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lunedì 16 settembre 2024

Scoperto un pianeta colossale nascosto nell'Orsa Maggiore con una caratteristica insolita. - Gianluca Cobucci

 

Un team di astronomi polacchi ha confermato l'esistenza di un esopianeta dalle dimensioni assurde, che orbita attorno a una stella simile al nostro Sole, ma più grande e massiccia. La notizia, pubblicata sulla prestigiosa rivista "Astronomy & Astrophysics", rappresenta il culmine di quasi due decenni di ricerche e osservazioni.

Il nuovo pianeta si chiama HD 118203 e vanta una massa 11 volte superiore a quella di Giove, il più grande del nostro sistema solare; si distingue non solo per le sue dimensioni eccezionali, ma anche per le sue caratteristiche peculiari. Questo colosso gassoso, infatti, compie un'orbita completa attorno alla sua stella in ben 14 anni terrestri, un periodo decisamente lungo se paragonato ai ritmi a cui siamo abituati.

Inoltre, le temperature estreme che si registrano sulla sua superficie, che possono scendere fino a -100 gradi Celsius, rendono improbabile la presenza di forme di vita come le conosciamo.

Ma ciò che rende davvero unico questo sistema stellare è la sua configurazione gerarchica piuttosto rara nell'universo osservabile. Il nuovo pianeta, infatti, forma una stretta coppia con la sua stella, mentre un secondo pianeta, scoperto dagli stessi astronomi polacchi nel 2006, orbita a una distanza maggiore, creando quello che gli esperti definiscono un sistema binario a due livelli.

Questa architettura celestiale, che ricorda per certi versi le matrioske russe, offre un'opportunità senza precedenti per studiare i processi di formazione ed evoluzione dei sistemi planetari massicci, ancora avvolti nel mistero.

Ma c'è una curiosità dietro la scoperta di questo esopianeta: per svelare questo segreto cosmico, gli scienziati polacchi hanno impiegato alcune "glorie" del passato, come il telescopio Draper costruito nel 1891. Un'impresa che rievoca le gesta dei grandi astronomi del passato, come quel sognatore di Galileo Galilei e Giovanni Keplero, che con mezzi rudimentali riuscirono a gettare le basi della nostra comprensione dell'universo.

https://tech.everyeye.it/notizie/scoperto-pianeta-colossale-nascosto-orsa-maggiore-caratteristica-insolita-742286.html

venerdì 1 gennaio 2021

Crateri, pianure, colli e scarpate: Venere, l’unico pianeta a misura di donna. - Angelo Molica Franco

 

Dista 41 milioni di chilometri da noi, ma ogni elemento riporta il nome di un'eccellenza femminile: dalle divinità come Pandia o Molpe, alle scrittrici Jane Asuten o Simone de Beauvoir, alle scienziate Sophia Jex-Blake o Caterina Scarpellini. Dobbiamo solo aspettare che la Nasa lo renda vivibile.

Sembrerà provocatorio (ma è vero): per trovare un mondo – nel senso più geofisico del termine – a misura di donna bisogna andare a 41 milioni di chilometri da noi. Così lontano? Eh già! Bisogna arrivare fino al pianeta Venere. Per chi infatti non vuole attendere che la nostra civiltà ricucia le maglie sdrucite del gender gap, diminuendo le discriminazioni ai danni dell’universo femminile, può invece sempre aspettare che il pianeta Venere – definito dagli studiosi “il pianeta gemello della terra” – divenga abitabile… basta solo risolvere il problema dell’aria incredibilmente gassosa e densa, le frequenti scariche elettriche di notevole potenza, i venti violenti, la pressione atmosferica di 90 atmosfere e il trascurabile dato del clima: si stima che la temperatura al suolo sia di circa 437-467°C (e chi lo sa se la Nasa, o chi per essa, ci stia lavorando dato il problema di sovrappopolamento che la Terra sta affrontando nell’ultimo decennio).

Infatti, per una convenzione stabilita dall’Unione Astronomica Internazionale (fondata nel 1919), chiamata “Nomenclatura di Venere”, tutte le strutture sulla superficie del pianeta hanno nomi femminili, in memoria della parte muliebre del mondo, tra passato e presente, tra mito e realtà. Da questo – e da altri motivi tra cui il nome – deriva l’adagio secondo cui le donne verrebbero da Venere. Dunque basta tergiversare, e partiamo con la fantasticheria: in questi giorni di immobilità, nessuno ci vieta, seduti sulla poltrona più comoda del salotto, di fare una bella passeggiata immaginaria – questa non la preclude nessun Dpcm – per le strade, i viottoli, i percorsi astrali di Venere. Il consiglio è di farla a piedi, per non perdersi nulla.

Ecco qui, allora, un’agile guida di cosa s’incontra sul pianeta, la cui visita corrisponde a una specie di enciclopedia tribale al femminile.

Mentre camminiamo, potrà capitare di rischiare di cadere in un avvallamento particolarmente scosceso, una specie di canyon. Quello è un Chasma, ognuno dei quali si chiama con il nome di divinità lunari, della caccia o dei boschi nelle diverse culture. Così, sui cartelli che ne attestano la presenza, si possono leggere i nomi di Selene, Artemide, Pandia; e Giunone, Febe, Ecate. Risaliti da un chasma, possiamo inerpicarci su di un leggero rilievo o una collina di piccole dimensioni. Cercando indicazioni nella segnaletica, se leggiamo nomi di divinità marine o della pesca – come per esempio Molpe, Mena, Akkruva, Olosa, Urutonga –, allora siamo su un Colles. Dall’altezza di questo promontorietto, si possono notare delle buche a forma di uovo (quasi fossero delle impronte di esplosioni): queste sono le Coronae, intitolate alle dee della fertilità.

Tuttavia, l’aspetto per cui è più famosa la superficie di Venere sono i crateri. Per quelli con diametro inferiore a 20 km, si utilizzano i nomi propri provenienti da tutte le lingue del mondo (dunque Abigail, ma anche Alima, Cynthia, Dyasya, Eini, Maria, Nomeda, Oivit, Pamela e giù fino a Zurka, che è d’origine gitana). I crateri più grandi recano il nome di donne celebri nella Storia. E qui inizia un viaggio nel viaggio: soprattutto, alla scoperta.

Tra i primi, incrociamo con la A il cratere intitolato alla poetessa russa Anna Achmatova, lei che cantava “Il miele selvatico/sa di libertà”. Accanto, proprio subito dopo, le scrittrici Louisa May Alcott e Jane Asuten. Mentre l’autrice di Orgoglio e pregiudizio non ha mai fatto riferimenti astronomici nei suoi romanzi, Jo di Piccole donne – una volta, mentre è su in soffitta con le sue sorelle – parla di galassie, cieli e altri mondi. Non appena incrociamo un cratere che vagamente ricorda la gonna arricciata di un abito da charleston, è quello di Joséphine Baker, la danzatrice americana naturalizzata francese, nota anche per essere stata una spia durante la seconda Guerra mondiale a favore della Francia Libera. Rimanendo sul palcoscenico, non lontano da lì, possiamo scorgere la cavità dedicata alla divina Maria Callas. Se si accosta l’orecchio a terra, si possono ascoltare i melismi di “A noi volgi/a noi volgi/ il bel sembiante” direttamente dall’aria Casta Diva. E se parliamo di Francia come non citare, a 1° di longitudine, 96,1 ° di latitudine il craterone (ben 52 km) dedicato a Simone de Beauvoir, accanto a quello più piccolo di Madame de Staёl, scrittrice e detentrice – nel ’700 – di uno dei salotti politici più importanti d’Europa.

A due passi da lì, troviamo una formazione rocciosa dall’aspetto ondulato. È un Fluctus: sono intitolati a divinità secondarie e alcuni possono arrivare a una lunghezza di 1000 chilometri. Attorno al cratere dedicato a Sophia Jex-Blake, una delle prime mediche (parola medievale ormai in disuso ma esistente) del Regno Unito, creatrice di due scuole di medicina per donne a Londra e Edinburgo a fine ’800, possiamo invece scorgere quelli che si chiamano Labyrinthi, vaste pianure attraversate da canyon orientati a diverse angolazioni e che si intersecano a vicenda.

Ma la superficie di Venere è anche nota per le variazioni cromatiche, che la rende – in esogeologia – divisibile in Regiones. Consacrate alle gigantesse e alle titanidi della mitologia come Dione (figlia di Urano, amante di Zeus e madre di Afrodite) o Eistla (eroina dalla forza sovrumana della tradizione norrena), si caratterizzano per il diverso colore o per la maggiore o minore riflettività della luce.

Bisogna, però, fare sempre attenzione tra un cratere e l’altro – dunque tra un Selma Lagerlöf (prima scrittrice a vincere il Nobel), un Caterina Scarpellini (prima astronoma italiana a osservare una cometa), un Mary Wallstonecraft (prima filosofa femminista) e un Maria Montessori (la pedagogista più importante della Storia) – alle scarpate in cui inciampare e ruzzolare: si chiamano Rupes e portano il nome delle divinità del focolare. E dopo aver attraversato un cratere a forma di grande psiche (specchiera oscillante di forma volare molto in voga tra i secoli XVIII e XIX) intitolato alla pittrice impressionista Berthe Morisot perché somiglia al suo celebre dipinto Dévant la Psyche, passando per l’irosa moglie di Socrate Santippe, si giunge alla fine della passeggiata con la Z di Lidiya Zvereva, la prima donna russa a diventare aviatrice e a solcare (guarda un po’) i cieli.

La passeggiata è finita. Possiamo ridestarci sulla nostra poltrona e svegliarci dall’incantesimo. Marina Cvetaeva – anche a lei è dedicato un cratere – scriveva a Boris Pasternak: “Credo soltanto agli incantesimi”. Tuttavia, la magia più affatturante e seduttiva è quello della memoria. E certo fa riflettere – dopo aver esperito il piacere – che per ricordare, eternare e magnificare le donne serva arrivare fino al pianeta Venere, con il telescopio, la sonda spaziale o l’immaginazione, come se qui, da noi sulla Terra, non ci fosse… lo spazio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/30/crateri-pianure-colli-e-scarpate-venere-lunico-pianeta-a-misura-di-donna/6047984/

venerdì 16 ottobre 2020

Climate change, il 10% più ricco del pianeta responsabile di metà delle emissioni globali. - Elena Comelli



La diseguaglianza accelera sempre più: nell’ultimo quarto di secolo l’1% più ricco ha prodotto 15% delle emissioni, il doppio della metà più povera.

L'emergenza climatica è un problema planetario, ma le origini e le ricadute non lo sono. La causa principale delle emissioni di gas a effetto serra, infatti, è lo stile di vita dei ricchi del mondo, mentre gli effetti pesano prevalentemente sui poveri, cioè sulle popolazioni che abitano nelle zone più calde del pianeta.

Anche la crisi del clima, quindi, è un problema di diseguaglianze, come risulta in maniera sempre più estrema dai rapporti Oxfam sulla “Carbon Inequality”, l'ultimo dei quali analizza la quantità di emissioni per fasce di reddito nel periodo 1990-2015, grazie alla collaborazione con lo Stockholm Environment Institute.

In questi 25 anni, spiega il rapporto, è stata immessa in atmosfera tanta CO2 quanta quella emessa dalle attività umane in tutta la storia precedente. Da chi? Soprattutto dai più agiati del pianeta. Il 10% più ricco della popolazione mondiale (630 milioni di persone) ne ha emessa la metà (52%) e tutti gli altri insieme (7 miliardi) l'altra metà (48%).

Processo in accelerazione.

Un dato che negli anni è peggiorato: tra il 1990 e il 2015 le emissioni annuali sono aumentate del 60%, ma il 5% della popolazione più ricca ha determinato oltre un terzo (37%) di questo aumento.

Non basta. Se si va a disaggregare ancora di più i dati raccolti dall'istituto di Stoccolma, si scopre che in questi 25 anni l'1% più ricco (63 milioni di persone) è responsabile del 15% delle emissioni totali: più di tutti i cittadini dell'Ue e il doppio della quantità (7%) prodotta dalla metà più povera del pianeta, 3,5 miliardi di persone.

Con le emissioni più che raddoppiate in 25 anni, è diventato sempre più difficile contenere l'aumento delle temperature entro 1,5 gradi centigradi rispetto al periodo pre-industriale, la soglia definita più sicura dall'Ipcc e fissata come limite preferibile dall'Accordo di Parigi sul clima.

Carbon budget esaurito.

Oltre alle emissioni cumulative di gas serra nel quarto di secolo preso in esame, il rapporto analizza anche un secondo parametro: il nostro carbon budget complessivo. Dall'analisi risulta che in questi 25 anni il 10% più ricco della popolazione ha consumato un terzo del nostro budget complessivo di carbonio, mentre la metà più povera della popolazione solo il 4%.

In altre parole, l'ammontare massimo di anidride carbonica che può essere rilasciata in atmosfera senza far aumentare la temperatura globale sopra 1,5 gradi centigradi è stato già consumato, per più del 30%, dal 10% della popolazione più ricca del pianeta.

«I consumi eccessivi di una ricca minoranza stanno alimentando la crisi climatica, ma sono le comunità più povere e le giovani generazioni a pagarne il prezzo. Questa estrema diseguaglianza è una conseguenza diretta delle strategie dei nostri governi, che puntano su una crescita economica ad alta intensità di carbonio e fondata sulle disparità», spiega Tim Gore, capo di Oxfam per il clima e del team di autori del rapporto.

Gore ha espresso forte preoccupazione per l'andamento dei prossimi mesi: è probabile che le emissioni di CO2 riprendano rapidamente a crescere man mano che i governi allenteranno i blocchi relativi alla crisi pandemica. «Se le emissioni non continueranno a diminuire di anno in anno, così come le relative diseguaglianze, il budget di carbonio rimanente per restare sotto 1,5 gradi sarà completamente esaurito entro il 2030», commenta Gore.

Un modello economico insostenibile.

«I dati raccolti dal 1990 alla metà degli anni Dieci ci raccontano di un modello economico non sostenibile, né dal punto di vista ambientale né dal punto di vista economico e sociale, che alimenta la diseguaglianza soffocando il pianeta da tutti i punti di vista - sostiene Elisa Bacciotti, responsabile campagne di Oxfam Italia -. Ripartire dal vecchio modello economico pre-Covid, iniquo e inquinante, non può essere un'opzione. I governi dovrebbero cogliere l'opportunità di ridisegnare le nostre economie per costruire un futuro migliore, mettendo un freno alle emissioni dei più abbienti e investendo in settori a basso consumo di CO2».

Per raggiungere questo obiettivo, realisticamente a cambiare dovrebbero essere le abitudini della fascia più ricca del pianeta. Uno studio recente ha rilevato ad esempio che il 10% più ricco delle famiglie utilizza quasi la metà (45%) di tutti i consumi di energia relativi ai trasporti terrestri e tre quarti di tutta l'energia relativa all'aviazione.

Oggi le diseguaglianze nelle emissioni di CO2 sono talmente profonde che, anche se il resto del mondo azzerasse le proprie emissioni di colpo, il 10% più ricco del pianeta esaurirebbe il budget globale di carbonio entro il 2033.

Il rapporto stima infatti che il 10% più ricco dovrebbe ridurre di dieci volte le proprie emissioni pro-capite di CO2 entro il 2030, per mantenere il mondo sulla traiettoria indicata dall'Accordo di Parigi. In questo modo si riuscirebbe a tagliare le emissioni annuali globali di un terzo.

https://www.ilsole24ore.com/art/climate-change-10percento-piu-ricco-pianeta-responsabile-meta-emissioni-globali-ADVygZv

domenica 16 agosto 2020

Acqua liquida sotto la superficie del pianeta nano Cerere.

Il cratere Occator su Cerere (fonte: NASA/JPL-CalTech/UCLA/MPS/DLR/IDA) ©
Il cratere Occator su Cerere (fonte: NASA/JPL-CalTech/UCLA/MPS/DLR/IDA)

Lo indicano i dati della sonda Dawn, Italia in prima fila.

Un vasto serbatoio di acqua salata allo stato liquido si nasconde sotto la superficie del più grande e celebre abitante della fascia di asteroidi, il pianeta nano Cerere. Lo indicano i dati della sonda Dawn della Nasa, raccolti nella seconda fase della missione (tra giugno e ottobre 2018) a soli 35 chilometri di distanza dalla superficie del cratere Occator. I risultati delle analisi sono pubblicati sulle riviste Nature Astronomy, Nature Geoscience e Nature Communications in una serie di sette articoli, di cui uno guidato dall'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e dall'Agenzia Spaziale Italiana (Asi).
Lo studio ha sfruttato lo spettrometro italiano Vir (promosso e finanziato dall'Asi e realizzato da Leonardo sotto la guida scientifica dell'Inaf) per studiare i minerali che compongono le macchie brillanti sulla superficie del cratere Occator, considerate prove tangibili di un antico oceano globale sotto la superficie di Cerere. Sulla sommità di Cerealia Facula (una recente e brillante struttura geologica al centro del cratere) è stata rilevata una miscela di diversi minerali che si formano in presenza di acqua liquida: in particolare il cloruro di sodio idrato, il comune sale con intorno numerose molecole di acqua. "Il cloruro di sodio idrato non è stabile alle condizioni della superficie di Cerere e perde rapidamente la parte idrata”, spiega la prima autrice dello studio, Maria Cristina De Sanctis dell'Inaf. "Il fatto di osservare oggi il sale idrato implica che il fluido contenente il sale è arrivato in superficie molto di recente o sta attualmente risalendo esponendosi sulla superficie".
De Sanctis e il collega Federico Tosi dell'Inaf di Roma hanno contribuito anche a un secondo studio che ha mappato il cratere scoprendo un mantello fatto di un materiale simile al fango ma ricco di 'sale', diffuso in depressioni e tumuli luminosi che indicano un processo di degassamento di sostanze volatili sul pianeta nano.

giovedì 4 giugno 2020

Un pianeta abitabile a soli quattro anni luce di distanza? - Robert Krcmar

ESO/ M. Kornmesser-Rappresentazione della superficie del pianeta Proxima b in orbita attorno alla nana rossa Proxima Centauri, la stella più vicina al Sistema Solare.

GINEVRA - La stella più vicina al sistema solare, Proxima Centauri, è accompagnata da un pianeta simile alla Terra. Sul quale si potrebbe trovare dell'acqua in forma liquida, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics e ripreso in un comunicato rilasciato ieri dall'Università di Ginevra (UNIGE).
La scoperta è stata resa possibile grazie a delle misurazioni della velocità radiale di precisione senza precedenti, effettuate con ESPRESSO (Echelle SPectrograph for Rocky Exoplanet and Stable Spectroscopic Observations), il più accurato spettrografo svizzero attualmente in funzione, installato sul "Very Large Telescope" in Cile.
Proxima b, che è situato nella fascia abitabile della propria stella, è stato rilevato per la prima volta quattro anni fa utilizzando un vecchio spettrografo, HARPS, anch'esso sviluppato dal team di Ginevra.
Misure migliori - «Eravamo già molto soddisfatti delle prestazioni dello spettrografo HARPS, che negli ultimi 17 anni è stato responsabile della scoperta di centinaia di esopianeti», ha detto Francesco Pepe, Professore del Dipartimento di Astronomia dell'UNIGE e responsabile di ESPRESSO.
«Siamo però molto lieti che ESPRESSO possa produrre delle misure ancora più precise. È una ricompensa gratificante per il lavoro di squadra che dura da quasi dieci anni», ha aggiunto il ricercatore, citato nel comunicato stampa. «Confermare Proxima b è stato un compito importante», ha dichiarato invece Alejandro Suarez Mascareño, autore principale della pubblicazione: «È uno dei pianeti più interessanti conosciuti nelle vicinanze del sole».
E per quanto riguarda la vita? - «ESPRESSO ha permesso di misurare la massa di questo pianeta con precisione», ha detto Michel Mayor, Premio Nobel per la Fisica 2019 e mente dietro a tutti gli strumenti di tipo ESPRESSO.
Sebbene sia circa 20 volte più vicina alla sua stella di quanto la Terra sia vicina al Sole, Proxima b riceve un'energia comparabile a quella che riceve la Terra, in modo che la temperatura alla sua superficie possa permettere all'acqua, se c'è, di essere in forma liquida in alcuni punti e quindi di ospitare forme di vita.
Detto questo, la stella Proxima Centauri è una stella rossa, attiva, che bombarda il suo pianeta con i raggi X: Proxima b riceve infatti circa 400 volte più raggi X della Terra. «Ma c'è un'atmosfera che protegge il pianeta da questi raggi? E se una tale atmosfera esiste, contiene gli elementi chimici favorevoli allo sviluppo della vita (ossigeno, per esempio)? E da quanto tempo esistono queste condizioni favorevoli?», sono ora le domande che circolano tra i ricercatori, tra cui anche Christophe Lovis, responsabile delle prestazioni scientifiche e dell'elaborazione dei dati.
«Affronteremo tutte queste questioni con l'aiuto di futuri strumenti che costruiremo appositamente per rilevare la luce emessa da Proxima b, e con lo spettrografo HIRES, che sarà installato sul futuro gigantesco telescopio ELT da 39 metri che l'European Southern Observatory (ESO) sta costruendo in Cile», ha aggiunto lo scienziato.
Una possibile sorpresa - Nel frattempo, la precisione delle misurazioni di ESPRESSO potrebbe portare a un'altra sorpresa.
Il team ha infatti trovato nei dati indicazioni di un secondo segnale, la cui causa non è stata definitivamente stabilita. «Se questo segnale fosse di origine planetaria, questo possibile altro pianeta, che accompagna Proxima b, avrebbe una massa inferiore a un terzo della massa della Terra e diventerebbe così il più piccolo pianeta mai scoperto con il metodo della velocità radiale», ha concluso Francesco Pepe.

https://www.tio.ch/dal-mondo/attualita/1440344/proxima-pianeta-espresso-anni-distanza?fbclid=IwAR0R_pvhTAQBJaeichjrgJlVxx4Q4bCNUP5CYytPevnRlLtAgxrSeU4iufQ

lunedì 18 maggio 2020

Perchè altrimenti siamo fottuti. - Roger Hallam

Extinction Rebellion. Settimana di ribellione internazionale ...

Il fondatore del movimento per salvare il pianeta “Extinction Rebellion”: il virus ci insegna che dipendiamo dalla natura tanto quanto la natura dipende da noi. Perciò va preservata.

Ho scritto questo libro sulla crisi climatica e l’inerente bisogno di una disobbedienza civile di massa prima che esplodesse la tragica pandemia del coronavirus. In occasione della sua pubblicazione in Italia, sento il dovere di anteporvi questa breve premessa, conscio di quanto ora più che mai sia impossibile affrontare un discorso sulla catastrofe del clima senza menzionare le terribili sofferenze che l’attuale emergenza sta infliggendo alla popolazione italiana e a milioni di altri cittadini in tutto il mondo. La diffusione del contagio ci ricorda che non siamo avulsi dall’ambiente naturale, bensì a esso interconnessi per molteplici aspetti quotidiani che spaziano dal bisogno di respirare a quello di assumere cibo. Dipendiamo dalla natura tanto quanto la natura dipende da noi. Il virus ci ha messo ancora una volta di fronte a un dato di fatto: siamo tutti mortali e inermi di fronte a determinate manifestazioni del cosmo. Siamo ormai tutti consapevoli di quanto il nostro pianeta si regga su un equilibrio ecologico estremamente fragile che, quando viene alterato, tende a ricercare un nuovo assetto condannando all’estinzione un gran numero di specie viventi. Ci basti osservare il ritmo con cui aumentano le epidemie man mano che proseguiamo nella distruzione indiscriminata della biodiversità. Ecco perché, se non ridurremo l’emissione di gas serra nell’atmosfera, condanneremo le prossime generazioni a livelli inimmaginabili di sofferenza. Dopo tre decenni di grida d’allarme inascoltate da parte della scienza, la nostra inerzia ci ha condotti sull’orlo del baratro. La crisi ecologica è a un punto di non ritorno, pari a quello che ha portato alla diffusione incontrollata del coronavirus. Non è una corrente politica o l’opinione di una minoranza ad affermarlo. È la scienza nuda e cruda. (…) È ORA DI APRIRE GLI OCCHI e guardare in faccia la realtà. Esistono fatti immutabili e incontrovertibili, tra cui le leggi della fisica: se la temperatura aumenta, i ghiacci si sciolgono; in condizioni di siccità i raccolti muoiono; gli incendi distruggono le foreste. Sono tutti fenomeni reali, e questo è solo un assaggio di ciò che ci aspetta. All’orizzonte si profila il collasso ecologico. L’estinzione o la sopravvivenza della specie umana dipenderà in larga parte dalla capacità delle nostre società di attuare, nei prossimi dieci anni, cambiamenti rivoluzionari. Qui l’ideologia non c’entra. Si tratta di pura matematica e fisica. Secondo le Nazioni unite, per contenere l’innalzamento delle temperature entro la soglia di sicurezza di 1,5°C, entro il 2030 dovremmo dimezzare le emissioni di anidride carbonica. La stima rischia di essere ottimistica, visto che, stando agli ultimi rilevamenti, il permafrost si sta sciogliendo con novant’anni di anticipo e i ghiacciai dell’Himalaya stanno scomparendo due volte più in fretta del previsto. Anche senza tener conto di ulteriori incrementi della temperatura provocati dalle emissioni antropiche, nel giro di dieci anni basteranno gli effetti di feedback e l’attuale ciclo di riscaldamento a determinare un aumento della temperatura di 2 °C. In breve, siamo fottuti. Resta solo da capire fino a che punto e quanto tempo ci rimane. DOBBIAMO RASSEGNARCI a questa fatalità? Secondo me no. In molti ormai, superando la debolezza umana di coprirsi gli occhi di fronte alle verità sgradevoli, sono arrivati ad accettare i fatti a cui la scienza ci mette di fronte già da un pezzo. Tuttavia non ne hanno ancora elaborato le implicazioni politiche e sociali. (…) Serve un’immediata inversione di rotta, che non potrà essere attuata senza una rivolta e una trasformazione radicale delle nostre società e della nostra politica. E non parlo di semplici avvicendamenti tra partiti ai vertici del potere. Quello che serve è uno stravolgimento della struttura stessa delle nostre società. Proprio come le specie viventi, le istituzioni non sono capaci di evolversi in maniera repentina. Affinché il cambiamento avvenga in tempo utile, bisogna rimpiazzarle con nuovi sistemi politici, sociali e culturali. (…) Si tratta di agire sul senso comune. Nel 1776, Thomas Paine scrisse un pamphlet intitolato proprio Common Sense per dire ai cittadini delle colonie americane ciò che in cuor loro sapevano già ma non osavano esprimere apertamente: bisognava dichiarare l’indipendenza dalla Corona britannica. Quel testo fu letto soltanto dal 10% della popolazione, eppure gli si riconosce il merito di aver infuso a molti americani il coraggio di fare quel salto verso l’ignoto. Lo scopo del mio libro è identico. La verità che comunica la conosciamo già: così non si può andare avanti. Ormai può salvarci solo una rivoluzione della società e degli Stati, un tuffo nell’ignoto come quello sollecitato da Paine. (...) Da un punto di vista prettamente sociale, è un dato di fatto che la cultura riformista, di sinistra come di destra, tipica dell’at - tuale società neoliberista non sia adatta allo scopo. Detto fuori dai denti, le Ong, i partiti e i movimenti politici che ci hanno portati al disastro degli ultimi trent’anni – dal 1990 le emissioni globali di CO2 sono aumentate del 60% – rappresentano l’intralcio più grosso al cambiamento. Si ostinano a proporre soluzioni graduali, spacciandole per efficaci. (...) Il nuovo paradigma impone di passare dalle parole all’azione, dalle proteste alla violazione in massa della legge attraverso la disobbedienza civile nonviolenta, dall’esclusivismo elitista alla mobilitazione democratica popolare. (…) Bisogna agire subito, in prima persona e senza aspettare l’intervento delle caste al potere. Già oggi esiste un movimento di transizione. È essenziale ampliarlo in maniera massiccia e integrarlo con la ribellione. È degli ultimi mesi del 2019 la notizia paradossale secondo cui nel mondo vengono investiti circa 1,9 trilioni di dollari nel gas e nel carbone, proprio mentre l’elettricità prodotta dai pannelli solari e dalle turbine eoliche è sul punto di diventare meno costosa dei combustibili fossili a livello globale, e in molti Paesi lo è già. Non c’è tempo da perdere. Bisogna agire. Sarà una bella avventura.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/05/17/perche-altrimenti-siam-fottuti/5804260/

martedì 21 aprile 2020

Scoperto a 800 anni luce dalla Terra un pianeta gigante roccioso che non dovrebbe esistere, eppure c'è. - Enzo Vitale

Una rappresentazione artistica del pianeta e la sua stella

Un cuore caldo e un corpo freddo, anzi roccioso, se poi aggiungiamo che ha una massa 40 volte più grande del nostro pianeta, allora c'è qualcosa che non torna. Almeno secondo  le nostre attuali conoscenze.
Il mostro ha un nome degno della sua particolarità: TOI-849b ed è distante quasi 800 anni luce dalla Terra.
Nel nostro Sistema Solare “corpi” di queste dimensioni sono lontani dalla stella intorno alla quale orbitano, hanno tutt'altro aspetto e sono gassosi. Vedi i "nostri" giganti Giove, Saturno, Urano e Nettuno.
E allora perchè questo singolare mostro che orbita intorno a una stella simile al nostro Sole, che ha una dimensione di poco inferiore a Nettuno, ha questo particolare e singolare aspetto? In un lontanissimo futuro diventeranno così anche i nostri quattro  giganti gassosi?

LE DOMANDE.
Potrebbe essere il nucleo rimasto di un gigantesco pianeta gassoso?  Per ora il mistero è fitto, ma a spiegare il perchè della sua esistenza ci ha provato un team di ricercatori guidato da David J.Armstrong dell'Università di Warwick in Gran Bretagna. Il team internazionale, composto da ben 120 scienziati, ha firmato lo studio che è stato pubblicato lo scorso 23 marzo.  
Secondo gli studiosi «Anche l''interno dei pianeti giganti del nostro Sistema solare rimane poco conosciuto. Le difficoltà di osservazione portano a grandi incertezze nelle proprietà. Ecco perché gli esopianeti che hanno vissuto strani percorsi evolutivi possono fornirci una nuova strada per comprendere i loro nuclei».
LE IPOTESI.
Per adesso le ipotesi che più di altre si fanno strada sono essenzialmente due: la prima è che la parte gassosa di  TOI-849b sia stata letteralmente strappata via dalla vicina stella intorno alla quale orbita, mentre la seconda riguarda uno scontro titanico tra due pianeti giganti. Il tremendo urto tra i due avrebbe appunto “tirato" via tutta la parte gassosa del pianeta lasciandolo nella sua nudità rocciosa. I ricercatori, però, azzardano anche l'ipotesi dell'evoluzione temporale del suo disco protoplanetario. Certo è che queste stranezze osservate in un oggetto così distante da noi potrebbero chiarire la composizione e la stessa evoluzione dei nuclei rocciosi dei quattro pianeti giganti gassosi del nostro Sistema Solare.
LA SCOPERTA.
TOI-849b è stato scoperto dal gruppo di astronomi coordinato da David J.Armstrong attraverso Tess (Transit Exoplanet Study Satellite), il telescopio spaziale della Nasa lanciato  nell’aprile 2018. Oltre agli esopianeti, in poco più di due mesi, Tess ha anche osservato eventi come supernove in galassie lontane che sono state in seguito osservate da telescopi a terra.
(Il telescopio spaziale Tess durante la sua realizzazione a terra)
IL COORDINATORE DEL TEAM.
«In effetti, fino ad ora -è stato il commento di Armstrong-, non abbiamo mai visto pianeti di quella densità di queste dimensioni. Un mondo roccioso così enorme dovrebbe aver costruito una spessa e densa atmosfera intorno ad esso, diventando un gigante gassoso simile a Giove. Ad ogni modo -conclude- l'unica cosa chiara è che questo pianeta non ha seguito i normali modelli di evoluzione planetaria. E' strano non solo in confronto ai pianeti del nostro Sistema Solare, ma anche agli altri 4.000 e più esopianeti che abbiamo scoperto».
Fino a quando gli scienziati non ne capiranno di più, sembra proprio che TOI-849b sia la mosca bianca dei pianeti.

giovedì 12 settembre 2019

Scoperta acqua su un pianeta simile alla Terra. - Enrica Battifoglia



Potenzialmente abitabile, dista 110 anni luce.

C'è acqua nell'atmosfera di un pianeta che si trova a 110 anni luce dalla Terra e che ruota intorno a una stella più piccola e fredda del Sole alla distanza ideale per avere una temperatura che permetta all'acqua di essere allo stato liquido e, forse, per poter ospitare la vita. La scoperta è una prima assoluta e ricca di promesse: potrebbe essere solo l'inizio della capacità di trovare molti altri mondi simili. Pubblicata sula rivista Nature Astronomy, la scoperta è del gruppo dell'University College di Londra di cui fanno parte Angelos Tsiaras, l'italiana Giovanna Tinetti e Ingo Waldmann.
Il pianeta si chiama K2-18 b ed era stato scoperto nel 2015 dal telescopio spaziale Kepler della Nasa. E' una delle centinaia delle cosiddette super-Terre, ossia pianeti con una massa compresa fra quelle della Terra e di Nettuno. La sua massa è infatti otto volte superiore a quella del nostro e al momento è l'unico pianeta esterno al Sistema Solare ad avere sia acqua, sia temperature che potrebbero sostenere la vita. La sua stella, K2-18, è una nana rossa molto attiva, tanto che il pianeta K2-18 b potrebbe essere esposto a molte radiazioni e avere perciò un ambiente più difficile rispetto a quello terrestre.
I ricercatori ne hanno ricostruito le caratteristiche dell'atmosfera grazie ai dati acquisiti nel 2016 e nel 2017 dal telescopio spaziale Hubble, gestito da Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Nasa. Quindi hanno sviluppato algoritmi con cui hanno analizzato la luce della stella filtrata dall'atmosfera e così hanno trovato la firma molecolare dell'acqua, accanto a quelle di idrogeno ed elio. Non si esclude che nell'atmosfera di K2-18 b possano esserci anche azoto e metano. Saranno necessarie ulteriori osservazioni per capire se ci sono nuvole e per calcolare la percentuale di acqua presente nell'atmosfera.
C'è ancora tanto lavoro da fare, ma il traguardo raggiunto è fuori discussione e "incredibilmente eccitante", ha detto Tsiaras. "K2-18 b non è un gemello della Terra - ha aggiunto - in quanto è significativamente più pesante e ha una composizione atmosferica diversa. Tuttavia ci aiuta a rispondere alla domanda fondamentale: la Terra è unica?". Senza dubbio si apre "una nuova era nella ricerca sugli esopianeti" e, come ha rilevato Tinetti, K2-18 b diventa "uno dei pianeti più interessanti per gli studi futuri.
Ad oggi sono stati rilevati oltre 4.000 pianeti extrasolari ma non sappiamo molto sulla loro composizione e natura. Osservando un ampio campione di pianeti, speriamo di scoprire come si formano e come evolvono i pianeti della nostra galassia". Anche Waldmann è convinto che "questa sia la prima scoperta di molti pianeti potenzialmente abitabili. Questo non solo perché le super-Terre come K2-18 b sono i pianeti più comuni nella nostra galassia, ma anche perché le nane rosse sono le stelle più numerose". Protagonisti della nuova caccia ai pianeti potenzialmente abitabili che si è appena aperta sanno i futuri telescopi spaziali, come il James Webb di Nasa, Esa e agenzia spaziale canadese Csa, e la missione Ariel dell'Esa, coordinata da Giovanna Tinetti.

sabato 6 aprile 2019

Scoperto il frammento di un pianeta 'sopravvissuto'.


Rappresentazione artistica del frammento del pianeta sopravvissuto alla morte della sua stella e della scia di gas che continua a lasciare dietro di sé (fonte: University of Warwick/Mark Garlick).


Fatto di ferro, è scampato alla morte della sua stella.


E' 'sopravvissuto' a una catastrofe e continua a vagare in una sorta di 'cimitero' cosmico lasciandosi alle spalle una scia di gas: è il frammento di un pianeta scampato alla morte della sua stella e ricchissimo di metalli pesanti. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science e finanziata dal Consiglio Europeo della Ricerca (Erc), si deve al gruppo internazionale coordinato dall'università britannica di Warwick, al quale ha partecipato l'Italia, con l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).
Il frammento del pianeta, osservato utilizzando il Gran Telescopio Canarias, si trova a 410 anni luce dalla Terra ed è sfuggito al cataclisma seguito alla morte della sua stella, una nana bianca chiamata SDSS J122859.93+104032.9. A rendere ancor più sorprendente la sua sopravvivenza è la sua orbita: così vicina alla sua stella da compiere una rivoluzione ogni due ore. La scoperta è stata possibile grazie a una tecnica di analisi spettroscopica che ha permesso di identificare la scia di gas lasciata dal pianeta e le variazioni nella luce emessa dal sistema. E' la prima volta che si scopre in questo modo un corpo solido in orbita attorno a una nana bianca.
"La stella doveva essere grande due volte la massa del Sole, ma ora è una nana bianca con una massa pari al 70% di quella solare", osserva il coordinatore della ricerca, Christopher Manser. Gli astronomi hanno calcolato che il diametro del frammento dovrebbe essere di almeno un chilometro. "Le nane bianche sono ciò che resta di stelle come il nostro Sole, una volta che hanno esaurito tutto il loro combustibile e disperso i loro strati esterni", spiega Melania Del Santo, dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell'Inaf (Iasf-Inaf) di Palermo.
"Quando le stelle  invecchiano, diventano giganti rosse e, crescendo, spazzano via buona parte del loro sistema planetario, lasciandosi alle spalle solo un nucleo denso: una nana bianca", prosegue la ricercatrice. Anche il Sole si espanderà fino a raggiungere l'orbita della Terra, inglobando Mercurio, Venere.
Quello che resta del pianeta sopravvissuto "orbita vicinissimo alla stella, molto al di là del limite oltre cui pensavamo che non ci fosse più alcunché. L'unica spiegazione è che debba trattarsi di un oggetto molto denso. Pensiamo sia composto in gran parte di ferro e nichel", aggiunge uno dei ricercatori, Boris Gaensicke. 

mercoledì 18 luglio 2018

Gli astronomi trovano un famoso doppelgänger di un pianeta extrasolare.


Immagine Wircam diretta del sistema 2MASS 0249 con fotocamera a infrarossi CFHT WIRCam. 2MASS 0249c si trova in 2000 unità astronomiche dalle nane brune ospiti che non sono risolte in questa immagine. Crediti: T. Dupuy, M. Liu

Quando si tratta di pianeti extrasolari, le apparenze possono ingannare. Gli astronomi hanno immaginato un nuovo pianeta e sembra quasi identico a uno dei pianeti giganti gassosi meglio studiati. Ma questo doppelgänger differisce in un modo molto importante: la sua origine.


"Abbiamo trovato un pianeta gigante gassoso che è un gemello virtuale di un pianeta precedentemente conosciuto, ma sembra che i due oggetti si siano formati in modi diversi", ha detto Trent Dupuy, astronomo dell'Osservatorio Gemini e leader dello studio.

Emergendo da vivai stellari di gas e polvere, le stelle nascono come gattini in una cucciolata, in mazzi e inevitabilmente a vagare lontano dal loro luogo di nascita. Queste cucciolate comprendono stelle che variano molto, che vanno da piccoli ramponi incapaci di generare la propria energia (chiamate nane brune) a stelle massicce che terminano la loro vita con esplosioni di supernova. Nel mezzo di questo tumulto, i pianeti si formano attorno a queste nuove stelle. E una volta che il vivaio stellare esaurisce il suo gas, le stelle (con i loro pianeti) lasciano il loro luogo di nascita e vagano liberamente nella Galassia. A causa di questo esodo, gli astronomi ritengono che dovrebbero esserci pianeti nati contemporaneamente dallo stesso asilo stellare, ma stelle in orbita che si sono allontanate l'una dall'altra sopra gli eoni, come fratelli perduti da lungo tempo.

"Ad oggi, gli esopianeti trovati tramite l'imaging diretto sono stati fondamentalmente individui, ciascuno distinto dall'altro per aspetto ed età. Trovare due esopianeti con apparenze quasi identiche e tuttavia formarsi in modo così diverso apre una nuova finestra per comprendere questi oggetti ", ha detto Michael Liu, astronomo presso l'Università di Hawai'i Institute for Astronomy, e collaboratore di questo lavoro. 

Dupuy, Liu e i loro collaboratori hanno identificato il primo caso di un doppelgänger planetario. Un oggetto è noto da tempo: il pianeta 13-Giove-massa beta Pictoris b, uno dei primi pianeti scoperti dall'imaging diretto, nel 2009. Il nuovo oggetto, soprannominato 2MASS 0249 c, ha la stessa massa, luminosità e spettro come beta Pictoris b.
Dopo aver scoperto questo oggetto con il Canada-France-Hawaii Telescope (CFHT), Dupuy e collaboratori hanno quindi stabilito che 2MASS 0249 c e beta Pictoris b sono nati nello stesso vivaio stellare. In superficie, questo rende i due oggetti non solo somiglianti ma fratelli genuini. 

Tuttavia, i pianeti hanno situazioni di vita molto diverse, vale a dire i tipi di stelle che orbitano. L'host per beta Pictoris b è una stella 10 volte più luminosa del Sole, mentre 2MASS 0249 c orbita attorno a un paio di nane brune che sono 2000 volte più deboli del Sole. Inoltre, beta Pictoris b è relativamente vicino al suo ospite, circa 9 unità astronomiche (AU, la distanza dalla Terra al Sole), mentre 2MASS 0249 c è 2000 AU dal suo host binario.
Queste disposizioni drasticamente diverse suggeriscono che l'educazione dei pianeti non era affatto simile. L'immagine tradizionale della formazione dei giganti gassosi, dove i pianeti iniziano come piccoli nuclei rocciosi attorno alla loro stella ospite e crescono accumulando gas dal disco della stella, probabilmente creato beta Pictoris b. Al contrario, l'host di 2MASS 0249 c non aveva abbastanza disco per fare un gigante gassoso, quindi il pianeta probabilmente si formò accumulando direttamente gas dal vivaio stellare originale.

"2MASS 0249 c e beta Pictoris b ci mostrano che la natura ha più di un modo per creare pianeti extrasolari dall'aspetto molto simile", afferma Kaitlin Kratter, astronomo dell'Università dell'Arizona e collaboratore di questo lavoro. "beta Pictoris b probabilmente si forma come pensiamo la maggior parte dei giganti del gas, partendo da minuscoli granelli di polvere, mentre 2MASS 0249 c sembra una nana bruna sottopeso che si è formata dal collasso di una nube di gas. Sono entrambi considerati esopianeti, ma 2MASS 0249 c illustra che una classificazione così semplice può oscurare una realtà complicata. "
Gli spettri infrarossi di 2MASS 0249c e beta Pictoris b sono simili, come previsto per due oggetti di massa comparabile che si sono formati nello stesso vivaio stellare. A differenza di 2MASS 0249c, beta Pictoris b orbita molto più vicino alla sua imponente stella ospite ed è inserito in un luminoso disco circumstellare. Crediti: T. Dupuy, ESO / A.-M. Lagrange et al.
Il team ha identificato per la prima volta 2MASS 0249 c usando immagini da CFHT e le loro osservazioni ripetute hanno rivelato che questo oggetto è in orbita ad una grande distanza dal suo ospite. Il sistema appartiene al gruppo mobile beta Pictoris, una serie di stelle ampiamente disperse nominate per la sua famosa stella che ospita il pianeta. Le osservazioni del team con il telescopio WM Keck hanno determinato che l'host è in realtà un paio di nane brune strettamente separate. Quindi, nel complesso, il sistema 2MASS 0249 comprende due nane brune e un pianeta gigante gassoso. La spettroscopia di follow-up di 2MASS 0249 c con il NASA Infrared Telescope Facility e il telescopio da 3,5 metri del Consorzio di ricerca astrofisica presso l'Apache Point Telescope hanno dimostrato che condivide una notevole somiglianza con la beta Pictoris b.

Il sistema 2MASS 0249 è un obiettivo attraente per studi futuri. I pianeti più direttamente imaged sono molto vicini alle loro stelle ospite, inibendo studi dettagliati dei pianeti dovuti alla luce intensa delle stelle. Al contrario, l'ampia separazione di 2MASS 0249 c dal suo host binario renderà le misurazioni di proprietà come la sua superficie meteorologica e la sua composizione molto più facile, portando ad una migliore comprensione delle caratteristiche e delle origini dei pianeti giganti gassosi. 

Questo lavoro è accettato per la pubblicazione nel giornale astronomico.

Questo lavoro è stato supportato dalla National Science Foundation sotto Grant No. AST-1518339. Eventuali opinioni, conclusioni, conclusioni o raccomandazioni espresse in questo materiale sono quelle degli autori e non riflettono necessariamente le opinioni della National Science Foundation.

(Tradotto da Google)