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mercoledì 25 settembre 2024
Runit Dome: un sarcofago di cemento che riversa rifiuti radioattivi nell'Oceano Pacifico. - Hasan Jasim
Il Runit Dome, noto anche come "bara nucleare", è un sarcofago di cemento situato sull'isola di Runit nelle isole Marshall. Contiene 73.000 metri cubi di detriti radioattivi provenienti da 68 detonazioni nucleari e resti di guerra biologica lasciati dal governo degli Stati Uniti tra il 1946 e il 1958. Il Runit Dome è stato costruito nel 1980 come mezzo per contenere il materiale pericoloso e proteggere la popolazione locale da un'ulteriore esposizione.
Tuttavia, recenti resoconti hanno indicato che il Runit Dome sta perdendo, ponendo un rischio significativo per l'ambiente e le comunità locali. L'Oceano Pacifico è inquinato dai rifiuti radioattivi provenienti dal Dome, il che ha suscitato preoccupazione nella comunità globale.
Nonostante queste preoccupazioni, l'esperto di radioattività marina Ken Buesseler del Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI) afferma che la perdita non è una novità. "Sappiamo da anni che la cupola perde", ha affermato. "Quando eravamo lì per fare il lavoro sul campo nel 2015, abbiamo campionato le falde acquifere e abbiamo potuto vedere che c'era uno scambio tra l'acqua della laguna e il materiale sotto la cupola. Ma era chiaro che solo una piccola quantità di radioattività stava effettivamente fuoriuscendo nella laguna".
Il Runit Dome è un duro promemoria dell'impatto devastante che i test sulle armi nucleari hanno avuto sull'ambiente e sulle comunità locali. Le Isole Marshall, che sono state utilizzate come campo di prova per le armi nucleari statunitensi, hanno subito numerose conseguenze sulla salute e sull'ambiente a seguito dei test. La perdita dal Runit Dome non fa che aumentare queste conseguenze e sottolinea la continua responsabilità dei governi nel ripulire i danni causati dai test nucleari.
È importante che la comunità internazionale agisca per affrontare i rischi posti dal Runit Dome e prevenire ulteriori danni ambientali. Organizzazioni come le Nazioni Unite e il WHOI hanno sostenuto una soluzione a questo problema ed è fondamentale che i governi si assumano la responsabilità delle loro azioni passate e lavorino per un futuro sicuro e sostenibile.
cetta
Esistono oltre 6 miliardi di pianeti come la Terra nella nostra galassia, l’annuncio degli scienziati.
Rappresentazione artistica di esopianeti. Credit NASA/JPL-Caltech/R. Hurt (SSC-Caltech) |
Uno studio calcola in più di 6 miliardi di pianeti simili alla nostra Terra presenti nella sola Via Lattea, la nostra galassia: i dettagli.
Possono esistere fino a un pianeta simile alla Terra per ogni cinque stelle simili al Sole nella Via Lattea, secondo le stime del 2020 degli astronomi dell’Università della Columbia Britannica che utilizzano i dati della missione Kepler della NASA (missione terminata). Per essere considerato simile alla Terra, un pianeta deve essere roccioso con un diametro simile a quello terrestre e in orbita attorno a stelle come il Sole (tipo G). Inoltre gli esopianeti devono orbitare nelle zone abitabili delle proprie stelle, la giusta distanza affinché ci sia una temperatura atta a poter “ospitare” acqua liquida, e potenzialmente vita, sulla sua superficie.
Un numero enorme di pianeti extrasolari.
Le stime precedenti della frequenza dei pianeti simili alla Terra andavano da circa 0,02 pianeti potenzialmente abitabili (per stella simile al Sole) ad uno. In genere, i pianeti come la Terra sono più difficili da individuare rispetto agli altri tipi, poiché sono piccoli e orbitano lontani dalle loro stelle. Ciò significa che un catalogo planetario rappresenta solo un piccolo sottoinsieme dei pianeti che sono effettivamente in orbita attorno alle stelle. Gli scienziati hanno usato una tecnica nota come “modellazione in avanti” per superare questi limiti.
Il radius gap.
La ricerca ha anche fatto luce su una delle questioni più importanti della scienza degli esopianeti: il “radius gap” dei pianeti. Il divario di raggio dimostra che non è comune per i pianeti, con periodi orbitali inferiori a 100 giorni, avere una dimensione compresa tra 1,5 e 2 volte quella della Terra. I ricercatori hanno scoperto che il divario del raggio esiste in un intervallo molto più ristretto di periodi orbitali di quanto si pensasse in precedenza. La ricerca continua!
CAVERNA VORONYA, il punto più vicino al centro della Terra.
Uno dei sogni più desiderati da Jules Verne, descritto nel suo romanzo del 1864 "Viaggio al centro della Terra", era esplorare l'interno del nostro pianeta. Anche se la Caverna Veryovkina non ci porta a quelle profondità, ci permette di raggiungere il punto più vicino al centro della Terra attualmente conosciuto.
Con i suoi circa 2.212 metri di profondità, la Caverna Veryovkina è la grotta più profonda al mondo. Si trova nel passo tra le montagne Krepost e Zont, nella regione dell'Abkhazia, uno stato indipendente ufficialmente dichiarato parte della Georgia.
La caverna fu scoperta nel 1968 da alcuni speleologi di Krasnoyarsk, che riuscirono a raggiungere una profondità di 115 metri. Nel 1986, un nuovo gruppo di Mosca, guidato da Oleg Parfenov, raggiunse la notevole profondità di 440 metri.
Dal 2015, una serie di nuove spedizioni del gruppo Perovo-Speleo ha stabilito che la grotta era ancora più profonda, superando ripetutamente nuovi record fino a raggiungere 2.212 metri a marzo 2018 e registrando un sistema di tunnel sotterranei di oltre 6.000 metri.
Nicola Gratteri e il siluro lanciato contro Mattarella: non si fa problemi a puntare il dito sul Quirinale parlando della crisi di credibilità della magistratura
“NOI MAGISTRATI OGGI SIAMO AI MINIMI STORICI DI CREDIBILITÀ” – NICOLA GRATTERI APRE LE VALVOLE E NON RISPARMIA NEANCHE SERGIO MATTARELLA: “AVEVO DETTO CHE IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA AVREBBE DOVUTO CONVINCERE I COMPONENTI DEL CSM A DIMETTERSI DOPO IL CASO PALAMARA.
NON È STATO FATTO, ED È PASSATO IL MESSAGGIO CHE SI VOLEVA TUTELARE UNA CORPORAZIONE CHE NON VOLEVA LASCIARE LA POLTRONA” – “LE MAFIE ORA SONO SU TIKTOK PER ACCALAPPIARE I GIOVANI…”
Estratto dell’articolo di www.adnkronos.com
“Mostrandosi come modello vincente, in Italia la prima mafia che ha utilizzato i social per avvicinare, accalappiare i giovani utili idioti portatori di acqua al pozzo del capomafia, è stata la Camorra, poi anche parte dell”ndrangheta di Gioia Tauro”. Così il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nicola Gratteri, in occasione della seconda edizione di Capri D’Autore.
“Quando è nato – spiega Gratteri -, i primi a utilizzare Facebook sono state le mafie messicane con il cartello del Golfo e quello di Sinaloa: postavano video in cui si mostravano ricchi e potenti, con macchine di lusso. Poi i giovani, che rappresentano la fascia sociale che ha meno soldi ma consuma di più, sono passati da Facebook a TikTok, di conseguenza anche le mafie si spostate su questa piattaforma”.
Gratteri ricorda di aver approfondito e scritto sul tema dei social, il rapporto con i giovani e con le mafie, tanto che “TikTok di Dublino ci ha chiesto un incontro, poi avvenuto a Roma insieme al professor Antonio Nicaso. Abbiamo spiegato loro il linguaggio, le parole chiave dei video che inneggiavano alle mafie e al consumo di droga. TikTok in poco tempo ha costruito un software che, grazie alle nostre indicazioni, ha potuto cancellare in pochi giorni 36mila audio e video sul social”.
Magistratura.
“Noi magistrati oggi siamo ai minimi storici di credibilità, perché abbiamo fatto degli errori”. Così il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nicola Gratteri, intervistato da Gianluigi Nuzzi nel corso della seconda edizione di Capri D’Autore, la rassegna culturale curata da Valentina Fontana e Gianluigi Nuzzi, e organizzata da Vis Factor, società leader a livello nazionale nel posizionamento strategico.
“Io avevo detto che il presidente della Repubblica avrebbe dovuto convincere i componenti del Consiglio superiore della magistratura a dimettersi, perché sul caso Palamara bisognava lanciare il messaggio alla gente che si stava voltando pagina, che si faceva un taglio netto. Non è stato fatto, con il risultato che è passato il messaggio che si voleva tutelare una corporazione che non voleva lasciare la poltrona. E questo ci ha resi più deboli, anche perché le correnti all’interno della Magistratura sono ancora tante”.
Sovraffollamento nelle carceri.
“Il sovraffollamento nelle carceri riguarda tutti i paesi europei, cambiano solo le percentuali” dice Gratteri. “Purtroppo, oggi in Italia il problema si è ulteriormente acuito non tanto per i numeri, ma anche perché mancano migliaia di uomini e donne della polizia penitenziaria. E quindi le carceri sono contenitori, non si fa trattamento. Anziché parlare di amnistia e indulto – e immagino che questo governo non lo farà – si potrebbe, per esempio, lavorare sui detenuti tossicodipendenti cercando di portarli nelle comunità terapeutiche e curarli”.
Non è solo una questione di “ridare vita” a questi giovani curandoli, spiega Gratteri ma “un detenuto in carcere – aggiunge – costa mediamente 180 euro, in una comunità terapeutica 60 euro: anziché uno in carcere, si potrebbero tenere tre agli arresti domiciliari. In parte così si risolverebbe anche il problema del sovraffollamento”.
Le ordinanze.
“Sono contro il divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare da parte della stampa perché vi è un maggior rischio di cadere in errore attraverso interpretazioni non esatte” dice Gratteri. “Era molto più comodo riportare pezzi dell’ordinanza di custodia cautelare e poi a margine, eventualmente, fare dei commenti”.