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domenica 31 ottobre 2021

Ddl Zan contro omofobia affossato al Senato con 154 voti contro 131. Sì alla tagliola, stop all’esame. - Nicoletta Cottone

 

Erano tre gli articoli contestati, su identità di genere, pluralismo delle idee e giornata contro l’omofobia da celebrare anche nelle scuole

Salta l’esame di articoli ed emendamenti del ddl Zan e l’iter si blocca. L’aula del Senato ha votato a favore della cosiddetta “tagliola”, chiesta da Lega e FdI. A favore, 154 senatori, 131 i contrari e due astenuti. La votazione a scrutinio segreto, è stata accolta da un applauso. Il disegno di legge contro l’omotransfobia era stato approvato dalla Camera il 4 novembre 2020. La seduta dell’Assemblea è stata sospesa ed è stata convocata la Conferenza dei capigruppo.

Chi ha affossato il ddl.

Immediate le accuse incrociate su chi ha affossato il ddl. Per Goffredo Bettini, membro della Direzione del Pd, il ddl è stato affossato «dalle giravolte di sovranisti e riformisti». C’è chi come il pentastellato Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia della Camera, attacca Italia viva, che «corresponsabile di questo esito rovinoso, addossa ad altri le responsabilità». Maria Elena Boschi di Italia viva punta l’obiettivo «sull’arroganza del Pd e del M5s che ha prodotto una sconfitta incredibile», assistita da Teresa Bellanova che accusa della disfatta 23 franchi tiratori fra Pd, M5S e Leu. C’è chi esulta come ill leghista Roberto Calderoli, vice presidente del Senato: «Evviva, vittoria! Grazie alla mia richiesta di non passaggio all’esame degli articoli e di voto segreto si è posto fine, definitivamente, al ddl Zan, affossato con ben 23 voti di scarto! Quando i professionisti scendono in campo è meglio che i dilettanti che restino in panchina». Fedez, il rapper che aveva difeso il 1° maggio il ddl Zan, su Twitter attacca Renzi: «Ma il Renzi che si proclamava paladino dei diritti civili è lo stesso che oggi pare sia volato in Arabia Saudita mentre si affossava il Ddl Zan? Per celebrare la libertà di parola organizziamo una partitella a scarabeo con Kim Jong-un? Gran tempismo. Comunque bravi tutti».

La conta in aula.

La conta in aula al Senato sul ddl Zan era arrivata nonostante le riunioni che si erano susseguite a palazzo Madama. Non era stata trovata la quadra sulle modifiche chieste da Lega e Fratelli d’Italia, caldeggiate anche da Italia viva. Tre gli articoli contestati: su identità di genere, pluralismo delle idee e giornata contro l’omofobia da celebrare anche nelle scuole. Inascoltato l’appello del segretario del Pd Enrico Letta alla Lega di dimostrare la buona fede ritirando la “tagliola” (i due voti sul non passaggio all’esame degli articoli chiesti da Lega e Fdi).

Casellati: «Ammissibile il voto segreto chiesto da Lega-FdI».

«Il presidente ritiene ammissibili queste due richieste di votazione segreta in base al regolamento e in base ai precedenti», aveva detto la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, nell’Aula di Palazzo Madama dove era in corso l’esame del ddl Zan. «La mia decisione, per quanto legittimo contestare, perché si tratta di interpretazione, ha delle solide fondamenta di carattere giuridico», aveva poi precisato la presidente del Senato sulla decisione di accogliere la richiesta di voto a scrutinio segreto sulla cosiddetta tagliola che prevede il non passaggio agli articoli al ddl Zan. Alessandro Zan ai microfoni di ’Radio anch’io’ su Radiouno Rai aveva auspicato che Casellati non ammettesse il voto segreto sui due voti sul non passaggio all’esame degli articoli chiesti da Lega e Fdi. Salvini: «Sconfitta l’arroganza Pd-M5s, ripartire da proposta Lega» 

«Sconfitta l’arroganza di Letta e dei 5Stelle: hanno detto di no a tutte le proposte di mediazione, comprese quelle formulate dal Santo Padre, dalle associazioni e da molte famiglie, e hanno affossato il Ddl Zan. Ora ripartiamo dalla proposta della Lega: combattere le discriminazioni lasciando fuori i bambini, la libertà di educazione, la teoria gender e i reati di opinione», ha commentato il leader della Lega Matteo Salvini. 

Meloni: «Stop al pessimo ddl Zan, è vittoria Fdi»

«Cala il sipario sul ddl Zan, una pessima proposta di legge che Fratelli d’Italia ha contrastato con coerenza e nel merito fin dall’inizio. Non abbiamo mai cambiato idea e lo abbiamo dimostrato oggi in Senato: siamo stati l’unico gruppo interamente presente e unito nel voto», ha scritto su Fb Giorgia Meloni. «Patetiche le accuse di Letta, Conte e della sinistra: i primi - avverte Meloni - ad aver affossato la legge sono i suoi stessi firmatari, Zan in testa, che in questa proposta hanno scritto e difeso fino alla fine norme e principi surreali (dal self-id al gender nelle scuole) che nulla avevano a che fare con la lotta alle discriminazioni».

Conte: «Qualcuno non ci ha messo la faccia, questo la dice lunga»

«Purtroppo c’è anche qualcuno che non ci ha messo la faccia, questo evidentemente la dice lunga sulla sensibilità per i diritti civili», ha detto il leader M5S Giuseppe Conte, commentando con i giornalisti il voto del Senato sul ddl Zan.

Rossomando: «Fin dall’inizio obiettivo era affossare ddl Zan»

«Il Pd si è battuto compatto per mesi affinché il Senato potesse discutere e poi approvare il ddl Zan, liberando il testo dalle secche in cui veniva bloccato in commissione Giustizia. Con gli emendamenti già depositati per l’aula e all’apertura del dialogo, invece di iniziare la discussione nel merito del testo, si è concretizzata l’alleanza di chi fin dall’inizio ha avuto come unico obiettivo affossare la legge», ha detto la vicepresidente del Senato e responsabile Giustizia e diritti del Pd, Anna Rossomando.

Alfieri (Pd): «C’è chi si è nascosto dietro voto segreto»

«Grande rammarico per l’affossamento del Ddl Zan. Ci abbiamo creduto e ci siamo impegnati fino all’ultimo secondo. Era davvero l’occasione per fare un passo in avanti su temi che dovrebbero unire come rispetto, inclusione e libertà. Finisce con un voto segreto dietro il quale si sono nascosti coloro che a parole erano con noi e nei fatti hanno invece lavorato per fermare il ddl», ha scritto in un post su Facebook il senatore del Pd Alessandro Alfieri, portavoce di Base riformista.

De Petris (Leu): «La destra non voleva alcun dialogo»

«Il voto di oggi affossa una legge che mirava ad ampliare i diritti senza toglierne a nessuno. Una legge contro la discriminazione, l’intolleranza e l’odio che sin dall’inizio la destra ha voluto solo abbattere nascondendosi dietro una bugiarda disponibilità al dialogo che si è dimostrata oggi inesistente. Ma i numeri dicono chiaramente che questo risultato negativo è stato reso possibile solo dalle defezioni di alcuni che a parole hanno detto di voler discutere la legge in aula, come sarebbe stato non solo giusto ma anche doveroso fare, e nel voto hanno invece fatto la scelta opposta», ha dichiarato la capogruppo di Leu al Senato Loredana De Petris.

Carfagna: «Un braccio di ferro sui diritti non premia nessuno»

«Potevamo avere una buona legge contro la discriminazione di gay e trans, non l’abbiamo per la rigidità ideologica di due minoranze: chi voleva una legge-manifesto e chi non voleva nessuna legge. Il braccio di ferro sui diritti non premia nessuno», ha scritto su Twitter Mara Carfagna, ministro per il Sud e la Coesione territoriale.

Proteste in aula, il pentastellato Santangelo ammonito.

Casellati ha dovuto richiamare più volte il senatore del M5S, Vincenzo Santangelo, reo di aver fatto alcuni gesti all’indirizzo della presidente. «Senatore Santangelo lei è un gran maleducato. Non si fanno gesti alla presidenza, lei è ammonito. È censurato, e tra un po’ la allontano dall’Aula», ha detto Casellati. «Non mi costringa a farlo, a impedirle di votare, la smetta con il suo comportamento irrispettoso. Non ammetto che si facciano gesti di questo tipo, lo può fare da altre parti, non qua dentro».

Lo scontro sul ddl.

Sul testo lo scontro è andato avanti per mesi. Per il Pd andava approvato a ogni costo, per la Lega, Fratelli d’Italia e per Italia viva bisognava mettere mano almeno a tre articoli per portarlo avanti. Superata l’estate e le elezioni amministrative nelle grandi città era continuato il tira e molla sul Ddl Zan. Un testo al centro di rimpalli, resistenze, pressing e inviti a fare presto, che ha visto la maggioranza di governo spaccata fra chi parlava di mediazione e chi di decapitazione. Approvato il 4 novembre 2020 dalla Camera, il ddl Zan aveva avuto subito un atterraggio difficile al Senato, dove è rimasto in stallo per mesi ed è poi stato riesumato dai cassetti della commissione Giustizia di palazzo Madama e calendarizzato il 28 aprile 2021 - con 13 sì e 11 no - dopo cinque mesi di discussioni, rinvii e frenate. Che sono continuati anche nei mesi successivi.

Ostellari: «Uscire dal dualismo buoni-cattivi»

«Dobbiamo uscire dal dualismo buoni-cattivi. Io da presidente della commissione ho assistito al verificarsi di una maggioranza ampia che era assolutamente disponibile a trovare una sintesi sull’articolo 1, 4 e 7. Quella maggioranza non è riuscita a trovare l’accordo a causa di chi vuole polarizzare, anziché tutelare le libertà di tutti e cercare le soluzioni per migliorare un testo che qualcuno invece non vuole assolutamente toccare», ha detto il presidente della Commissione Giustizia del Senato, Andrea Ostellari (Lega), parlando in aula nel corso del dibattito sul ddl Zan.

Vito a Berlusconi: «Mi dimetto dal ruolo in Forza Italia»

«La mia lettera di dimissioni al Presidente Berlusconi da responsabile del dipartimento Difesa e sicurezza di Forza Italia, dopo che è stato annunciato al Senato il nostro voto favorevole al non passaggio agli articoli del #DDLZan», ha scritto sui social il deputato di FI, Elio Vito, allegando anche la foto del testo inviato al Cavaliere. «La cronaca di questi mesi -aveva detto Vito - è purtroppo piena di episodi di violenza ai danni di persone Lgbt, picchiate perché camminavano mano nella mano, si baciavano, portavano una borsa arcobaleno. Per questo, se FI dovesse votare il non passaggio agli articoli del Ddl Zan, una legge che contrasta proprio odio, discriminazioni e violenze, a malincuore, ma per coerenza, non potrei più mantenere l’incarico affidatomi da Berlusconi».

Testo da modificare per il Vaticano.

In campo era sceso anche il Vaticano che a giugno aveva chiesto formalmente al governo di modificare il Ddl Zan che, secondo la Segreteria di Stato, violava «l'accordo di revisione del Concordato». La quadra su un nuovo testo però non era stata trovata e il ddl, sotterrato da una pioggia di emendamenti, era finito direttamente in aula. Dove il 27 ottobre è stato affossato dal voto a scrutinio segreto sui due voti chiesti da Lega e Fdi per non passare alla discussione sugli articoli.

L’apertura di Letta.

Alla trasmissione “Che tempo che fa” era arrivata l’apertura del leader del Pd Enrico Letta. Sulla legge Zan, aveva detto, «abbiamo un dovere nei confronti della nostra società, dobbiamo portarla avanti e approvarla». Letta aveva chiesto ad Alessandro Zan «di fare un’esplorazione con le altre forze politiche per capire le condizioni che possano portare a un’approvazione del testo rapida». E aveva aperto a modifiche «purché non siano cose sostanziali, ma mi fido di Zan. Sulla base di quello che dirà, sono sicuro si potrà approvare il testo in tempi rapidi»

Fallito l’ultimo tentativo di mediazione.

Fallito il tentativo di accordo in extremis tra i partiti di maggioranza. «É complicata, ma sono fiducioso», aveva detto Zan, ricordando che «la legislatura non dura all’infinito» e che c’è la necessità di chiudere perché nei prossimi mesi il Parlamento sarà occupato con la Legge di bilancio e con l’elezione del Capo dello Stato. I voti sul non passaggio all’esame degli articoli chiesti da Lega e FdI per Zan sono «una tagliola. Se dovesse passare la legge morirebbe visto si impedisce di continuare l’iter. Noi ci batteremo perché non accada». Parallelamente al mandato esplorativo affidato a Zan, si è riunito senza esito il tavolo politico in cui i capigruppo di maggioranza disertato dal M5S e Leu che chiedevano al presidente della commissione Andrea Ostellari di ritirare di ritirare la tagliola.

Mirabelli: «No a stravolgimenti».

Per Franco Mirabelli, vice presidente dei senatori del Pd «modifiche non sostanziali sì, stravolgimenti no. Questa è al posizione del Pd che vuole approvare una legge di civiltà. Per questo mercoledì (il 27 ottobre, ndr) è importante concludere la discussione generale e votare contro la richiesta della destra di non passare alla discussione sugli articoli. L'iter deve proseguire per arrivare in fretta all'approvazione di una legge che c'è in tutti gli altri paesi europei. Chi voterà a favore del non passaggio agli articoli vuole affossare la legge, chi la ritiene importante e vuole approvarla, magari con modifiche, voterà contro la richiesta della destra».

Renzi: «Senza un compromesso non si sarebbero fatte neppure le unioni civili»

In aula i 18 i voti di Italia viva sono stati ago della bilancia. «Ci sono punti del ddl Zan - aveva detto Matteo Renzi - in cui non c’è consenso, non solo da parte dei cattolici, ma anche di parte della Cgil e delle femministe. Se si modifica il testo in 15 minuti si porta a casa il risultato, ci si mette d’accordo sui tempi alla Camera». Per chiudere, aveva detto ancora Renzi, «bisogna accettare un principio di civiltà: sui diritti non si fa campagna elettorale. Si devono trovare gli accordi per fare le leggi, non i proclami per sventolare le bandierine». Ricordando che «senza un compromesso non si sarebbero fatte neppure le unioni civili».

Salvini: ddl Zan non ha alcuna speranza di passare.

«Ius soli e ddl Zan non hanno alcuna speranza di passare in Parlamento ed Enrico Letta lo sa benissimo», è stata la risposta a distanza del segretario della Lega Matteo Salvini. «Le priorita’ per gli italiani - ha aggiunto il leader del Carroccio - sono salute, lavoro e pensioni. Ius soli e ddl Zan sono tra le ultime preoccupazioni dei cittadini italiani e stranieri regolarmente presenti nel nostro Paese».

Ostellari: «Correggere gli articoli 1-4-7 e la Lega c’è»

«Al Senato la discussione in Aula sul Ddl Zan terminerà mercoledì, poi si apre tutta la vicenda sugli eventuali emendamenti. Prima di arrivare a quello però riprendiamo il lavoro già intrapreso, che era stato apprezzato e che era stato interrotto proprio perché qualcuno voleva forzare. Andiamo avanti quindi senza forzature. La Lega c’è con quelle modifiche secondo noi necessarie per migliorare questa legge», ha detto il presidente leghista della Commissione Giustizia del Senato e relatore Andrea Ostellari. I nodi principali riguardano gli articoli 1-4-7 del testo. «Bisogna metterci mano, sono nodi giuridici che erano stati segnalati anche dalle altre forze». Per Ostellari la rapida approvazione del testo dipende da quello che emerge dal tavolo con la capigruppo. Altrimenti, come già aveva annunciato a luglio, salterà tutto.

I punti contestati del ddl Zan.

Sono tre gli articoli contestati: 1, 4 e 7. Nell’articolo 1 viene definita l’identità di genere come «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso biologico», «indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione». Si punta a stralciare queste definizioni e riportare il ddl Zan alla definizione contenuta nel testo Scalfarotto, o aggiungendo le parole «o fondati sull’omofobia o sulla transfobia», oltre al tema della disabilità. Altro articolo contestato è il numero 4 sul pluralismo delle idee: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Si vede qui un rischio per la libertà di espressione, tutelata dalla Costituzione, che non può essere degradata a legge ordinaria. L’articolo 7, che istituisce la giornata nazionale contro l’omofobia da celebrare anche nelle scuole. Una giornata criticata dal Vaticano e avversata da Renzi, che vuole aggiungere la frase «nel rispetto della piena autonomia scolastica».

https://www.ilsole24ore.com/art/ddl-zan-27-ottobre-prova-voto-aula-AEoTuIs

venerdì 6 agosto 2021

Colpa per colpa, tutti i carnefici di Mps. - Nicola Borzi e Carlo Di Foggia

 

Nomi e ruoli. L’agonia della banca. Quante distrazioni Da Mussari e i suoi fino ai “vigilanti” Draghi, Tarantola, Vegas, a Orcel e all’ex ministro Padoan: ecco attori e comparse del disastro senese.

L’ultima tappa del disastro Mps – lo spezzatino e la cessione a UniCredit – costerà allo Stato almeno 8 miliardi. A dispetto della cifra, però, nessuno, né il ministro dell’Economia né le autorità bancarie, si prende la briga di spiegare come si è arrivati a questo punto. Ecco una breve e inesaustiva lista dei volenterosi carnefici del Monte.

Giuseppe Mussari. Avvocato cresciuto nei Ds, banchiere dilettante per sua stessa ammissione, nasce dalemiano ma si fa apprezzare dai potentati senesi che lo fanno presidente della fondazione che controlla l’istituto. Nel 2006 si fa nominare presidente della banca e l’anno dopo decide lo sciagurato acquisto di AntonVeneta: la paga tre volte il valore pagato all’olandese Abn Amro dal Santander di Emilio Botin, che gliela vende a scatola chiusa tramite il capo italiano, Ettore Gotti Tedeschi, seguace dell’Opus Dei come Botin. L’acquisto, chiuso a crisi finanziaria mondiale già scoppiata, scasserà la banca. Le famose operazioni in derivati (Alexandria e Santorini) serviranno solo tamponare le falle. Chi ha appoggiato Mussari? La lista di chi applaudì all’operazione è lunghissima. In cima ci sono Franco Bassanini e Giuliano Amato, per un decennio eletti a Siena e forti influencer delle sorti di Mps.

Annamaria Tarantola. Nel 2007, responsabile dell’area vigilanza della Banca d’Italia, è la burocrate addetta a interfacciarsi coi vertici del Monte per l’acquisto di AntonVeneta. Li incontra più volte, una anche con il governatore Draghi. “Ci raccomandammo con Mussari di fare l’acquisto per bene”, spiegò ai pm senesi. Nessuno dei vertici di Bankitalia impone una due diligence della banca. “Non ci fu segnalato che Mps aveva acquisito AntonVeneta senza due diligence. Per prassi, Banca d’Italia caldeggia sempre, in caso di acquisizioni, la due diligence preventiva”, spiegò ai magistrati l’allora dg di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, deceduto nel 2019. Monti promuove Tarantola nel 2012 alla presidenza della Rai. Oggi è consigliera economica a Palazzo Chigi.

Vincenzo De Bustis. Banchiere dalemiano, a fine ’99 convince Mps a strapagare per 1,3 miliardi Banca 121, che guida. Operazione che inizia a picconare i conti: lui passa armi e bagagli a Siena, insieme ad alcuni manager fidati. Plurimultato dalle autorità di vigilanza, il suo nome comparirà anche nel disastro della Popolare di Bari.

Mario Draghi. È il governatore di Bankitalia quando Mussari decide di strapagare AntonVeneta. Nel 2008 autorizzò l’acquisto perché “non in contrasto con la sana e prudente gestione della banca”. Eppure la Vigilanza sapeva che AntonVeneta era decotta perché l’aveva ispezionata a fine 2006. Dopo che Mussari e il dg Antonio Vigni lo incontrano in Via Nazionale, il secondo si appunta “Bankitalia sarà al vs fianco”. A gestire la pratica ci sono Tarantola e Saccomanni. Draghi è riuscito a non essere mai sentito da nessuno sulla vicenda: né dai pm, né nei procedimenti giudiziari, né dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche dove il presidente Pier Ferdinando Casini si guardò bene dal convocarlo per non attirare le ire del Quirinale. A novembre 2011 passa alla Bce. Gli ispettori inviati a Siena hanno scoperto il derivato Alexandria. Nello stesso mese, il suo successore Visco convoca Mussari e Vigni e gli dice di togliersi di mezzo. “La Banca d’Italia ha fatto con Montepaschi tutto quanto doveva, in modo appropriato e a tempo debito. Si tratta di un caso isolato e legato non tanto alla gestione quanto a condotte criminali”, spiegherà qualche mese dopo.

Giuseppe Vegas. È un monumento al vigilante distratto. Alla guida della Consob dal 2010, riesce, come la vigilanza di Bankitalia, a non vedere o a intervenire sempre in ritardo. Il trionfo è sulle operazioni in derivati usate dalla banca per mascherare le perdite. Basta leggere la sentenza che ha condannato a 6 anni per falso in bilancio i successori di Mussari e Vigni, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, chiamati a risolvere la grana senese. Nel settembre 2011, l’Authority di Borsa attiva gli ispettori di Bankitalia dopo un esposto anonimo (l’autore è un manager di Mps) sull’operazione Alexandria. Gli ispettori capiscono che si tratta di un derivato creditizio e affidano il sospetto a un rapporto che consegnano (giugno 2012) alla Consob, titolare del potere di vigilanza sui bilanci. Consob avvia un iter lungo e farraginoso per decidere se sono derivati o no e quindi come contabilizzarli (nel primo caso a “saldi chiusi” nel secondo a “saldi aperti”, con riflessi immediati sui bilanci). Insieme a Bankitalia, l’8 marzo 2013 redigono un documento per stabilire che vanno contabilizzati a “saldi aperti” e – incredibilmente – solo dopo chiede un parere agli organismi internazionali di settore. Pochi giorni dopo, il 21 marzo, redige una nota in cui i tecnici dell’Authority scrivono di ritenere Alexandria e Santorini due derivati a tutti gli effetti. Ma non accade nulla.

Risultato: solo nel 2015 Consob decide che Mps deve correggere i bilanci perché, trattandosi di derivati, andavano contabilizzati a “saldi chiusi” mentre l’omologa tedesca Bafin aveva imposto a Deutsche Bank di considerare Santorini come tale già nel 2013. Le multe per la vicenda a Mussari e compagnia arrivano solo nel 2018, sei anni dopo, e per questo gigantesco ritardo sono state quasi tutte annullate. La Corte d’appello di Catanzaro, per dire, ha annullato quella di Mussari “per decadenza della Consob dall’esercizio della potestà sanzionatoria, in ragione della riscontrata inerzia nel- l’accertamento degli illeciti” visto che l’Authority “già dal 2014 era al corrente almeno del nucleo essenziale delle condotte contestate”.

Pier Carlo Padoan. È il conflitto d’interessi incarnato. Nel 2016, da ministro dell’Economia lascia il Monte in crisi a bagnomaria per non disturbare la campagna referendaria di Renzi, di cui accetta tutti i diktat, compreso quello di cacciare l’ad di Mps Viola per far posto a un manager gradito a Jp Morgan, con cui Renzi si era speso in promesse. Nel 2017 nazionalizza Mps con 5,4 miliardi. Dopo averli bruciati, si candida a Siena col Pd, poi abbandona il seggio dopo la nomina a presidente di UniCredit, la banca che ora si prenderà la polpa di Mps dopo la pulizia a carico dello Stato.

Andrea Orcel. Oggi guida UniCredit e il cerchio si chiude. Dalla banca d’affari Merrill Lynch partecipa a tutte le tappe del disastro (non il solo della sua lunga carriera). È il consulente dello spezzatino di Abn Amro: prima rifila l’Antonveneta a Botin, poi convince Mussari a prendersela al triplo. Oggi, in UniCredit, può godersi il frutto di quelle scelte.

ILFQ

venerdì 16 ottobre 2020

Climate change, il 10% più ricco del pianeta responsabile di metà delle emissioni globali. - Elena Comelli



La diseguaglianza accelera sempre più: nell’ultimo quarto di secolo l’1% più ricco ha prodotto 15% delle emissioni, il doppio della metà più povera.

L'emergenza climatica è un problema planetario, ma le origini e le ricadute non lo sono. La causa principale delle emissioni di gas a effetto serra, infatti, è lo stile di vita dei ricchi del mondo, mentre gli effetti pesano prevalentemente sui poveri, cioè sulle popolazioni che abitano nelle zone più calde del pianeta.

Anche la crisi del clima, quindi, è un problema di diseguaglianze, come risulta in maniera sempre più estrema dai rapporti Oxfam sulla “Carbon Inequality”, l'ultimo dei quali analizza la quantità di emissioni per fasce di reddito nel periodo 1990-2015, grazie alla collaborazione con lo Stockholm Environment Institute.

In questi 25 anni, spiega il rapporto, è stata immessa in atmosfera tanta CO2 quanta quella emessa dalle attività umane in tutta la storia precedente. Da chi? Soprattutto dai più agiati del pianeta. Il 10% più ricco della popolazione mondiale (630 milioni di persone) ne ha emessa la metà (52%) e tutti gli altri insieme (7 miliardi) l'altra metà (48%).

Processo in accelerazione.

Un dato che negli anni è peggiorato: tra il 1990 e il 2015 le emissioni annuali sono aumentate del 60%, ma il 5% della popolazione più ricca ha determinato oltre un terzo (37%) di questo aumento.

Non basta. Se si va a disaggregare ancora di più i dati raccolti dall'istituto di Stoccolma, si scopre che in questi 25 anni l'1% più ricco (63 milioni di persone) è responsabile del 15% delle emissioni totali: più di tutti i cittadini dell'Ue e il doppio della quantità (7%) prodotta dalla metà più povera del pianeta, 3,5 miliardi di persone.

Con le emissioni più che raddoppiate in 25 anni, è diventato sempre più difficile contenere l'aumento delle temperature entro 1,5 gradi centigradi rispetto al periodo pre-industriale, la soglia definita più sicura dall'Ipcc e fissata come limite preferibile dall'Accordo di Parigi sul clima.

Carbon budget esaurito.

Oltre alle emissioni cumulative di gas serra nel quarto di secolo preso in esame, il rapporto analizza anche un secondo parametro: il nostro carbon budget complessivo. Dall'analisi risulta che in questi 25 anni il 10% più ricco della popolazione ha consumato un terzo del nostro budget complessivo di carbonio, mentre la metà più povera della popolazione solo il 4%.

In altre parole, l'ammontare massimo di anidride carbonica che può essere rilasciata in atmosfera senza far aumentare la temperatura globale sopra 1,5 gradi centigradi è stato già consumato, per più del 30%, dal 10% della popolazione più ricca del pianeta.

«I consumi eccessivi di una ricca minoranza stanno alimentando la crisi climatica, ma sono le comunità più povere e le giovani generazioni a pagarne il prezzo. Questa estrema diseguaglianza è una conseguenza diretta delle strategie dei nostri governi, che puntano su una crescita economica ad alta intensità di carbonio e fondata sulle disparità», spiega Tim Gore, capo di Oxfam per il clima e del team di autori del rapporto.

Gore ha espresso forte preoccupazione per l'andamento dei prossimi mesi: è probabile che le emissioni di CO2 riprendano rapidamente a crescere man mano che i governi allenteranno i blocchi relativi alla crisi pandemica. «Se le emissioni non continueranno a diminuire di anno in anno, così come le relative diseguaglianze, il budget di carbonio rimanente per restare sotto 1,5 gradi sarà completamente esaurito entro il 2030», commenta Gore.

Un modello economico insostenibile.

«I dati raccolti dal 1990 alla metà degli anni Dieci ci raccontano di un modello economico non sostenibile, né dal punto di vista ambientale né dal punto di vista economico e sociale, che alimenta la diseguaglianza soffocando il pianeta da tutti i punti di vista - sostiene Elisa Bacciotti, responsabile campagne di Oxfam Italia -. Ripartire dal vecchio modello economico pre-Covid, iniquo e inquinante, non può essere un'opzione. I governi dovrebbero cogliere l'opportunità di ridisegnare le nostre economie per costruire un futuro migliore, mettendo un freno alle emissioni dei più abbienti e investendo in settori a basso consumo di CO2».

Per raggiungere questo obiettivo, realisticamente a cambiare dovrebbero essere le abitudini della fascia più ricca del pianeta. Uno studio recente ha rilevato ad esempio che il 10% più ricco delle famiglie utilizza quasi la metà (45%) di tutti i consumi di energia relativi ai trasporti terrestri e tre quarti di tutta l'energia relativa all'aviazione.

Oggi le diseguaglianze nelle emissioni di CO2 sono talmente profonde che, anche se il resto del mondo azzerasse le proprie emissioni di colpo, il 10% più ricco del pianeta esaurirebbe il budget globale di carbonio entro il 2033.

Il rapporto stima infatti che il 10% più ricco dovrebbe ridurre di dieci volte le proprie emissioni pro-capite di CO2 entro il 2030, per mantenere il mondo sulla traiettoria indicata dall'Accordo di Parigi. In questo modo si riuscirebbe a tagliare le emissioni annuali globali di un terzo.

https://www.ilsole24ore.com/art/climate-change-10percento-piu-ricco-pianeta-responsabile-meta-emissioni-globali-ADVygZv

venerdì 3 aprile 2020

I COLPEVOLI 2): RICCIARDI, CIOE’ CHIUDERE L’ISTITUTO EPIDEMIOLOGICO ED ESSERE PROMOSSO.



In questi giorni si parla di riportare a livello centrale il controllo epidemiologico, per evitare che ogni regione, di fronte a situazioni come quella presentata dal Coronavirus, agisca per proprio conto. Una giusta proposta, peccato che fino al 2016 noi avevamo questa struttura, che fu chiusa, pensate un po’, dall’attuale consigliere per l’emergenza Coronavirus, Walter Ricciardi, quando era presidente del ISS.
Dal 2003 esisteva il Centro nazionale di epidemiologia e sorveglianza dell’Iss (Cnesps), il cui primo nucleo risaliva a fine anni 70 per rispondere a emergenze sanitarie come l’epidemia di colera. Qui si studiavano gli aspetti scientifici a partire dalla SARS,   all’influenza aviaria (2005) e alla pandemia influenzale (suina del 2009),  con la finalità di identificare  i primi casi, isolarli trovando per tempo i possibili contagi, registrare e monitorare l’evoluzione. controllando quadri clinici ed accessi ai pronto soccorsi. Un sistema che sarebbe stato molto utile ora, tanto che si pensa di riproporlo, ma che fu proprio l’attuale commissario a cancellare.
Quando il Cnesps venne smantellato il quotidiano Sanità pubblicò un appello a Ricciardi di circa duemila operatori sanitari per non chiuderlo “Visto il ruolo svolto nella prevenzione, sorveglianza e controllo delle malattie infettive”. L’allora direttrice, Stefania Salmaso, a fine del 2015 si dimise. Gli epidemiologi, tutta gente esperta e preparata , venne dispersa, in parte in altri reparti del ISS, in parte nei piccoli centri delle varie regioni. Un complesso di conoscenze e capacità distrutto.
Walter Ricciardi, come premio, prima passò al OMS e poi diventò consulente del Governo per il coronavirus. In questo ruolo ha detto tutto ed il suo contrario: sulle mascherine prima  ha detto che non erano utili , poi  ha cambiato idea, lo stesso sui tamponi di massa. La dimostrazione di come un pessimo tecnico riesca a fare carriera grazie agli appoggi politici. Anche sulla pelle degli italiani…