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sabato 23 gennaio 2021

Il Sistema Solare si è formato in due tappe.

 

Il Sistema Solare si è formato in due tappe: è l'ipotesi suggerita da nuovi dati e una simulazione, capace di spiegare la diversità fra i pianeti rocciosi più interni, Mercurio, Venere, Terra, Marte e quelli gassosi, come Giove. Il risultato, pubblicato sulla rivista Science, si deve ai ricercatori coordinati da Tim Lichtenberg, dell'università britannica di Oxford.

"Il Sistema Solare interno, che si è formato prima ed è più asciutto, e il Sistema Solare esterno, che si è formato più tardi ed è più umido, sono diversi a causa di due diversi percorsi evolutivi" ha rilevato Lichtenberg. Questo, ha aggiunto, "apre nuove strade per comprendere le origini delle atmosfere di pianeti simili alla Terra".

Recenti osservazioni sui dischi di polveri e gas che si formano intorno alle stelle appena nate hanno mostrato che nella regione del disco dove nascono i pianeti possono esserci livelli di turbolenza tali che le interazioni tra i grani di polvere nel disco e l'acqua possono innescare due differenti esplosioni di formazione di mattoni di pianeti.

La prima avviene nelle regioni più interne del sistema planetario e la seconda avviene successivamente in una regione più lontana. I due distinti episodi di formazione determinano differenti modalità geofisiche di evoluzione: nella regione interna e più vicina alla stella i mattoni dei pianeti subiscono una rapida disidratazione, mentre nella regione più esterna si mantengono più umidi.

Per provarlo, i ricercatori hanno messo a punto una simulazione sulla formazione del Sistema Solare, mostrando che effettivamente la differenza fra i pianeti rocciosi interni e quelli gassosi esterni si può spiegare se questi pianeti sono nati in due fasi diverse. "I giovani pianeti del Sistema Solare Interno - ha osservato Lichtenberg - divennero molto caldi, svilupparono oceani di magma interni, formarono rapidamente nuclei di ferro e il loro iniziale contenuto di elementi volatili evaporò, portandoli a diventare dei pianeti asciutti".

(foto: Rappresentazione artistica della formazione del Sistema Solare in due fasi (fonte: Mark A Garlick / markgarlick.com)

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2021/01/22/il-sistema-solare-si-e-formato-in-due-tappe_f8575961-8a57-4e35-b9e3-28b5975b7c8b.html

domenica 8 dicembre 2019

S5-HVS1, la stella ribelle espulsa dalla galassia. - DAVIDE LIZZANI

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Illustrazione: un buco nero supermassiccio, circondato da polveri e gas. | NRAO/AUI/NSF

È stata scoperta una stella che "scappa" dalla Via Lattea alla velocità record di 6 milioni di km/h, respinta da un buco nero supermassiccio.

La maggior parte delle stelle della nostra galassia ruota attorno a un gigantesco buco nero, chiamato Sagittarius A*. Ma alcune viaggiano veloci in altre direzioni. In un nuovo studio, per la prima volta, gli astrofisici descrivono come una di queste "stelle ribelli", la S5-HVS1, sia in fuga della galassia proprio a causa di un incontro ravvicinato con Sagittarius A*.

CENTRO DI GRAVITÀ NON PERMANENTE. La causa per cui alcune stelle viaggiano ribelli nella galassia è spesso la rottura dell'equilibrio di un sistema binario (ovvero un sistema di due stelle che ruotano l'una attorno all'altra). Se la gravità di una terza stella influenza il sistema, i suoi componenti possono separarsi lentamente, per poi continuare ad allontanandosi sempre più a causa della forza d'inerzia residua. Tuttavia S5-HVS1 sta viaggiando troppo velocemente e questa volta gli astrofisici sono sicuri: a farla scappare dal sistema binario è stata una forza gravitazionale molto grande, quella di un buco nero supermassiccio.


LA GRANDE FUGA. In questo momento la stella solitaria si sta allontanando dal centro della galassia a 1.755 km al secondo ed è destinata a lasciare la Via Lattea. Ma il destino della sua vecchia compagna è ancora peggiore. 5 milioni di anni fa, quando S5-HVS1 cominciava la sua fuga, la sua compagna veniva intrappolata dalla gravità del buco nero, per poi essere disintegrata nel disco di accrescimento.

La stella super veloce, con la massa di 2 soli e mezzo, è stata individuata dall'Anglo-Australian Telescope, che ha misurato la velocità a cui si sta allontanando da noi grazie al redshift. Questi dati, uniti a quelli del telescopio spaziale Gaia sul movimento delle stelle, hanno permesso di ricostruire la velocità e la rotta che porterà la stella nello spazio intergalattico. Qui, quantomeno, S5-HVS1 non dovrà temere altri incontri con buchi neri.

lunedì 13 agosto 2018

UNA STELLA INTRUSA NEL SISTEMA SOLARE. - Barbara Bubbi


Rappresentazione artistica del Sistema Solare. Credit NASA

Una quasi-catastrofe avrebbe modellato miliardi di anni fa le regioni esterne del Sistema Solare, lasciando le regioni interne praticamente illese. I ricercatori hanno scoperto che il passaggio ravvicinato di un’altra stella potrebbe spiegare molte delle caratteristiche osservate nelle regioni remote del nostro sistema. Lo studio è stato pubblicato su The Astrophysical Journal.
I pianeti del Sistema Solare si formarono all’interno di un vasto disco protoplanetario di gas e polveri circostante il Sole. Dal momento che la massa complessiva di tutti gli oggetti situati al di là di Nettuno è molto inferiore al previsto, e che tali corpi celesti hanno in gran parte orbite inclinate ed eccentriche, è probabile che alcuni processi abbiano rimodellato il Sistema Solare esterno dopo la sua formazione. Secondo Susanne Pfalzner del Max Planck Institute for Radio Astronomy a Bonn, Germania, e i suoi colleghi, il passaggio ravvicinato di una stella intrusa avrebbe causato la bassa densità di massa osservata nel Sistema Solare esterno, e avrebbe forzato quegli oggetti remoti a percorrere orbite eccentriche e inclinate.
Le simulazioni numeriche dimostrano che molti corpi celesti aggiuntivi a elevate inclinazioni attendono di essere scoperti. “Il nostro team si è occupato per anni di cercare le conseguenze di passaggi stellari ravvicinati su altri sistemi planetari, senza mai considerare che noi in realtà potremmo trovarci proprio in uno di quei sistemi”, spiega Susanne Pfalzner. “La bellezza di questo modello è la sua semplicità”.
Lo scenario di base della formazione del Sistema Solare è ben noto: il Sole si è accesso in seguito a collasso gravitazionale di una densa nube di gas e polveri. Nel corso del processo si è formato attorno alla nostra stella un disco appiattito, in cui sono cresciuti i pianeti, insieme a oggetti più piccoli come asteroidi, pianeti nani, e così via. Osservando il Sistema Solare fino all’orbita di Nettuno, sembra quasi tutto al suo posto: gran parte dei pianeti si muovono su orbite pressochè circolari e le loro inclinazioni orbitali variano solo leggermente. Tuttavia, al di là di Nettuno, le dinamiche diventano molto disordinate. Il mistero più grande è il pianeta nano Sedna, che si sposta lungo un’orbita inclinata e altamente eccentrica, ed è così lontano da non poter essere stato portato a quell’orbita remota in seguito a dinamiche planetarie. Appena al di là di Nettuno accade qualcosa di strano. La massa complessiva di tutti gli oggetti cala drammaticamente di quasi tre ordini di grandezza. Questo avviene più o meno alla stessa distanza in cui le dinamiche orbitali diventano disordinate.
Secondo il team la spiegazione potrebbe essere il passaggio di una stella che si avvicinò al Sistema Solare primordiale, strappando via gran parte del materiale esterno del disco protoplanetario del Sole e portando gli oggetti rimanenti ad assumere orbite inclinate ed eccentriche. Realizzando migliaia di simulazioni al computer, i ricercatori hanno analizzato le dinamiche del passaggio di questa stella invasiva. I risultati suggeriscono che la stella perturbatrice avesse una massa simile o di poco inferiore a quella del Sole, e che sia arrivata ad una distanza dalla nostra stella pari a circa tre volte quella di Nettuno.
Sorprendentemente, il passaggio stellare non spiega soltanto le strane orbite degli oggetti del Sistema Solare esterno, ma fornisce anche una spiegazione naturale per varie caratteristiche inaspettate del nostro sistema, come il rapporto di massa tra Nettuno e Urano, e l’esistenza di due diverse popolazioni di oggetti della Fascia di Kuiper. Una questione su cui indagare è la probabilità di un simile evento. Stelle come il Sole nascono tipicamente in grandi gruppi, in cui le stelle sono densamente accorpate. Pertanto gli incontri tra vicine stellari erano significativamente più comuni nel lontano passato. Il team ha scoperto, grazie ad un’altra simulazione, che nel giovane Sistema Solare la probabilità per il Sole di sperimentare un incontro ravvicinato con un’altra stella era del 20-30 percento. Pertanto l’ipotesi dello studio potrebbe essere la spiegazione più semplice per le caratteristiche singolari osservate nel Sistema Solare esterno.

domenica 15 luglio 2018

Oggetto stellare gigante più grande di Giove è diretto verso il nostro Sistema Solare. -

Oggetto stellare gigante più grande di Giove è diretto verso il nostro Sistema Solare

Gli astronomi dilettanti stanno osservando e seguendo ciò che credono sia una cometa, poiché aumenta di dimensioni e luminosità visibili nella nostra atmosfera.  Soprannominato PANSTARRS (C / 2017 S3), questo oggetto spaziale è enorme e si sta dirigendo verso il sistema solare. Sarà visibile ad occhio nudo fino alla fine di Agosto 2018.
L’osservatore austriaco del cielo Michael Jager ha pubblicato una foto sulla sua pagina Facebook della misteriosa ed enorme stella luminosa visibile nello spazio. Ha detto: “Molto probabile che si tratta di una Cometa e la sua atmosfera è di 260.000 km di diametro, quasi il doppio del pianeta Giove. Queste dimensioni lo rendono un obiettivo relativamente facile per i telescopi per terrazzi.”
Ma i teorici della cospirazione pensano che potrebbe essere molto peggio. Tyler Glockner, che gestisce il canale You Tube Secureteam10, ha ipotizzato che non ci sia modo per essere valutata come una cometa poiché non ha una coda.
Ha anche aggiunto che sembrano esserci due oggetti dal centro. Glockner ha pubblicato il video sul suo canale YouTube, ma gli spettatori pensano che possa essere ancora più misterioso come oggetto che è più grande di Giove. “Arriva Nibiru ed è reale, causerà terremoti e uragani e sta spostando comete dalla Nube di Oort come mai prima d’ora”, ha dichiarato un appassionato di alieni. Un altro ha aggiunto: “È una luce proveniente da un sistema planetario che si schianta contro di noi”. E un terzo commenta: “Quello è un pianeta, non una roccia spaziale”. Si dice che Nibiru causerà nel suo avvicinamento alla terra, disastri come terremoti potenti e eruzioni vulcaniche. Per molti,  il grande pianeta sconosciuto, si avvicinerà al nostro pianeta entro il XXI secolo.
Ma cos’è veramente questo oggetto enorme?
Tralasciando ogni sorta di cospirazione, il gigantesco oggetto verde che si avvicina al sistema solare è la cometa PANSTARRS (C / 2017 S3), che ha aumentato la sua luminosità e sembra circondata da un’enorme nuvola di polvere e gas verde, quindi , è stato soprannominato ‘Incredible Hulk’. La cometa verde si avvicina al sistema solare e la sua nuvola di polvere e gas è così brillante che alcuni astronomi stimano che potrebbe presto essere visibile ad occhio nudo nel cielo notturno di alcune parti del mondo.
Nonostante queste dimensioni impressionanti, la nuvola di polvere verde di PANSTARRS (C / 2017 S3) è instabile e gli astronomi non sanno se si disintegreranno quando si avvicina al nostro Sole, o se prenderanno slancio per proiettarsi verso i confini dell’universo.
Quello che è  più interessante per gli astronomi è che la chioma della PANSTARRS (C / 2017 S3) sta aumentando la luminosità ad un ritmo impressionante: solo in questa settimana è stato segnalato un aumento del 1600%. Per continuare con la sua traiettoria attuale, l’Incredible Hulk” raggiungerà il punto più vicino al nostro Sole intorno al 15 o 16 agosto di quest’anno: la prima volta che si trova nella parte interna del sistema solare. L’astrofisico Michael Jager consiglia gli astronomi dilettanti di “aspettarsi qualcosa di inaspettato” e di cercare “una cometa non guidata con una vivida nube di gas attorno”.
A cura della Redazione Segnidalcielo

sabato 17 marzo 2018

Scoperti 15 mondi alieni al di fuori del Sistema Solare.

Raffigurazione di uno dei 15 nuovi mondi che orbitano intorno a piccole stelle fredde, le nane rosse (fonte Tokyo Institute of Technology) © Ansa

Raffigurazione di uno dei 15 nuovi mondi che orbitano intorno a piccole stelle fredde, le nane rosse (fonte Tokyo Institute of Technology) © ANSA/Ansa.


Uno di loro potrebbe avere acqua liquida.

Un gruppo di 15 nuovi pianeti si aggiunge alla folla di quasi 4.000 mondi scoperti negli ultimi anni oltre il Sistema Solare. Orbitano intorno a stelle piccole e fredde, le nane rosse. Uno di loro, battezzato K2-155d e distante circa 200 anni luce dal Sole, potrebbe essere una SuperTerra poiché il suo raggio è 1,6 volte maggiore di quello terrestre, e potrebbe avere acqua liquida perché si trova alla 'giusta' distanza dalla stella madre. È quanto emerge da due ricerche pubblicate sull'Astronomical Journal. 

nuovi mondi sono stati scovati dal gruppo dell'Istituto di Tecnologia di Tokyo coordinati da Teruyuki Hirano, grazie ai dati raccolti dal cacciatore di pianeti Kepler nel corso della sua ‘seconda vita’, la missione K2, e alle osservazioni fatte da telescopi terrestri come il Subaru alle Hawaii e il Nordic Optical Telescope (Not) in Spagna.

Le nane rosse sono le stelle più diffuse nell'universo: fredde e piccole, hanno massa tra 0,4 e 0,08 volte quella del Sole. 

I 15 pianeti sono stati scoperti grazie alle oscillazioni nella loro luminosità provocate dal transito dei pianeti davanti al loro disco. Secondo i ricercatori adesso è necessario misurare temperatura e raggio della SuperTerra K2-155d e, soprattutto, verificare se abbia un'atmosfera prima di poter affermare con certezza abbia acqua allo stato liquido. In questo potrà essere d'aiuto il potranno arrivare dal nuovo cacciatore di pianeti Tess (Transiting Exoplanet Survey Satellite) della Nasa, il cui lancio è previsto in aprile.


sabato 23 dicembre 2017

L'intruso del Sistema Solare è una cometa interstellare.

Rappresentazione artistica di Oumuama, probavilmente una cometa interstellare protetta da una spessa corazza di molecole organiche (fonte: ESO/M.Kornmesser) © Ansa
Rappresentazione artistica di Oumuama, probavilmente una cometa interstellare protetta da una spessa corazza di molecole organiche (fonte: ESO/M.Kornmesser) RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA/Ansa.

Protetta da una corazza di molecole organiche.


L'intruso del sistema solare, Oumuamua, potrebbe essere una cometa interstellare rivestita di una corazza di molecole organiche che l'avrebbe protetta durante il suo lungo viaggio nella Via Lattea e durante il suo saluto al Sole. Lo indica la ricerca pubblicata sulla rivista Nature Astronomy e condotta in Irlanda, nella Queen's University di Belfast, dal gruppo coordinato da Alan Fitzsimmons e Michele Bannister.

Il rivestimento di materiale organico avvolgerebbe un nucleo di ghiaccio e si sarebbe formato dal bombardamento di raggi cosmici nel corso di milioni o addirittura miliardi di anni.
Individuato il 19 ottobre 2017 dal telescopio Pan-STARRS 1 nelle Hawaii, Oumuamua e' davvero singolare, con il suo colore grigio-rossastro e la forma affusolata simile a quella di un sigaro. Sulla base delle prime osservazioni era stato classificato come un asteroide proveniente da un'altra stella e ricco di metalli; si è anche ipotizzato che fosse fatto di materia oscurainvisibile e misteriosa.

Il sospetto che fosse una cometa arrivata da un'altra stella gli astronomi l'avevano avuto subito, ma le osservazioni successive alla scoperta avevano dimostrato che l'avvicinamento al Sole non aveva generato i getti di vapore tipici delle comete. Oumuamua infatti si e' avvicinato a 37 milioni di chilometri dal Sole senza subire danni

Adesso analizzando il modo in cui Oumuamua riflette la luce si sono osservate somiglianze notevoli con i pianetini e le comete fatte di ghiacci ricchi di carbonio, ''la cui struttura - ha rilevato Fitzsimmons - e' modificata dall'esposizione ai raggi cosmici''.
Una simulazione ha poi dimostrato che , durante il passaggio ravvicinato al Sole, un mantello di molecole organiche dello spessore di mezzo metro potrebbe avere impedito che il suo nucleo di ghiaccio evaporasse

Per Bannister e' affascinante che ''il primo oggetto interstellare scoperto somigli a un corpo celeste del nostro Sistema Solare e questo suggerisce che il modo in cui e' nata la nostra famiglia di pianeti potrebbe essere simile al modo in cui si formano i sistemi planetari attorno alle altre stelle''.

mercoledì 14 giugno 2017

Quanta acqua c'è nel sistema solare?

L'immagine può contenere: sMS

Quanta acqua c'è nel Sistema Solare? Ne abbiamo parlato spesso, e forse qualcuno di voi ha già visto questa immagine comparativa impressionante.

Sembra paradossale, ma la nostra Terra non è il pianeta del Sistema Solare con più acqua. Con una profondità media degli oceani di 4 km, il nostro Pianeta rabbrividisce di fronte alla profondità degli oceani di Europa stimata in 100 km! 

Inoltre non do
bbiamo pensare solo all'acqua liquida, ma anche a quella intrappolata nel ghiaccio. Tutta la crosta di Europa è costituita da ghiaccio d'acqua, mentre gli oceani superficiali di Titano sono composti essenzialmente da idrocarburi, soprattutto metano. E allora dov'è l'acqua? Beh...su Titano è nella crosta e anche sotto! Pare che tutto il satellite sia composto al 40% da ghiaccio d'acqua e al 60% da silicati (rocce): sotto la superficie ci sono diverse centinaia di km di acqua liquida con un fondo ghiacciato prima del nucleo roccioso. E' come se il mantello di Titano fosse composto da acqua piuttosto che da magma come succede sulla Terra!

Stessa cosa accade su Ganimede, il più grande satellite di Giove, che presenta un mantello costituito da acqua liquida compresa tra due strati di acqua ghiacciata.

E la poca acqua di Marte? Quasi tutta concentrata nelle calotte polari, e in parte anche sotto la superficie.

Insomma, se cominciasse a mancare l'acqua sulla Terra, sappiamo dove andare a prenderla! 


Massimiliano


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giovedì 23 febbraio 2017

Scoperto un sistema solare con 7 pianeti 'fratelli' della Terra.

Rappresentazione artistica della stella Trappist-1 con il suo sistema planetario (fonte: NASA/JPL-Caltech) © Ansa
Rappresentazione artistica della stella Trappist-1 con il suo sistema planetario (fonte: NASA/JPL-Caltech)


Potrebbero avere le condizioni per ospitare la vita.


Il più grande sistema planetario mai scoperto con tanti possibili 'sosia' della Terra, a nemmeno 40 anni luce dalla Terra. Mondi che potrebbero avere acqua liquida in superficie e forse le condizioni per ospitare la vita. La straordinaria scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, si deve a un gruppo internazionale coordinato dall'università belga di Liegi. Aumenta così anche il numero dei pianeti esterni al Sistema Solare finora scoperti.

I pianeti ruotano intorno alla stella Trappist-1, molto più piccola e debole del nostro Sole. "E' un sistema planetario eccezionale, non solo perché i suoi pianeti sono così numerosi, ma perchè hanno tutti dimensioni sorprendentemente simili a quelle della Terra", spiega il coordinatore della ricerca, Michael Gillon. Utilizzando il telescopio Trappist, installato in Cile presso lo European Southern Observatory (Eso), i ricercatori hanno scoperto che tre dei sette pianeti dei Trappist-1 si trovano nella zona abitabile, cioè alla distanza ottimale dalla stella per avere acqua allo stato liquido. Potrebbero quindi ospitare oceani e, potenzialmente, la vita.

I sei pianeti più vicini alla stella sono paragonabili alla Terra per dimensioni e temperatura, hanno probabilmente una composizione rocciosa e si trovano in una zona in cui la temperatura è compresa fra zero e 100 gradi. Il sole di questo sistema planetario, Trappist-1, è una vecchia conoscenza per gli astronomi: era stato scoperto nel maggio 2016 insieme ai tre pianeti che si trovano nella fascia abitabile. 

Trappist-1, nella costellazione dell'Acquario, è una stella nana ultrafredda, con una massa pari all'8% del nostro Sole. In termini stellari quindi è molto piccola, solo un po' più grande di Giove. Gli astronomi ritengono che queste stelle nane possano ospitare molti pianeti di dimensione terrestre in orbite molto strette, rendendoli quindi promettenti obiettivi per la caccia alla vita extraterrestre, ma Trappist-1 è il primo di questi sistemi a essere stato scoperto. 

"La produzione energetica delle stelle nane come Trappist-1 è molto più debole di quella prodotta dal Sole. Perché ci sia acqua liquida in superficie, i pianeti dovrebbero essere in orbite più vicine di quanto vediamo nel Sistema Solare. Fortunatamente sembra che questa configurazione compatta sia proprio ciò che troviamo intorno a Trappist-1", spiega il co-autore della ricerca, Amaury Triaud, dell'università britannica di Cambridge. 

Molti dei sette i pianeti di Trappist-1, osservati anche con il telescopio spaziale Spitzer della Nasa, potrebbero avere acqua liquida in superficie, anche se le distanze orbitali rendono alcuni candidati più promettenti di altri. Modelli climatici suggeriscono che i tre pianeti più interni siano probabilmente troppo caldi per avere acqua liquida. E il pianeta più esterno è probabilmente troppo distante e freddo per averne. Ma quei tre pianeti che si trovano con le loro orbite giusto nel mezzo rappresentano per gli astronomi una sorta di Santo Graal poiché hanno le condizioni ideali per poter ospitare la vita.


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sabato 11 febbraio 2017

Ricostruita l'alba del Sistema Solare.

Ricostruita la storia delle nebulosa che ha dato origine al Sistema Solare (fonte: NASA/JHUAPL) © Ansa
Ricostruita la storia delle nebulosa che ha dato origine al Sistema Solare (fonte: NASA/JHUAPL)

Primi pianeti nati in 4 milioni di anni, 4,6 miliardi di anni fa.


Ricostruita l'alba del Sistema Solare. 
Per la prima volta è stato calcolato il momento in cui la nube di gas e polveri primitiva ha collassato, dando origine al Sole e ai pianeti. La struttura dei giganti del nostro sistema planetario si sarebbe formata entro i primi 4 milioni di anni dalla nascita del Sistema solare, avvenuta oltre 4,6 miliardi di anni fa. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science, si deve a un gruppo di ricerca coordinato dal Massachusetts Institute of Technology.

Circa 4,6 miliardi di anni fa un'enorme nube di gas e polveri è collassata sotto il proprio peso, appiattendosi in un disco. La maggior parte della materia si è contratta al centro del disco dando origine al Sole, mentre il resto si è condensato per dare vita ai pianeti. Tutto questo era già noto, ma non sapevamo quando si fossero formati esattamente i pianeti.

Secondo Benjamin Weiss, del Mit, la struttura principale del nostro Sistema Solare, ovvero i giganti gassosi Giove e Saturno, si è formata nei primi 4 milioni di anni dal collasso della nebulosa, mentre il resto dei pianeti si è evoluto successivamente. Si tratta di una cifra più precisa rispetto alle precedenti stime, che collocavano l'epoca della formazione dei primi pianeti in un periodo compreso fra uno e dieci milioni di anni.

I ricercatori sono arrivati a questa conclusione studiando gli orientamenti magnetici in campioni incontaminati di meteoriti molto primitivi, come le angriti, che risalgono a circa 4,6 miliardi di anni fa. Si tratta di rocce ferrose, originate da asteroidi e considerate dagli studiosi dei registratori eccezionali dell'epoca di formazione del Sistema Solare. Il loro elevato contenuto di uranio ha permesso di determinarne con precisione l'età.

I ricercatori hanno analizzato quattro di questi meteoriti, caduti sulla Terra in luoghi e tempi diversi. Sono stati ritrovati in Brasile, Antartide, nel deserto del Sahara e tutti in uno straordinario stato di conservazione. Uno è stato scoperto in Argentina, "da un contadino intento a coltivare il suo campo", racconta Weiss. "Sembrava un manufatto indiano o una ciotola e il contadino lo ha tenuto nella sua casa per circa 20 anni, prima di decidersi a farlo analizzare, per scoprire che si tratta di un rarissimo meteorite".

giovedì 21 gennaio 2016

Nuovi indizi sul nono pianeta, ai confini del Sistema Solare.

Rappresentazione artistica dell'ipotetico Pianeta Nove ai confini del Sistema Soalre (fonte: Caltech/R. Hurt)


La sua esistenza è indicata da calcoli, ma non è stato visto.


Ai confini del Sistema solare, avvolto nell'oscurità e troppo lontano per riflettere la luce del sole, si nasconderebbe il 'Pianeta Nove': lo indicano i calcoli pubblicati sull'Astronomical Journal da due 'cacciatori di pianeti', Michael Brown e Konstantin Batygin, entrambi dell'Istituto Californiano di Tecnologia (Caltech). Al momento ci sono soltanto i calcoli a indicare la presenza di un pianeta delle dimensioni di Nettuno, giudicati comunque solidi dalla comunità scientifica, ma il pianeta non è stato visto.


"Questi nuovi calcoli sono più solidi rispetto a quelli fatti in passato", ha detto all'ANSA Alessandro Morbidelli, dell'Osservatorio della Costa Azzurra, a Nizza. Per l'astrofisico Gianluca Masi, del Virtual Telescope, è "un risultato interessante e suggestivo, ma la risposta definitiva potrà darla soltanto la scoperta".

I calcoli di Brown e Batygin riguardano le orbite, stranamente allineate, di sei piccoli corpi celesti che si trovano oltre l'orbita di Nettuno, nella fascia di Kuiper. E' la stessa area in cui si trova Plutone, nono pianeta del Sistema Solare fino all'agosto 2006 e declassato a pianeta nano. Una bocciatura del quale era stato responsabile lo stesso Brown, dopo aver scoperto un altro pianeta nano dalla massa superiore a quella di Plutone, Eris.


I calcoli hanno escluso che il raggruppamento delle orbite potesse essere casuale: la probabilità che fosse così era di appena lo 0,007%, o 1 su 15.000. La simulazione suggerisce invece la presenza di un grande corpo celeste, delle dimensioni di Nettuno e con una massa pari a dieci volte quella della Terra, distante dal Sole fra 200 e mille Unità Astronomiche (vale a dire fra 200 e mille volte la distanza che separa Terra e Sole, pari a circa 150 milioni di chilometri). Se il Pianeta Nove esistesse davvero, quindi, sarebbe un mondo ghiacciato e lontanissimo, che si sposta lentamente lungo un'orbita ellittica che lo tiene per la maggior parte del tempo molto distante dalla sua stella. A spingerlo tanto lontano sarebbero stati gli altri pianeti durante la loro formazione, avvenuta circa 4,5 miliardi di anni fa.

Gli stessi autori dei nuovi calcoli sono consapevoli che la loro non è ancora una scoperta: "Finchè non ci sarà un'individuazione diretta - ha detto Brown alla rivista Science - la nostra resta un'ipotesi, anche se un'ipotesi potenzialmente buona". .

http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/spazioastro/2016/01/20/nuovi-indizi-sul-nono-pianeta-ai-confini-del-sistema-solare_abe85f8b-4ad2-4913-aaed-b416c3dba283.html

lunedì 28 settembre 2015

Acqua su Marte, l'annuncio della Nasa.

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In questa immagine in falsi colori si vedono chiaramente delle strisce scure che scendono dai pendii delle colline di Marte: che cosa sono? Un enigma che finalmente è stato risolto.|NASA


Un nuovo metodo di analisi spettroscopica rivela la natura di un discusso fenomeno geologico che si rinnova a ogni "estate" sul Pianeta Rosso: la comparsa stagionale di strisce di terra bagnata su alcuni pendii.

Le foto "dell'acqua" su Marte: 

       

Qual è la natura delle lingue scure e lunghe anche decine e decine di metri, che si formano e scendono dai bordi di numerosi crateri di Marte nei periodi più caldi dell'anno sul Pianeta Rosso?

Questo è uno degli enigmi di Marte, ed è stato finalmente risolto da Lujendra Ojha, del Georgia Insitute of Technology di Atlanta (Usa): per l'importanza dello studio (pubblicato su Nature Geoscience), la Nasa ha convocato una conferenza stampa durante la quale sono stati spiegati i dettagli.

Da quando il fenomeno è stato osservato per la prima volta e poi monitorato con continuità dalle sonde attorno a Marte, le ipotesi avanzate per spiegarlo sono state più d'una: tra queste, una delle più accreditate interpretava le strisce scure come il risultato di fuoriuscite di acqua dai bordi dei crateri. Ma gli strumenti orbitali non hanno la capacità di indagare in quelle strette fasce scure, non più larghe di 5 metri, e perciò è sempre mancata una risposta certa.

SALI E ACQUA. Lujendra Ojha ha messo a punto una metodologia per studiare lo spettro, ossia la composizione chimica, di un singolo pixel delle immagini che arrivano da Marte, e in questo modo ha dimostrato che a rendere scure quelle lingue la sabbia è la presenza di acqua salata.

Adesso abbiamo la certezza che l'acqua esiste su Marte, appena sotto la superficie, in diversi punti del pianeta.

Spiega il ricercatore: «L'analisi delle sabbie vicino alle lingue scure non mostrano la presenza di sali, e dunque essi fuoriescono insieme all'acqua: si tratta di perclorato di magnesio, trovato anche dove sta lavorando il rover della Nasa Curiosity, di clorato di magnesio e diperclorato di sodio».

Il prossimo enigma da risolvere: DA DOVE ARRIVA L'ACQUA?

La risposta sull'origine dei flussi stagionali d'acqua potrebbe non essere semplice da trovare. Può essere legata alla presenza di ghiaccio che, durante l'estate marziana, all'aumentare della temperatura, si scoglie e fuoriesce in getti, e poi evapora velocemente. È un'ipotesi verosimile: non è necessario che la temperatura superi gli zero gradi centigradi per avere acqua liquida, perché la presenza di alcuni sali può portare la temperatura di liquefazione anche a -190 °C. E in certe regioni del pianeta la temperatura estiva può superare anche i 15 °C.

Ma questa ipotesi potrebbe valere per le fuoriuscite d'acqua in regioni prossime ai poli, in quanto è difficile che ci sia ghiaccio in abbondanza anche in prossimità dell'equatore, dove sono state osservate molte "striature", benché in alcune regioni equatoriali sia stata rilevata la presenza ghiaccio attraverso analisi radar.

Per spiegare il ghiaccio equatoriale si è avanzata l'ipotesi che lì vi possano essere vere e proprie falde acquifere che con l'aumentare della temperatura producano degli sbuffi, come geyser. E non ultima è stata avanzata anche l'ipotesi che l'acqua derivi dalla condensazione di vapore acqueo atmosferico che, dopo essere penetrato nel terreno, ritorni poi in atmosfera.

Al momento, sulla base di ciò che sappiamo può anche essere che non ci sia una risposta univoca, ma che ci siano invece diverse valide spiegazioni alla presenza di acqua nelle diverse zone di Marte.

Qualunque sia la spiegazione: L'ACQUA SU MARTE C'È!

A BENEFICIO DELL'UOMO. Non possono esserci fiumi o laghi, perché la bassa pressione dell'atmosfera marziana la fa evaporare appena in superficie, ma sapere che c'è ghiaccio e, meglio ancora, falde acquifere, è un bel punto di partenza per la prima base umana sul Pianeta Rosso. 

Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), ha spiegato che «è la prima prova che dimostra l’esistenza di un ciclo dell’acqua sulla superficie di Marte».

Questa l'impronta dell'acqua sul lato ovest del Chasma Coprates, nella regione equatoriale di Marte. | NASA