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venerdì 14 gennaio 2022

David Rossi, Polizia Postale: “La mail in cui annunciava il suicidio creata dopo la sua morte”. Era stata considerata prova chiave.

 

L'anomalia di cui dà conto il rapporto, di cui Il Fatto Quotidiano aveva scritto già nel dicembre 2020 e che viene ora riproposto dall'Espresso, era nota da tempo agli inquirenti. L'avvocato della famiglia Rossi: "La risposta che ci è stata data è che la procura di Genova non aveva delega per indagare sulla morte di Rossi ma solo sulle indagini fatte a Siena. Grave che non ci sia stata alcuna verifica ulteriore".

La mail con cui David Rossi, l’ex responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, annunciava all’ex ad della banca Fabrizio Viola l’intenzione di suicidarsi è stata in realtà creata dopo il ritrovamento del suo cadavere. Lo afferma una relazione della Polizia postale di cui Marco Grasso su Il Fatto Quotidiano aveva dato notizia nel dicembre 2020 e di cui ora torna a scrivere L’Espresso. Il documento mette in dubbio quella che era stata utilizzata come prova chiave per chiudere il caso come suicidio. L’anomalia è nota da tempo agli inquirenti, poiché si trova tra gli allegati alla richiesta di archiviazione della procura di Genova che indagava sui colleghi di Siena e sulle indagini sulla morte di Rossi.

Rossi è stato trovato senza vita la sera del 6 marzo 2013, dopo essere caduto da una finestra della sede centrale di Mps in piazza Salimbeni. Secondo la polizia postale la mail incriminata, apparentemente inviata il 4 marzo 2013, è stata invece creata il 7 marzo. Il messaggio – “Stasera mi suicido, sul serio. Aiutatemi!!!” – è collocato all’interno di uno scambio di mail tra Rossi e Viola. La Polizia postale ha trovato due versioni di questa mail, con la stessa frase, “ma entrambe hanno data di creazione il 7 marzo 2013” alle ore 11.41. Invece, “il delivery time è del 4 marzo 2013 alle ore 10.13”. “Va rilevata l’anomalia, alla quale non è stato possibile trovare elementi di risconto in questo hard disk”, conclude la Polposta.

La famiglia di Rossi ha sempre contestato la tesi del suicidio e l’avvocato Carmelo Miceli, che la rappresenta, sottolinea che questo è un elemento importante che non è stato approfondito. “La risposta che ci è stata data – dice il legale, citato dall’Espresso – è che la procura di Genova non aveva delega per indagare sulla morte di Rossi ma solo sulle indagini fatte a Siena, archiviando comunque qualsiasi ipotesi di errore da parte dei colleghi della procura di Siena. Per noi rimane comunque grave che di fronte a quanto scritto dalla polizia postale non ci sia stata alcuna verifica ulteriore, considerando che parliamo della prova chiave che avrebbe giustificato per gli inquirenti la tesi del suicidio, visto che l’avrebbe anche annunciato due giorni prima al suo superiore”.

Lo scambio di mail tra Rossi e Viola di quel 4 marzo comincia la mattina verso 9 e va avanti fino al pomeriggio. I temi affrontati sono delicati, si parla di una avvenuta perquisizione da parte della Guardia di Finanza e traspare lo stato d’ansia di Rossi (“Ti posso parlare del tema di stamani? E’ urgente. Domani potrebbe essere troppo tardi”). Viola comunque risponde sempre e alle 14.40 scrive: “Ho riflettuto. Essendo cosa molto delicata credo che cosa migliore sia quella che tu alzi il telefono e chiami uno dei pm per chiedere un appuntamento urgente”. La conversazione, sempre rimpallandosi la stessa mail con tutti i testi precedenti, viene chiusa alle ore 17.12 quando Rossi scrive a Viola: “In effetti, ripensandoci, sembravo pazzo, a farmi tutti questi problemi. Scusa la rottura… ciao David”.

In questo alternarsi di messaggi la mail delle ore 10.13, in cui Rossi annuncia il suicidio, appare del tutto fuori contesto ed estranea allo scambio, che avviene sempre con i testi precedenti allegati. Ascoltato dai magistrati Viola dice a verbale di non ricordare un simile messaggio, riconoscendo invece “tutte le altre mail scambiate con lui quel giorno”. Dai tabulati telefonici, inoltre, non risultano telefonate tra i due dopo le 10:13, e appare incredibile che Rossi e Viola non si siano sentiti a voce dopo una comunicazione così drammatica, proseguendo invece via mail una normale conversazione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/13/david-rossi-polizia-postale-la-mail-in-cui-annunciava-il-suicidio-creata-dopo-la-sua-morte-era-stata-considerata-prova-chiave/6455211/

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https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/20/david-rossi-la-procura-di-genova-apre-una-nuova-inchiesta-sulle-foto-inedite-scattate-nellufficio-del-manager-mps/6432917/

venerdì 6 agosto 2021

Colpa per colpa, tutti i carnefici di Mps. - Nicola Borzi e Carlo Di Foggia

 

Nomi e ruoli. L’agonia della banca. Quante distrazioni Da Mussari e i suoi fino ai “vigilanti” Draghi, Tarantola, Vegas, a Orcel e all’ex ministro Padoan: ecco attori e comparse del disastro senese.

L’ultima tappa del disastro Mps – lo spezzatino e la cessione a UniCredit – costerà allo Stato almeno 8 miliardi. A dispetto della cifra, però, nessuno, né il ministro dell’Economia né le autorità bancarie, si prende la briga di spiegare come si è arrivati a questo punto. Ecco una breve e inesaustiva lista dei volenterosi carnefici del Monte.

Giuseppe Mussari. Avvocato cresciuto nei Ds, banchiere dilettante per sua stessa ammissione, nasce dalemiano ma si fa apprezzare dai potentati senesi che lo fanno presidente della fondazione che controlla l’istituto. Nel 2006 si fa nominare presidente della banca e l’anno dopo decide lo sciagurato acquisto di AntonVeneta: la paga tre volte il valore pagato all’olandese Abn Amro dal Santander di Emilio Botin, che gliela vende a scatola chiusa tramite il capo italiano, Ettore Gotti Tedeschi, seguace dell’Opus Dei come Botin. L’acquisto, chiuso a crisi finanziaria mondiale già scoppiata, scasserà la banca. Le famose operazioni in derivati (Alexandria e Santorini) serviranno solo tamponare le falle. Chi ha appoggiato Mussari? La lista di chi applaudì all’operazione è lunghissima. In cima ci sono Franco Bassanini e Giuliano Amato, per un decennio eletti a Siena e forti influencer delle sorti di Mps.

Annamaria Tarantola. Nel 2007, responsabile dell’area vigilanza della Banca d’Italia, è la burocrate addetta a interfacciarsi coi vertici del Monte per l’acquisto di AntonVeneta. Li incontra più volte, una anche con il governatore Draghi. “Ci raccomandammo con Mussari di fare l’acquisto per bene”, spiegò ai pm senesi. Nessuno dei vertici di Bankitalia impone una due diligence della banca. “Non ci fu segnalato che Mps aveva acquisito AntonVeneta senza due diligence. Per prassi, Banca d’Italia caldeggia sempre, in caso di acquisizioni, la due diligence preventiva”, spiegò ai magistrati l’allora dg di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, deceduto nel 2019. Monti promuove Tarantola nel 2012 alla presidenza della Rai. Oggi è consigliera economica a Palazzo Chigi.

Vincenzo De Bustis. Banchiere dalemiano, a fine ’99 convince Mps a strapagare per 1,3 miliardi Banca 121, che guida. Operazione che inizia a picconare i conti: lui passa armi e bagagli a Siena, insieme ad alcuni manager fidati. Plurimultato dalle autorità di vigilanza, il suo nome comparirà anche nel disastro della Popolare di Bari.

Mario Draghi. È il governatore di Bankitalia quando Mussari decide di strapagare AntonVeneta. Nel 2008 autorizzò l’acquisto perché “non in contrasto con la sana e prudente gestione della banca”. Eppure la Vigilanza sapeva che AntonVeneta era decotta perché l’aveva ispezionata a fine 2006. Dopo che Mussari e il dg Antonio Vigni lo incontrano in Via Nazionale, il secondo si appunta “Bankitalia sarà al vs fianco”. A gestire la pratica ci sono Tarantola e Saccomanni. Draghi è riuscito a non essere mai sentito da nessuno sulla vicenda: né dai pm, né nei procedimenti giudiziari, né dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche dove il presidente Pier Ferdinando Casini si guardò bene dal convocarlo per non attirare le ire del Quirinale. A novembre 2011 passa alla Bce. Gli ispettori inviati a Siena hanno scoperto il derivato Alexandria. Nello stesso mese, il suo successore Visco convoca Mussari e Vigni e gli dice di togliersi di mezzo. “La Banca d’Italia ha fatto con Montepaschi tutto quanto doveva, in modo appropriato e a tempo debito. Si tratta di un caso isolato e legato non tanto alla gestione quanto a condotte criminali”, spiegherà qualche mese dopo.

Giuseppe Vegas. È un monumento al vigilante distratto. Alla guida della Consob dal 2010, riesce, come la vigilanza di Bankitalia, a non vedere o a intervenire sempre in ritardo. Il trionfo è sulle operazioni in derivati usate dalla banca per mascherare le perdite. Basta leggere la sentenza che ha condannato a 6 anni per falso in bilancio i successori di Mussari e Vigni, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, chiamati a risolvere la grana senese. Nel settembre 2011, l’Authority di Borsa attiva gli ispettori di Bankitalia dopo un esposto anonimo (l’autore è un manager di Mps) sull’operazione Alexandria. Gli ispettori capiscono che si tratta di un derivato creditizio e affidano il sospetto a un rapporto che consegnano (giugno 2012) alla Consob, titolare del potere di vigilanza sui bilanci. Consob avvia un iter lungo e farraginoso per decidere se sono derivati o no e quindi come contabilizzarli (nel primo caso a “saldi chiusi” nel secondo a “saldi aperti”, con riflessi immediati sui bilanci). Insieme a Bankitalia, l’8 marzo 2013 redigono un documento per stabilire che vanno contabilizzati a “saldi aperti” e – incredibilmente – solo dopo chiede un parere agli organismi internazionali di settore. Pochi giorni dopo, il 21 marzo, redige una nota in cui i tecnici dell’Authority scrivono di ritenere Alexandria e Santorini due derivati a tutti gli effetti. Ma non accade nulla.

Risultato: solo nel 2015 Consob decide che Mps deve correggere i bilanci perché, trattandosi di derivati, andavano contabilizzati a “saldi chiusi” mentre l’omologa tedesca Bafin aveva imposto a Deutsche Bank di considerare Santorini come tale già nel 2013. Le multe per la vicenda a Mussari e compagnia arrivano solo nel 2018, sei anni dopo, e per questo gigantesco ritardo sono state quasi tutte annullate. La Corte d’appello di Catanzaro, per dire, ha annullato quella di Mussari “per decadenza della Consob dall’esercizio della potestà sanzionatoria, in ragione della riscontrata inerzia nel- l’accertamento degli illeciti” visto che l’Authority “già dal 2014 era al corrente almeno del nucleo essenziale delle condotte contestate”.

Pier Carlo Padoan. È il conflitto d’interessi incarnato. Nel 2016, da ministro dell’Economia lascia il Monte in crisi a bagnomaria per non disturbare la campagna referendaria di Renzi, di cui accetta tutti i diktat, compreso quello di cacciare l’ad di Mps Viola per far posto a un manager gradito a Jp Morgan, con cui Renzi si era speso in promesse. Nel 2017 nazionalizza Mps con 5,4 miliardi. Dopo averli bruciati, si candida a Siena col Pd, poi abbandona il seggio dopo la nomina a presidente di UniCredit, la banca che ora si prenderà la polpa di Mps dopo la pulizia a carico dello Stato.

Andrea Orcel. Oggi guida UniCredit e il cerchio si chiude. Dalla banca d’affari Merrill Lynch partecipa a tutte le tappe del disastro (non il solo della sua lunga carriera). È il consulente dello spezzatino di Abn Amro: prima rifila l’Antonveneta a Botin, poi convince Mussari a prendersela al triplo. Oggi, in UniCredit, può godersi il frutto di quelle scelte.

ILFQ

giovedì 5 agosto 2021

Il Tesoro chiude ai partiti: “Mps andrà all’Unicredit”. - Marco Palombi

 


L’audizione - Il ministro difende il regalo, con dote pubblica, a Padoan e soci: “Banca in difficoltà, da sola non ce la farebbe. Ma tuteleremo Siena e Toscana”.

Lo stanco rito si compie quando ormai è ora di cena: Daniele Franco si presenta alle commissioni Finanze di Camera e Senato, come peraltro prescrive la legge, per informarle che per il Monte dei Paschi si sta seguendo la via maestra del mercato – indicata anche dalla Bce, giuste le linee guida di un Dpcm del governo Conte-2 e della Commissione Ue –, che l’unica offerta in campo è quella di UniCredit e che il governo vigilerà sulle ricadute sociali ed economiche dell’eventuale vendita, e lotterà come un leone per difendere l’interesse pubblico. Seguono raccomandazioni, critiche, un po’ di “se”, qualche “ma”, alcuni “Padoan” assortiti delle forze politiche: infine la promessa di non far mancare informazioni al Parlamento da parte del ministro dell’Economia. Pace e bene, ci si rivede dopo le ferie.

Il senso è questo: a tempo debito, e comunque entro l’anno, come da accordo con Bruxelles, la banca presieduta da Pier Carlo Padoan – cioè il ministro che nazionalizzò Mps e poi si fece eleggere deputato proprio a Siena – si prenderà le parti buone del Monte dal Tesoro con cospicua dote pubblica, la cui entità è ancora da definire. Nessuno ha la forza di opporsi e soprattutto nessuno può garantire che l’istituto senese potrebbe restare in piedi da solo senza diventare un inceneritore di risorse pubbliche. In ogni caso, “non si tratterà di una svendita di proprietà statali”.

Il ministro Franco, con tono monocorde e retorica in grisaglia, non lascia spazi a rinvii e ripensamenti. La tesi è questa: il Monte dei Paschi è messo male, le sue performance sono assai sotto la media, gli obiettivi del piano industriale definito con l’ingresso dello Stato “sono stati conseguiti solo parzialmente”, soprattutto quanto a “redditività ed equilibrio tra costi e ricavi”. E dunque i fan dell’opzione “stand alone”, cioè di Mps che va avanti da sola, devono sapere che già così gli esuberi previsti sono 2.500 e la Commissione chiederà di aumentarli perché Mps ha ancora troppi costi; l’aumento di capitale da 2,5 miliardi ipotizzato finora, poi, è oggi largamente insufficiente (e non a caso la Bce non si è ancora espressa). Insomma, secondo Franco e Mario Draghi, dire no a UniCredit costerebbe assai di più dell’operazione che si va definendo. Quanto alla scelta di vendere, dice Franco, è prevista da “un Dpcm del 16 ottobre 2020” (epoca Conte), che affida al Tesoro il compito “di dare avvio alla procedura” e indica tra le strade “una operazione straordinaria di integrazione”. È dall’autunno scorso, dice il ministro, che il Mef e la banca cercano un partner, tanto è vero che “la data room è aperta da gennaio”. Perché UniCredit? Perché l’unico altro interlocutore, il Fondo Apollo, dopo un sondaggio a febbraio è sparito: è l’unica offerta in campo e “non ci sono le condizioni per mettere in discussione la cessione della banca”.

I termini dell’eventuale accordo con la banca guidata da Orcel e Padoan sono quelli noti: niente danni al capitale di UniCredit, esclusione del vecchio contenzioso e dei crediti deteriorati, accordo sul personale, via libera dell’Ue (che dovrà garantire che il tutto avvenga a “condizioni di mercato”). L’apporto dello Stato? Ancora non si sa, ma se UniCredit non deve metterci capitale sarà di sicuro cospicuo e alla fine il Mef potrebbe ritrovarsi azionista di UniCredit.

Ora le rassicurazioni. Franco non vede “rischi di smembramento della banca” e quanto agli esuberi (5-6mila su 21mila secondo indiscrezioni) attenuarli, così come tutelare il marchio della più antica banca del mondo, è “una priorità del governo”: “Garantiremo la massima attenzione alla tutela dei lavoratori nell’ambito degli spazi negoziali e una pluralità di strumenti e iniziative” per chi resterà fuori. Infine il comma Letta, cioè la frase che ammicca all’uscita di ieri del segretario Pd e candidato a Siena alle Suppletive: “La valorizzazione e il rilancio di Siena e della provincia è una priorità indiscussa e incomprimibile per il governo”.

Insomma, a poco servirà – per fermare il treno della vendita all’acquirente unico (difficile strappare qualcosa in una trattativa se non ci sono alternative) – l’utile che oggi la banca senese riporterà nella sua semestrale: Mps doveva morire, Mps morirà annegata nel secondo polo bancario italiano. Chi ha avuto ha avuto…

ILFQ

martedì 3 agosto 2021

“Bankitalia è al vostro fianco”. Perché Draghi ha a cuore Mps. - Carlo Di Foggia

 

Nei disastri bancari è difficile trovare chi è senza peccato, si sa, ma almeno qualcuno dovrà spiegare cos’è successo. Palazzo Chigi fa filtrare che i partiti non devono ostacolare l’imminente spezzatino del Montepaschi e annessa cessione della polpa a Unicredit a carico dello Stato. Sui giornali retroscena identici narrano di un Draghi deciso a “tirare dritto” e a “mettere in sicurezza il sistema del credito”. Il premier, pare, considera Mps il tema più sensibile tra quelli che ha sul tavolo. Ecco perché.

Il disastro Mps ha un’origine. Nel 2007 il presidente Giuseppe Mussari – dalemiano, poi tremontiano, ma soprattutto caro alla massoneria senese, padrona della banca – decide di strapagare Antonveneta. Il 17 marzo 2008 il governatore di Bankitalia Mario Draghi autorizza l’operazione: “Non risulta in contrasto col principio della sana e prudente gestione”, scrive. Mussari paga 9 miliardi e se ne accolla 7,5 di debiti: 17 miliardi per un istituto che il venditore, il Santander di Emilio Botin, aveva pagato tre volte meno pochi mesi prima rilevandolo da Abn Amro. Botin, legatissimo all’Opus Dei, gliela vende a scatola chiusa. Pochi mesi prima la finanza cattolica italiana gli aveva sbarrato la strada della scalata al San Paolo Imi: i torinesi preferirono consegnarsi alla Banca Intesa di Giovanni Bazoli. Il sistema italiano ricompensa Botin girandosi dall’altra parte quando Mussari decide l’azzardo. Per quegli strani giri dei disastri italiani, a consigliarlo, per conto della banca d’affari Merryll Lynch, è Andrea Orcel, che oggi guida Unicredit destinata a prendersi Mps. Quel che avviene prima e dopo è un trionfo di irresponsabilità e silenzi.

La vigilanza sapeva che Mussari stava suicidando la banca. Pochi mesi prima, una lunga ispezione aveva trovato una situazione critica in Antonveneta. L’ispezione si chiude a dicembre 2006 con un esito “in prevalenza sfavorevole” e la richiesta di multare vertici e collegio sindacale: 64 pagine che prefigurano la futura esplosione delle sofferenze (i crediti inesigibili), pari a 4 miliardi, più un altro miliardo di incagli e la previsione di nuove perdite per 2,8 miliardi; altri 1,8 miliardi sono “a rischio di decadimento qualitativo”. La gestione dell’istituto viene fatta a pezzi con 5 voti negativi su 6: perde clienti; è ingessata; i controlli gestionali “non prevedono analisi di redditività” e la contabilità “è connotata da prassi poco efficaci e da aree di manualità”.

Perché allora Bankitalia dà l’ok? Ai magistrati senesi che indagarono sul disastro, Mussari (nel 2006 acclamato alla guida dell’Abi) spiegò di “non ricordare come si svolsero le trattative”. Non ci fu due diligence, cioè una profonda analisi dei conti di Antonveneta. Il 26 novembre 2007 i vertici di Mps vengono ricevuti da Draghi e dai vertici della Banca d’Italia. Mussari e il dg Antonio Vigni illustrano l’acquisto. Ai pm attoniti, l’allora capo della vigilanza Annamaria Tarantola racconta che governatore e soci si “raccomandarono coi vertici di Mps di ‘fare per bene’ l’acquisizione”. Vigni appunta sulla sua agenda: “Bankit sarà al vs fianco”. Chi lo ha detto? Tarantola si limita a dire che “sicuramente abbiamo detto che Banca d’Italia li avrebbe seguiti e indirizzati”. Sarà la capacità di indirizzo il motivo per cui nel 2011 Monti la vuole presidente della Rai e Draghi l’ha appena chiamata a Palazzo Chigi come consigliere economico.

Quel che succede dopo è ancor più indicativo. L’operazione si conclude nel 2008 quando la crisi mondiale è già in atto. La storia è nota. Per tamponare l’emorragia e abbellire i bilanci Mps metterà in piedi le operazioni in derivati (i famosi “Alexandria” e “Santorini”). Nell’aprile 2016, alle Camere, il governatore Ignazio Visco rivendicò di essere stato lui, appena arrivato, a chiedere a Mussari e Vigni di andarsene. Non altri. Visco li convoca a novembre 2011 e gli dice di andarsene: “Non avevo potere di farlo, ho corso un rischio personale”. In quei giorni Draghi si insedia alla Bce.

La vulgata vuole che siano stati i nuovi vertici di Mps, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, a scoprire il trucco dei derivati trovando nella cassaforte di Vigni il contratto con Nomura su Alexandria (lo rivelò il Fatto a gennaio 2013). Eppure i processi hanno mostrato anche altro. Mussari&C. sono stati assolti dall’accusa di aver ostacolato la vigilanza. Già nel 2010 le strane operazioni in liquidità avevano spinto Bankitalia a mandare gli ispettori. La situazione è così critica che ci ritornano a settembre 2011. Il team guidato da Giampaolo Scardone viene avvisato da Consob (attivata da un esposto anonimo) di indagare su Alexandria: si scopre che una serie di operazioni apparentemente scollegate prefigurano “nella sostanza, piuttosto che nella forma, un Cds”, cioè un derivato: “Era parsa l’unica soluzione plausibile”. Ma, dice Scardone al Tribunale di Siena, senza il mandate agreement è una cosa “che non ci siamo sentiti di contestare perché oggettivamente era fondata su valutazioni di tipo esperienziale”.

L’ispezione si svolge nelle settimane cruciali della caduta del governo Berlusconi, l’arrivo di Monti e, come detto, l’insediamento di Draghi alla Bce. Forse la storia sarebbe cambiata se la bomba Mps fosse esplosa prima. Fatto sta che oggi Palazzo Chigi “tira dritto”.

IlFQ

venerdì 16 ottobre 2020

Mps, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola condannati a sei anni per false comunicazioni sociali e manipolazione informativa.

 

E' la sentenza di primo grado nel filone dell’indagine sulla banca senese legato ai derivati Alexandria e Santorini. Ribaltata la richiesta del pubblico ministero Stefano Civardi che aveva chiesto l'assoluzione. Profumo e Viola dovranno anche pagare una multa di 2,5 milioni di euro ciascuno. La banca, che ora è del Tesoro, è stata condannata a una sanzione di 800mila euro mentre per Paolo Salvadori, allora presidente del collegio sindacale, la pena è stata di 3 anni e 6 mesi.

Sono stati condannati in primo grado sei anni di reclusione Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, sotto processo in qualità di ex presidente ed ex ad di Mps in un filone dell’indagine sulla banca senese legato ai derivati Alexandria e Santorini. L’accusa era di false comunicazioni sociali manipolazione informativa (aggiotaggio) per la contabilizzazione dal 2012 alla semestrale 2015 di derivati per 5 miliardi presentati a bilancio come BTp. Il tribunale li ha ritenuti responsabili dei capi di imputazione B e C, cioè false comunicazioni sociali relative alla semestrale del 2015 e aggiotaggio. Sono stati prescritti per il bilancio 2012 e “perché il fatto non sussiste” per i bilanci 2013 e 2014. Profumo e Viola dovranno anche pagare una multa di 2,5 milioni di euro ciascuno. Oggi Profumo è numero uno di Leonardo (ex Finmeccanica).

La banca, che ora è del Tesoro, è stata condannata a una sanzione di 800mila euro per la legge 231 sulla responsabilità degli enti, mentre per Paolo Salvadori, allora presidente del collegio sindacale, la pena è stata di 3 anni e 6 mesi. La decisione è arrivata al termine di una camera di consiglio di circa 4 ore ed è stata pronunciata nella fiera di Milano, scelta per consentire alle parti di presenziare al dibattimento nel rispetto del distanziamento sociale.

La sentenza ribalta la richiesta del pubblico ministero Stefano Civardi che aveva chiesto l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” per il reato di aggiotaggio contestato a Profumo e Viola e per quello di false comunicazioni sociali contestato a tutti gli imputati per il bilancio 2012 e per la prima semestrale del 2015 e l’assoluzione “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” per la contestazione di false comunicazioni sociali in merito ai bilanci 2013 e 2014. Profumo e Viola sono anche indagati per false comunicazioni sociali e manipolazione informativa per la contabilizzazione dei crediti deteriorati. I pm in questo caso hanno chiesto l’archiviazione ma il gip ha ordinato ulteriori indagini.

I derivati Alexandria e Santorini furono realizzati da Mps con Deutsche Bank e Nomura per coprire i costi dell’acquisizione di Antonveneta. Per le irregolarità nelle operazioni effettuate dalla banca senese per mascherare le perdite legate all’acquisizione lo scorso anno sono stati condannati l’ex presidente Mps – nonché ex numero uno dell’Abi – Giuseppe Mussari, l’ex direttore generale Antonio Vigni e l’ex responsabile area finanza Gian Luca Baldassarri. La sentenza era arrivata sei anni dopo lo scoop del Fatto Quotidiano che per primo parlò dell’accordo segreto tra Mps e Nomura per truccare i conti.

“Leggeremo con attenzione le motivazioni e senz’altro presenteremo appello contro una sentenza che consideriamo sbagliata. Abbiamo sempre creduto nel corretto operato dei nostri assistiti” è il commento dell’avvocato Adriano Raffaelli, uno dei difensori di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, condannati dal tribunale di Milano a 6 anni di reclusione in un filone del caso Mps.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/15/mps-alessandro-profumo-e-fabrizio-viola-condannati-a-sei-anni-per-false-comunicazioni-sociali-e-manipolazione-informativa/5967709/

sabato 9 novembre 2019

Mps, condannati gli ex vertici Mussari, Vigni e Baldassarri con Deutsche Bank e Nomura per le operazioni legate ad acquisto Antonveneta.

Mps, condannati gli ex vertici Mussari, Vigni e Baldassarri con Deutsche Bank e Nomura per le operazioni legate ad acquisto Antonveneta

I capi di imputazione vanno dalle false comunicazioni sociali all’aggiotaggio all’ostacolo alla vigilanza. Sul banco degli imputati - tutti condannati - 13 persone: oltre agli ex vertici dell'istituto anche sei ex dirigenti di Deutsche Bank e due ex manager di Nomura. Sei anni fa lo scoop del "Fatto".

Tutti condannati nel processo per i derivati del Monte dei Paschi di Siena. Il tribunale di Milano ha dato 7 anni e 6 mesi di carcere all’ex presidente Mps – nonché ex numero uno dell’Abi – Giuseppe Mussari, 7 anni e 3 mesi all’ex direttore generale Antonio Vigni e 4 anni e 8 mesi all’ex responsabile area finanza Gian Luca Baldassarriimputati per le presunte irregolarità nelle operazioni effettuate dalla banca senese tra il 2008 e il 2012 per coprire le perdite dovute all’acquisizione di Antonveneta, costata circa 10 miliardi di euro nel 2008. La sentenza arriva sei anni dopo lo scoop del Fatto Quotidiano che per primo parlò dell’accordo segreto tra Mps e Nomura per truccare i conti.
I giudici hanno anche condannato Daniele Pirondini, ex direttore finanziario di Rocca Salimbeni, a 5 anni e 3 mesi. Sono state ritenute colpevoli anche Deutsche Bank e la sua filiale londinese e Nomura, imputate a Milano in qualità di enti. Dovranno versare sanzioni pecuniarie per oltre 3 milioni di euro e sono state disposte confische per un importo complessivo di oltre 150 milioni di euro.
E’ di 300mila euro inoltre il risarcimento dei danni che gli ex vertici di Mps in solido con i due manager di Nomura e le due stesse banche in qualità di responsabili civili dovranno versare a Consob, parte civile. Al centro del processo c’erano le operazioni sui derivati Santorini e Alexandria, sul prestito ibrido Fresh e sulla cartolarizzazione Chianti Classico. Operazioni che secondo l’accusa, rappresentata dal pm Giordano Baggio, sarebbero state utilizzate per nascondere perdite per oltre 2 miliardi di euro. I capi di imputazione vanno dalle false comunicazioni sociali all’aggiotaggio all’ostacolo all’autorità di vigilanza. Sul banco degli imputati – tutti condannati – ci sono 13 persone, oltre agli ex vertici Mps anche sei ex dirigenti di Deutsche Bank e due ex manager di Nomura e tre società: Nomura e la sede di Londra e la sede centrale di Deutsche. La banca senese è uscita dal processo con un patteggiamento nel 2016.
A tutti i condannati sono state concesse le “attenuanti generiche”, con l’eccezione di Mussari e dell’ex managing director di Deutsche Bank Ivor Scott Dunbar. Escluse le aggravanti della transnazionalità e del “grave nocumento ai risparmiatori”. “Anche a Siena eravamo partiti con una condanna, e l’esito è a tutti noto. Svanirà anche questa incredibile condanna, perché Giuseppe Mussari è innocente”, hanno commentato gli avvocati Tullio Padovani, Fabio Pisillo e Francesco Marenghi, difensori dell’ex presidente di Mps. “Siamo convinti dell’innocenza del dott. Vigni e faremo di tutto per dimostrarlo nei prossimi gradi di giudizio”, dicono dal canto loro i difensori di Vigni Carla Iavarone e Francesco Centonze. “Siamo delusi dalla sentenza. Valuteremo le motivazioni una volta che saranno pubblicate”, recita invece la nota ufficiale con cui Deutsche Bank commenta la condanna.

mercoledì 10 gennaio 2018

Mps, decolla la cartolarizzazione delle sofferenze. - Paola Valentini

banca mps

Quaestio Capital Sgr ha comunicato di aver completato l'investimento nella tranche mezzanine della cartolarizzazione di circa 25 miliardi di euro di crediti lordi in sofferenza del gruppo senese. Il fondo Italian Recovery Fund acquisirà, per 805 milioni di euro, il 95%. Entro il primo semestre sarà rilevata la parte junior e arriverà la Gacs sulla quota senior.

Decolla la cartolarizzazione delle sofferenze di Mps, una delle più grandi mai realizzate in Europa e determinante del piano di ristrutturazione e di rilancio della banca concordato con le autorità europee, che ha visto l'ingresso dello Stato italiano nella banca senese. Quaestio Capital Sgr ha comunicato oggi di aver completato l'investimento nella tranche mezzanine della cartolarizzazione di circa 25 miliardi di euro di crediti lordi in sofferenza di Banca Monte dei Paschi  di Siena.

In dettaglio l'operazione è realizzata attravverso il fondo Italian Recovery Fund che acquisirà, per 805 milioni di euro, il 95% della parte mezzanine emessa da un veicolo di cartolarizzazione a cui è stato trasferito il portafoglio di deteriorati della banca senese. L’investimento nel 95% della parte junior da parte di Italian Recovery Fund e l’ottenimento del rating e della Gacs  sulla tranche senior (e la sua successiva cessione sul mercato) avverranno invece entro il primo semestre 2018.

Dopo averne curato la strutturazione, Quaestio spiega che gestirà e controllerà l’intera operazione, sia per quanto riguarda la struttura della cartolarizzazione con Credito Fondiario in qualità di master servicer, sia per quanto riguarda la gestione dei piani di recupero dei crediti che è stata affidata ad alcuni operatori del settore e alla piattaforma di recupero crediti acquisita da Mps  assieme a Cerved.

Questo, aggiunge Quaestio, al fine di tutelare gli interessi degli investitori nel fondo e perseguire l’obiettivo di contribuire a creare un mercato dei Npl in Italia efficiente.

Italian Recovery Fund, nato grazie all’impegno di molteplici istituzioni finanziarie italiane ed internazionali per investire soltanto in crediti deteriorati, è il più grande investitore dedicato al mercato italiano dei npl e uno dei maggiori investitori al mondo in questo settore. 

Attualmente è coinvolto in quattro operazioni di cartolarizzazione di crediti deteriorati per circa 31 miliardi lordi per un investimento complessivo di circa 2,5 miliardi.


Quaestio capital Sgr, in virtù della posizione di leadership raggiunta in Italia nella strutturazione e nell’investimento in cartolarizzazioni di crediti deteriorati, intende lanciare nei prossimi mesi altre iniziative di investimento nel settore dei distressed credit italiani.

giovedì 30 novembre 2017

Monte dei Paschi Siena, la lista completa dei primi 100 debitori. La somma sfiora i 5 miliardi.

Banca Monte Paschi: "Correttezza del nostro operato. Indagine atto dovuto"

Pubblichiamo l'elenco completo dei primi cento debitori del Monte dei Paschi di Siena. L'elenco è quello consegnato dai vertici della banca alla Commissione d'inchiesta parlamentare, secretato ma ugualmente trapelato.

Nelle tabelle sotto pubblichiamo la denominazione della società, i soggetti di riferimento, l’esposizione lorda e netta (al 30 settembre 2017) e lo stato delle somme: “soff” per indicare i crediti che la banca considera persi; “Utp” (Unlikely to pay) per quelle che vengono valutate come inadempienze probabili, quando cioè la banca è convinta che il cliente non onorerà quantomeno in maniera totale i suoi impegni. 

La somma complessiva sfiora i 5 miliardi di euro.

giovedì 23 novembre 2017

La clava di Bankitalia su Mps: "Comportamenti fraudolenti degli ex vertici".


BLOOMBERG VIA GETTY IMAGES


La Vigilanza individua le responsabilità negli ex manager e anche nella Fondazione. "Perdite non derivano solo da Antonveneta"


Il Monte dei Paschi ha sofferto per la crisi e per le frodi degli ex manager. Banca d'Italia usa la clava contro i responsabili della crisi della banca più antica del mondo, tirando in ballo anche le responsabilità della Fondazione Mps. Il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo parla in Commissione Banche e non usa mezze parole per spiegare cosa è accaduto a Siena.
Il presidente della Commissione Banche, Pier Ferdinando Casini, ha annunciato che domani verrà consegnata in Commissione la lista dei primi 100 grandi debitori di Mps.
Le responsabilità, secondo Bankitalia. "Gli effetti della congiuntura e in generale del contesto esterno sul bilancio della banca, di per sé già profondi, sono stati amplificati dai comportamenti gravi e fraudolenti posti in essere sin dal 2008 dai precedenti esponenti di vertice, che hanno indebolito gravemente la banca e ne hanno messo in discussione la reputazione" afferma l'alto dirigente della Banca d'Italia. "Tali comportamenti - emersi progressivamente grazie alle attività di verifica della Banca d'Italia e alle indagini dell'Autorità Giudiziaria - sono oggi al vaglio del giudice penale". Barbagallo ha sottolineato che la storia di Mps è quella di una banca "particolarmente esposta su molteplici fronti: quello dei rischi finanziari (sovrano, di liquidità e di tasso) e quello dei rischi di credito". I rischi finanziari "hanno messo in grave difficoltà Mps; alla lunga, è stato però il rischio di credito che ne ha minato più in profondità l'equilibrio economico-patrimoniale".
Nella crisi del Monte dei Paschi inoltre un "ruolo significativo" lo ha avuto la Fondazione "che ha inteso mantenere a lungo, anche quando non ce ne erano più le condizioni, una posizione di dominio comunque di rilievo, erodendo il proprio patrimonio e indebitandosi" ha detto il dirigente di Bankitalia, che rispondendo a una domanda afferma che "sulla base della mia esperienza non credo che la Fondazione avesse bisogno dell'eterodirezione della politica".
Antonveneta. L'acquisto di Banca Antonveneta da parte di Mps era a portata dell'istituto senese riguardo ai suoi obiettivi patrimoniali. "L'idea che mi sono fatto io - dice Barbagallo - dalle carte del 2008, è di una banca che ce la poteva fare, poi arriva la tempesta perfetta" con la crisi del debito sovrano. "Sulla carta - aggiunge Barbagallo - la banca sembrava in grado di poterla gestire". Nella relazione il capo della Vigilanza osserva che l'acquisizione di Antonveneta nel marzo 2008 si inseriva "in un contesto economico domestico ancora favorevole, di consolidamento del sistema bancario italiano, che aveva visto realizzare, nei mesi precedenti, le operazioni di aggregazione tra Unicredit e Capitalia e tra Intesa e Imi-Sanpaolo". Quanto alla diligenza dovuta su Antonveneta, prima dell'acquisto da parte di Mps, "non era richiesta dalla normativa di vigilanza né allora né ora". Inoltre "come per ogni altra autorizzazione della specie, la definizione del corrispettivo per l'acquisizione rientrava nell'esclusiva responsabilità delle parti e non era soggetta all'approvazione della Vigilanza".
I prestiti non performanti. La banca alla fine dello scorso anno aveva crediti deteriorati "ripartiti tra quasi 190.000 debitori, frazionati e distribuiti lungo tutto il territorio nazionale; per l'84 per cento essi riguardano imprese, in larga parte medio-piccole; i prenditori che hanno ricevuto prestiti singolarmente superiori a 25 milioni sono 107 e rappresentano, per ammontare, il 12,7 per cento del credito deteriorato totale". I dati disponibili "non mostrano un contributo decisivo di Banca Antonveneta agli npl di Mps" aggiunge Barbagallo precisando che questo non equivale a dire che l'operazione Antonveneta non abbia dato un contributo importante alla crisi della banca senese. I crediti deteriorati di Mps hanno generato perdite nell'ultimo decennio per circa 26 miliardi, compensate solo parzialmente dalle altre componenti di ricavo nette (circa 12 miliardi), "pesantemente influenzate dalla crisi di fiducia che ha colpito l'intermediario, incidendo su costo e quantità della provvista". Il capo della Vigilanza ha aggiunto che "ciò ha contribuito a determinare, nel decennio considerato, un valore negativo del risultato di esercizio netto cumulato pari a circa 14 miliardi, fatto che ha sostanzialmente frustrato i diversi tentativi di ricapitalizzazione".
Oggi Mps. Con la ricapitalizzazione precauzionale del Monte dei Paschi di Siena operata dal ministero dell'Economia "risultano ora realizzati i presupposti per una decisiva "pulizia" di bilancio, attraverso la cessione del portafoglio di sofferenze" ha detto il capo della vigilanza di Bankitalia.
Il caso Alexandria. Altra responsabilità del vertice è legata ad Alexandria. Gli ispettori di Bankitalia, senza il 'mandate agreement' su Alexandria occultato dagli ex vertici del Monte dei Paschi, non potevano risalire, nell'ispezione del 2012, alla finalità dell'operazione realizzata con Nomura, il 'business purpose' dell'operazione. Barbagallo in audizione davanti alla Commissione Banche risponde così alla critica che spesso si muove alla Vigilanza nei confronti di Siena, cioè di non aver capito che ci fosse un collegamento tra la ristrutturazione di Alexandria e l'acquisto di 3 miliardi di Btp 2034 con controparte la stessa Nomura. "Sulla base delle informazioni rese disponibili agli ispettori non risulta provata sul piano contrattuale la relazione tra la ristrutturazione del titolo Alexandria e l'operazione in pronti contro termine effettuata con la stessa Nomura né è altrimenti possibile risalire all'effettivo 'scopo commerciale' dell'operazione". In realtà, prosegue Barbagallo, gli ispettori di Via Nazionale, nella primavera del 2012 videro un possibile collegamento tra le due operazioni. Barbagallo riporta lo stralcio del rapporto: "Analizzando congiuntamente le due operazioni se ne possono apprezzare in parallelo gli effetti economici tra il fair value della prima, calcolata in analisi comparativa con il Cds Italia a 5 anni, e le riprese di valutazione della seconda, risultanti dai dati gestionali interni alla banca". La relazione ispettiva del 2012 evidenzia, inoltre, che "lo schema dei flussi di cassa della complessiva struttura replica quello di una posizione corta in un Cds sintetico". Pochi mesi dopo, nell'ottobre del 2012, verrà scoperto il accordo di mandato nella cassaforte dell'ex direttore generale a Rocca Salimbeni che lega le due operazioni. "Il suo occultamento - chiarisce Barbagallo - aveva consentito alla banca di non far emergere la fondamentale circostanza che la struttura complessiva dell'operazione dovesse avere fin dall'inizio un "giusto valore" negativo, a prescindere dalle scelte sulle modalità di contabilizzazione (a saldi aperti, cioè rilevando separatamente le diverse componenti, o chiusi, cioè aggregandole e rilevando un derivato di credito) e aveva impedito alla vigilanza di comprovare le reali finalità delle diverse componenti dell'operazione".

sabato 11 novembre 2017

Il timore che l'onda arrivi a Francoforte. Il Quirinale preoccupato che Draghi possa essere tirato in ballo per l'operazione Mps-Antonveneta. - Alessandro De Angelis



Da martedì iniziano le audizioni sulla banca senese.


Aleggia una certa inquietudine, ai massimi vertici istituzionali, perché la vicenda sta andando proprio nella direzione che Sergio Mattarella ha sempre giudicato dannosa per la credibilità complessiva del paese. La commissione d'inchiesta sulle banche è diventata, al tempo stesso, il set perfetto di una campagna elettorale distruttiva e il luogo di processo sommario alle istituzioni di vigilanza, in un confuso rimpallo di responsabilità: Consob contro Bankitalia, Bankitalia contro Consob. E soprattutto l'ennesima irritualità, sul tema banche, come ai tempi della mozione parlamentare del Pd su Visco.
Anzi, le tante irritualità: una normale audizione trasformata in "testimonianza", come se, appunto, fosse un processo; un presidente di commissione che si dice perplesso della richiesta ma che poi prende atto, senza tanta resistenza e senza sospendere i lavori e discutere quantomeno il calendario, della volontà della commissione (è raro che nella vita parlamentare i presidenti di commissione subiscano così le decisioni della commissione, senza in fondo esserne d'accordo in un classico gioco delle parti); e con una confusione in cui alla fine va tutto sulla web tv, senza tante distinzioni sui livelli attorno a cui si articola il lavoro di una commissione d'inchiesta (pubblico, riservato, segreto): "Parliamoci chiaro – dice un parlamentare della commissione – siamo di fronte a un'escalation, evidentemente innescata da Renzi, che vuole scaricare tutta la responsabilità dei crac bancari su Bankitalia. Lo scontro tra Bankitalia e Consob, in tal senso, è musica per lui".
Scontro che avviene proprio nel momento in cui anche la presidenza della Consob è in scadenza e sulla casella già circolano i primi nomi graditi all'ex premier, come quello di Marco Fortis, il tecnico "ottimista", già tremontiano, i cui dati vengono indicati come una bibbia per le apparizioni tv dei renziani. E dopo la riconferma di Ignazio Visco alla guida di Bankitalia, il che sembra suonare quasi come una vendetta dell'ex premier, per la serie: se fosse stata recepita l'indicazione del Pd a sostituirlo, le cose sarebbero andate diversamente.
Ora il timore al Quirinale è che questo sia solo l'inizio. E che, in un imprevedibile crescendo, possa essere tirato in ballo, in modo scomposto e confuso, il nome dell'attuale presidente della Bce Mario Draghi. La calendarizzazione dei lavori indica che martedì si partirà da Mps, come più volte chiesto da Matteo Orfini, e dunque si arriverà a discutere della madre di tutte le acquisizioni: l'acquisto di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi di Siena, operazione costata 17 miliardi di euro quando Mps aveva un capitale residuale di soli 4,8 miliardi. Draghi era allora il governatore di Bankitalia, organismo che autorizzò l'acquisizione condizionandola a una complessa operazione di ricapitalizzazione e di emissioni di strumenti ibridi.
Ora, è evidente che il problema non è la forma, nel senso che c'è una consolidata prassi per cui la Bce non può essere chiamata davanti a una commissione nazionale. Ma la sostanza politica: tirare in ballo in questo processo sommario, politico e mediatico, "l'uomo che ha salvato l'Italia" – così viene vissuto nel mondo – equivale, per chi ha un minimo di sensibilità, a un danno nazionale, non irrilevante nelle sue proporzioni.
In questo quadro, non è forzato – questa è l'impressione che si ricava parlando con fonti di alto livello - ritenere improbabile un allungamento della legislatura anche per i rischi insiti in questo tipo di dinamica. Non è l'unico elemento, ma certo fa parte dei ragionamenti di questi giorni. Certo il timing della fine della legislatura dipende da Gentiloni, dal governo, dal Parlamento, ma è un fatto che il voto a marzo, con scioglimento a inizio del prossimo anno, di fatto chiude anche questa commissione, perché con le camere sciolte non si possono più fare audizioni, ma solo la relazione finale. Di fatto col Natale (poco più di una mesata) si chiuderebbe tutto. E la campagna elettorale, si sposterebbe nelle piazze e nei talk show. Le sue sedi più appropriate.