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lunedì 6 luglio 2020

Non solo Maroni e Alfano: Sua Sanità ingaggia spioni. - Gianni Barbacetto

Non solo Maroni e Alfano: Sua Sanità ingaggia spioni

San Donato - Il primo gruppo della sanità privata dopo aver arruolato ex ministri, assume anche agenti dell’Aise: in arrivo pure il vicedirettore.
Non ci sono soltanto ex ministri (sempre di centrodestra). Il Gruppo San Donato di Paolo Rotelli, primo in Italia nella sanità privata e attivo in Lombardia, assolda non solo politici del calibro di Angelino Alfano e Roberto Maroni, ma anche agenti segreti. Nell’Aise (i servizi segreti per l’estero) in questi giorni si sta giocando la partita per decidere le nomine dei nuovi vertici. Come direttore è già arrivato Gianni Caravelli, al posto di Luciano Carta, diventato presidente di Leonardo. Mancano le nomine dei vice (che potrebbero arrivare a breve).
Sono due le caselle da riempire: c’è quella lasciata libera da Caravelli e poi quella occupata da Giuseppe Caputo, generale della Guardia di finanza arrivato all’Aise molti anni fa e che ora ha presentato domanda di “collocamento a riposo”, ossia pensione, con decorrenza da fine luglio. Caputo poi andrà al San Donato, il gruppo che conta 19 tra ospedali e cliniche, più di 5 mila posti letto, 4,3 milioni di pazienti curati ogni anno, 16 mila addetti e che nel 2018 ha fatturato di 1,65 miliardi, in buona parte provenienti dai rimborsi pubblici regionali per la sanità accreditata.
Caputo entrerà nell’“Ufficio compliance, protezione aziendale e relazioni con le istituzioni”, che cura la security del gruppo e tiene i contatti politici e istituzionali. Affiancherà un vecchio collega, Claudio di Sabato, anch’egli ex generale della Gdf ed ex ufficiale dell’Aise, arrivato al San Donato nel 2019 e che resta il numero uno.
Caputo dovrà occuparsi delle relazioni istituzionali e della sicurezza, in vista della programmata espansione del gruppo San Donato nei territori del Sud Italia. “Avevamo bisogno di una figura professionale come la sua per operare in un territorio complicato come il Meridione, a rischio di infiltrazioni criminali”, spiegano fonti del gruppo.
Così si è pensato a un professionista che in Aise ha messo piede nel lontano 1998 e che è poi stato capo di gabinetto di Alberto Manenti, quando questi guidava i servizi segreti per l’estero, per poi diventarne vicedirettore.
Con l’arrivo dello 007 si completa la squadra di vertice del San Donato. Nel luglio 2019 era stato scelto l’ex delfino di Silvio Berlusconi e poi fondatore del Nuovo Centro Destra, Angelino Alfano, chiamato con il ruolo di presidente del San Donato. Nel giugno 2020, invece, sono stati formati i nuovi consigli d’amministrazione delle società del gruppo. Tra i nuovi arrivi c’è stato anche Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno e del Lavoro e fino al 2018 presidente della Regione Lombardia, entrato nel cda degli Istituti clinici Zucchi, una delle strutture sanitarie del gruppo. E poi c’è Augusta Iannini, ex magistrato di Roma, capo dell’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia e poi vicepresidente dell’Autorità garante per la privacy. Iannini, moglie di Bruno Vespa, è entrata a far parte del consiglio d’amministrazione della holding e in quello dell’Ospedale San Raffaele, fiore all’occhiello del gruppo.
E dunque: Alfano, Maroni, Iannini. Impossibile non notare come gli organigrammi del gruppo siano pieni di figure che vengono da partiti e da ministeri, personalità che di certo durante la loro carriera hanno tessuto non pochi rapporti. Inoltre, gran parte del fatturato del San Donato proviene dai soldi pubblici, tramite gli accreditamenti che i suoi ospedali hanno ottenuto, a partire dai bei tempi della riforma di Roberto Formigoni che ha aperto il sistema sanitario lombardo ai privati (un modello che durante la crisi Covid ha mostrato tutti i suoi limiti).
Ma forse la politica non basta. Al gruppo evidentemente serve anche chi ha avuto esperienze di primo piano nelle strutture dell’intelligence.

giovedì 1 giugno 2017

Angelino Alfano, per il «delfino» è arrivato l’ultimo giro di giostra? - Barbara Fiammeri

Il ministro degli Affari Esteri Angelino Alfano  (Ansa)


Chissà se per Angelino Alfano è arrivato l'ultimo giro di giostra. 
L'istinto di sopravvivenza finora dimostrato dal ministro agrigentino non è da sottovalutare. Il Defino senza quid spiaggiato dal Cavaliere è una sorta di araba fenice. 
Democristiano di nascita per discendenza paterna, a soli 24 anni capisce che è ora di lanciarsi nel nuovo che avanza approdando in Forza Italia. Riservato, apparentemente modesto e con le amicizie giuste è protagonista di una rapida scalata che solo un anno dopo, nel 1996, gli consente di sedere tra i banchi dell'assemblea siciliana. L'obiettivo però è Roma, il Palazzo, dove approda come deputato nel 2001. Nel frattempo cresce anche il suo peso nel partito e il legame con Silvio Berlusconi che prima gli affida nel 2005 il ruolo di coordinatore in Sicilia e poi lo vuole nel suo Governo come Guardasigilli.

Lodo e inasprimento 41bis.

Alfano svolge fedelmente il suo compito, tant'è che porta il suo nome il lodo che consentiva (la legge è stata poi cassata dalla Corte costituzionale) la sospensione dei processi per le 4 più alte cariche dello stato tra cui, ovviamente, quella del presidente del Consiglio Berlusconi alle prese con diversi guai giudiziari. Nel frattempo però è anche artefice di una serie di provvedimenti, primo fra tutti l'inasprimento del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi di cui si lamenta anche Totò Riina in una intercettazione. Per il giovane ministro la strada sembra ormai in discesa e nel partito si fa più di un nemico soprattutto quando Berlusconi lo designa come erede. Il Cavaliere non teme regicidi per l'assenza di “quid” di Angelino (ribattezzato dai malevoli Angolino), che a sua volta però si sta già preparando al dopo. Nel 2013 le larghe intese lo riportano al Governo guidato da Enrico Letta. Stavolta è ministro dell'Interno. La sua stagione al Viminale viene ricordata essenzialmente per due fatti: il caso Shalabayeva, la moglie del dissidente kazakho Mukhtar Ablyazof, arrestata in un blitz violento assieme alla figlia di 6 anni ed espulsa illegittimamente dall'Italia, e il tweet con cui il ministro annunciava urbi et orbi l'arresto dell'assassino della piccola Yara Gambirasio, provocando le ire dei Pm a capo dell'indagine che doveva rimanere riservata.


L’ultimo giro di boa.

Alfano però resta al suo posto. Anche perché nel frattempo garantisce la sopravvivenza del governo abbandonando Berlusconi al suo destino di incandidabile e dando vita al Nuovo centrodestra. Anche il trasloco da Letta a Renzi non gli provoca particolari patemi (resta alla guida del Viminale), pur attirando su di sé critiche feroci con l'aggravarsi dell'emergenza immigrazione. Il partito intanto comincia a perdere pezzi: l'ex ministro Nunzia De Girolamo, poi il coordinatore Gaetano Quagliariello e alla vigilia del referendum costituzionale il capogruppo Renato Schifani. 


Alfano resiste e con Gentiloni trasloca dal Viminale alla Farnesina. Ora è di fronte a un nuovo giro di boa. Renzi lo ha abbandonato al suo destino d'intesa con Berlusconi e Grillo innalzando la soglia al 5% per entrare in Parlamento. 
Ma visti i precedenti, chissà che anche stavolta il Delfino spiaggiato non trovi l'onda giusta per tornare a surfare.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-06-01/la-storia-delfino-spiaggiato-angelino-alfano--095150.shtml?uuid=AE24kyWB

Speriamo che sparisca.... ma non ci credo troppo. 
Questo è un altro arcano poco comprensibile: non è benvoluto dal 97% degli elettori, ma resta sempre a galla.
Santi in paradiso?

martedì 16 maggio 2017

Giuseppe Pipitone su fb.

L'immagine può contenere: 4 persone, vestito elegante

Quello al centro con gli occhiali si chiama Leonardo Sacco. Lo hanno arrestato oggi in un'operazione anti Ndrangheta. Hanno arrestato anche gli altri due a destra e a sinistra. Dei rapporti con l'unico rimasto libero - che incidentalmente fa il ministro - e di come il business dell'accoglienza sia finito in mano ad un certo partito - che nel frattempo ha cambiato nome - scrivevo qui mesi fa: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/14/migranti-dalla-sicilia-al-veneto-il-business-dei-centri-daccoglienza-e-nelle-mani-del-nuovo-centrodestra/3299226/5/

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10212903977657638&set=a.1597254414696.2087700.1336071063&type=3&theater

sabato 28 gennaio 2017

Vorrei....

Risultati immagini per vorrei

Vorrei che l'"Unità" e il "corsera (corriere della serva) parlassero dei finanziamenti che Buzzi ha elargito a Marino per la sua campagna elettorale; 
delle responsabilità della famiglia Boschi nella vicenda di banca Etruria; 
dei problemi economici di Tiziano Renzi, ...
Mi pare che anche Renzi abbia agevolato la scalata di amici in ranghi governativi o centri di potere, come anche la stessa Boschi, Alfano e tanti altri; 
il codice penale va applicato anche nel loro caso se si tratta di vicende simili a quelle che riguardano la Raggi.

Ma siamo in Italia, dove nulla è come dovrebbe essere e a pagare sono sempre quelli che non si prostrano al potere costituito (e non costituente). 
Siamo una stelletta degli Usa, ma non abbiamo nessuna voce in capitolo, non veniamo chiamati a votare i loro rappresentanti, siamo solo chiamati a rispettare le regole che ci impongono indirettamente servendosi di persone poco rispettabili: i nostri governanti.

Cetta 

lunedì 3 ottobre 2016

Alfano, indagine della Corte dei Conti sul fratello Alessandro assunto in Poste. - Marco Lillo e Valeria Pacelli



L’assunzione di Alessandro Alfano, fratello del ministro dell’Interno, nel gruppo Poste nel 2013 è al vaglio della Corte dei conti. La Procura di Roma ha infatti inviato ai magistrati contabili una relazione di sei pagine (ma con centinaia di pagine allegate) per mettere in fila tutte le tappe della carriera di Alfano jr, emerse dagli atti dell’inchiesta penale che vede indagato tra gli altri, l’uomo vicino al ministro dell’Interno, Raffaele Pizza, arrestato il 6 luglio.
In una delle conversazioni intercettate nel gennaio del 2015, Pizza si vantava con Davide Tedesco, collaboratore del ministro Alfano, di aver facilitato, grazie ai suoi rapporti con l’ex amministratore di Poste Massimo Sarmi, l’assunzione del fratello del ministro in una società del Gruppo, Postecom. Pizza diceva: “Lui come massimo (di stipendio, ndr) poteva avere 170 mila euro e io gli ho fatto avere 160 mila. Tant’è che Sarmi stesso gliel’ha detto ad Angelino: ‘Io ho tolto 10 mila euro d’accordo con Lino’ (Pizza, ndr), per poi evitare. Adesso va dicendo che l’ho fottuto perché non gli ho fatto dare i 170 mila”. Pochi mesi dopo quelle presunte lamentele, Alfano jr (laurea triennale a 34 anni in Economia) viene trasferito in un’altra società del gruppo – Poste Tributi – e lo stipendio supera i suoi desiderata: 180 mila euro lordi all’anno.
Quando la vicenda emerge sui giornali nel luglio del 2016 con gli arresti, Repubblica chiede a Sarmi se sapesse dell’assunzione del fratello del ministro. E lui risponde: “Secondo lei l’Ad di un gruppo da 150 mila persone può occuparsi anche delle assunzioni nelle controllate?”. Ora si scopre che la risposta giusta è sì, a sentire il capo del personale dell’epoca di Poste. Un tipo del quale Sarmi si fida perché lo ha portato con sé alla società Milano Serravalle, dove la Lombardia di Maroni (Ncd è in maggioranza) lo ha nominato amministratore nell’ottobre del 2014.
Al Fatto risulta che tra le carte più interessanti inviate alla Procura della Corte dei conti c’è proprio la testimonianza del febbraio scorso alla Guardia di finanza del capo delle risorse umane di allora di Poste, Claudio Picucci, che tira in ballo il suo capo. Picucci ha raccontato che il curriculum di Alessandro Alfano gli fu recapitato da Sarmi e ha aggiunto di ritenere che l’Ad sapesse che quello era il fratello del ministro. Una versione opposta a quella di Sarmi.
La Procura della Corte dei conti dovrà ora decidere se archiviare o chiedere conto ai manager del gruppo responsabili dell’assunzione. I pm ordinari non hanno indagato nessun manager ma hanno segnalato i fatti riscontrati ai colleghi della Corte perché verifichino l’esistenza di un eventuale illecito contabile, cioé di un danno erariale. Il nucleo valutario della Guardia di finanza guidato dal generale Giuseppe Bottillo, partendo dalla “confessione-outing” di Pizza al telefono con Tedesco, ha ricostruito l’iter che ha consentito al fratello del titolare del Viminale di essere assunto in Postecom, controllata al 100 per cento da Poste Italiane, dal settembre 2013 con uno stipendio di 160 mila euro l’anno.
Dopo il trasferimento con aumento a 180 mila Alfano jr è rientrato in Poste a maggio scorso. È stato proprio Francesco Caio, l’uomo scelto da Matteo Renzi per risanare le Poste, a vistare per l’occasione l’ennesimo aumento fino a 200 mila euro. L’amministratore di Postecom Vincenzo Pompa è oggi amministratore delegato di un’altra società del gruppo, Postel. Evidentemente Caio non trova nulla di male in quell’assunzione effettuata tre anni fa senza concorso. La legge 133 del 2008 all’articolo 18 dispone: “Le società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”.
Poste si era data un modello per ottemperare a questa normativa ma Postecom, secondo gli investigatori, potrebbe avere saltato alcuni passaggi. La difesa di Poste Spa è quella accampata in casi simili anche dalla Rai: la legge prevede un’eccezione per le società pubbliche quotate in Borsa che possono fare le assunzioni come vogliono. Il punto è che Rai e Poste hanno emesso solo obbligazioni quotate e non sono mai state quotate a Piazza Affari in quanto società. Inoltre Postecom, come notano gli investigatori, ha assunto Alfano jr senza concorso anche se – a differenza della capogruppo – non ha emesso nessuna obbligazione quotata. Insomma la partita è aperta.

mercoledì 17 agosto 2016

Chi è Danila Subranni. -




Sapete chi è la signora bionda accanto ad Angelino Alfano? Si chiama Danila Subranni ed è la portavoce di Alfano da quando era Ministro di Grazia e Giustizia. E' la figlia dell'ex Generale dei Carabinieri dei ROS Antonio Subranni, oggi sotto processo a Palermo per la Trattativa Stato-mafia. Era colui che Paolo Borsellino indicò come "Punciuto" (affiliato alla mafia) pochi giorni prima di morire, alla moglie Agnese Borsellino.

Il resto dell'articolo in questo link:
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=198165666998825&set=a.101927359955990.3720.100004161783137&type=3&theater

Danila, Subranni, l’assistente di Alfano che incassa due stipendi.

Una particolare menzione merita anche Ennio Subranni I'altro figlio  del generale, membro del R.O.C. (Reparto Operativo Centrale) che si occupa del reclutamento degli Agenti presso i Servizi Segreti. Tanto per essere in linea, per usare e non disperdere il patrimonio di conoscenze accumulato dal padre nei tanti anni alla guida del ROS.

Il resto dell'articolo in questo link:
http://www.giornalettismo.com/archives/2065606/danila-subranni-angelino-alfano-due-stipendi/

Leggi anche: 
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-06/danila-angelo-custode-angelino-064322.shtml?uuid=AaUbjdlD&refresh_ce=1

La rete di potere intorno ad Angelino Alfano Tra moglie e avvocati, giro d'affari da capogiro. - Emiliano Fittipaldi

La rete di potere intorno ad Angelino Alfano 
Tra moglie e avvocati, giro d'affari da capogiro
Tiziana Miceli e Angelino Alfano
Incarichi pubblici, posti di potere nelle banche, cattedre univerisitarie e le immancabili consulenze. Da Andrea Gemma ai fratelli Clarizia, passando per la consorte del ministro dell'Interno, ecco i nomi e cognomi degli angeli di Angelino.

Frank Cavallo, il "facilitatore" di Maurizio Lupi arrestato un mese fa per corruzione, conosce Andrea Gemma solo di fama. Sa che è un avvocato romano, che insegna all’università, che è vicinissimo ad Angelino Alfano.
Ma sa pure che è l’uomo giusto per risolvere certi problemi.

Così, quando un suo amico imprenditore si vede recapitare un’interdittiva antimafia dalla prefettura di Udine e gli confida che ha scelto Gemma per difendersi, Cavallo telefona al giovane avvocato per sollecitarlo: «Professore, volevo dirti che hai nelle mani le palle di Claudio De Eccher», ironizza lo scorso luglio Frank col legale, senza sapere di essere intercettato dai pm di Firenze. «Frank! Io ti ringrazio della tua raccomandazione affettuosa, del tuo, come dire, consiglio...», risponde Andrea. «Perché noi non ci conosciamo tanto bene, ma ho sempre trovato in te un atteggiamento di grande benevolenza, simpatia, disponibilità nei miei confronti».

La fiducia di Frank è ben riposta: in 35 giorni Gemma risolve il casino, e ottiene dal Tar del Friuli una sentenza che sospende l’interdittiva antimafia e critica pesantemente la decisione del prefetto. Un trionfo per lui e per De Eccher, a cui però viene un mezzo infarto tre mesi dopo, quando riceve la parcella del suo nuovo legale: 650 mila euro. «Frank! E che madonna! Sto’ Gemma è un delinquente! Una roba allucinante Frank! Cioè, io in 40 anni non ho mai visto una roba del genere! Persona pessima eh... pessima!».

GEMELLI DIVERSI
L’imprenditore forse non conosce il mercato: i servigi dei “Mr Wolf”, soprattutto di quelli bravi, costano caro. E Andrea Gemma non è certo un avvocato qualsiasi, ma la punta di diamante di una rete di potere gigantesca, una lobby compatta e sconosciuta che ha nel ministro Angelino Alfano uno dei suoi cardini principali, e nei professionisti Renato e Angelo Clarizia due incursori fenomenali.

Un gruppo i cui interessi spaziano da incarichi pubblici da centinaia di migliaia di euro a cattedre di importanti università, dal business delle curatele fallimentari alle poltrone di cda di partecipate come Eni. In un intreccio di rapporti professionali e amicali, di scambi e di favori, che coinvolgono non solo banchieri e avvocati, ma anche il ministro dell’Interno e sua moglie Tiziana Miceli.

Andiamo con ordine, partendo dall’inizio. Spulciando vecchie carte dell’università di Palermo, si disegna il profilo di un’amicizia antica. «Andrea Gemma sta ad Alfano come Marco Carrai sta a Matteo Renzi», raccontano dalla Sicilia. In realtà, se la coppia di Firenze s’è conosciuta ai tempi dei boyscout, l’avvocato e il ministro dell’Interno si sono incontrati dopo la laurea in giurisprudenza, che il primo ha preso alla Luiss di Roma e il secondo alla Cattolica di Milano.
Salvatore Mazzamuto
Salvatore Mazzamuto
Entrambi figli d’arte (Angelino è il rampollo di un notabile della Dc di Agrigento, Gemma di Sergio, avvocato con studio avviatissimo nella Capitale), le loro strade si incrociano grazie a Salvatore “Savino” Mazzamuto e alla professoressa Rosalba Alessi, due mammasantissima di diritto privato a Palermo.

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         Andrea Gemma
È falso, come hanno scritto alcuni giornali, che Gemma avesse conosciuto Alfano perché suo tutor ai tempi dell’università. Ma è certo che nel 1998 - nonostante i tanti impegni politici (al tempo Angelino era presidente del gruppo di Forza Italia all’Assemblea regionale siciliana) - il futuro segretario di Ncd riesce a trovare il tempo per vincere un dottorato in “Diritto d’impresa”, tenuto proprio dalla Alessi.

I due ragazzi di belle speranze si conoscono allora (Gemma e Mazzamuto scriveranno due libri insieme) e si piacciono subito. Moderati ma ambiziosi, scrivono qualche articolo su “Europa e diritto privato” (rivista diretta da Mazzamuto, la Alessi è nel comitato scientifico) e promettono di non lasciarsi più. Finora nessuno dei due ha tradito il giuramento.

DI PADRE IN FIGLIO
Se Angelino scala rapidamente posizioni in Forza Italia e diventa prima ministro poi delfino «senza quid» di Berlusconi, Andrea alla politica preferisce gli affari e la carriera accademica. Leggenda vuole che Gemma sia un ragazzo prodigio che s’è fatto da solo. In realtà il talento è ereditato dal padre Sergio, un professionista assai affermato negli ambienti che contano della Città eterna, liquidatore di decine di aziende, ex consigliere di amministrazione della Banca del Mezzogiorno e della Unicredit Medio Credito, sindaco e presidente di collegi sindacali di aziende pubbliche come Equitalia Giustizia, Trenitalia, Fs Logistica e Sogin.

Un curriculum sterminato, a cui nell’ottobre 2011 aggiunge anche l’incarico di commissario straordinario della Banca commerciale di San Marino. Sul Monte Titano Gemma senior viene chiamato da due vecchi amici, il professore Renato Clarizia, ordinario di diritto privato all’Università Roma Tre e presidente della Banca centrale della piccola Repubblica, e da Mario Giannini, braccio destro di Clarizia e fratello di Giancarlo, l’ex potente presidente dell’Isvap.

Quella a San Marino per Gemma sarà un’esperienza sfortunata: si dimetterà infatti dopo nemmeno due mesi di lavoro; ufficialmente per «motivi personali», in realtà perché travolto da uno scandalo finanziario di cui - ancora oggi - non sono chiari i contorni. È un fatto che Gemma nel dicembre 2011, nonostante sulla banca gravasse un regime di blocco dei pagamenti, autorizzò un bonifico da oltre un milione di euro verso la Finanziaria Infrastrutture, gestita dall’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo. Le polemiche investirono in pieno anche Clarizia, ma il prof è ancora saldo al suo posto.

Renato Clarizia
Renato Clarizia
Di poltrone, in realtà, Clarizia ne ha due. Quella in banca e quella dietro la cattedra all’ateneo Roma Tre, università in cui Gemma junior è diventato ricercatore nel 2003. Clarizia, inoltre, è anche il segretario della commissione d’esame che l’8 novembre 2013 gli ha assegnato una nuova, prestigiosa cattedra da associato in diritto privato a Roma Tre.

“L’Espresso” ha letto il verbale della procedura, scoprendo che al bando dell’ateneo ha fatto domanda un solo candidato. A chi piace vincere facile? Ma a Gemma, naturalmente, che da un anno e mezzo somma la nuova docenza e quella ottenuta nel 2006 all’Università di Palermo.

TRA MOGLIE E MARITO
Andrea conosce assai bene non solo il suo mentore Renato Clarizia, ma anche il fratello Angelo, altro avvocato di fama con origini salernitane. Da anni i due professionisti lavorano a braccetto, e da poco hanno anche vinto (con un raggruppamento temporaneo d’impresa) l’importantissima gara per i servizi legali dell’Expo da 630 mila euro.

Un colpaccio, solo l’ultimo di una lunga serie: leggendo un’ordinanza del Tar Lazio della fine 2011, infatti, risulta che Angelo Clarizia ha ottenuto consulenze legali pure per la Valtur, di cui Gemma era diventato commissario straordinario qualche settimana prima. E quando Andrea, lo scorso 3 febbraio, non è potuto andare a difendere il partito di Alfano (da una recente sentenza del Consiglio di Stato risulta che Gemma difende anche l’Ncd), ha mandato proprio il socio d’affari Angelo a rappresentare gli interessi del Nuovo centro destra. Ma non è tutto.
Angelo Clarizia
Angelo Clarizia
Spulciando una deliberazione del comune di Lacco Ameno, a Ischia, si scopre che con lo studio di Angelo Clarizia ha lavorato anche la moglie di Alfano, l’avvocato Tiziana Miceli: i due fino al 2014 hanno infatti curato gli interessi di una società (la Serit) di cui Gemma è commissario straordinario.

«L’avvocato Miceli tiene a precisare che l’unica consulenza da lei svolta a favore di una pubblica amministrazione, ad oggi, è quella ricevuta dall’assessore alla Sanità della Regione Sicilia nel 2003-2004», si legge in una richiesta di risarcimento danni mandata a “l’Espresso” tre anni fa. In realtà - come dimostrano alcune carte del Tar Sicilia - la moglie di Angelino ha difeso altri enti pubblici, come il comune di Casteltermini, un’azienda ospedaliera di Palermo, l’Istituto autonomo Case popolari di Palermo (guidato fino al 2001 dal forzista Diego Cammarata) e la provincia di Agrigento, incarico assegnatole nel 2006 quando il presidente era Vincenzo Fontana, attualmente deputato regionale in Sicilia dell’Ncd.

Oggi la Miceli è titolare di uno studio romano poco conosciuto (la “RM Associati”, con sede a Piazza Navona), che non ha un sito internet e non ama farsi pubblicità sul web. Nella RM, oltre a Tiziana, c’è un altro avvocato di Angelino, Fabio Roscioli. Dopo gli incarichi in Sicilia sembra che le cose stiano andando bene anche nella capitale: non solo nel 2010 Tiziana ha guadagnato 229 mila euro (la moglie del ministro dell’Interno ha dato il consenso per pubblicare la dichiarazione dei redditi solo quell’anno), “l’Espresso” ha scoperto che la Miceli tra fine 2014 e inizio 2015 s’è aggiudicata dalla Consap (la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici controllata dal ministero dell’Economia) ben cinque consulenze nuove di zecca.

Gli importi, si legge nelle determine firmate dall’amministratore delegato Mauro Masi (ex dg della Rai in quota berlusconiana) «saranno quantificati all’esito delle attività». Speriamo, per le casse pubbliche, non siano troppo alti.

IL VILLAGGIO DEL CONSIGLIERE
Intanto Andrea, una volta guadagnata la cattedra e puntellata l’alleanza con i Clarizia, comincia a darsi da fare anche con il suo studio legale. Come il padre ha buone entrature nel settore pubblico: così, giovanissimo, nel 2008, il capo dell’Isvap Giancarlo Giannini (poi indagato per corruzione nell’affaire Ligresti) lo nomina commissario liquidatore di Alpi Assicurazioni, incarico a cui ne seguiranno una mezza dozzina. Alfano, diventato Guardasigilli, lo chiama pure al ministero della Giustizia a fare «il soggetto attuatore giuridico del Piano Carceri», ovviamente a cachet.

Ma il legale con la faccia d’angelo deve alla politica anche un’altra poltrona di peso: il 18 ottobre 2011 il ministro del Pdl Paolo Romani decide di promuoverlo come commissario straordinario della Valtur, azienda stritolata dalla crisi e dalle vicende giudiziarie della famiglia Patti. La nomina sembra quantomeno inopportuna: il papà di Gemma, Sergio, era stato infatti presidente del collegio sindacale del colosso dei Patti tra il 1999 e il 2002. Per la cronaca Alfano - diventato segretario del Pdl qualche settimana prima della nomina dell’amico - ad agosto 2011 aveva trascorso le vacanze proprio in un villaggio Valtur della Grecia, godendo di uno sconto di 3.500 euro. Grazie, sostenne qualcuno, all’amicizia con i Patti. «Alfano non ha intrattenuto nessun rapporto con Carmelo Patti sebbene lo abbia conosciuto», spiegò furioso il suo avvocato Roscioli, oggi socio della moglie. «In occasione di alcuni soggiorni ha semplicemente conseguito sconti previsti da catalogo o normalmente praticati a personaggi pubblici».

Gemma e Angelino sono tipi che vanno dritti per la loro strada. Così nel 2013 Andrea per volontà dell’ex prefetto di Palermo Giuseppe Caruso (nominato nel 2010 dal governo Berlusconi e poi diventato direttore dell’Agenzia dei beni confiscati alla mafia) diventa pure commissario dell’Immobiliare Strasburgo, un colosso che gestisce le proprietà (valgono centinaia di milioni) confiscate ai boss della famiglia Piazza. Passano pochi mesi, e Alfano mette il fedelissimo nella lista dei consiglieri della più importante azienda pubblica del paese, l’Eni, con un compenso da 80 mila euro lordi l’anno più bonus (che per il 2014 si avvicinano ai 50 mila euro).

Angelino è uno che non si dimentica mai degli amici che stima. Così il professor Mazzamuto, antiche (e scolorite) simpatie di sinistra, trasferitosi anche lui all’Università Roma Tre, nel 2008 diventa consigliere personale del ministro della Giustizia. Arrivato Mario Monti a Palazzo Chigi, Angelino riesce a sponsorizzarlo addirittura come sottosegretario alla Giustizia (alcuni ricordano ancora quando si prese i fischi della Camera per essere intervenuto parlando con le mani in tasca), mentre nel 2013 - quando Alfano è vicepremier del governo Letta - lo convoca come suo «consigliere giuridico» con un bonus (recitano i documenti ufficiali) da 50 mila euro l’anno. Oggi Mazzamuto è passato all’Interno, dove ha ottenuto l’ennesimo incarico come «consigliere per le politiche della formazione». Stavolta, pare, a titolo gratuito.

L’ISOLA DEI COMPENSI
Anche la Alessi (che Stefania Giannini ha incontrato qualche giorno fa per discutere del pasticcio dell’abilitazione nazionale di diritto privato, «mi ha dato solo un suo parere», spiega il titolare dell’Istruzione) grazie a qualche succoso incarico pubblico è riuscita ad arrotondare il suo stipendio accademico: nel lontano 1999 la professoressa fu nominata dall’allora assessore all’Industria della Regione Sicilia Giuseppe Castiglione (al tempo vicino all’Udeur, oggi braccio destro di Alfano in Sicilia e sottosegretario dell’Ncd sotto inchiesta) come commissario liquidatore di vecchi carrozzoni improduttivi, tra cui l’Ente minerario siciliano e l’Ente siciliano per la promozione industriale.

Sono passati 15 anni, ma le società e Alessi sono ancora lì: facendo i conti della serva (sappiamo che nel 2006 prendeva 44 mila euro per ogni ente, scesi nel 2012 a 33 mila), la prof di Angelino ha incassato circa un milione in tre lustri. Non male davvero, per due società morte che nessuno sembra voler seppellire. 

venerdì 29 luglio 2016

Angelino Alfano, così il fratello del ministro fu assunto da Poste: un click “mirato”. - Marco Lillo

Angelino Alfano, così il fratello del ministro fu assunto da Poste: un click “mirato”

Reclutamento su Linkedin. Per sceglierlo andarono a colpo sicuro: digitarono proprio il suo nome e cognome sul sito dei curriculum.

Non bastavano 160 mila euro? Alessandro Alfano, fratello del ministro Angelino, si sentiva sottopagato? L’uomo scelto da Renzi per risanare le Poste, Francesco Caio, gli ha aumentato lo stipendio fino a 200 mila euro il 16 maggio 2016, appena 2 mesi prima che gli arresti scoperchiassero il calderone (leggi). Non è questa la sola novità che imporrebbe al Ministero dell’economia di chiedere conto al manager della società pubblica. È interessante anche come è stato scelto Alfanino ai tempi del precedente Ad Massimo Sarmi: digitando il suo nome su Linkedin. Così è uscito lui: Alfano jr, laurea triennale a 34 anni in Economia (leggi). Ohibò devono avere pensato alle risorse umane di Postecom quando hanno visto spuntare il suo volto sorridente sul computer: eccolo l’uomo giusto per fare il dirigente a 160 mila euro lordi più bonus e fringe benefits nella controllata di Poste. Niente cacciatori di teste, né bandi per scovare il cervello in fuga di Agrigento.
Miracoli di Linkedin. L’ufficio risorse umane, per mettere le carte a posto, però ha inserito nel fascicolo della ‘selezione’ oltre al curriculum di Alfano Jr, ricercato ad personam, anche una decina di altri curricula tirati giù dal medesimo sito però sulla base dei titoli e non con ricerca nominativa come con il prescelto. Così Poste attua la legge 133 del 2008 che all’art. 18 dispone: “Le società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”. Poste non ha adottato il regolamento accampando la solita scusa delle società pubbliche che vogliono mano libera per assunzioni e stipendi (vedi la Rai) e cioé: ‘abbiamo fatto una quotazione di obbligazioni in borsa e la legge ci permette di fare come ci pare’. Tesi discutibile per Poste ma ancora di più per Postecom che non ha emesso obbligazioni.
Il Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza quando ha acquisito le carte dell’assunzione di Alessandro Alfano, il 10 novembre 2015, nella sede di Poste a Roma, ha scoperto che è stato selezionato nel settembre 2013 con il visto di Massimo Sarmi, allora Ad e poi scelto come amministratore della Serravalle, controllata indiretta della Regione Lombardia. Il faccendiere vicino ad Alfano, Raffaele Pizza (arrestato il 6 luglio) si vanta nelle conversazioni intercettate con Davide Tedesco, collaboratore del ministro Alfano, di avere fatto assumere lui a settembre 2013 Alfano Jr e poi si spende a maggio 2014 per la nomina di Sarmi all’Inps e in altre società pubbliche.
L’amministratore di Poste Francesco Caio, quando sono state pubblicate le intercettazioni ha dichiarato: “Se questo è il quadro, noi rappresentiamo una discontinuità e penso che anche con il nuovo management stiamo dimostrando quanto l’aria sia cambiata”. La prossima volta che dirà una frase simile tutti sono autorizzati a ridergli in faccia. Il 9 gennaio 2015 Pizza dice che Alfano Jr è scontento di guadagnare solo 160 mila euro. Quattro mesi dopo le Poste, già guidate da Caio, il primo maggio 2015 fanno una doppia festa al lavoratore Alfano: Postecom cede il suo contratto a Poste e Tributi come fosse un piccolo Higuain conteso tra le società del gruppo. Così alla faccia della discontinuità per lui scatta il primo aumento da 160 a 180 mila euro. Alfano Jr non è ancora soddisfatto. Cosa si inventa allora? Un contenzioso lavorativo. A marzo del 2016 fa scrivere una lettera al suo avvocato per lamentare di essere stato trattato male. Basta la lettera e Poste accetta una conciliazione.
Caio e i suoi sono evidentemente terrorizzati dalla possibile causa di un laureato con la triennale che guadagna 180 mila euro, solo per sana prudenza e che nessuno si azzardi a ipotizzare moventi di altro tipo. Caio il 16 maggio 2016 non fa una piega quando lo informano del passaggio di Alessandro Alfano a Poste Italiane Spa. Nè obietta nulla sull’aumento ulteriore a 200 mila euro. A Caio abbiamo chiesto se attuerà la discontinuità prendendo provvedimenti e se si vergogna un po’ nei confronti delle centinaia di laureati con 110 e lode che inviano i curriculum a Poste ogni anno. Non ci ha risposto.

venerdì 5 giugno 2015

Mafia Capitale, inchiesta sul governo: indagato Castiglione, sottosegretario Ncd

Mafia Capitale, inchiesta sul governo: indagato Castiglione, sottosegretario Ncd

L'ex presidente della Provincia di Catania, oggi deputato nazionale e coordinatore del Nuovo centrodestra in Sicilia, sotto accusa con altre 5 persone che secondo i pm di Catania "turbavano le gare di appalto per l’affidamento della gestione del Cara di Mineo del 2011 e prevedevano gara idonee a condizionare la scelta del contraente con riferimento alla gara di appalto 2014". Gara da 100 milioni definita "illegittima" dall'Anticorruzione, nel silenzio del Viminale.


La gestione del Cara di Mineo, al centro dell’inchiesta della Procura di Roma su Mafia Capitale, getta la propria ombra lunga sul governo. Giuseppe Castiglione, sottosegretario all’Agricoltura ed esponente del Nuovo Centrodestra, figura tra i sei indagati per turbativa d’asta nell’inchiesta della Procura di Catania sull’appalto per la gestione del Centro assistenza rifugiati e richiedenti asilo di Mineo. La notizia, anticipata dal quotidiano La Sicilia di Catania, ha trovato riscontro nel decreto con il quale i carabinieri hanno perquisito gli uffici comunali di Mineo. I pm di Catania, che lavorano in coordinamento con i colleghi di Roma, ipotizzano che gli indagati “turbavano le gare di appalto per l’affidamento della gestione del Cara del 2011, prorogavano reiteratamente l’affidamento e prevedevano gara idonee a condizionare la scelta del contraente con riferimento alla gara di appalto 2014“. 
Quella stessa gara definita illegittima dal presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, i cui rilievi sono stati ignorati dal ministero dell’Interno guidato da Angelino Alfano

Sei gli indagati nell’inchiesta siciliana sull’affare migranti, al centro delle mire della cupola romana: oltre a Castiglione, che è anche deputato nazionale e coordinatore del Ncd in Sicilia, “nella qualità di soggetto attuatore per la gestione del Cara di Mineo”, ci sono Giovanni Ferrera, “nella qualità di direttore generale del Consorzio tra Comuni, Calatino Terra di Accoglienza”, Paolo Ragusa, “nella qualità di presidente della Cooperativa Sol. Calatino”, Luca Odevaine “nella qualità di consulente del presidente del Consorzio dei Comuni”, e i sindaci di Mineo e Vizzini, Anna Aloisi e Marco Aurelio Sinatra.

L’appalto da 100 milioni di euro del 2014 per il Cara del paesino in provincia di Catania, il più grande d’Europa, è la storia più delicata politicamente e più rilevante dal punto di vista economico di Mafia Capitale. Il Consorzio Calatino Terra di Accoglienza, che ha gestito le gare incriminate (dal 2011 a oggi) è stato guidato negli anni scorsi proprio da Castiglione, ex presidente della Provincia di Catania, che poi ha lasciato il posto alla sua compagna di partito Anna Aloisi, che di Mineo è sindaco. 
Per il centro d assistenza sono finiti giovedì ai domiciliari i manager del Gruppo La Cascina, la storica cooperativa facente parte della galassia di Comunione e Liberazione.

Di Castiglione parla anche Luca Odevaine, secondo i pm il trait d’union tra la cupola e le istituzioni nella gestione degli appalti per l’accoglienza dei migranti, oggi agli arresti. L’ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni al comune di Roma ne parla il 21 marzo 2014 con il suo commercialista: inviato a Mineo da Franco Gabrielli per “fare la gara“, Odevaine  – all’epoca membro del Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell’Interno – racconta del proprio incontro con il sottosegretario in un’intercettazione captata negli uffici della Fondazione Integra/Azione: 

“Praticamente venne nominato sub-commissario … eh del commissario Gabrielli … il Presidente della Provincia di Catania … che era anche Presidente dell’UPI … Giuseppe Castiglione … il quale … quando io ero andato giù … mi è venuto a prendere lui all’aeroporto … mi ha portato a pranzo … arriviamo al tavolo … c’era pure un’altra sedia vuota … dico eh “chi?” … e praticamente arrivai a capì che quello che veniva a pranzo con noi era quello che avrebbe dovuto vincere la gara”.

Castiglione si professa innocente: “Tutta questa vicenda è semplicemente assurda – si difende il sottosegretario – già sei mesi fa quando venne pubblicata la notizia sull’inchiesta a mio carico caddi dalle nuvole. Ora ci risiamo. Ma di cosa stiamo parlando poi?”. Delle gare d’appalto per il Cara situato nella provincia di cui Castiglione è stato presidente. “Feci una gara in piena emergenza” – racconta – quando l’ex ministro Maroni mi chiamò per l’emergenza immigrati chiamai Odevaine. In quel momento era il direttore della Polizia provinciale in carica a Roma, una persona autorevole, cosa avrei dovuto fare?”.
Qualche dubbio in merito alla gestione delle gare ce l’ha l’Anticorruzione. Il 27 maggio scorso , come anticipato da Marco Lillo sull’edizione odierna del Fatto Quotidiano, Cantone scriveva al ministro Alfano una lettera in cui definiva illegittimo l’appalto del Cara di Mineo vinto nell’aprile 2014 da un raggruppamento di imprese che comprende La Cascina. “Tale problematica sarà sottoposta da Anac al giudice contabile per eventuali profili di danno erariale”, scriveva ancora il presidente dell’Anac. Tutto inizia il 25 febbraio quando Cantone firma un parere sulla gara vinta dal consorzio. La gara sembrava ritagliata su misura del consorzio che già gestiva il Cara, quindi – scrive Cantone – è “illegittima” perché “in contrasto con i principi di concorrenza, proporzionalità, trasparenza, im-parzialità e economicità”.

E il Viminale cosa dice? Nulla, anzi. Il 25 marzo davanti ai parlamentari del Comitato Schengen il prefetto Mario Morcone difende l’operato di chi gestisce il centro: “Ho qualche dubbio sulla decisione del presidente Cantone. (…) A noi hanno detto sempre che il general contractor (come quello scelto da Odevaine e compagni per il Cara di Mineo, ndr) era la soluzione e che si risparmiava e ora improvvisamente per un contratto del 2013 si è stabilito che è stata impedita la partecipazione alle piccole e medie imprese. A certe situazioni bisogna fare attenzione, perché ci sono sicuramente aspetti di opacità, ma anche tanta gente per bene”, conclude il prefetto.
Il 6 maggio Cantone prende di nuovo carta e penna e ribadisce per iscritto il proprio parere al Consorzio Calatino: la gara è illegittima. Ma il 15 maggio Ferrera, direttore generale del Consorzio, firma e pubblica la determina che conferma l’appalto da 100 milioni e chiude la questione anche perché l’Anac ha solo un potere consultivo. L’appaltone è salvo. 

In tutto questo, il ministro dell’Interno Angelino Alfano resta ancora in silenzio.

venerdì 17 aprile 2015

Riapre il centro per migranti di Lampedusa. A dirigerlo il suocero del fratello di Alfano. - Lorenzo Galeazzi



Lampedusa è con il fiato sospeso: la paura degli isolani è di tornare ad essere la frontiera militarizzata d’Europa. Sì, perché il combinato disposto fra il probabile arretramento della missione di ricerca e soccorso in alto mare Mare Nostrum (o la sua sostituzione con l’europea Frontex plus) e la riapertura del centro per immigrati vuole dire solo una cosa: riportare le lancette dell’orologio a quando l’Isola era il principale punto di accoglienza dei flussi migratori provenienti dall’Africa. Ai tempi a gestire la struttura era la Lampedusa Accoglienza, una cooperativa controllata dal Consorzio Sisifo che ha dovuto fare le valige dopo la diffusione da parte del Tg2, a dicembre 2013, del video choc dei migranti disinfettati con l’idrante all’interno della struttura.
Poi è arrivata Mare Nostrum e gli immigrati, recuperati dalla nostra Marina militare a poche miglia dalle coste della Libia, venivano trasbordati direttamente in Sicilia o in Calabria, così il centro di contrada Imbracola è rimasto praticamente quasi sempre chiuso, eccezion fatta per qualche piccolo sporadico sbarco.
Ora, passate le celebrazioni per la strage del 3 ottobre 2013 e tornati a casa i superstiti di quel terribile naufragio, a Lampedusa si torna a fare sul serio e il centro, dopo un mese di lavori di ristrutturazione, è pronto a riaprire i battenti sotto una nuova gestione: quella della Confederazione nazionale delle Misericordie che si è aggiudicata l’appalto in seguito a una procedura negoziata della Prefettura di Agrigento. A dirigerlo c’è Lorenzo Montana che annuncia l’apertura ufficiale entro fine mese: “Ma già da ora siamo in condizione di accogliere perché abbiamo dei moduli operativi”.
In attesa dei primi ospiti, il nuovo direttore si deve però difendere da una parentela ingombrante: sua figlia è sposata con Alessandro Alfano, fratello del ministro dell’Interno Angelino: “Non sono stato scelto dal capo del Viminale, ma dalla Confederazione Misericordie per le mie qualità personali, umane, professionali e intellettive. E anche perché sono un lampedusano doc”. 
E il ministro? “A lui che interessa? Io ho rapporti con con il prefetto Morcone e col mio prefetto che è il dottor Diomede”. Il primo è Mario Morcone, da giugno capo del dipartimento Immigrazione del Viminale, il secondo, Nicola Diomede, dirige invece la Prefettura di Agrigento, persone a stretto contatto con il fratello del genero di Montana. Ma lui tiene botta: “Sono idoneo a dirigere in questo lembo di terra, che è l’ultimo d’Europa, una struttura così importante come il Cpsa”