sabato 29 ottobre 2011

Mandalà mi disse, 'abbiamo Schifani, socio e amico di mio padre'. - di Giuseppe Lo Bianco



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In giacca e cravatta, ed in buon italiano, l'uomo che accudi' Provenzano racconta nell'aula bunker i rapporti tra mafia e politica, chiamando in causa il presidente del Senato, incensurato, il ministro Romano, imputato di concorso esterno alla mafia e il pluricondannato Dell'Utri. E riscrive la storia delle stragi: ''Uccidendo Falcone Riina fece un favore ad Andreotti''. 

di Giuseppe Lo Bianco  
Salvo Lima ucciso perche’ si era opposto alle stragi , eseguite per fare un favore ad Andreotti (‘’che aveva garantito Riina per una vita’); Dell’Utri il suo successore, Ciancimino ‘’probabilmente assassinato’’,Provenzano latitante protetto grazie ad un accordo con Cuffaro (‘’il ministro sardo che lo avverti’ se la fece franca’’) e gli ‘amici degli amici’ piazzati fin dentro i vertici dello Stato: ‘’Stai tranquillo, abbiamo l’amico e socio di mio padre Renato Schifani e il paesano di mio parrino Ciccio, Saverio Romano’’.

Le ultime rivelazioni sui misteri delle stragi e sul rapporto mafia-politica arrivano dall’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo dal neo pentito Stefano Lo Verso e aggiungono altre accuse nei confronti della seconda carica dello Stato - in questi giorni indicato come papabile guida di un governo di transizione - dopo quelle mosse dal pentito Gaspare Spatuzza. Schifani ha dato mandato ai suoi legali di querelare il pentito, Dell’Utri ha reagito dicendo che le parole di Lo Verso non meritano altro che una risata’’, Romano le aveva definite ‘’ragli d’asino’’.

Schifani, Dell’Utri e Romano sono i nomi di maggior spicco di esponenti politici accusati di relazioni pericolose con le cosche chiamati in causa ieri mattina in aula dall’ex autista (e prima postino) di Provenzano, che ha deposto protetto da un paravento di tipo sanitario per quasi quattro ore nel processo per la mancata cattura del boss corleonese in cui sono imputati gli ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu. Proprio Provenzano, nel gennaio del ’94, mentre Lo Verso lo ospitava a casa di sua suocera, a Ficarazzi, gli avrebbe affidato una serie di confidenze sui misteri della stagione delle stragi: ‘’mi disse di non aver paura perche’ lui era protetto da un alto esponente dell’Arma, aggiunse che la verita’ sulle stragi la conoscevano in cinque, lui, Riina, Andreotti, Lima e Ciancimino, che Dell’Utri aveva contattato i suoi uomini, che Lima non avrebbe sopportato la conoscenza della verita’ e per questo e’ stato assassinato.

Una verita’ che lo Stato conosce’’. E sulle stragi ha rivelato di essere stato interrogato anche dai pm diCaltanissetta Nicola Marino e Stefano Luciani, ai quali ha rivelato i colloqui in carcere con Cosimo Vernengo, ergastolano innocente di via D’Amelio insieme al cognato Franco Urso, per i quali la procura generale ha chiesto la revisione. Molto preciso e dettagliato quando racconta degli equilibri politico mafiosi sul territorio (‘’appoggiammo Ciccio Musotto alla presidenza della provincia, andava in auto, una  Audi 100, conPietro Lojacono’’), Lo Verso e’ apparso riscrivere la storia delle stragi del ’92 indicando Andreotti come il grande vecchio stragista, al punto che il presidente Fontana gli ha chiesto se Provenzano avesse avuto con lui un tono ironico. Non ci crede neanche Giovanna  Maggiani Chelli, presidente delle vittime di via dei Georgofili, che chiosa: ‘’Andreotti dopo il 1980 è stato assolto da reati di mafia e nominarlo non porta da nessuna parte. Certo che lo Stato  sa chi ha “voluto” le stragi insieme alla mafia, ci mancherebbe altro che non lo sapesse. Ma come tutti sappiamo benissimo,  c’è una “Ragion di Stato” che vola sopra ogni tipo di morti’’.  Lo Verso si e’ presentato in giacca e cravatta, come un normale impiegato, e in buon italiano ha snocciolato la sua storia di picciotto in carriera a Ficarazzi, un centro a pochi chilometri da Palermo, tra boss e politici, rancori e tradimenti, fedelta’ e vendette, nella costante paura di ‘’finire in un burrone’’, come gli disse una volta Ciccio Pastoia, se non avesse obbedito agli ordini.  Il suo sogno era diventare autista al ministero della Giustizia, ma quando chiese un appoggio per superare la seconda prova del concorso i suoi referenti gli dissero che non avevano ‘’amici in quegli ambienti’’.  Comincio’ cosi’ la sua carriera dentro Cosa Nostra che lo porto’ a stretto contatto con Provenzano, accudito da gennaio 2003 al 19 settembre del 2004, ‘’l’ultima volta che lo vidi’’.

Lo descrive come una persona umile, con tre croci al collo e una passione per l’acqua benedetta e le citazioni ad effetto: ‘’meglio uno sbirro amico che un amico sbirro’’, gli disse il boss. Si e’ pentito quest’anno e ha spiegato cosi’ le ragioni: “Avevo paura di morire – ha detto- ma ho messo in conto che almeno i miei figli non sarebbero stati figli di un mafioso. Non c’è futuro per i mafiosi”. E ha chiesto di parlare con il pm Nino Di Matteo, ‘’l’unico che non mi poteva tradire’’’. E quando gli chiedono perche’ ha atteso cinque mesi prima di fare i nomi dei politici ha risposto: ‘’volevo farli in aula, su questi argomenti si muore’’.




Il debito pubblico italiano, quando e chi lo ha formato. Giorgio Arfaras*

Il debito pubblico in Italia

Governo dopo governo, dagli anni Cinquanta a oggi, come si è evoluto il rapporto percentuale debito pubblico/Pil nel nostro Paese? Perché si è formato questo debito? Quali le responsabilità? Infografica con una analisi di Giorgio Arfaras, direttore della Lettera economica del Centro Einaudi.

Il debito pubblico, che si manifesta come le obbligazioni emesse dal Tesoro, si forma perché le spese dello Stato sono maggiori delle sue entrate – il deficit pubblico. La differenza, se non è finanziata con l’emissione di moneta, è coperta con l’emissione di obbligazioni. Si deve perciò andare alla ricerca della fonte: come si è formato il deficit.
Più o meno tutti i Paesi sviluppati hanno visto crescere smisuratamente la spesa pubblica a partire dagli anni Sessanta. Quelli che hanno registrato una crescita delle imposte non troppo distante dalla crescita della spesa, hanno oggi dei debiti contenuti. Altri, invece, hanno speso velocemente, con le imposte che crescevano lentamente. Da qui i grossi deficit, che cumulati, hanno prodotto un gran debito.
La spesa pubblica si divide in spesa pubblica “per lo Stato minimo”, e in quella “per lo Stato sociale”. La prima finanzia la polizia, i magistrati, i soldati. Ossia l’ordine, la giustizia, la difesa. La seconda finanzia i medici, gli infermieri, le medicine, gli insegnanti, ecc. Ossia l’istruzione e la salute. Le pensioni sono ambigue, perché sono pagate – attraverso un apposito organismo – a chi è in pensione da chi lavora, quindi sono un trasferimento, non proprio una spesa.
Premesso ciò, la spesa per lo stato minimo è rimasta all’incirca la stessa nel secondo dopoguerra, mentre è esplosa quella per lo stato sociale. Ed è qui il punto. Quest’esplosione è avvenuta in tutti i Paesi europei. Negli Stati Uniti un po’ meno, ma non troppo meno, se si fanno dei conti sofisticati. Dunque non è un fenomeno solo italiano. O meglio, l’Italia spende più di alcuni altri Paesi, ma non “troppo di più”. Il punto è che ha incassato di meno per troppo tempo. (I conti comparati sulla spesa pubblica per lo stato minimo e per quello sociale vanno fatti escludendo la spesa per interessi sul debito, che è il frutto del cumularsi dei deficit nel corso del tempo e non della spesa corrente).
Abbiamo così a che fare con un fenomeno storico. Se abbiamo a che fare con un fenomeno storico, allora la crescita del debito non è attribuibile – se non in minima parte – a un bravo o cattivo presidente del consiglio dei ministri. Il protagonista è il “Processo” e non l’“Eroe”.
In conclusione, l’Italia ha speso più di quanto incassasse per troppo tempo, e si trova oggi ad avere un gran debito pubblico. Fino a quando ha speso più di quanto incassasse? Fino a prima dell’ultimo governo Andreotti. Il conto è fatto guardando la spesa pubblica meno le entrate prima del pagamento degli interessi (il saldo primario). Intorno al 1990 il bilancio dello Stato va in pareggio prima del pagamento degli interessi. In altre parole, non genera un nuovo deficit prima di pagare gli interessi sul cumulato dei deficit prodotti nel corso della storia (il debito).
Da allora il saldo primario è stato o in avanzo, o in leggero disavanzo. Il deficit è stato il figlio del pagamento degli interessi sul debito cumulato. I deficit solo finanziari hanno però prodotto altro debito. La crescita economica (la variazione del PIL) non è mai stata troppo robusta, e perciò il rapporto debito su Pil o è rimasto stabile, o è appena sceso, o è cresciuto. Ultimamente il rapporto è cresciuto molto, perché il PIL (il denominatore) è caduto molto nel biennio 2008/2009 e non si è ancora ripreso.
*Direttore di Lettera economica del Centro Einaudi.

Cgia Mestre: disoccupazione all'11% con le nuove norme sui licenziamenti.




Secondo le stime dell'associazione degli artigiani, in questi mesi di crisi, le promesse fatte alla Ue avrebbero fatto salire di quasi 3 punti percentuali il numero dei senza lavoro. Il ministero del lavoro ribatte: "Tesi senza fondamento, con nuove regole più occupazione".


MILANO - Se una normativa che rendesse più semplici i licenziamenti fosse stata applicata durante gli anni della crisi economica il tasso di disoccupazione in Italia sarebbe salito all'11,1%, anzichè essere all'8,2% attuale, conquasi 738 mila persone senza lavoro in più rispetto a quelle conteggiate oggi dall'Istat. È lo scenario delineato dall'associazione artigiani Cgia di Mestre, secondo quello che il segretario Giuseppe Bortolussi definisce "un puro esercizio teorico" ottenuto "ipotizzando di applicare le disposizioni previste dal provvedimento sui licenziamenti per motivi economici a quanto avvenuto dal 2009 ad oggi".

Nella simulazione della Cgia è stato calcolato il numero dei lavoratori dipendenti che tra l'inizio di gennaio del 2009 e il luglio di quest'anno si sono trovati in Cig a zero ore. Vale a dire i lavoratori che sono stati costretti ad utilizzare questo ammortizzatore sociale del quale, con il nuovo provvedimento - secondo la Cgia - potranno disporre probabilmente solo a licenziamento avvenuto. Pertanto, se fosse stata applicabile questa misura segnalata nei giorni scorsi dal Governo all'Ue, negli ultimi due anni e mezzo, questi lavoratori, che hanno usufruito della Cig, si sarebbero trovati, trascorso il periodo di "cassa", fuori dal mercato del lavoro.

Secondo la stima della Cgia, sommando le Ula (Unità di lavoro standard) che hanno utilizzato la Cig a zero ore nel 2009 (299.570 persone). Nel 2010 (309.557) e nei primi sette mesi di quest'anno (128.574), si ottengono 737.700 potenziali espulsi dal mercato del lavoro che in questi ultimi due anni e mezzo avrebbero fatto salire il tasso di disoccupazione relativo al 2011, all'11,1%.


Ma il ministero del Lavoro ribatte: l'ipotesi del centro studi della Cgia di Mestre, "guidato dal candidato del centrosinistra alla Presidenza della Regione Veneto", sull'aumento della disoccupazione a fronte di norme di semplificazione sui licenziamenti "è destituita di ogni fondamento", si legge in una nota del ministero del Lavoro secondo la quale le simulazioni sulla maggiore flessibilità in uscita anche realizzate a livello internazionale "danno più occupazione".  "Ciò che l'Unione europea chiede all'Italia è una combinazione di maggiore flessibilità nella risoluzione del rapporti lavoro e di maggiore protezione del lavoratore. Tutte le ipotesi di adempimento di questa richiesta sono quindi rivolte a consolidare il sistema di ammortizzatori sociali, a partire da tutte quelle situazioni nelle quali può essere conservato il posto di lavoro attraverso la cassa integrazione e gli accordi collettivi che è intenzione del governo ancor più incoraggiare", precisa la nota.

L’Euro e la (lucida?) follia di Berlusconi. - di Peter Gomez.







Adesso rischiamo davvero grosso. Il naufragio è realmente più vicino. Mentre con l’ultima asta dei Btp l’interesse sui titoli di Stato schizza al livello record del 6,06%, il Titanic Italia resta pilotato da un uomo (che appare) ormai in avanzato stato confusionale. Da un premier (che non sembra) più in grado di soppesare le conseguenze delle proprie affermazioni.

Prima il presidente del Consiglio boccia l’Euro durante un discorso davanti alla platea degli Stati Generali del commercio estero.

Lì davanti alle telecamere dice testualmente che “l’attenzione sull’Italia deriva dal fatto che c’è un attacco all’Euro che non ha convinto nessuno come moneta. E in effetti è una moneta un po’ strana, perché è una moneta non di un solo Paese, ma di tanti Paesi messi assieme, che però non hanno un governo unitario dell’economia, e che non ha alle sue spalle una banca di riferimento e di garanzia. È un fenomeno che non si era mai verificato e quindi l’Euro di per sé si presenta come moneta attaccabile dalla speculazione internazionale”.

Poi quando esplodono le polemiche, e il Quirinale va su tutte le furie, innesta un’incredibile, main realtà solo parziale, marcia indietro“Come al solito”, scrive in una nota , “si cerca di alzare pretestuose polemiche su una mia frase interpretata in maniera maliziosa e distorta. L’Euro è la nostra moneta, la nostra bandiera. E’ proprio per difendere l’Euro dall’attacco speculativo che l’Italia sta facendo pesanti sacrifici. Il problema dell’Euro è che è l’unica moneta al mondo senza un governo comune, senza uno Stato, senza una banca di ultima istanza. Per queste ragioni è una moneta che può essere oggetto di attacchi speculativi”.

Ora il punto non è che Berlusconi conduca pubblicamente riflessioni sull’Euro, mischiandole  ai consueti attacchi alla magistratura e a tutte le istituzioni di controllo. Quello che ha detto su una moneta unica di uno Stato che non esiste è in parte vero. Non è però vero che l’Euro non abbia “mai convinto nessuno”. E soprattutto anche un broker alle prime armi capirebbe che prendersela con la valuta europea, mentre è in corso una tempesta finanziaria come questa, è un sistema sicuro per peggiorare ancora la situazione. Per spingere non solo l’Italia, ma l’intera Unione, se non verso il default, almeno verso una nuova ondata di speculazione. Proprio quello che a parole (ma non con i fatti) il premer sostiene di voler evitare.

Per questo è il caso di andare oltre le apparenze. E di ricordare che il centro-destra è da sempre anti-europeista e che Lega, più volte in passato, si è pubblicamente schierata per il ritorno alla lira, in modo da poter svalutare la moneta nella speranza di recuperare competitività. Nel 2005 l’allora ministro del welfare, Roberto Maroni, aveva persino proposto di far votare ai cittadini l’uscita dall’Euro.

Così oggi, nella mente di molti esponenti della maggioranza – e in quella di Berlusconi che si sente offeso da Merkel e Sarkozy -, sta riprendendo corpo l’idea di far saltare tutto facendo la guerra a Bruxelles. Di tornare, traumaticamente, ai tempi e alla valuta antica.

Che questa sia la soluzione giusta per un Paese al collasso è, per usare un eufemismo, del tutto opinabile (le materie prime e petrolio si pagano, tra l’altro, ancora in dollari). Ma il progetto piace. Parecchio. Sia a chi fa politica, che sulla battaglia contro la valuta unica e gli odiati euroburocrati può impiantare un’intera campagna elettorale. Sia a chi in questi anni ha fatto tanti, e spesso oscuri, affari.

Anche perché nei conti esteri dei paradisi off-shore i soldi vengono depositati in dollari. E senza l’Euro, o con un Euro debolissimo, per quei ricchi Paperoni, sarebbe davvero tutta un’altra musica.