sabato 28 settembre 2024

Uno studio calcola in più di 6 miliardi di pianeti simili alla nostra Terra presenti nella sola Via Lattea, la nostra galassia: i dettagli. - Pasquale D'Anna

 

Possono esistere fino a un pianeta simile alla Terra per ogni cinque stelle simili al Sole nella Via Lattea, secondo le stime del 2020 degli astronomi dell’Università della Columbia Britannica che utilizzano i dati della missione Kepler della NASA (missione terminata). Per essere considerato simile alla Terra, un pianeta deve essere roccioso con un diametro simile a quello terrestre e in orbita attorno a stelle come il Sole (tipo G). Inoltre gli esopianeti devono orbitare nelle zone abitabili delle proprie stelle, la giusta distanza affinché ci sia una temperatura atta a poter “ospitare” acqua liquida, e potenzialmente vita, sulla sua superficie.

Un numero enorme di pianeti extrasolari.

Le stime precedenti della frequenza dei pianeti simili alla Terra andavano da circa 0,02 pianeti potenzialmente abitabili (per stella simile al Sole) ad uno. In genere, i pianeti come la Terra sono più difficili da individuare rispetto agli altri tipi, poiché sono piccoli e orbitano lontani dalle loro stelle. Ciò significa che un catalogo planetario rappresenta solo un piccolo sottoinsieme dei pianeti che sono effettivamente in orbita attorno alle stelle. Gli scienziati hanno usato una tecnica nota come “modellazione in avanti” per superare questi limiti.

Il radius gap.

La ricerca  ha anche fatto luce su una delle questioni più importanti della scienza degli esopianeti: il “radius gap” dei pianeti. Il divario di raggio dimostra che non è comune per i pianeti, con periodi orbitali inferiori a 100 giorni, avere una dimensione compresa tra 1,5 e 2 volte quella della Terra. I ricercatori hanno scoperto che il divario del raggio esiste in un intervallo molto più ristretto di periodi orbitali di quanto si pensasse in precedenza. La ricerca continua!

https://www.passioneastronomia.it/esistono-oltre-6-miliardi-di-pianeti-come-la-terra-nella-nostra-galassia-lannuncio-degli-scienziati/

I buchi neri sono in realtà stelle congelate? Lo sostiene una nuova teoria. - Sandro Iannaccone

 

Le entità complesse e misteriose potrebbero essere strani oggetti quantistici che risolverebbero il cosiddetto paradosso di Hawking.

Ingoiano e spaghettificano tutto quello che gli càpita a tiro, luce compresa. Sono densi, densissimi, così tanto che la loro densità non ha neppure un valore finito, ma diverge in quello che gli scienziati chiamano “singolarità”, un punto in cui le grandezze sfuggono all’infinito e le “normali” leggi della fisica cessano di valere. Insomma: comunque li si guardi, i buchi neri sono un’entità complessa e misteriosa, che la fisica moderna ancora non è riuscita a comprendere e descrivere se non per ipotesi, più o meno verificabili. L’ultima e affascinante teoria sulla natura dei buchi neri arriva da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Physical Review D da parte di un gruppo di scienziati della Ben-Gurion University, in Israele, e postula che i buchi neri potrebbero in realtà essere uno strano oggetto quantistico descrivibile come “stella congelata”. Se questo fosse vero – il periodo ipotetico è d’obbligo, perché al momento si tratta di un’ipotesi interessante e nulla più – si risolverebbero di colpo alcuni dei problemi e dei paradossi legati ai modelli “tradizionali” di buco nero, tra cui, per l’appunto, la presenza di una singolarità e il cosiddetto paradosso di Hawking, proposto per la prima volta dal fisico britannico nella metà degli anni settanta e al momento ancora insoluto.

Singolarità e distruzione delle informazioni.

Prima di esaminare l’ipotesi appena proposta, soffermiamoci un momento sui due problemi che abbiamo appena citato. Il primo, quello della singolarità, rappresenta una questione che ai fisici proprio non va giù, una frattura irrisolvibile tra teoria ed evidenza. Le equazioni della teoria della relatività generale di Albert Einstein, che descrivono il comportamento della gravità, prevedono con grande precisione la geometria dello spazio-tempo dovuta alla presenza di masse che la deformano, ma quando vengono “spinte al limite”, ossia quando si ha a che fare con masse sufficientemente elevate, danno come risultato un collasso gravitazionale che tende a concentrare lo spazio-tempo in un unico punto, con curvatura e densità infinita, il cui limite è detto “orizzonte degli eventi” (un buco nero, per l’appunto). Il problema è che il concetto di “infinito” è puramente matematico, dal momento che in natura non può esistere nulla di realmente infinito: per questo motivo gli scienziati stanno da tempo cercando una teoria alternativa che rimetta a posto gli infiniti. Il paradosso di Hawking è ancora più complesso, ed è emerso quando il fisico britannico ha provato a “incorporare” la meccanica quantistica all’interno dei modelli dei buchi neri: dai suoi calcoli è emerso che, proprio a causa di effetti quantistici, occasionalmente alcune particelle potrebbero sfuggire dall’orizzonte degli eventi, dando luogo a una lentissima (ma costante) perdita di energia, sotto forma di radiazione, da parte del buco nero, che in capo a (molto) tempo porterebbe alla sua evaporazione. Il paradosso emerge quando si considera che questa radiazione non porta alcuna informazione sulla materia che originariamente compone il buco nero: e dunque, se questo evaporasse, l’informazione sulla sua natura andrebbe persa per sempre, il che è in contraddizione con il principio della meccanica quantistica che postula che l’informazione non può essere distrutta. Per questo motivo, il paradosso di Hawking è detto anche paradosso della perdita dell’informazione.

Buchi neri? No, stelle congelate.

Il modello della “stella congelata”, secondo gli scienziati che lo hanno proposto, permetterebbe di risolvere i due problemi appena descritti fornendo comunque una descrizione dei buchi neri compatibile con le evidenze sperimentali. “Le stelle congelate sono oggetti molto simili ai buchi neri – ha spiegato a Live Science Ram Brustein, uno degli autori del lavoro appena pubblicato – ma senza tutte le loro caratteristiche ‘scomode’ come la singolarità e l’orizzonte degli eventi. Se esistessero per davvero e fossero proprio loro i buchi neri, bisognerebbe modificare in modo significativo e fondamentale la teoria della relatività generale di Albert Einstein”. Il modello, ovviamente, è molto complesso e tecnico: semplificando molto, gli autori hanno immaginato degli oggetti molto compatti e composti da materia ultra-rigida (congelati, per l’appunto) con proprietà ispirate alla teoria delle stringhe (una teoria che tenta di riconciliare la meccanica quantistica e la relatività generale) che sembrano essere degli ottimi candidati a ricoprire il ruolo dei buchi neri. “Abbiamo dimostrato – dice ancora Brustein – che queste stelle congelate si comportano come assorbitori quasi perfetti, sebbene siano privi di orizzonte degli eventi, e sono anche in grado di emettere onde gravitazionali. Possono assorbire quasi tutto ciò che si avvicina loro, proprio come i buchi neri, hanno la stessa geometria esterna prevista dai modelli ‘convenzionali’ dei buchi neri e ne riproducono perfino le proprietà termodinamiche”.

Alla prova sperimentale.

Come dicevamo all’inizio, al momento tutto questo è solo una bella ipotesi o poco più. Bisognerà prima immaginare, e poi eventualmente realizzare, degli esperimenti e delle osservazioni per comprendere se il modello delle stelle congelate potrebbe funzionare. Possibili candidate per discriminare tra i modelli “convenzionali” e quello delle stelle congelate sono le onde gravitazionali, che potrebbero portare con sé informazioni sulla struttura interna delle stelle congelate. “Dobbiamo ancora studiare quale potrebbe essere la struttura interna di questi oggetti – ha concluso lo scienziato – e in che modo differirebbe da quella di altri oggetti cosmici come le stelle di neutroni, ma in linea di principio la cosa si può fare. Un’eventuale conferma di una qualsiasi delle previsioni del modello delle stelle congelate avrebbe un impatto rivoluzionario sulla fisica”.

https://www.wired.it/article/buchi-neri-nuova-teoria-stelle-congelate-paradosso-di-hawking/

La scoperta che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione della gravità. - Salvo Privitera

 

La gravità, una delle forze fondamentali dell'Universo, potrebbe presto essere riscritta grazie a una particella ipotetica: il gravitone. Mentre altre forze come l'elettromagnetismo e le interazioni nucleari sono state descritte attraverso particelle subatomiche, la gravità non ha ancora una spiegazione quantistica definitiva.

Gli scienziati credono che il gravitone, una particella con massa zero e spin-2, possa essere la chiave per comprendere come la gravità si comporti a livello subatomico.

Il problema? Il gravitone è incredibilmente difficile da rilevare. Le sue interazioni con la materia sono così rare che nemmeno un rilevatore grande quanto Giove riuscirebbe a catturarne uno in tempi ragionevoli. Per dare un’idea, i neutrini, particelle che attraversano costantemente il nostro corpo senza essere fermati, interagiscono molto più frequentemente della gravità. Il gravitone, invece, è ancora più sfuggente.

Tuttavia, alcuni progressi sono stati fatti. Un team di ricercatori guidato dal Prof. Jiehui Liang ha scoperto un analogo del gravitone in un sistema ultra-freddo chiamato "effetto Hall quantistico frazionario". Questo esperimento, pur non rilevando un vero gravitone, potrebbe aprire nuove strade per esplorare le proprietà di questa particella misteriosa.

La scoperta del gravitone non rappresenterebbe solo un traguardo scientifico ma potrebbe finalmente unire la gravità alle altre forze fondamentali. Insomma, non dobbiamo fare altro che aspettare e affidarci alla scienza.

https://tech.everyeye.it/notizie/scoperta-rivoluzionare-comprensione-gravit-740812.html

Tolstoj, Dostoevskij e Cechov. - Guendalina Middei

 

Lo sapevate che… un giorno per spiegare le differenze tra Tolstoj, Dostoevskij e Cechov, dissi a miei alunni: immaginate i tre grandi scrittori russi in riva al mare.
Tolstoj vi descriverà il mare in tutta la sua larghezza, in tutta la sua profondità, in tutta la sua immensità, vi dirà da dove arriva quell'onda e dove va, scriverà di correnti e sabbia, barche e navi, vento e vele, e poi isole, scogliere, spiagge, pesci, conchiglie, gabbiani, maree, e poi colori e suoni, odori e immagini, gesti e movimenti, ombre e luci, ecc., e di ogni cosa vi spiegherà le caratteristiche, i dettagli, le particolarità, le peculiarità, le origini, le sfumature.
Dostoevskij, invece, si soffermerà su quella parte di mare in burrasca, su cicloni e tempeste, e vi spiegherà perchè le onde schiumano, si frantumano, spumeggiano, perchè il vento soffia, infuria, sbuffa, scriverà di tifoni improvvisi, di tornadi e uragani, di naufragi e mareggiate; scriverà di mulinelli assassini, dove si creano , perchè si creano, perchè portano dolore e sofferenza, tormento e delirio; perchè pure nel mare c'è il male, la passione, l'inquietudine.
Cechov, dal canto suo, avrà su quella distesa immensa uno sguardo apparentemente più lento, più svogliato, più circospetto, e magari si concentrerà maggiormente, in silenzio, su quei sassolini trascinati sulla riva, senza chiedersi da dove vengono, né dove finiranno, né perchè sono lì, né dove saranno in futuro; ne scriverà brevemente, in modo conciso, magari descrivendoli con la sua sottile, aguzza, affilata ironia.
Guendalina Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X (➡️ Tratto da «Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera». Potete leggerne un estratto gratuito qui: