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lunedì 8 luglio 2024

Cos’è un quasar? - Angelo Petrone

 

Quasar: i fari cosmici che svelano i segreti dell’universo

I quasar (dall’inglese “quasi-stellar radio source”, ossia “sorgente radio quasi-stellare”) sono tra gli oggetti più misteriosi e affascinanti dell’universo. Scoperti negli anni ’60, i quasar sono nuclei galattici attivi estremamente luminosi che si trovano a grandi distanze dalla Terra. La loro luminosità è talmente elevata che riescono a offuscare l’intera galassia ospite.

Caratteristiche dei quasar.

Luminosità: i quasar sono tra gli oggetti più luminosi dell’universo, in grado di emettere energia equivalente a quella di centinaia di galassie. Questa straordinaria luminosità è dovuta al fatto che al centro dei quasar si trovano buchi neri supermassicci, con masse che possono variare da milioni a miliardi di volte quella del Sole. La materia che cade nel buco nero viene riscaldata a temperature elevatissime, emettendo una quantità enorme di radiazioni che possiamo osservare dalla Terra.

Distanza: i quasar si trovano a distanze cosmologiche, cioè a miliardi di anni luce dalla Terra. Questo significa che li osserviamo com’erano miliardi di anni fa. Lo studio dei quasar ci permette quindi di guardare indietro nel tempo e di capire meglio l’evoluzione dell’universo.

Spettro elettromagnetico: i quasar emettono radiazioni su tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi X e gamma. Questa emissione multi-frequenza è dovuta alla presenza di getti relativistici di particelle che vengono espulsi dal nucleo galattico a velocità prossime a quelle della luce.

Redshift: uno degli aspetti più caratteristici dei quasar è il loro elevato redshift, cioè lo spostamento verso il rosso delle linee spettrali. Questo fenomeno è dovuto all’espansione dell’universo e indica che i quasar sono oggetti molto lontani da noi.

Importanza dei quasar nella cosmologia

I quasar giocano un ruolo fondamentale nella cosmologia per diversi motivi:

Sonde cosmiche: grazie alla loro luminosità, i quasar possono essere utilizzati come “sonde cosmiche” per studiare la struttura a grande scala dell’universo. L’osservazione dei quasar e della loro distribuzione nello spazio permette di comprendere meglio la distribuzione della materia nell’universo.

Evoluzione delle galassie: i quasar forniscono indizi preziosi sull’evoluzione delle galassie. Si ritiene che molte galassie, compresa la Via Lattea, abbiano attraversato una fase di quasar nel loro passato. Studiando i quasar, possiamo ottenere informazioni sul processo di formazione e crescita dei buchi neri supermassicci e sulla loro interazione con le galassie ospiti.

Materia oscura e energia oscura: le osservazioni dei quasar possono contribuire a svelare i misteri della materia oscura e dell’energia oscura, due componenti fondamentali dell’universo ancora poco comprese. Le lenti gravitazionali create dai quasar, ad esempio, possono essere utilizzate per mappare la distribuzione della materia oscura.

Scoperta e studio dei quasar.

Il primo quasar è stato identificato nel 1963 dall’astronomo Maarten Schmidt, che ha osservato un oggetto celeste estremamente luminoso con uno spostamento verso il rosso molto elevato. Questa scoperta ha rivoluzionato l’astronomia, aprendo una nuova finestra sull’universo lontano e sull’energia estrema.

Da allora, migliaia di quasar sono stati scoperti e studiati con vari strumenti, tra cui telescopi ottici, radio e satelliti a raggi X. Le missioni spaziali, come il Telescopio Spaziale Hubble, hanno fornito immagini dettagliate dei quasar e delle loro galassie ospiti, permettendo di studiare questi oggetti in modo sempre più approfondito.

I quasar sono tra gli oggetti più affascinanti e misteriosi dell’universo. La loro straordinaria luminosità, combinata con la grande distanza a cui si trovano, li rende strumenti preziosi per lo studio della cosmologia e dell’evoluzione delle galassie. Nonostante i grandi progressi fatti negli ultimi decenni, i quasar continuano a essere oggetto di intense ricerche e scoperte, alimentando il nostro desiderio di comprendere meglio l’universo in cui viviamo.

https://www.scienzenotizie.it/2024/07/07/cose-un-quasar-3987817?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR0Wzgz2jffKgzw5-H4fbluoEzHMh33kuZCrHnJ2_iYTwt3DMz1rIlDM-Xs_aem_xgnc-i6RyndF2ab2z48l_w

lunedì 15 aprile 2024

Hubble ha scoperto una galassia vicina senza materia oscura!

Una galassia trasparente - credit: NASA/ESA

È la prima volta che viene scoperta una galassia vicino alla Via Lattea priva di materia oscura. Ecco il motivo.

Utilizzando Hubble e diversi altri telescopi terrestri gli astronomi hanno trovato un oggetto astronomico unico: una galassia che sembra non contenere quasi materia oscura. Hubble ha contribuito a confermare con precisione che la distanza di NGC 1052-DF2 (questo il nome della galassia) è di 65 milioni di anni luce e ne ha determinato le dimensioni e la luminosità. Sulla base di questi dati il ​​team ha scoperto che NGC 1052-DF2 è più grande della Via Lattea, ma contiene circa 250 volte meno stelle.

“Ho passato un’ora a fissare questa immagine”, ha detto il ricercatore capo Pieter van Dokkum dell’Università di Yale, quando ha visto per la prima volta l’immagine di Hubble. “Questa cosa è sorprendente: una massa gigantesca così sparsa che puoi vedere le galassie dietro di essa. È letteralmente una galassia trasparente.”

Senza materia oscura.

Ulteriori misurazioni hanno permesso al team di dedurre un valore approssimativo della massa della galassia, portando alla conclusione che NGC 1052-DF2 contenga almeno 400 volte meno materia oscura di quanto previsto dagli astronomi per una galassia della sua massa. Questa scoperta non è prevista dalle attuali teorie sulla distribuzione della materia oscura e sulla sua influenza sulla formazione delle galassie.

Il collante che tiene insieme le galassie.

“Si ritiene convenzionalmente che la materia oscura sia parte integrante di tutte le galassie, il collante che le tiene insieme e l’impalcatura sottostante su cui sono costruite”, spiega la coautrice dello studio Allison Merritt dell’Università di Yale. “Questa sostanza invisibile e misteriosa è di gran lunga l’aspetto più dominante di qualsiasi galassia. Trovare una galassia senza alcuna sostanza è del tutto inaspettato, mette in discussione le idee standard su come funzionano le galassie”.

Cosa possiamo dedurre da questa scoperta.

La scoperta di NGC 1052-DF2 dimostra che la materia oscura è in qualche modo separabile dalle galassie. Ciò è previsto dalla teoria solo se la materia oscura è legata alla materia ordinaria esclusivamente attraverso la gravità. Nel frattempo, i ricercatori hanno già alcune idee su come spiegare questa mancanza di materia oscura in NGC 1052-DF2. Forse un evento catastrofico ha spazzato via tutto il gas e la materia oscura? Oppure la crescita della vicina galassia ellittica NGC 1052 miliardi di anni fa ha condizionato NGC 1052-DF2? Per trovare una spiegazione, il team sta già cercando altre galassie carenti di materia oscura, vi terremo aggiornati con tutti i dettagli su questo argomento.

https://www.passioneastronomia.it/hubble-ha-scoperto-una-galassia-vicina-senza-materia-oscura/

lunedì 11 dicembre 2023

AzTECC71, il mistero della galassia scomparsa e poi riapparsa improvvisamente. - Angelo Petrone

 

Una galassia molto lontana e polverosa, indicata con il nome di AzTECC71, è stata riscoperta dagli scienziati, sfidando la nostra comprensione delle galassie nell’universo primordiale. Questa galassia massiccia, che continua a produrre nuove stelle, emette la sua luce da circa 900 milioni di anni dopo il Big Bang, un lasso di tempo molto breve quando si parla di spazio. All’inizio, galassie come AzTECC71 venivano considerate molto rare per quel periodo, ma ora gli esperti credono che potrebbero essere da tre a dieci volte più comuni di quanto previsto. AzTECC71 è stata inizialmente individuata dagli scienziati sulla Terra. Nonostante ciò, le osservazioni successive effettuate con il Telescopio Spaziale Hubble non sono sono riuscite a localizzarla, lasciando stupiti gli esperti. E’ stato il James Webb Space Telescope (JWST), a consentire di osservare nuovamente la galassia nell’infrarosso stimandone le caratteristiche.

La galassia è avvolta da un denso strato di polvere, che non consente alla luce visibile di uscire, ma ne permette l’osservazione solo all’infrarosso. Il tutto nonostante sia un oggetto che produce circa 800 nuove stelle simili al Sole all’anno. La sua distanza e l’espansione dell’universo fanno sì che la luce di questa formazione sia spostata ancora più lontano nell’infrarosso. La nuova scoperta di AzTECC71 è il frutto della collaborazione COSMOS-Web e i risultati sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal. Questa scoperta è fondamentale perché prova come nell’universo delle origini ci sia stata molta più polvere rispetto alle previsioni.

Fonte:

https://www.iflscience.com/disappearing-galaxy-reappears-and-changes-our-understanding-of-galaxy-evolution-71836

https://www.scienzenotizie.it/2023/12/08/aztecc71-il-mistero-della-galassia-scomparsa-e-poi-riapparsa-grazie-improvvisamente-4275430

sabato 3 settembre 2022

Hubble cattura un evento catastrofico nella nostra galassia. - Fabio Meneghella

  • Cover image credits: NASA, ESA and the Hubble SM4 ERO Team

Il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA, in orbita terrestre dal 1990, ha catturato la famosa Nebulosa Farfalla NGC 6302, situata nella costellazione dello Scorpione a 3.800 anni luce dalla Terra. Questo oggetto celeste, grande più di 2 anni luce, ci appare come una delicata farfalla cosmica. In realtà, le sue ali sono enormi gas roventi a 20.000 gradi Celsius di temperatura, formatesi da una stella morente 1000 volte il diametro del Sole.

La stella morente, nascosta dall’enorme anello di polvere, era circa 5 volte la massa della nostra stella, prima di evolversi in un’enorme gigante rossa con un diametro 1000 volte quello del Sole (il Sole ha una massa di 2 quintilioni di chilogrammi e un diametro di 1.392.700 chilometri).

Il gas rovente della Nebulosa, espulso dalla stella nell’arco di 2.200 anni e carico di radiazioni ultraviolette, sta viaggiando nello Spazio a più di 950.000 km/h: abbastanza veloce da percorrere la distanza Terra-Luna in appena 24 minuti (un veicolo spaziale impiegherebbe circa 4 giorni).

Per osservare l’immagine in alta definizione e approfondire la notizia, è possibile consultare il sito internet dell’ESA dedicato al telescopio Hubble (CLICCA Qui).

Nebulosa Farfalla NGC 6302 vista dal telescopio spaziale Hubble il 27 luglio 2009, con la Wide Field Camera 3 di Hubble.Credits: NASA, ESA and the Hubble SM4 ERO Team

LEGGI ANCHE –> James Webb cattura la sua prima immagine di un esopianeta.

Si stima che la temperatura superficiale della stella sia superiore a 220.000 gradi Celsius, il che la rende una delle stelle più calde conosciute nella nostra galassia. Le osservazioni spettroscopiche, effettuate con telescopi terrestri, mostrano che il gas ha una temperatura di circa 20.000 gradi Celsius: una temperatura insolitamente calda rispetto a una tipica nebulosa planetaria.

I bordi esterni rossastri della nebulosa sono in gran parte dovuti alla luce emessa dall’azoto, nonché il gas più freddo visibile nell’immagine. Lo strumento Wide Field Camera 3 di Hubble, con il quale ha osservato la Nebulosa Farfalla, è dotato di un’ampia varietà di filtri che isolano la luce emessa dai vari elementi chimici. Questo consente agli astronomi di dedurre le proprietà del gas nebulare: la sua temperatura, la densità e la composizione.

LEGGI ANCHE –> Il James Webb cattura il cuore della galassia fantasma.

Le regioni di colore bianco sono aree in cui la luce viene emessa dallo zolfo. Queste sono regioni in cui il gas in rapido movimento, si scontra con il gas in lento movimento, producendo onde d’urto di gas. La macchia bianca, con il bordo nitido in alto a destra, è un esempio di onde d’urto.

  • Cover image credits: NASA, ESA and the Hubble SM4 ERO Team

giovedì 24 dicembre 2020

L’anello fuso di Einstein. - Eleonora Ferroni

 

Il telescopio Hubble ha catturato un altro sorprendente esempio dell'effetto lente gravitazionale. In questo caso la luce dalla galassia di fondo è stata distorta e curvata dalla gravità dell'ammasso di galassie che si trova di fronte. Gal-Clus-022058s è un oggetto unico nel suo genere perché sembra un anello in via di fusione.

Nell’immagine potete ammirare l’elegante spettacolo di un anello di Einstein catturato dal telescopio di Nasa/Esa Hubble. Gal-Clus-022058s, in direzione della costellazione della Fornace, è il più grande e uno dei più completi anelli di Einstein mai scoperti finora. Visivamente è un oggetto unico nel suo genere perché sembra proprio un anello “fuso”, diciamo quasi liquefatto.

Che cos’è un anello di Einstein? La forma insolita di questo oggetto è causata da un fenomeno chiamato lente gravitazionale, una delle preziose eredità ci ha lasciato Albert Einstein e predetto nella sua Teoria della Relatività Generale. Si tratta dell’immagine di una galassia molto distante dalla Terra la cui distorsione è prodotta dalla flessione dei raggi luminosi provenienti dalla sorgente a causa del forte campo gravitazionale di una galassia massiccia chiamata “lente”, che si trova tra la sorgente e l’osservatore.  Gli astronomi sfruttano l’effetto di curvatura della luce per studiare oggetti estremamente lontani e impossibili da osservare con i telescopi terrestri o con i satelliti. La lente d’ingrandimento formato galattico distorce la struttura dello spazio-tempo nei dintorni, piegando letteralmente la luce e disegnando archi o addirittura anelli quando queste le due galassie sono esattamente allineate

Nel caso dell’immagine catturata da Hubble, la luce dalla galassia di fondo è stata distorta e curvata dalla gravità dell’ammasso di galassie che si trova di fronte. L’allineamento quasi esatto della galassia sullo sfondo con la galassia ellittica centrale dell’ammasso, ha deformato e ingrandito l’immagine della galassia di fondo in un anello quasi perfetto. La gravità delle altre galassie nell’ammasso provoca ulteriori distorsioni.

(foto: Crediti: Esa/Hubble & Nasa, S. Jha; Acknowledgment: L. Shatz)

https://www.media.inaf.it/2020/12/21/anello-fuso-di-einstein/?fbclid=IwAR1T1GKh2VAmYjJJ8kFbrJj5dFTLBnbFzqvCY1QPK7YN3RV3se13SwUdmyc

lunedì 10 febbraio 2020

Mostruosa galassia nell’universo primordiale. - Maura Sandri


Rappresentazione artistica di una galassia imponente e polverosa, simile a come doveva apparire Xmm-2599 alla luce visibile quando ancora stava formando le sue stelle. Crediti: Nrao/Aui/Nsf, B. Saxton.

Circa 12 miliardi di anni fa, quando l'universo era ancora adolescente, la galassia Xmm-2599 aveva già una massa di oltre 300 miliardi di soli. Uno studio ha ora dimostrato che la formazione stellare era stata, fino a quel momento, incredibilmente attiva per poi, improvvisamente e per ragioni ancora sconosciute, cessare completamente. Nella scoperta sono coinvolti anche tre astrofisici dell’Inaf: Francesco La Barbera, Mario Nonino e Paolo Saracco.
Un team internazionale di scienziati ha trovato un’insolita ed enorme galassia che esisteva già circa 12 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva solo 1.8 miliardi di anni – o, in altre parole, solo il 13 per cento della sua età attuale, pari a 13.8 miliardi di anni. Dalla sommità del vulcano Mauna Kea, alle isole Hawaii, grazie alle numerose osservazioni effettuate con l’Osservatorio W. M. Keck, il team ha scoperto che la galassia in questione, chiamata Xmm-2599, era veramente molto massiccia, e deve aver formato stelle a una velocità elevatissima. Poi, improvvisamente, per ragioni ancora sconosciute, ha smesso di farlo.
«L’universo non aveva ancora due miliardi di anni, e già la massa di Xmm-2599 superava quella di 300 miliardi di soli», dice Benjamin Forrest, ricercatore alla University of California Riverside (Ucr) e primo autore dello studio. «Con il nostro lavoro siamo riusciti a dimostrare che Xmm-2599 ha formato la maggior parte delle sue stelle molto velocemente, quando l’universo aveva meno di un miliardo di anni, per poi diventare inattiva quando ne aveva solo 1.8 miliardi».
Per arrivare a queste conclusioni, il team ha utilizzato le osservazioni spettroscopiche del potente Mosfire (Multi-Object Spectrograph for Infrared Exploration), che ha permesso di compiere misure dettagliate di Xmm-2599 e quantificarne con precisione la distanza. «Sono state necessarie molte osservazioni, alcune delle quali lunghe nove ore ciascuna, per determinare la distanza e la massa di Xmm-2599», ricorda il coautore Percy Gomez, astronomo all’Osservatorio del Keck.
«In quell’epoca, pochissime galassie avevano smesso di formare stelle e nessuna è così massiccia come Xmm-2599», osserva Gillian Wilson, anch’egli di Ucr. «L’esistenza di galassie ultramassive come Xmm-2599 rappresenta una vera sfida per i modelli numerici. Anche se galassie così enormi sono, per quell’epoca, incredibilmente rare, risultano comunque previste dai modelli. Tuttavia, dovrebbero essere galassie ancora in grado di formare stelle. Ciò che rende Xmm-2599 così interessante, insolita e sorprendente è che non sta più formando stelle, forse perché ha smesso di essere alimentata, o il suo buco nero ha iniziato ad accendersi. I nostri risultati richiedono cambiamenti nel modo in cui i modelli disattivano la formazione stellare nelle prime galassie».
Questo set di immagini mostra la possibile evoluzione di Xmm-2599, da una galassia massiccia, polverosa, nella quale è molto attiva la formazione stellare (a sinistra), a una galassia rossa inattiva (al centro), per poi entrare a far parte, forse, di un grappolo luminoso di galassie (a destra). Crediti: Nrao/Aui/Nsf, B. Saxton; Nasa/Esa/R. Foley; Nasa/Esa/Stsci, M. Postman/Clash
«Abbiamo catturato Xmm-2599 nella sua fase inattiva», spiega Wilson. «Non sappiamo in cosa si sia trasformata oggi. Sappiamo che non può perdere massa. Una domanda interessante è cosa sia successo intorno a essa. Col passare del tempo, potrebbe essere stata in grado di attrarre gravitazionalmente le galassie vicine e formare una luminosa metropoli di galassie?». Il coautore Michael Cooper, della Uc Irvine, ritiene che questa potrebbe essere una prospettiva molto probabile: «Forse durante i successivi 11.7 miliardi di anni di storia cosmica, Xmm-2599 diventerà il membro centrale di uno dei più brillanti e massicci ammassi di galassie nell’universo locale. In alternativa, potrebbe continuare ad esistere per i fatti suoi. Oppure potremmo avere uno scenario che sarà una via di mezzo tra questi due scenari estremi».
I risultati dello studio sono appena stati pubblicati su The Astrophysical Journal, in un articolo di cui sono co-autori anche Francesco La Barbera dell’Inaf di Napoli, Mario Nonino dell’Inaf di Trieste e Paolo Saracco dell’Inaf di Brera. «La formazione ed evoluzione delle galassie è un argomento di studio fondamentale nell’astrofisica», spiegano i tre astrofisici a Media Inaf, «sia dal punto di vista osservativo che da quello teorico, con i diversi modelli proposti (collasso monolitico vs modello gerarchico). La scoperta di Xmm-2599 rappresenta una sfida eccitante, date le straordinarie proprietà di questa galassia dedotte dalle osservazioni, quali la massa stellare (300 miliardi di masse solari, circa cinque volte la massa stellare della nostra galassia), la quasi totale assenza di formazione stellare e, soprattutto, la sua esistenza in un’epoca alla quale l’universo aveva solo una frazione dell’età attuale».
«Le osservazioni suggeriscono che l’intervallo di tempo di formazione di Xmm-2599, inteso come il tempo trascorso fra la formazione delle prime stelle dal gas preesistente, al momento in cui la formazione stellare è cessata quasi del tutto, sia ancor più breve (inferiore a 1 miliardo di anni)», continuano La Barbera, Nonino e Saaracco. «Ciò implica un tasso di formazione stellare davvero elevato, con picchi corrispondenti a più di mille soli per anno (per confronto, la nostra galassia ha un tasso stimato di 1.5-1.7 soli per anno). Resta quindi da capire quale sia il processo – o i processi – fisico che ha interrotto in maniera repentina la formazione stellare in un oggetto cosi massivo come Xmm-2599. Ciò è senz’altro di grande interesse per tutti coloro che studiano modelli di formazione delle galassie, in particolare quelle di più grande massa, simili a Xmm-2599. I modelli attuali riescono a riprodurre in parte questi oggetti, ma ci sono indicazioni che la densità di oggetti così peculiari sia maggiore di quella prevista».
«Dal punto di vista osservativo», concludono i tre, «si tratta di trovare quali potrebbero essere i progenitori di galassie come Xmm-2599: i candidati più verosimili sono le galassie con alto tasso di formazione stellare con una notevole quantità di polveri, alla cui caratterizzazione e scoperta sta contribuendo in maniera determinante Alma. Un contributo importante è inoltre atteso da Euclid, in cui Inaf è fortemente coinvolto, dato che per scoprire e studiare oggetti molto rari come Xmm-2599 è fondamentale osservare nelle bande infrarosse su ampie zone di cielo.  Gli eccellenti dati di Euclid dovrebbero fornire un campione significativo di oggetti simili a Xmm-2599, contribuendo a chiarire in maniera determinante i processi che hanno portato alla formazione di simili “mostri” quando l’universo era ancora estremamente giovane».

domenica 8 dicembre 2019

S5-HVS1, la stella ribelle espulsa dalla galassia. - DAVIDE LIZZANI

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Illustrazione: un buco nero supermassiccio, circondato da polveri e gas. | NRAO/AUI/NSF

È stata scoperta una stella che "scappa" dalla Via Lattea alla velocità record di 6 milioni di km/h, respinta da un buco nero supermassiccio.

La maggior parte delle stelle della nostra galassia ruota attorno a un gigantesco buco nero, chiamato Sagittarius A*. Ma alcune viaggiano veloci in altre direzioni. In un nuovo studio, per la prima volta, gli astrofisici descrivono come una di queste "stelle ribelli", la S5-HVS1, sia in fuga della galassia proprio a causa di un incontro ravvicinato con Sagittarius A*.

CENTRO DI GRAVITÀ NON PERMANENTE. La causa per cui alcune stelle viaggiano ribelli nella galassia è spesso la rottura dell'equilibrio di un sistema binario (ovvero un sistema di due stelle che ruotano l'una attorno all'altra). Se la gravità di una terza stella influenza il sistema, i suoi componenti possono separarsi lentamente, per poi continuare ad allontanandosi sempre più a causa della forza d'inerzia residua. Tuttavia S5-HVS1 sta viaggiando troppo velocemente e questa volta gli astrofisici sono sicuri: a farla scappare dal sistema binario è stata una forza gravitazionale molto grande, quella di un buco nero supermassiccio.


LA GRANDE FUGA. In questo momento la stella solitaria si sta allontanando dal centro della galassia a 1.755 km al secondo ed è destinata a lasciare la Via Lattea. Ma il destino della sua vecchia compagna è ancora peggiore. 5 milioni di anni fa, quando S5-HVS1 cominciava la sua fuga, la sua compagna veniva intrappolata dalla gravità del buco nero, per poi essere disintegrata nel disco di accrescimento.

La stella super veloce, con la massa di 2 soli e mezzo, è stata individuata dall'Anglo-Australian Telescope, che ha misurato la velocità a cui si sta allontanando da noi grazie al redshift. Questi dati, uniti a quelli del telescopio spaziale Gaia sul movimento delle stelle, hanno permesso di ricostruire la velocità e la rotta che porterà la stella nello spazio intergalattico. Qui, quantomeno, S5-HVS1 non dovrà temere altri incontri con buchi neri.

martedì 6 dicembre 2016

La galassia gigante che viene dal freddo.

La galassia gigante che viene dal freddo

L'osservazione di un ammasso galattico distante da noi 10 miliardi di anni luce, ha rivelato che l'enorme galassia Tela di ragno che si trova al suo centro si sta condensando direttamente da una nube di gas a temperatura bassissima, in cui sono immerse galassie più piccole.

Le galassie spesso si aggregano a centinaia di migliaia, formando un ammasso, al centro del quale si trovano le galassie più massicce dell'universo. Finora, nella comunità astronomica era diffusa la convinzione che queste super-galassie si formassero a partire dalla fusione di diverse galassie più piccole, che collassavano sotto l'effetto della propria gravità.

Il modello è stato ora raffinato da un articolo pubblicato sulla rivista “Science” da un gruppo internazionale di astronomi guidati da Bjorn Emonts del Centro per l'Astrobiologia di Madrid, in Spagna, che hanno osservato un ammasso allo stadio embrionale distante da noi 10 miliardi di anni luce con il Very Large Array del National Radio Astronomy Observatory (NRAO) degli Stati Uniti, nel New Mexico, e con l'Australia Telescope Compact Array.


L'ammasso che, data la distanza, noi vediamo com'era quando l'universo aveva pochi miliardi di anni, ospita nel suo nucleo una galassia gigante, denominata Tela di ragno. Le osservazioni indicano che questa super-galassia si sta formando a partire dalla fusione di galassie che "galleggiano" in una nube cosmica di gas, costituita per lo più da molecole di idrogeno, il materiale fondamentale di stelle e galassie. La nube ha una massa di circa 100 miliardi di masse solari e si trova a un temperatura di circa -200 gradi Celsius.

“È stato scioccante vedere questa nube così fredda, perché ci aspettavamo di vedere un enorme numero di galasse collassare e riscaldare il gas”, ha spiegato Matthew Lehnert dell'Institut d’Astrophysique di Parigi, in Francia. “Perciò pensavamo che tutto il gas freddo sarebbe rimasto intrappolato ben in profondità all'interno delle galassie”.

Ma 
l'occhio attento del Very Large Array ha rivelato che la maggior parte del gas freddo non è nelle piccole galassie. L'Australia Telescope Compact Array, d'altra parte, ha mostrato chiaramente la nube di gas cosmico che le sommerge. Inoltre, un precedente lavoro di un altro gruppo di ricerca aveva rilevato che nella Tela di ragno miliardi di stelle giovani si sono misteriosamente accese, segno di una formazione di stelle al di fuori delle galassie. Perciò ora gli astronomi pensano che questa super-galassia si stia condensando direttamente dalla nube di gas freddo.

"La cosa sorprendente è che il gas si estende su scale molto ampie, circa 230 mila anni luce, ma non sembra associato alle singole piccole galassie che costituiscono l'ammasso", ha aggiunto Laura Pentericci, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, Osservatorio Astronomico di Roma a Monteporzio, coautrice dell'articolo. "Anche la velocità del gas e quella delle galassie sono molto diverse tra loro e questo conferma che si tratta di due componenti distinte".

Gli astronomi non hanno osservato direttamente l'idrogeno, ma lo hanno localizzato tracciando il monossido di carbonio, un "tracciante" molto più facile da rilevare.

“Il monossido di carbonio che abbiamo rilevato è un prodotto di scarto di precedenti stelle, una forma di riciclaggio cosmico, ma non possiamo dire in modo certo da dove provenga il gas né come si sia accumulato nel nucleo dell'ammasso, ha commentato Emonts. “Per scoprirlo, dovremmo dare un'occhiata ancora più in profondità nella storia dell'universo”.


http://www.lescienze.it/news/2016/12/01/news/galassie_giganti_nubi_gas-3336500/

domenica 31 gennaio 2016

Voi siete qui.



Quando guardiamo la famosa via lattea osserviamo uno dei bracci della galassia a spirale che ci ospita da qualche miliardo di anni…il “voi siete qui” non indica che siamo soli
nell’universo anche perché di galassie come la nostra ne esistono altre 10.000… e sono quelle che siamo riusciti ad osservare…se ne considerano esistenti almeno altre 300miliardi..ora provate a moltiplicare i “voi siete qui”…..
Sergio.


http://www.ancientaliens.it/voi-siete-qui/

L'umanità è così imbecille che dopo decine di migliaia di anni, a bordo di una splendida nave chiamata Pianeta Terra, non ha ancora trovato il modo di godersi il viaggio nelle profondità di questo meraviglioso universo.
Invece che guardare fuori dai finestrini, come piccoli mocciosi continuiamo a bisticciare e a rubarci la merendina!
Massa di idioti che non siamo altro!

Demetrio Battaglia.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10207657848551495&set=a.2516818087019.2140633.1450249129&type=3&theater

mercoledì 11 febbraio 2015

Il sorriso di Einstein immortalato da Hubble. - Francesca Mancuso

hubble sorriso einstein

Il sorriso di Einstein appare in cielo. Non è una visione apocalittica né miracolosa ma l'ultima immagine regalata dal telescopio spaziale Hubble che ha fotografato l'ammasso di galassie SDSS J1038 + 4849.
A guardarlo sembra un volto sorridente, con i due occhi arancioni e il naso pulsante di colore bianco. E in questo “faccia felice”, i due occhi sono galassie molto luminose e le linee che creano il sorriso sono archi causati da un effetto noto come lente gravitazionale.
Quest'ultima è un fenomeno caratterizzato dalla deflessione della radiazione emessa da una sorgente luminosa per via della presenza di una massa che si trova proprio tra la sorgente e il punto di vista di chi osserva.
Ma torniamo alla bella immagine scattata da Hubble. Quest'oggetto è stato studiato dalla Wide Field and Planetary Camera 2 (WFPC2) e dalla Wide Field Camera 3.
Si tratta di un ammasso di galassie, una delle strutture più massicce nell'Universo. Esse esercitano una potente attrazione gravitazionale che deforma lo spazio-tempo intorno e agiscono come lenti cosmiche in grado di ingrandire, distorcere e piegare la luce dietro di loro. Questo fenomeno, cruciale per molte delle scoperte di Hubble, può essere spiegato con la teoria della relatività generale di Einstein.
In questo caso particolare di lente gravitazionale, un anello - noto come anello di Einstein - è prodotto da questa deflessione della luce, in conseguenza dell'esatto e simmetrico allineamento della sorgente, della lente e dell'osservatore.
Il risultato è la struttura anulare che si vede nell'immagine.
Hubble ha fornito agli astronomi gli strumenti per sondare queste galassie massicce e modellare gli effetti della lente. Ciò ha permesso agli scienziati di guardare indietro nella vita dell'universo, come mai era accaduto.
Credits: Nasa-Esa

lunedì 1 dicembre 2014

Hubble scopre un buco nero al centro della galassia più piccola mai conosciuta!

buco nero
Un gruppo di astronomi della University of Utah guidati da Anil Seth hanno identificato nella galassia nana ultracompatta, la più piccola che conosciamo, un buco nero supermassiccio. La scoperta è alquanto sorprendente e suggerisce il fatto che i buchi neri di grandi dimensioni possono essere molto più comuni di quanto ipotizzato. I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature.
Questa immagine ripresa dal telescopio spaziale Hubble mostra la gigantesca galassia M60 e la galassia nana ultracompatta M60-UCD1 che risulta l’oggetto più piccolo che conosciamo contenente un buco nero supemassiccio. M60 sta attirando un’altra galassia, NGC4647, con la quale colliderà tra qualche tempo. Credit: NASA/Space Telescope Science Institute/European Space Agency

Le osservazioni sono state condotte con il Gemini North 8-meter optical-and-infrared telescope situato a Mauna Kea, nelle Hawaii, mentre il telescopio spaziale Hubble è stato utilizzato per identificare il buco nero di 21 milioni di masse solari nella galassia nana M60-UCD1. La scoperta suggerisce il fatto che devono esistere tante galassie nane ultracompatte contenenti un buco nero supermassiccio nei loro nuclei. Si ritiene che queste piccole galassie siano i residui di galassie più grandi che sono state ‘strappate’, per così dire, a seguito delle interazioni gravitazionali con altre galassie. “Non conosciamo altro modo con cui si può fare un buco nero così grande in un oggetto così piccolo“, spiega Seth. I buchi neri sono stelle o insiemi di stelle collassate la cui gravità è tale che nemmeno la luce riesce a sfuggire alla loro intensa attrazione gravitazionale. Di solito, i buchi neri giganti, che hanno masse dell’ordine di qualche milione di masse solari o più, si trovano nei nuclei delle galassie. Ad esempio, il buco nero della Via Lattea, Sagittarius A*, possiede una massa pari a 4 milioni di Soli e nonostante sia così massiccio la sua massa risulta meno dello 0,01 percento della massa dell’intera galassia, che viene stimata essere dell’ordine di circa 50 miliardi di masse solari. Dunque, per confronto, il buco nero della galassia nana in questione ha una massa cinque volte superiore rispetto a quella del buco nero della nostra galassia che, a sua volta, è equivalente al 15 percento della massa totale della galassia nana, che è di 140 milioni di masse solari. “Ciò è molto sorprendente, se pensiamo che la Via Lattea è 500 volte più grande e 1.000 volte più pesante di M60-UCD1“, dice Seth. “Inoltre, pensiamo che una volta la galassia nana doveva essere enorme, forse contenente 10 miliardi di stelle, e che passando in prossimità delle regioni centrali di una galassia ancora più grande, M60 distante circa 60 milioni di anni-luce nella costellazione della Vergine, perse tutte le stelle e la materia scura delle regioni periferiche che diventarono parte di M60. Forse, questo processo è avvenuto qualcosa come 10 miliardi di anni fa, certamente non lo sappiamo con certezza“. E’ probabile che la galassia nana possa subire un processo di “merging galattico” con M60, che contiene un buco nero supermassiccio di 4,5 miliardi di masse solari, mille volte superiore a quello della Via Lattea in termini di massa, e quando ciò accadrà anche il buco nero di M60-UCD1 si fonderà con quello di M60. In più, bisogna dire che M60 sta attirando un’altra galassia a spirale, NGC 4647 che è circa 25 volte meno massiccia. Una ipotesi alternativa suggerisce che M60-UCD1 non abbia in realtà un buco nero di grossa taglia e che invece il suo nucleo sia popolato da un insieme di stelle massicce e deboli. Ma le osservazioni realizzate con il telescopio Gemini North e le analisi effettuate utilizzando l’archivio delle immagini del telescopio spaziale Hubble hanno rivelato che la massa è concentrata nel nucleo della galassia nana, suggerendo la presenza di un oggetto supermassiccio. Insomma, pare proprio che M60-UCD1 sia ciò che rimane del nucleo di quella che una volta doveva essere una galassia più grande e che è probabile che altre galassie nane supercompatte possano in definitiva ospitare buchi neri di grandi dimensioni.