesto dal Cavaliere, prima della conferenza stampa di villa Gernetto. E sarebbe potuto avvenire domenica scorsa, come se fosse quasi una prosecuzione dell'incontro che Berlusconi aveva avuto con il premier a Palazzo Chigi martedì scorso, quando aveva indossato i panni della colomba offrendo a Monti la guida dei moderati, e dicendosi pronto al passo indietro per favorirla. Così non è stato. Perché nel frattempo è venuto a cadere il format che avrebbe potuto garantire quella prosecuzione. Sabato scorso, infatti, all'indomani della condanna di primo grado per il processo Mediatrade, il Cavaliere ha mostrato l'altro volto, quello arrabbiato, antimontiano, antieuropeista, tutto tranne che moderato e rassicurante sulla tenuta dell'esecutivo dei tecnici. È tornato falco, arrivando a un passo dalla rottura.
Un furore che ha messo in bilico non solo il governo ma anche la stessa chance per Berlusconi di incontrare il capo dello Stato. E così, raccontano a palazzo Grazioli, l’appuntamento al Quirinale è slittato a data da destinarsi, di certo non questa settimana. Tanto che Berlusconi ha confermato il suo viaggio a Malindi – partirà domani – e oggi ha approfittato del pomeriggio libero per un salto a Montecatini, ufficialmente per qualche visita di controllo, in realtà per una misteriosa visita personale. Sia come sia, col Colle è tornato il grande freddo che si percepiva lo scorso novembre. Perché è chiara la base della discussione che Berlusconi vorrebbe intavolare. I suoi lo spiegano senza tante perifrasi. Semplicemente vorrebbe intavolare una trattativa “politica” sul suo destino: cessazione delle ostilità su Monti in cambio di una tregua giudiziaria. O comunque in cambio di un sostegno di fronte a quella che ritiene una ingiusta persecuzione. L’ex premier avrebbe già voluto l’attesa sentenza della corte costituzionale sul processo Mediaset. E voleva che il Csm spedisse gli ispettori nella procura di Milano per il processo Ruby. Terreni che giudica di “influenza” del capo dello Stato.
Per Napolitano lo stile negoziale dell’ex premier non è una novità. La novità stavolta è che non è obbligato a riceverlo come quando era inquilino di palazzo Chigi. E in fondo il segretario del Pdl si chiama Angelino Alfano. È lui che parla con Monti di questioni politiche, e si confronta anche con gli altri leader della strana maggioranza: prima o poi, trapela dal Colle, qualcosa di definitivo dovrà dirla anche lui in un incontro a quattr’occhi con il capo dello Stato, senza l’ingombrante presenza di Berlusconi. Proprio la linea attendista del Quirinale ha consentito alle colombe di evitare l’incidente. Oggi, per esempio, al buffet organizzato al Quirinale per i 150 anni della Corte dei Conti, Napolitano ha avuto uno scambio di vedute con Gianni Letta e anche con il presidente del Senato, Renato Schifani. Entrambi gli hanno garantito che non ci saranno ripercussioni sull’esecutivo, che è stata una “sparata” determinata da tante ragioni, compresa l’amarezza per la sentenza, ma che non ci saranno conseguenze sull’esecutivo.
Ma la sensazione è che ormai più nessuno riesca a offrire le garanzie necessarie su Berlusconi. Di lui non ci si fida. Nessuno tra i suoi è disposto a rassicurare su quella che sarà la sua linea futura e al Colle non possono che prendere atto della facilità con cui l’ex premier cambia idea. Nel giro di pochi giorni, come è successo la settimana scorsa, quando da martedì a sabato è passato dalla linea Monti bis alla linea anti-Monti. Tutte le incertezze dell’ex premier sul da farsi sono perfettamente percepite al Colle, filtrano attraverso l’umore dei berlusconiani più moderati, quelli che mantengono i contatti con la presidenza della Repubblica.
Nell’agenda del capo dello Stato per il momento non c’è alcun incontro con il Cavaliere. Ci vorrà del tempo per arrivarci. Troppo fresca la burrasca di sabato. Ora al Colle ci tengono a non finire risucchiati in un ennesimo gioco di affermazioni e smentite, che mettono a repentaglio la credibilità internazionale italiana in vista del voto del 2013. Che avverrà al completamento naturale della legislatura e non prima, ha rimarcato anche oggi il capo dello Stato, richiamando i partiti ad una ulteriore “assunzione di responsabilità” nei confronti del governo e degli obblighi europei imposti dalla crisi ed esortandoli a riformare la legge elettorale. Su quest’ultima, il tempo di attesa al Colle scade a fine novembre, suppergiù.
Nel senso che il presidente della Repubblica aspetta di vedere cosa riesce a licenziare il Senato, dove proprio oggi in commissione per un solo voto non è passato un emendamento dei Radicali che proponeva il doppio turno alla francese ribaltando il testo Malan approvato giorni fa. Per dire di quanto il dibattito sia in alto mare. Comunque, dal testo che verrà licenziato da Palazzo Madama si capirà molto, sarà subito evidente se si tratterà di una proposta destinata a morire al passaggio a Montecitorio. A quel punto, potrebbe scattare il messaggio del capo dello Stato alle Camere per chiedere la riforma del sistema di voto. Non che questa sia la bacchetta magica, al Colle lo sanno, ma il capo dello Stato userà tutti mezzi che può per insistere affinché non si vada al voto con il Porcellum.
Intanto oggi Napolitano ha ricevuto al Colle Pier Ferdinando Casini. Si tratta, fanno sapere, dell’inizio di un nuovo giro di orizzonte con i leader della strana maggioranza su quanto rimane da fare fino alla fine della legislatura, oltre alla legge elettorale, anche l’estensione dei controlli sull’uso delle risorse finanziarie pubbliche. Forse già domani mattina il capo dello Stato potrebbe ricevere il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che tra l’altro oggi ha avuto un colloquio alla Camera con il leader dell’Udc: ufficialmente, hanno parlato di emendamenti comuni alla legge di stabilità; ufficiosamente, la chiacchierata testimonia un riavvicinamento da parte di Casini verso il Pd, alla luce dell’antimontismo di Berlusconi e della vittoria con Crocetta in Sicilia. Casini, Bersani: non resta che Alfano. Prima o poi, al Colle attendono anche lui, sempre che voglia pronunciarsi sul percorso indicato da qui alla scadenza naturale della legislatura. Lui, ma non Berlusconi.

La carica dei magnifici 15!


M5S
Matteo Mangiacavallo
Giancarlo Cancelleri
Angela Foti
Francesco Cappello*
Gianina Ciancio
Antonio Venturino
Valentina Zafarana
Claudia La Rocca
Salvatore Siragusa
Giorgio Ciaccio
Giampiero Trizzino*
Vanessa Ferreri
Stefano Zito
Valentina Palmeri
Sergio Troisi
*Cancelleri dovrà optare per un seggio tra i collegi di Caltanissetta, Catania e Palermo

Debito pubblico e la fila per il pane.



"Caro Beppe, non solo il Grecia si fa la fila per il pane. Anche a Milano, tutte le mattine in viale Monza migliaia di persone si rivolgono alla sede di "Pane Quotidiano".
'Fino a dieci anni fa c'erano circa 1500 persone in fila tutti i giorni', racconta Luigi Rossi, uno dei responsabili della struttura, 'oggi sono 2500, divisi tra il centro di viale Toscana e quello di viale Monza. E nel fine settimana si arriva anche a 3000'. Mario M.


http://www.beppegrillo.it/2012/10/debito_pubblico_e_la_fila_per_il_pane.html

DUE O TRE COSE SU DI PIETRO – di Marco TRAVAGLIO



"IN VENT’ANNI DI PROCESSI, SPIATE DEI SERVIZI SEGRETI AL SOLDO DI CHI SAPPIAMO, CAMPAGNE CALUNNIOSE ORCHESTRATE DA CHI SAPPIAMO CHE L’HANNO VIVISEZIONATO E PASSATO MILLE VOLTE AI RAGGI X, RICICCIA FUORI SEMPRE LA SOLITA MINESTRA, GIA GIUDICATA INFONDATA E DIFFAMATORIA DA FIOR DI SENTENZE "

"Come ciclicamente gli accade, da quando è un personagg
io pubblico, cioè esattamente da vent’anni, Antonio Di Pietro viene dato per morto. Politicamente, s’intende. Gli capitò nel ’ 94, quando dovette dimettersi da pm per i ricatti della banda B. Poi nel ‘ 95, quando subì sei processi a Brescia per una trentina di capi d’imputazione (sempre prosciolto). Poi nel ‘ 96 quando si dimise da ministro per le calunnie sull ’affaire Pacini Battaglia-D’Adamo. Poi nel 2001, quando la neonata Idv fu estromessa dal centrosinistra e per qualche decimale restò fuori dal Parlamento. Poi ancora quando il figlio Cristiano finì nei guai nell’inchiesta Romeo a Napoli; quando i suoi De Gregorio, Scilipoti e Razzi passarono a miglior partito; quando alcuni ex dipietristi rancorosi lo denunciarono per presunti abusi sui rimborsi elettorali e sull’acquisto di immobili; quando una campagna di stampa insinuò chissà quale retroscena su un invito a cena con alti ufficiali dell’Arma alla presenza di Contrada; quando le presunte rivelazioni dell’ex ambasciatore americano, ovviamente morto, misero in dubbio la correttezza di Mani Pulite. Ogni volta che finiva nella polvere, Di Pietro trovava il modo di rialzarsi.

Ora siamo all’ennesimo replay, con le indagini sui suoi uomini di punta nelle regioni Lazio, Emilia, Liguria, mentre il centrosinistra lo taglia fuori un’altra volta, Grillo fa man bassa nel suo elettorato più movimentista e Report ricicla le accuse degli “ex” sui rimborsi e sulle case. Si rimetterà in piedi anche stavolta, o il vento anti-partiti che soffia impetuoso nel Paese spazzerà via anche il suo?

Cominciamo da Report, programma benemerito da tutti apprezzato: domenica sera Di Pietro è apparso in difficoltà, davanti ai microfoni dell’inviata di Milena Gabanelli. Ma in difficoltà perché? Per scarsa abilità dialettica o perché avesse qualcosa da nascondere, magari di inedito e inconfessabile? A leggere (per noi, rileggere) le carte che l’altroieri ha messo a disposizione sul suo sito, si direbbe di no: decine di sentenze, penali e civili, hanno accertato che non un euro di finanziamento pubblico è mai entrato nelle tasche di Di Pietro o della sua famiglia. E nemmeno nelle case, che non sono le 56 che qualche testimone farlocco o vendicativo, già smentito dai giudici, ha voluto accreditare: oggi sono 7 o 8 fra la famiglia Di Pietro, la famiglia della moglie e i due figli. Quanto alla donazione Borletti, risale al 1995, quando Di Pietro era ancora magistrato in aspettativa e imputato a Brescia: fu un lascito personale a un personaggio che la nobildonna voleva sostenere nella speranza di un suo impegno in politica, non certo un finanziamento a un partito che ancora non esisteva (sarebbe nato tre anni dopo e si sarebbe presentato alle elezioni sei anni dopo, nel 2001, e l’ex pm lo registrò regolarmente alla Camera tra i suoi introiti).

Il resto è noto e arcinoto: all’inizio l’Italia dei Valori era un piccolo movimento “personale”, tutto incentrato sulla figura del suo leader, che lo gestiva con un’associazione omonima insieme a persone di sua strettissima fiducia. In un secondo momento cambiò lo statuto per dargli una gestione più collegiale. Decine di giudici hanno già accertato che fu tutto regolare, fatta salva qualche caduta di stile familistica e qualche commistione fra l’entourage del leader e il movimento.

Di Pietro potrebbe anche fermarsi qui: se, in vent’anni di processi, spiate dei servizi segreti al soldo di chi sappiamo, campagne calunniose orchestrate da chi sappiamo che l’hanno vivisezionato e passato mille volte ai raggi X, riciccia fuori sempre la solita minestra, già giudicata infondata e diffamatoria da fior di sentenze, vuol dire che di errori ne ha commessi, ma tutti emendabili, perché il saldo finale rimane positivo. Senza l’Idv non avremmo votato i referendum su nucleare e impunità; i girotondi e i movimenti di società civile non avrebbero avuto sponde nel Palazzo; in Parlamento sarebbe mancata qualunque opposizione all’indulto, agl’inciuci bicamerali e post-bicamerali, alle leggi vergogna di B. e anche a qualcuna di Monti; e certe Procure, come quella di Palermo impegnata nel processo sulla trattativa, sarebbero rimaste sole, o ancor più sole. Senza contare che Di Pietro non ha mai lottizzato la Rai e le Authority. É vero, ha selezionato molto male una parte della sua classe dirigente (l’abbiamo sempre denunciato). Ma quando è finito sotto inchiesta si è sempre dimesso e, quando nei guai giudiziari è finito qualcuno dei suoi, l’ha cacciato.

Ora la sorte dell’Idv, fra l’estinzione e il rilancio, è soltanto nelle sue mani. E non dipende dal numero di case di proprietà, ma da quel che farà di qui alle elezioni. Siccome è ormai scontato che si voterà col Porcellum, dunque ancora una volta i segretari di partito nomineranno i propri parlamentari, apra subito i gazebo per le primarie non sulla leadership, ma sui candidati. E nomini un comitato di garanti con De Magistris, Li Gotti, Palomba, Pardi e altri esponenti dell’Idv o indipendenti al di sopra di ogni sospetto. Qualche errore sarà sempre possibile, ma almeno potrà dire di aver fatto tutto il possibile per sbarrare la strada a nuovi Scilipoti, Razzi e Maruccio. Nel prossimo Parlamento, verosimilmente ingovernabile e dunque felicemente costretto all’inciucione sul Monti-bis, ci sarà un gran bisogno di oppositori seri, soprattutto sul tema della legalità. Se saranno soltanto i ragazzi di Grillo o anche gli uomini dell’Idv, dipende solo da lui.

Marco Travaglio

IL FATTO QUOTIDIANO, 31 ottobre 2012





La morte dei poveri non f notizia.



Tutti i media parlano dell'uragano che sta colpendo l'america, ma nessuno del disastro che ha lasciato con il suo passaggio a Cuba.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/30/processo-ruby-fede-avvocati-troppo-cari-rinuncio-a-difendermi/398864/

martedì 30 ottobre 2012

Uragano Sandy: Repubblica Dominicana, ma tutti parlano solo di New York.



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=541567432535800&set=a.187107907981756.53620.187106444648569&type=1&theater

Pdl bancomat: Scilipoti, Pionati, Miccichè. Migliaia di euro ai mini alleati di B..


BERLUSCONI PAGA TUTTI


Nel 2011 il partito ha erogato oltre 2 milioni di euro a movimenti e associazioni che hanno sostenuto il Cavaliere. Dai responsabili di Scilipoti ai cristiano popolari Baccini fino ad arrivare agli "Italiani per la libertà" di Caselli (coinvolto nell'inchiesta Finmeccanica) e addirittura alla Forza del Sud di Miccichè, ieri decisivo (in negativo) per la vittoria di Crocetta.

Centinaia di migliaia di euro ai “mini alleati”: i movimenti che rappresentano un deputato o due come l’ex Idv Mimmo Scilipoti o l’ex Udc Mario Baccini. O che vantano piccole percentuali in qualche pezzetto del Paese, che possono raccogliere adesioni e fare “marketing” sul territorio (Michela Vittoria Brambilla e i suoi Circoli delle Libertà). Certo, spiccano coloro che hanno “saltato il fosso” ai tempi del 14 dicembre 2010, quando Berlusconi aveva rischiato di cadere una prima volta (un anno prima di essere invitato a lasciare dai mercati, da mezza Europa e dal presidente della Repubblica e di essere sostituito da Monti). Il Pdl, comunque, è un bancomat: nel 2011 ha erogato, soprattutto per le spese elettorali, contributi per oltre 2 milioni di euro a tutta la galassia intorno al Pdl. Tra questi anche quelli che non “dovrebbero” esserci: Gianfranco Miccichè e al suo Forza Sud, per esempio, essenziale (in negativo per il centrodestra) per la vittoria in Sicilia di Rosario Crocetta. Ma anche Italiani per la libertà, l’associazione presieduta dal senatore pidiellino Esteban Juan Caselli, di professione ambasciatore, eletto in Sud America, il cui nome è emerso dall’inchiesta su Finmeccanica
Secondo l’ultimo bilancio, quello per l’esercizio 2011, il partito di Silvio Berlusconi ha erogato lo scorso anno, soprattutto per partecipare alle spese elettorali, contributi per una somma complessiva di 2 milioni 196mila 246 euro. La cifra, inserita nella voce “Contributi ad associazioni”, pur essendo diminuita di 2 milioni 705mila euro rispetto all’importo di 4 milioni 901mila euro versato nel 2010, resta molto consistente in tempi di crisi come questo. I beneficiari? Si va dal Movimento di responsabilità nazionale di Mimmo Scilipoti al Circolo della Libertà di Michela Vittoria Brambilla. Dai Cristiano popolari di Mario Baccini ai Liberal democratici di Italo Tanoni
Tra i maggiori beneficiari tuttavia (con ben 300mila euro) c’è proprio Forza del Sud, il movimento politico fondato nell’ottobre di due anni fa dall’allora sottosegretario all’Economia del Berlusconi quater, Gianfranco Miccichè. Cioè colui che ha rotto poi l’alleanza con il Pdl in Sicilia, favorendo così il successo di Crocetta (Forza del Sud è poi confluito nel Grande Sud).
Desta ulteriore curiosità, invece, il contributo di 175 mila euro ricevuto da Italiani per la libertà, l’associazione presieduta dal senatore Caselli. Originario dell’Argentina ed eletto nella circoscrizione estero, ripartizione America Meridionale, introdotto all’allora direttore commerciale di Finmeccanica, Paolo Pozzessere (poi arrestato) proprio da Berlusconi. Il politico avrebbe voluto, come altri, “provvigioni” da Finmeccanica. Il ruolo di Caselli, secondo gli inquirenti, sarebbe stato quello di mediatore per degli affari (poi sfumati) con l’Indonesia. Pozzessere aveva raccontato tutto agli inquirenti l’11 novembre 2011: “Nel marzo-aprile 2011 mi trovavo al circolo degli Esteri a Roma… quando ho ricevuto una telefonata dal presidente Berlusconi il quale mi chiese se Finmeccanica (o meglio Alenia e Agusta) erano interessate a vendere aerei e elicotteri al Governo dell’Indonesia: a tale domanda io risposi affermativamente e lui mi disse che c’era un suo amico, il senatore Esteban Caselli, che poteva esserci utile, nel senso che Caselli conosceva una persona che poteva esserci utile per la trattativa in Indonesia”.
E ancora spicca il milione di euro, poi ridotto a 700mila euro, a favore dei Liberal Democratici per il Rinnovamento, guidato dai parlamentari Italo Tanoni e dall’ex sottosegretario alla Giustizia Daniela Melchiorre. Si tratta degli ex “diniani”. La Melchiorre entrò nel governo Prodi bis (2006-2008) come sottosegretario. Poi i “lib-dem” contribuirono a far cadere il governo di centrosinistra e furono rieletti in quota con il Pdl. Per un po’ non ebbero incarichi nell’esecutivo Berlusconi e si limitarono all’appoggio esterno, ma alla fine la Melchiorre tornò sottosegretario alla Giustizia per una ventina di giorni: all’improvvisò si sorprese delle celebri dichiarazioni del Cavaliere a Obama durante un vertice internazionale sulle persecuzioni dei giudici di sinistra. Così la Melchiorre si dimise dal governo. A ridosso del 14 dicembre 2010 decisero di togliere la fiducia a Berlusconi, ma non furono decisivi. Ma i lib-dem restano nell’area Pdl e nell’aprile del 2011 sono tra le forze politiche che sostengono il conflitto di attribuzione per il processo Ruby: è il giorno in cui la Camera votò la tesi secondo la quale Berlusconi era davvero convinto che la ragazza marocchina fosse la nipote di Mubarak.
“Va segnalato - scrivono i tesorieri pidiellini Rocco Crimi e Maurizio Bianconi nella relazione gestionale del rendiconto pubblicato di recente sulla Gazzetta ufficiale - che l’ammontare iniziale dell’impegno verso la formazione politica in questione era di 1 milione 300mila euro, sceso a 1 milione di euro per effetto del pagamento di 300mila euro eseguito nell’anno, importo infine successivamente ridotto a 700 mila euro”. I rappresentanti legali del partito spiegano le ragioni del caso dei Liberal Democratici anche in un altro passaggio della relazione: “Nel mese di maggio la Camera ha approvato nuove disposizioni in materia di finanziamento e bilanci dei partiti politici. Tali norme, oltre a prevedere regole più stringenti in materia di controllo attraverso la creazione di un’apposita Commissione e l’introduzione dell’obbligo di certificazione da parte di società di revisione, stabiliscono una forte riduzione dei rimborsi delle spese elettorali già a partire dall’annualità relativa al 2012”. Dopo l’approvazione di queste regole, continuano Crimi e Bianconi, “è stato sottoscritto un atto di transazione con i Liberal Democratici per il Rinnovamento con il quale l’importo residuo di 1 milione di euro ad esse ancora dovuto è stato decurtato fino a 700mila euro. Questo ammontare, come concordato nell’atto in questione, è stato immediatamente a loro versato”.
La “lista dei beneficiati” del Pdl è ampia e coinvolge anche molte formazioni che hanno consentito al governo Berlusconi di sopravvivere con una maggioranza risicata alla Camera. Centomila euro sono stati assegnati ad Azione sociale, il movimento che fa capo alla deputata pidiellina Alessanda Mussolini, che già in passato ha beneficiato di altre elargizioni. Ottantamila euro sono finiti all’Alleanza di centro per la libertà di Francesco Pionati, 49mila euro al Movimento di responsabilità nazionale, fondato dall’ex dipietrista Scilipoti, leader dei responsabili che salvò più volte il governo Berlusconi dalla crisi di governo; 40mila euro per i Cristiano popolari, movimento guidato dall’ex ministro Udc Baccini.
E ancora: 144 mila euro sono stati attribuiti a Democrazia cristiana per la Campania, associazione (presieduta da Ugo Grippo) che fa parte della Federazione dei partiti della Democrazia cristiana a cui hanno aderito varie regioni tra cui, appunto, la Campania; 27 mila al “brambilliano” Circolo della libertà nato il 20 novembre 2006 e presieduta dall’ex ministro.
“Ogni contributo – aggiungono Crimi e Bianconi - è stato erogato nell’anno in esame, ad eccezione dell’importo di 700mila euro che al 31 dicembre risulta ancora da versare ai Liberal Democratici per il Rinnovamento, secondo la scadenza di pagamento stabilità negli impegni economici e politici sottoscritti nel 2011. Tale ammontare è iscritto nello stato patrimoniale negli ‘Altri debiti correnti’, esigibili, quindi, entro l’esercizio successivo”.  In particolare, il Pdl ha staccato un assegno di quasi 200 mila euro “a titolo di partecipazione delle spese” per alcune campagne elettorali. Per la precisione: 96mila sono stati attribuiti al Comitato regionale romano della Democrazia cristiana per le autonomie dell’ex ministro Rotondi, mentre 180mila sono stati versati al “Comitato per Guido Podestà presidente della provincia di Milano” e 4mila euro al “Comitato elettorale Macerata nel cuore” per sostenere la candidatura a sindaco di Fabio Pistarelli alle elezioni amministrative di due anni fa. “Questi due contributi – si legge nella relazione – sono stati erogati a titolo di partecipazione alle spese effettuate dai due comitati nel corso della campagna elettorale relativa al rinnovo, rispettivamente, del consiglio provinciale di Milano svolta nel 2009 e di altre locali elezioni amministrative del 2010”.
All’interno della voce “Quote associative”, i tesorieri segnalano poi la “presenza del versamento di 234 mila 639 euro effettuato dal nostro partito al Ppe, come accaduto anche negli anni precedenti, quale quota di nostra spettanza relativa all’anno 2011”. Infine, nella voce “Contributi erogati a parlamentari a sostegno della loro attività di comunicazione”, figura un unico contributo al segretario Angelino Alfano per una somma di 61mila 539 euro. Discorso a parte le “iniziative per accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica” che ammontano a 192mila euro nel 2011: “Rispetto al passato esercizio aumentano del medesimo importo in quanto all’epoca non esponevano alcun totale”. In questa voce è compreso anche il versamento di un contributo all’ex ministro Mara Carfagna pari a 75mila euro.

Mafia, “Soldi narcotraffico a Dell’Utri per investimento in attività Berlusconi”.


Mafia, “Soldi narcotraffico a Dell’Utri per investimento in attività Berlusconi”


Secondo il pentito Gaetano Grado negli anni '70 un flusso di denaro proveniente dai traffici di droga sarebbe stato investito nelle attività immobiliari “Milano 1 e Milano 2”. Nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, al processo d’appello al senatore, il collaboratore sostiene: "Mangano mi rispettava e chiese a me il permesso di andare ad Arcore a lavorare".

Negli anni ’70 un flusso di denaro proveniente dai traffici di droga di Cosa nostra sarebbe stato investito nelle attività economiche “Milano 1 e Milano 2”, di Silvio Berlusconi. Lo ha raccontato il pentito Gaetano Grado deponendo, nell’aula bunker del carcere romano di Rebibbia, al processo d’appello per concorso in associazione mafiosa al senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. Grado, citato dal procuratore generale dopo essere stato interrogato dai pm di Palermo ad agosto, ha anche parlato dei rapporti tra il boss Vittorio Mangano, poi assunto nella villa di Arcore dell’ex premier come stalliere, e Dell’Utri.
Poco più di un mese fa proprio il Cavaliere era stato sentito sui suoi rapporti con Vittorio Mangano nell’ambito dell’inchiesta che vede il senatore azzurro indagato per tentata estorsione: quasi 40 milioni versati in 10 anni e l’acquisto della villa di Dell’Utri sul lago di Como. Durante quella deposizione si era parlato dello stalliere (“una persona perbene”), Tanino Cinà ( sposato con una figlia di un capomafia e imparentato attraverso di essa con con la famiglia del vecchio boss dei boss Stefano Bontade), e del fiume di denaro versato dal Cavaliere sui conti del senatore azzurro, ideatore nel 1993 di Forza Italia. “Mangano e Cinà? Persone apparentemente perbene, dai modi gentili. Era impossibile sospettarne i legami mafiosi”, ha ripetuto l’ex presidente del Consiglio. 
Oggi arriva la dichiarazione del collaboratore: “Mangano mi rispettava e chiese a me il permesso di andare ad Arcore a lavorare. So che a interessarsi per farlo andare lì erano stati Tanino Cinà e Dell’Utri. Dei viaggi a Milano di Mangano, che avrebbe portato i soldi del narcotraffico accumulati dalle famiglie mafiose a Dell’Utri perché li investisse nelle attività di Berlusconi, Grado avrebbe saputo dallo stesso “stalliere” e dal fratello Antonino. Il pentito, che solo nel 2012 ha parlato della vicenda, nonostante più volte sia stato sentito dai pm, non ha saputo indicare, però, circostanze più precise: “quando si trattava di droga – ha detto – non facevo domande perché la cosa mi ripugnava”. Il collaboratore ha anche raccontato che nel 1980 i boss, con l’aiuto di Mangano, misero una bomba davanti al cancello della villa di Arcore come atto dimostrativo. Grado lo avrebbe saputo dal boss Stefano Bontade. A conferma dell’attendibilità del pentito la corte ha sentito anche un altro collaboratore di giustizia: l’ex camorrista Bruno Rossi.